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Full text of "Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli"

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BOLLETTINO 


DELLA 


IN  NAPOLI 


VOLUME  XXXV  (SERIE  IL,  VOL.  XV). 

ANNO  XXXVII 

1923 

Con  6  tavole 

( Pubblicato  il  10  gennaio  1924) 


NAPOLI 

Officina ..  Cromotipografica  «  Aldina  » 

Piazzetta  Casanova  a  S.  Sebastiano  2-4 

1924 

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INDICE 


ATTI 

(MEMORIE  E  NOTE) 


Gargano  C.  —  Le  alterazioni  prodotte  nel  fegato  della  Lacerta 

muralis  Laur.  dal  Cysticercus  dithyridium  .  .  pag.  3 

Fedele  M.  —  Simmetria  ed  unità  dinamica  nelle  catene  di  Salpa  „  20 

Palombi  A.  —  Diagnosi  di  nuove  specie  di  Policladi  della  R.  N. 

"  Liguria  „ .  „  33 

Del  Regno  W.  —  L'effetto  fotoelettrico  .  .  .  .  .  „  38 

Serao  C.  —  Ricerche  su  la  reazione  tra  cloruro  di  benzile  e  fenolo.  „  86 

Biondi  G.  —  Osservazioni  su  alcune  bombe  vesuviane.  .  „  92 

Caroli  E.  —  Sulla  presenza  di  Penilia  schtnackeri  Richard  nel 

golfo  di  Napoli  ........  „  96 

Carrelli  À.  —  Sull'assorbimento  di  fluorescenza  .  .  .  .  „  100 

Gargano  C.  —  L'origine  nucleolare  dei  centrosomi  negli  oociti  di 

cagna . .  „  106 

Zirpolo  G.  —  Sulla  genesi  delle  colonie  primaverili  del  Zoobotryon 

pellucidum  Ehrbg .  „  113 

Zirpolo  G.  —  Ricerche  sulla  simbiosi  fra  Zooxantelle  e  Phyllirhoè 

bucephala  Peron  et  Leseur  .  .  .  .  .  ,,129 

Lo  Giudice  P.  —  Sulla  salinità  delle  acque  di  superficie  dello 

stretto  di  Messina  durante  l' inverno  1921-22  .  .  .  ,,  139 

Golosi  G.  — A  proposito  di  Heteroglyphaea  paronae  Colosi  .  ,,  141 

Salfi  M.  —  Ricerche  sull’epitelio  del  mesointestino  di  Locusta 

danica,  L .  ,,143 

Fedele  M.  Identità  fra  Dolchinia  mirabilis  Korotneff  e  Do- 

liolum  Chimi  Neumann .  „  152 

Marcucci  E.  —  La  morfologia  del  bacino  dei  Sauropsidi.  Il  pube 

degli  Uccelli .  „  159 

Colosi  G.  —  Alcune  specie  discusse  di  Misidacei  .  .  .  .  191 


Salfi  M.  —  Stilla  geonemia  delle  specie  del  genere  Chrysochraon 

Fisch.  ( Orthoptera-Locustidae )  .  .  .  .  .  ,,196 

Gargano  C.  —  Documenti  istologici  per  una  ipotetica  terapia 


degli,  epiteliomi  cutanei .  „  199 

Gargano  C.  —  Alterazioni  indotte  dal  radio  sulla  tiroide  normale  „  208 
Gargano  C.  —  Considerazioni  sulla  morfologia  delle  cellule  col¬ 
tivate  in  vitro  rispetto  a  quella  di  elementi  normalmente 

liberi  in  tessuti  patologici .  „  221 

Zirpolo  G.  —  Studi  sulla  bioluminescenza  batterica  ...  „  245 


BOLLETTINO 

DELLA 

SOCIETÀ  DEI  NATURALISTI 


BEI  NATURALISTI 


VOLUME  XXXV  (SERIE  II.,  VOL.  XV). 

ANNO  XXXVII 

1923 


Con  6  tavole 


( Pubblicato  il  10  gennaio  1924) 


NAPOLI 

Officina  Cromotipografica  »  Aldina  » 

Piazzetta  Casanova  a  S.  Sebastiano  2-4 

1923 


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Bollettino  della  Società  dei  Naturalisti  in  Napoli 


ATTI 

(MEMORIE  E  NOTE) 


Gli  autori  assumono  la  piena  responsabilità  dei  loro  scritti. 


Le  alterazioni  prodotte  nel  fegato  della  La¬ 
certa  muralis  Laur.  dal  Cysticercus  di- 
thyrìdium. 

Memoria 
del  socio 

Claudio  Gargano 


(Tornata  del  9  Luglio  1922) 

Generalità. 

Pochi  argomenti  sono  stati  oggetto  di  così  numerose  osser¬ 
vazioni  da  parte  di  clinici  e  di  patologi  quanto  quello  delle  ci¬ 
sti,  che  si  verificano  nel  fegato  dell'uomo  e  degli  animali  dome¬ 
stici  per  opera  dello  stato  vescicolare  di  un  cestode.  E  così  i 
patologi,  coadiuvati  dai  cultori  di  zoologia  hanno  potuto  rico¬ 
struire  la  biologia  di  questi  elminti,  ed  hanno  chiarito  non  po¬ 
chi  punti  dottrinali  e  pratici  di  estremo  interesse. 

Se  è  ben  noto  che  un  cestode  svolga  per  lo  più  la  sua  e- 
sistenza  cistica  e  sessuale  in  due  differenti  organismi,  non  si 
può  dire  del  tutto  chiarita  l'interpetrazione  che  oggi  si  deve,  a  - 
vere  di  essi,  e  credo  sia  preferibile  accettare  l'ipotesi  di  Lemar, 
Lang  ed  Emery,  che  essi  sieno  da  considerarsi  come  una  c  o- 
lonia  lineare  o  strobila;  la  formazione  delle  proglot¬ 
tidi  sarebbe  una  generazione  agama  per  gemmazione,  e  lo  sco- 
lice  come  nutrice,  generatrice  agama  di  proglottidi  sessuate.  Le 
proglottidi  dei  cestodi  non  sono  quindi  equivalenti  ai  metameri 
perchè  hanno  sviluppo  postero-anteriore,  laddove  i  metameri 
presentano  invece  uno  sviluppo  antero-posteriore. 

Per  quanto  numerosi,  come  si  è  detto,  sieno  i  lavori  sui 
cestodi  parassiti  dell'uomo  e  dei  principali  animali  domestici, 
pur  essi  si  limitano  ad  assodare  la  biologia  del  verme,  il  modo 


—  4  - 


di  diagnosi,  le  possibili  complicanze  e  la  terapia;  pochi  e  fram¬ 
mentari  lavori  trattano  invece  delle  alterazioni  indotte  nel  fegato, 
nella  cellula  epatica,  per  opera  di  tali  elminti. 

Nei  sauri  in  genere  e  nei  lacerti  di  in  ispecie  sono  stati  in 
varia  epoca  descritti  nel  fegato  e  nel  peritoneo  cisticerchi  di  te¬ 
nie  non  sempre  bene  identificate;  ed  anche  noi  abbiamo  potuto 
osservare  parecchi  esemplari  di  Lacerta  tnuralis  Laur.,  che  pre¬ 
sentavano  nel  fegato,  nell'intestino  e  nell'ovidutto  numerose  ci¬ 
sti  di  cestodi. 

Pur  essendo  state  raccolte  le  Lucertole  in  vari  anni  (giac¬ 
ché  non  sempre  si  trovano  in  tal  guisa  ammalate)  è  notevole 
che  il  verme  vescicolare  abbia  sempre  i  medesimi  caratteri,  tali  da 
fornirci  la  certezza,  che  ci  troviamo  di  fronte  ad  un  unico  pa¬ 
rassita. 

Nel  fegato  i  cestodi  in  parola,  contrariamente  a  quanto  af¬ 
fermano  i  ricercatori,  che  ci  hanno  preceduto,  sono  sempre  nu¬ 
merosissimi,  ma  per  quanto  sieno  numerosi,  non  sembra  che 
l'organo  enficiato  presenti  sensibili  aumenti  di  volume  e  di  peso. 
Le  cisti  si  svolgono  distruggendo  il  tessuto  epatico  in  un  tem¬ 
po  relativamente  breve,  in  guisa  che  la  massa  glandolare  utile 
per  la  vita  dell’animale  in  alcuni  esemplari  è  ridotta  moltissimo. 

Tale  riduzione  epatica  non  induce  alterazioni  sulla  vita  del¬ 
l’animale;  le  lucertole  ospitatrici  di  cisticerchi  sono  o  appaiono 
le  più  floride ,  confermandosi  quanto  ha  osservato  Mingazzini 
(’893)  in  contrapposizione  a  Metchnikoff,  che  cioè  il  parassita  e 
l'ospite  non  rappresentano  due  forze  opposte  contrastantesi  l'una 
verso  l'altra,  ma  forse,  che  in  certo  modo  si  trovano  in  armonia 
fra  di  loro,  avendosi  un  adattamento  reciproco  dell'ospite  e  del 
parassita,  perchè  la  vita  dell'uno  e  quella  dell'altro  si  compiano 
nel  modo  più  facile  per  entrambi. 

Cenni  storici  sul  parassita  della  Lacerta  tnuralis  Laur. 

Per  quanto  sieno  antiche  le  prime  osservazioni  di  cisticer¬ 
chi  rinvenuti  nelle  lucertole  ,  pure  non  è  cosi  agevole  assodare 
la  posizione  sistematica  di  essi,  giacché,  paragonando  ciò  che  è 
stato  descritto,  con  quanto  a  noi  è  capitato  di  constatare,  non  si 


—  5  — 


ha  la  certezza,  che  il  parassita  delle  nostre  lucertole  abbia  la  mede¬ 
sima  posizione  sistematica  di  quelli  studiati  da  Leuckart  (’879-86) 
e  da  von  Listow  (’878). 

Rudolphi  ('819)  è  il  primo  a  descrivere  nelle  lucertole  due 
elminti  molto  dubbi,  le  cui  caratteristiche  sarebbero  state  la 
presenza  di  due  ventose  simmetriche  e  di  un  corpo  appiattito. 
Per  le  affinità  grandi  con  lo  scolice  di  giovani  tenie  e  per  la 
simmetria  delie  ventose,  include  i  parassiti  in  parola  nel  genere 
Dithvridium.  Notò  altresi  che  gli  individui  ospiti  della  Lacerta 
viridis  erano  più  grandi  di  quelli  ospiti  della  Lacerta  muralis . 

Valenciennes  ('843)  [in  Moniez]  trovò  anche  egli  nella  la¬ 
certa  verde  una  larva  di  cestode,  che  è  probabilmente  la  specie 
indicata  da  Rudolphi.  Gli  individui  in  gran  numero  liberi  nel 
peritoneo,  avevano  mm,  1  a  3  di  lunghezza  e  svaginati  misura¬ 
vano  un  centimetro.  L'estremità  cefalica  è  fornita  di  quattro  ven¬ 
tose  senza  uncini  ed  il  loro  corpo  è  traversato  da  quattro  vasi. 
L'estremità  posteriore,  simile  alla  vescicola  caudale  dei  cestodi, 
è  riempita  da  una  massa  di  apparenza  cellulosa  più  densa,  rite¬ 
nuta  lo  sbocco  di  organi  riproduttori. 

Dujardin  (’845)  a  proposito  degli  elminti  studiati  nelle  la¬ 
certe  da  Rudolphi  e  da  Valenciennes,  dice  (pag.  632),  che:  "  on 
pouvait  étre  couduit  a  penser  que  si  d'une  parte  des  articles 
isolés  des  cestoìdes  peuvent  continuer  a  vivre  isolément  dans 
l'intestin  pour  devenir  des  Proglottis,  d'autre  part ,  la  téte  e  la 
partie  antérièure  peuveut  se  développer  isolément  en  dehors  de 
l'intestin  sans  acquérir  d'organes  génitaux  „. 

Gurlt  (’845)  rinviene  incistidato  nel  fegato  dei  lacertidi 
{Lacerta  muralis ,  viridis,  agilis ,  ecc.)  lo  stesso  parassita  stu¬ 
diato  da  Valenciennes,  e  lo  chiama  Dubium  cestoideum. 

Diesing  (’850)  trovando  che  il  genere  Dithyridiam  Rudol- 
phi  “nomea  incongruum  mutandum  erat  „,  lo  chiamò:  Piestocy- 
stis  e  non  dice  le  ragioni;  e  di  questo  genere  nè  dà  la  seguente 
descrizione:  “  Animalicula  solitaria.  Caput  subtetragonum  inerme , 
retractile,  acetabulis  quatuor  angularibus  aut  lateralibus  oppo - 
sitis.  Rostrellum  nullum.  Os  terminale.  Corpus  brevissimum , 
vescica  caudali  oblonga  depressa ,  ut  plurimum  transverse  ru¬ 
gosa,  transparente.  Multiplicatio  per  vescicae  caudalis  prolifi- 
cationem  exter nam,  prole  solitaria  demum  a  vescica  segregata  „ . 


I  Piestocystis  di  Diesing,  a  differenza  dei  Dithyridiam  di 
Rudolphi  sono  parassiti  oltre  che  dei  rettili,  anche  dei  mammiferi, 
degli  uccelli  e  degli  anfibi:  11  Iti  Mammalium ,  Avium  et  Arnphi- 
blorum  cavo  pectoris  et  abdotninis  folliculo  membranaceo  soll- 
tariae  inclusa  demum  quandoque  libera  „. 

Alcuni  cisticerchi  della  Lacerta  crocea  sono  stati  da  Leu- 
ckart  ('879-86)  ritenuti  lo  stato  cistico  della  taenla  lltterata 
della  volpe,  specialmente  sul  carattere  della  grandezza  delle  ven¬ 
tose  e  sull'assenza  di  uncini. 

Marchi  ('874) ,  avendo  occasione  di  trovare  nel  peritoneo 
d t\Y Ascalabotes  mauritanlcus  alcuni  cisticerchi,  ritorna  su  que¬ 
sto  interessante  argomento  di  elmintologia.  I  cestodi,  studiati  da 
Marchi,  vivevano  in  particolari  cisti  avventizie,  fatte  da  cuticola 
resistente,  senza  struttura  cellulare  e  di  trasparenza  quasi  vitrea 
e  di  natura  chitinosa  :  erano  armati ,  avendo  quattro  serie  di 
uncini  (in  complesso  circa  settanta).  Il  nome  di  questo  parassita 
è:  Cystlcercus  ascalabotldis  Marchi. 

von  Listow  (’878) ,  in  un  esemplare  di  Lacerta  agllls  ,  ha 
rinvenuto  più  di  100  Cystlcercus  dlthyridlum ,  di  cui  due  soli 
incistidati  nel  fegato  e  'gli  altri  liberi  nella  cavità  peritoneale. 
Sono  cisticerchi  di  una  tenia  inerme,  mancando  gli  uncini,  e  pre¬ 
sentano  un  accenno  di  segmentazione  nel  corpo  ,  che  con  una 
lieve  curva  si  ritira  nella  parte  posteriore. 

Le  ventose  sono  per  lo  meno  la  metà  di  quelle  della  Taenla 
megalops ,  che  è  l'unica  tenia  inerme  dei  nostri  uccelli  indigeni: 
per  questa  ragione,  e  principalmente  sul  carattere  delle  ventose 
e  sul  fatto  di  essere  una  tenia  inerme,  secondo  von  Listow,  il 
Cystlcercus  dlthyridlum  non  può  divenire  una  tenia  nè  di  uc¬ 
celli,  nè  di  batraci,  nè  di  rettili,  nè  di  pesci.  Solo  nei  mammi¬ 
feri  si  troverebbero  delle  tenie  inermi,  con  ventose  simili  a  quelle 
del  Cystlcercus  dlthyridlum  e  propriamente  nel  topo  campa- 
gnuolo. 

Moniez  ('880)  non  crede  che  il  Cystlcercus  dlthyridlum 
possa  divenire  una  Tenia  nel  topo  campagnuolo.  Le  lacerte  sono 
divorate  dai  Falconidi,  ed  in  questi  uccelli  il  cisticerco  si  svi¬ 
luppa:  la  Taenla  periata  dei  Falchi  costituisce  lo  stato  definitivo 
del  Cystlcercus  dlthyridlum .  Nota  FA.  come  questo  cisticerco 
descriva  una  curva  molto  semplice  nella  sua  vescicola,  come  ab- 


—  7 


bia  molti  corpuscoli  calcarei  e  come  un  certo  numero  di  essi 
passi  ad  animali  perfetti.  Manca  di  formazioni  anulari  o  di  bulbo, 
il  che  T  allontanerebbe  dal  Milina  descritta  da  van  Beneden  : 
mancano  altresì  organi  o  prodotti  genitali.  L'estremità  del  corpo 
presenta  al  contrario  un  tessuto  lasco,  non  racchiudente  quasi 
elementi  cellulari,  ed  invece  in  un  punto  opposto  all'  orifizio  di 
invaginazione  vi  è  un  foro  molto  stretto,  abbastanza  profondo, 
che  farebbe  credere  ad  un  germogliamento  analogo  a  quello  dei 
Staphylocystis.  Non  crede  l'A.,  per  i  caratteri  morfologici,  di 
poter  ravvicinare  il  Cysticercus  dithyridiam  al  gruppo  dei  Pie _ 
stocystis,  nè  pensa  che  il  cisticerco  in  parola  possa  divenire  la 
Taenia  litterata  della  volpe. 

Cretj  ('887)  studiò  alcuni  cisticerchi  rinvenuti  da  Monticelli 
nell' Ascalabotes  mauritanicus. 

Essi  misuravano  mm.  0,80  di  lunghezza  e  mm.  0,77  di  lar¬ 
ghezza,  e  l'altro  mm.  0,50  di  larghezza  e  mm.  0,56  d'altezza,  di 
colore  bianco  sporco  o  gialletto,  appiattiti;  evidente  era  in  essi 
l'invaginazione.  Le  ventose,  robustissime  o  grandi  relativamente 
alla  piccolezza  del  cisticerco,  misuravano  mm.  0,17  di  lunghezza 
e  mm.  0,11  di  larghezza. 

Erano  inermi  e  privi  di  vescicola  caudale:  numerose  le  pli¬ 
che  della  cuticola ,  numerosi  i  corpuscoli  calcarei ,  dei  quali  è 
infarcito  il  loro  corpo.  Circa  la  posizione  sistematica  di  questo 
essere,  l'A.  pensa  che  non  sapendo  a  quale  forma  di  tenia  rife¬ 
rirlo,  e  potendo  d'altra  parte  essere  confusa  con  i  Piestocystis , 
crede  opportuno  chiamarlo  Cysticercus  megabothrius . 

Crety  (’887)  trovò  poi  nel YElafis  quadr itine atus  liberi  nel 
peritoneo  dei  cisticerchi  di  grandezza  variabile  :  alcuni  misura¬ 
vano  mm.  4  di  lunghezza  e  mm.  3  di  larghezza:  altri  erano 
lunghi  mm.  2  e  larghi  mm.  3  :  infine  ve  ne  erano  di  quelli  an¬ 
cor  più  piccoli.  Nella  parte  anteriore  l' invaginazione  appariva 
evidente  e  molti  presentavano  rughe  trasversali  ;  la  parte  poste¬ 
riore  del  corpo  era  in  alcuni  appuntita,  in  altri  globosa  e  tesa 
pel  liquido  accumulato  nel  suo  interno.  La  parte  anteriore  del 
cisticerco  aveva  un  colore  bianco  sporco,  la  posteriore  era  tra¬ 
sparente.  Le  ventose  erano  piccole  e  misuravano  in  lunghezza 
mm.  0,12,  in  larghezza  mm.  0,6.  Osservati  a  luce  riflessa,  i  cor¬ 
puscoli  calcarei  si  mostravano  numerosissimi,  specialmente  nella 


8  — 


invaginazione,  anzi  l'opacità  di  questa  parte  del  cisticerco  si  deve 
alla  gran  copia  dei  medesimi. 

Per  i  caratteri  anzidetti  l'A.  identifica  il  cisticerco  in  parola 
col  Dithyridium  lacertae ,  studiato  da  Valenciennes  :  sarebbe  il 
medesimo  Cysticercus  dithyridium ,  trovato  da  Moniez  n tWEla- 
fis,  Coronella  e  Lacerta  viridis. 

Questo  cisticerco,  come  quello  descritto  nell ’Ascalabotes  mau- 
ritanicus,  rappresenta  la  forma  larvale  di  due  distinte  specie  di 
tenie,  che  raggiungono  il  loro  completo  sviluppo  probabilmente 
nell'  intestino  di  uccelli  rapaci. 

Parona  '(886),  esaminando  la  superficie  esterna  delle  tona¬ 
che  intestinali  di  un  giovine  Coluber  viridiflavus  Lacép.,  le  rin¬ 
venne  cosparse  da  molte  piccolissime  cisti  appena  visibili,  le 
quali  erano  vescicole  di  cisticerco.  I  caratteri  del  parassita  sono 
i  seguenti  :  "  Cisticercoide  a  vescicola  rotondeggiante  :  armato  da 
quattro  serie  di  uncini,  dei  quali  i  più  piccoli  stanno  nel  cerchio 
interno  e  misurano  0,018  mm.;  quelli  del  secondo  giro  tnisura- 
rano  0,059  mm.,  quelli  del  terzo  0,033,  e  quelli  del  quarto  0,069 
mm.  „.  L'A.,  basandosi  sul  carattere  dei  quattro  giri  di  uncini  a 
dimensioni  differenti,  lo  include  nella  categoria  dei  cisticercoidi 
di  Leuckart,  ed  indica  questa  forma  col  nome  di  Cysticercus 
acanthotetra ,  e  lo  trova  differente  dall'altro  scoperto  da  Marchi 
nel  Gecho. 

In  un  accurato  lavoro  "sul  parassitismo  Mingazzini  (’893) 
dà  un  largo  contributo  alla  conoscenza  dei  cisticerchi  dei  Sauri. 
Egli,  sia  nel  Coluber  viridiflavus,  che  nel  Seps  chalcides  ha 
avuto  occasione  di  riscontrare  un  cisticerco,  abbastanza  dissimile 
dal  Cysticercus  acanthotetra  Parona  (che  è  invece  simile  al  Cy¬ 
sticercus  ascalabotidis  Marchi  dell'  Ascalabotes  mauritanicus  ), 
ed  egli  lo  denomina  Cysticercus  rostratus. 

Il  Cysticercus  rostratus  ha  il  corpo  distinto  in  due  parti,  una 
anteriore,  più  ristretta,  su  cui  poggiano  ventose  e  rostrello,  ed 
una  posteriore  di  forma  ovale,  ripiena  di  corpuscoli  calcarei  e 
portante  nell'  estremo  posteriore  la  vescicola  escretrice,  da  cui 
partono,  ai  due  lati  del  corpo,  quattro  canali  escretori.  Il  rostrello 
è  notevolmente  lungo  e  ricoperto  da  uncini  in  tutta  la  sua  su¬ 
perficie:  le  ventose,  poste  agli  spicoli  della  parte  anteriore,  sono 
quattro,  robuste  ed  eguali.  Questo  cisticercoide,  quando  è  rac- 


—  9 


chiuso  nella  cisti,  la  sua  porzione  cefalica,  essendo  invaginata 
nel  corpo,  non  è  visibile,  soltanto  scorgonsi  per  trasparenza  le 
quattro  ventose  ed  il  lungo  rostrello  con  i  suoi  uncini. 

La  seconda  specie,  studiata  da  Mingazzini,  è  stata  trovata 
nel  perinisio  dei  muscoli  della  parete  del  corpo  del  Seps  chal- 
cides ,  e  cioè  il  Cysticercus  dithyridium  Crety,  che  è  il  parassita 
dtWElafis  quadrilineatus  e  della  Lacerta  agilis  e  vivipera. 

Infine  nell'  Ascalabotes  mauritanicus  e  nel  Coluber  viridi- 
flavus,  ha  avuto  occasione  di  riscontrare  il  Cysticercus  megabo- 
thrius  Crety.  Ci  dice  VA.  che  tale  parassita  vive  a  spese  della 
sostanza  epatica  distrutta,  e  che  la  cisti  è  formata  dalla  parte 
protettiva  di  natura  fibrillare. 

Sonsino  (’897)  riferisce  su  di  una  ricerca  del  Dr.  Tarozzi, 
cioè  della  presenza  nel  peritoneo  parietale  e  viscerale  dt\V Asca¬ 
labotes  mauritanicus ,  di  9  cisti,  della  grandezza  di  una  capocchia 
di  spillo  e  contenenti  un  cisticercoide  con  rostrello  a  campana, 
provvisto  di  numerose  serie  (sino  a  14)  di  uncini  a  disco  basale 
allargato. 

Il  fondo  delhinvaginazione  cefalica  era  inerme.  L'  A.  lo  ri¬ 
tiene  una  specie  nuova,  differendo  dal  Cysticercoides  megabo- 
thrius  Crety,  che  è  inerme,  e  dal  Cysticercoides  trovato  da 
Marchi. 

Ricerche  personali* 

Nella  Lacerta  muralis  Laur.  non  è  al  certo  possibile  iden¬ 
tificare  il  cisticerco  servendosi  di  tagli  microtomici  di  pezzi  di 
fegato  (figg.  7,  8  e  9)  previamente  fissati,  perchè  oltre,  che  nelle 
cisti  il  parassita  trovasi  invaginato,  le  sezioni  di  esso  danno 
aspetti  così  vari,  che  sarebbe  disagevole  stabilire  con  questo 
metodo  la  sua  posizione  sistematica.  È  necessario  quindi  isolare 
a  fresco  le  cisti  dal  tessuto  epatico  (fig.  2)  il  che  si  ottiene  con 
le  dissezioni  agli  aghi  e  mercè  Tausilio  del  microscopio  bino¬ 
culare  del  Greenough  a  visione  stereoscopica:  in  tal  modo  si 
avranno  libere  le  cisti,  che  basterà  aprire  per  mettere  in  libertà 
il  parassita. 

Per  preparati  stabili  (figg.  3  e  4)  i  cisticerchi  vanno  trat¬ 
tati  con  i  procedimenti  generali  usati  per  il  plankton ,  cioè  nar¬ 
cosi,  fissazione,  colorazione  con  alcool  a  70°  leggermente  tinto  in 


10  — 


rosa  con  poche  gocce  di  paracarminio,  disidratazione  graduale, 
diafanizzazione,  e  chiusura  in  balsamo  del  Canadà  nelle  lastrine 
cellette  adoperate  per  la  batteriologia. 

Volendo  invece  svolgere  il  verme,  i  piccoli  cisticerchi  si 
pongono  con  la  ordinaria  soluzione  fisiologica  su  di  una  la¬ 
strina  portaoggetti  e  si  coprono  con  una  lastrina  coprioggetti, 
esercitando  su  di  essa  una  modica  pressione  con  un  pic¬ 
colo  peso  (fig.  5),  e  poi  il  tutto  si  immerge  in  una  soluzione 
acquosa  di  cocaina:  consecutiva  fissazione  in  alcool  a  70°  o  in  so¬ 
luzione  debole  di  formolo,  colorazione,  disidratazione,  ecc.  Il  ci- 
sticerco  così  ottenuto  (figg.  6  e  7)  ha  una  lunghezza  media  di 
[i  1045  ;  è  rivestito  da  una  cuticola  chitinosa,  ha  capo  sferoidale 
privo  di  rostrello  e  di  uncini,  quattro  ventose  (diametro  ia  117, 
assenza  di  corpuscoli  calcarei  e  presenza  all'estremo  posteriore 
di  una  vescicola  escretrice,  dalla  quale  partono  quattro  canali 
esecretori. 

Per  queste  caratteristiche  sembra  avvicinarsi  al  Cysticercus 
dithyridium  studiato  da  Leuckart  ('879-86)  e  da  von  Listow  ('878). 
Quale  sarebbe  la  tenia  alla  quale  questo  cisticerco  dà  sviluppo? 
Non  è  così  agevole  la  risposta.  Potrebbe  trattarsi  sia  della  tae¬ 
nia  litterata  della  volpe,  o  della  taenia  periata  dei  falchi,  o  della 
taenia  megalops  degli  uccelli  o  di  una  tenia  parassita  del  topo 
campagnuolo. 

Il  trovare  in  una  medesima  cisti  numerosi  cisticerchi  non 
credo  sia  argomento  sufficiente  per  dichiarare,  che  essi  sieno 
stati  generati  in  epoche  differenti;  infatti  in  un  medesimo  esem¬ 
plare  sono  tutti  allo  stesso  stadio  di  sviluppo.  L'  aumento  del 
liquido  endocistico,  le  alterazioni  del  tessuto  epatico  e  la  distru¬ 
zione  di  parte  delle  pareti  cistiche  portano  alla  genesi  di  cisti 
più  grandi,  contenenti  un  numero  maggiore  di  cisticerchi  (figg. 
9  e  10). 

Fegato  normale. 

Il  fegato  dei  rettili  è  una  glandola  tubulosa  composta,  ra¬ 
cemosa,  nella  quale  bisogna  considerare  l'elemento  glandolare, 
gli  acini  epatici  )  e  due  sistemi  di  vasi,  i  vasi  sanguigni  ed  i 
canali  biliari. 


—  11  — 


Gli  acini  epatici  (fig.  11)  di  aspetto  sferoidale,  di  dimensioni 
maggiori  nei  sauri,  anziché  negli  altri  rettili,  risultano  di  cellule 
di  forma  cubica  o  cilindrica,  fornite  di  citoplasma  granuloso  e 
di  un  grosso  nucleo  vescicolare  sito  nella  parte  distale  dell'ele- 
mento,  carico  di  sostanza  cromatica  e  contenente  nel  suo  interno 
uno  o  due  nucleoli. 

Le  granulazioni  citoplasmatiche  variano  a  seconda  1'  acino 
si  trova  in  attività  secernente  o  in  stato  di  relativo  riposo  :  si 
hanno  quindi  acini  con  cellule  molto  granulose  ed  altri  con  cel¬ 
lule  più  chiare,  trasparenti,  ed  anche  nel  medesimo  acino  alcune 
cellule  possono  essere  più  granulose  rispetto  alle  altre.  In  ge¬ 
nerale  l'ectoplasma  della  cellula  è  quello,  che  ha  maggior  nu¬ 
mero  di  tali  granulazioni. 

È  da  considerarsi  nel  fegato  dei  rettili  anche  un  altro  tipo 
di  elementi,  i  cromatoblasti.  I  cromatoblasti  in  citolo¬ 
gia  sono  stati  argomento  di  numerose  discussioni,  sia  rispetto  al 
loro  significato,  che  alla  loro  funzione  :  sembra  sieno  di  origine 
mesodermica,  forniti  di  prolungamenti  citoplasmatici  e  dotati  di 
movimenti  ameboidi  molto  attivi,  che  permettono  ad  essi  di  spo¬ 
starsi  da  un  punto  all'altro. 

Secondo  gli  studi  di  Eberth  e  Bunge  ('895)  si  troverebbero 
attorno  ad  i  cromatoblasti  dei  cespugli  di  terminazioni  nervose 
provenienti  da  fibrille  in  comunicazione  con  nervi  volontari.  La 
disposizione  di  queste  cellule  è  ancora  più  oscura  del  loro  va¬ 
lore  morfologico:  per  lo  più  si  trovano  aggruppate  in  alcuni 
acini,  e,  nelle  sezioni  di  fegato  colorate  all'  ematossilina  ferrica 
di  Heidenhain,  appaiono  giallo  scure. 

Non  è  improbabile  che  nella  funzione  complessa  del  fegato 
spieghino  un'azione  importante  :  certa  cosa  è,  che  nelle  altera¬ 
zioni  indotte  nel  parenchima  epatico  dal  Cysticercus  dithyridiam , 
i  cromatoblasti  sono  i  primi  a  risentire  questa  funesta  in¬ 
fluenza,  degenerando. 

La  bile  circola  in  vasi  capillari  senza  parete,  in  vasi  vir¬ 
tuali,  che  circondano  gli  acini  epatici,  in  modo,  che,  fissando  un 
pezzo  di  fegato  in  funzione,  i  cennati  vasi  sono  resi  evidenti 
dall'ectoplasma  granuloso  delle  cellule  glandolari. 

Notevole  è  la  circolazione  sanguigna  arteriosa  e  venosa;  ì 


—  12  — 


vasellini  costituiscono  una  rete  così  abbondante,  che  in  molti 
punti  hanno  un  predominio  sull' elemento  glandolare. 

Parete  cistica. 

Tutti  gli  aa.  sono  di  accordo  neH'ammettere  che  nella  cisti 
di  qualsiasi  cestode  bisogna  considerare  un  contenuto  ed  un 
contenente. 

Il  contenuto  è  rappresentato  dal  parassita  o  dai  parassiti  e 
dal  liquido  cistico,  il  contenente  è  la  parete  cistica,  che  nella  sua 
parte  interna  è  originata  dal  cisticerco  e  nella  parte  esterna  da 
proliferazione  del  connettivo  interstiziale  epatico;  l'involucro  e- 
sterno  prende  anche  il  nome  di  ectocisti  o  di  cisti  avventizia. 

È  evidente  che  la  presenza  del  cestode  nel  fegato  induca 
un  processo  flogistico  cronico  debolissimo,  si  abbia  cioè  prolife¬ 
razione  degli  elementi  connettivali,  che  circondano  la  cisti  ;  ma 
questo  connettivo  proliferato,  che  costituisce  la  ectocisti,  ha  scarsi 
contatti  col  tessuto  epatico  circostante,  in  guisa,  che  è  facile  di¬ 
staccarlo  da  esso. 

Convengo  con  Dévé  ('902-'903)  che  non  vi  è  un  vero  pia¬ 
no  di  clivaggio  fra  ectocisti  e  fegato,  ma  nella  Lacerta  tnuralis 
le  connessioni  connettivali  sono  molto  esili. 

Mingazzini  ('898)  nella  cisti  considera  oltre  ciò,  che  è  di 
origine  del  cisticerco,  anche  uno  strato  di  sostanza,  che  ha  il 
significato  di  nutrimento  fornito  dall'ospite  al  parassita,  nutri¬ 
mento  convenientemente  elaborato  in  forma  di  liquido  ricca¬ 
mente  albuminoso,  che  passa  attraverso  i  porocanali  della  cuti¬ 
cola  e  quindi  sta  in  rapporto  con  questa.  Questa  sostanza,  che 
si  colora  variamente,  cambiando  la  sua  composizione  chimica, 
sarebbe  attraversata  da  grossi  vasi  sanguigni,  dalla  cui  trasu¬ 
dazione  essa  sarebbe  originata. 

Mingazzini  crede  quindi,  che  le  divergenze  finora  esistenti  fra 
gli  aa.  sui  diversi  strati,  che  entrano  a  comporre  la  cuticola  dei  ce- 
stodi  e  lo  stato  di  muta  da  essi  ammesso  nei  cisticerchi,  si  deb¬ 
bano  interpretare  semplicemente  come  dovute  al  fatto,  che  essi 
non  abbiano  tenuto  in  considerazione  lo  strato  di  sostanza  nutri¬ 
tiva,  che  avvolge  questi  parassiti,  ed  abbiano  attribuito  alla  cuti- 


—  13  — 


cola  del  parassita  tanto  la  formazione  propria  di  questo,  quanto 
l'alimento  ad  esso  fornito  dall'ospite. 

Nella  Lacerta  muralis ,  dove  sono  numerosissime  le  cisti  di 
Cysticercus  dithyridiam ,  il  modo  di  formazione  di  esse  sembra 
sia  sempre  il  medesimo  per  quanto  riguarda  la  endocisti  e  la 
ectocisti. 

Non  si  rinviene  un  vero  strato  parenchimatoso,  come  nel- 
rechinococco  del  fegato  dell'uomo,  nè  una  membrana  proligera, 
che  possa  generare  delle  ciste  figlie,  nè  mai  nell'interno  ci  è 
stato  dato  di  constatare  vescicole  libere  di  primo  e  secondo  or¬ 
dine.  Si  notano  aderenti  alla  parete  interna  della  cisti  delle  grosse 
cellule,  di  apparenza  endotelioide,  piatte,  con  nucleo  lenticolare, 
che  in  molti  punti  costituiscono  come  uno  strato,  laddove  al¬ 
cune  di  esse  sono  invece  libere  nel  liquido  cistico.  Non  è  pos¬ 
sibile  dire  se  la  messa  in  libertà  di  questi  elementi  sia  origina¬ 
ta  dai  fissativi,  ovvero  rappresenti  un  fatto  normale. 

La  cisti  propria  del  parassita  è  costituita  da  uno  strato  di 
tessuto  amorfo,  di  apparenza  chitinoso  (anche  per  le  reazioni 
microchimiche),  al  quale  segue  la  ectocisti,  connettivale,  di  ele¬ 
menti  prevalentemente  fibrillari,  con  rari  fibroblasti. 

Quando  una  o  più  cisti  (per  l'aumento  considerevole  del 
liquido  in  esse  contenuto  e  per  consecutiva  distruzione  del  tes¬ 
suto  epatico)  vengono  a  contatto,  si  ha  usura  della  parete  divi¬ 
soria  e  genesi  di  cisti  più  grandi,  contenenti  un  numero  mag¬ 
giore  di  cisticerchi. 

Alterazioni  epatiche. 

Le  alterazioni  del  fegato  della  Lacerta  muralis  per  opera 
del  Cysticercus  dithyridium,  riguardano  la  cellula  epatica,  i  vasi 
sanguigni  ed  i  condotti  biliari,  ma  le  maggiori  alterazioni  sono 
in  rapporto  all'elemento  epatico. 

Come  si  è  accennato,  pochi  aa.  hanno  trattato  questo  capi¬ 
tolo  di  Anatomia  patologica.  Chauffard  (in  Dupley  e  Reclus),  a 
proposito  dell'echinococco  dell'uomo  si  limita  a  poche  parole: 
"  Attorno  ad  una  cisti  idatidea  viva  o  morta  il  parenchima  epa¬ 
tico  non  è  soltanto  soggetto  a  modificazioni  irritative ,  che  si 
traducono  colla  produzione  di  una  membrana  fibrosa,  spesso 


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molto  densa:  esso  si  atrofizza  anche  per  compressione  ,  le  cel¬ 
lule  ghiandolari  si  fanno  appiattite  e  fusiformi,  i  grandi  vasi 
porto-biliari  resistono  di  più  ed  è  così  che  finiscono  per  tro¬ 
varsi  applicati  sulla  faccia  esterna  della  cisti.  Se  questo  arriva 
fino  alla  superficie  dell’organo,  vi  provoca  periepatite  adesiva  e 
vedremo  come  spesso  questa  complicanza  riesca  salutare.  „ 

Dévé  (’902-'903)  ha  constatato  delle  lesioni  di  ordine  in¬ 
fiammatorio:  glicogenesi  (che  ha  del  resto  ritrovato  nei  tumori 
idatidei  adulti  del  bue),  cellule  giganti,  infiltrazioni  leucocitarie, 
eosinofilia  locale.  Ma  abbastanza  rapidamente  per  lo  meno  nel¬ 
l'uomo,  il  processo  irritativo  perde  ogni  carattere  di  acuzie  e  non 
si  vede  che  il  tessuto  di  sclerosi  di  spessore  variabile,  che  si  è 
sostituito  a  poco  a  poco  all'elemento  glandolare  ricalcato,  spinto 
e  finalmente  distrutto.  Questo  tessuto  fibroso  forma  spesso  una 
membrana  sottile,  specie  di  velo  traslucido,  a  traverso  il  quale 
si  nota  il  tessuto  epatico  sottostante;  è,  qualche  volta  nelle  vec¬ 
chie  cisti,  vitreo  ed  anche  carico  di  sali  calcarei  al  contatto  della 
membrana  idatidea. 

Il  parenchima  epatico  presenta  pure  nel  rimanente  della  sua 
estensione  delle  ipertrofie  e  delle  iperplasie  cellulari,  che  sono 
state  interpetrate  come  fenomeni  di  ipertrofia  vicariante  o  com- 
pensatrice. 

Per  Perroncito  (’882)  le  lesioni  epatiche  sarebbero  esclusi¬ 
vamente  di  natura  infiammatoria  dovute  a  fattori  meccanici  per 
la  pressione  esercitata  sugli  acini  e  sui  dotti  biliari  dall’ingran¬ 
dimento  della  cisti.  Il  ristagno  della  bile  si  appaleserebbe  con  la 
presenza  di  grossi  granuli  gialli  di  bile  nelle  cellule  epatiche.  Le 
cellule  epatiche  in  secondo  tempo  subirebbero  dei  processi  de¬ 
generativi,  che  indurrebbero  la  perdita  delle  granulazioni  grandi 
e  sottili  citoplasmatiche,  la  degenerazione  e  scomparsa  del  nu¬ 
cleo,  la  istolisi  del  protoplasma  e  la  sostituzione  di  tessuto 
connettivo. 

Paragonando  una  sezione  di  fegato  normale  di  Lacerta  mu- 
ralis  con  una  infarcita  di  Cysticercus  dithyridiurn,  quello  che 
colpisce  si  è  che  nelle  zone  libere  dal  verme  vescicolare  il  tes¬ 
suto  epatico  (figg.  9  e  10)  mostri  un  aspetto  non  poco  diverso: 
sembra  infatti  che  non  sieno  avvenuti  nell'organo  ammalato  sol- 


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tanto  dei  disturbi  meccanici  cagionati  dall’  aumento  del  volume 
della  cisti,  ma  che  gli  acini  glandolari  sieno  già  andati  incontro 
a  notevoli  degenerazioni  citoplasmatiche  e  nucleari. 

Dalle  zone  epatiche  libere  di  cisticerchi  (fig.  12)  si  giunge, 
per  gradi  insensibili  (fig.  13),  alla  completa  istolisi  della  cellula 
(fig.  14)  ed  alla  produzione  di  infarti  emorragici. 

Volendo  descrivere  queste  alterazioni,  per  ragioni  ovvie,  è 
opportuno  schematizzare,  e  parleremo  quindi  di  tre  principali 
tappe  o  stadi,  che»  corrispondono  ai  disegni. 

1. °  stadio — Riproduce  il  tessuto  epatico  delle  zone  libere 
dal  parassita  (fig.  12).  Si  ha  dilatazione  dei  capillari  biliari,  irn- 
picciolimento  e  retrazione  dell'acino,  chiarificazione  del  citopla¬ 
sma  cellulare,  che  ha  perduto  le  sue  granulazioni  in  guisa,  che 
non  è  possibile  riconoscere  microscopicamente  gli  acini  funzio¬ 
nanti  da  quelli  in  riposo.  Il  nucleo  dell'elemento  epatico  è  leg¬ 
germente  retratto,  assottigliato  nel  suo  reticolo  cromatico,  ed  il 
nucleolo  o  i  nucleoli  appaiono  molto  refrangenti  neH'enchilema 
cellulare.  I  cromatoblasti  un  poco  scolorati  sono  diminuiti  di 
numero,  ma  si  mantengono  raggruppati.  Nessuna  alterazione  dei 
vasi  sanguigni. 

2. °  stadio.  —  Riproduce  il  tessuto  epatico  nelle  zone  inter¬ 
medie  fra  le  cisti  di  Cysticercus  dithyridium  (fig.  13).  Continua 
la  retrazione  dell'acino  epatico:  si  hanno  dei  sincizi  citoplasmas- 
matici  rotondeggianti  con  alcuni  nuclei  nell'  interno,  senza  una 
vera  divisione  cellulare  e  tal'altra  degli  acini,  nei  quali  le  cellule 
sono  ancora  un  poco  riconoscibili.  Aumenta  la  risoluzione  del 
nucleo,  in  guisa  che  esso  si  riduce  alla  sola  membrana  nucleare 
ed  a  qualche  granulazione  nell'  interno  ;  ma  sia  citoplasma  che 
nucleo  hanno  perduto  le  loro  caratteristiche  microchimiche,  la 
loro  elettività  per  i  colori  acidi  e  basici.  Non  si  rinvengono  cro¬ 
matoblasti,  nè  si  riconoscono  più  i  capillari  biliari.  Notevole  au¬ 
mento  (relativo)  dei  vasellini  sanguigni  e  rottura  di  alcuni  di  essi, 
in  guisa  che  il  sangue  circola  attorno  a  questi  blocchi  di  tessuto 
epatico. 

3. °  stadio.  —  Riproduce  un  infarto  emorragico  (fig.  14).  Si 
hanno  spandimenti  sanguigni  considerevoli,  e  nell'  interno  si  tro¬ 
vano  dei  pezzi  citoplasmatici  e  dei  nuclei  ancora  riconoscibili  con 
reliquati  di  cellule  epatiche. 


16  — 


In  tanta  distruzione  di  elementi  glandolari  si  ha  sempre  as¬ 
senza  di  una  flogosi  reattiva,  di  un  processo  di  neoproduzione 
connettivale,  di  una  cirrosi. 


Clinica  chirurgica  della  R.  Università  di  Napoli. 


LAVORI  CITATI 


1889.  Blanchard,  R.  —  Traité  de  zoologie  médicale  :  Voi.  1,  p.  793. 
1891.  Chauffard,  A.  —  Vidal,  F.  —  Recherches  expérimentales  sar  les 
processus  infectieax  et  dialytiqaes  dans  les  kystes  hydatiqaes 
da  foie:  Bull.  Mém.  Soc.  Méd.  Hóp.  Paris,  (3),  Tome  8, 

p.  168. 

1881-82.  Colucci,  V.  —  Stadi  ad  osservazioni  salV anatomia  patologica 
del  fegato  degli  animali  domestici :  Mem.  Accad.  Se.  Ist. 
Bologna,  (4)  Voi.  3,  p.  535,  1  Tav. 

1901.  Cornil  —  Petit,  Q.  —  La  cirrhose  atrophiqae  da  foie  dans  la 

distornasse  des  bovidés  :  C.  R.  Acad.  Se.  Paris,  Tome  133, 
p.  178. 

1887.  Crety,  C.  —  Intorno  ad  alcani  cisticerchi  dei  rettili.  Nota  preli¬ 
minare:  Bull.  Soc.  Nat.  Napoli,  (1)  Anno  1,  Voi.  1,  p.  89. 

1902.  Dévé,  F.  —  Des  cholérragies  internes  consécatives  à  la  roptare 

des  kystes  hydatiqaes  da  foie ,  et  plas  spécialement  de  la 
cholérragie  intrapéritonéale  (cholépéritoine  hydatiqae)\Ro.v.  Chir. 
Paris,  Tome  22,  p.  67. 

1903.  - Sar  les  rapports  des  kystes  hydatiqaes  da  foie  avec  le 

système  veineax  cave:  Bull.  Mém.  Soc.  Anat.  Paris,  Tome  78, 
p.  185. 

1850.  Diesing,  C.  M.  —  Systema  helmintham  :  Voi  1,  p.  494. 

1845.  Dujardin,  F.  M.  —  Histoire  natarelle  des  Helminthes  oa  Vers 
intestinaax  :  Paris,  p.  594. 

1891.  Durante  —  Binot.  —  Kyste  hydatique  da  foie :  dégénerescence 
graissease  totale  da  foie:  congestion  et  cirrhose  sas-hépatiqae 
jaane  dans  les  portions  les  plas  éloignées  des  Kystes  :  Bull. 
Soc.  Anat.  Paris,  Voi.  65,  p.  600. 

1895.  Eberth,  —  Bunge.  —  Die  nerven  der  Chromatophoren  bei  Fischen: 

Arch.  Mikr.  Anat.,  Bd.  36,  p.  370. 

1893.  Fraenkel,  A.  —  Demonstration  der  Leber  eines  tódlich  verlaafenen 
Falles  von  Echinococcas  hepatis  :  Deutsche  Med.  Wochenschr, 
19.  Bd.,  p.  773. 

1903.  Galli  Valerio,  B.  —  Sar  ane  lésion  da  foie  de  Mas  decamanas 
dae  aax  ceafs  de  Trichosoma  hepaticam  Bancr.  Centralbl.  Bak. 
1  Abt.  Jena,  Bd.,  35.  p.  88. 

1896.  Giannelli  L.,  —  Giacomini  E. —  Ricerche  istologiche  sai  tabo 

digerente  dei  rettili.  Nota  terza.  Intestino  medio  e  terminaleì 
fegato.  Pancreas  :  Proc.  Verb.  Accad.  Fisiocrit.  Siena,  p.  105. 


18  — 


1845.  Gurlt  —  Verzeichniss  der  Thiere  bei  welchen  Entozoen  gefunden 
worden  sind  :  Arch.  Natur.  Wiegmann,  11.  Bd.,  p.  223. 

1893.  Krause,  R.  —  Beitràge  zur  H istologie  der  Wirbelthierleber  :  Arch. 
Mikr.  Anat.,  Bd.  42,  p.  53,  3  T. 

1879-86.  Leuckart,  R.  —  Die  Parasiten  des  Menschen  and  die  von 
Ihnen  Herràhrenden  Rrantheiten  :  3  Aufl.,  p.  435,  fig.,  185  A-C. 

1872.  Marchi,  P.  —  Sopra  un  nuovo  cestode  trovato  nelV  Ascalabotes 
mauritanicus  :  Atti  Soc.  Ital.  Se.  Nat.,  Voi.  15,  p.  305,  T.  3. 

1893.  Mingazzini,  P.  —  Ricerche  sul  parassitismo  :  Ricerche  Lab.  Anat. 
Norm.  Università  Roma,  Voi.  3,  p.  205,  1  T. 

1898. - Ricerche  sulle  cisti  degli  elminti'.  Archiv.  Parasit.,  Tome  1 

p.  583,  6  fig. 

1880.  Moniez,  R.  —  Essai  monographique  sur  les  Cysticerques  :  Paris, 

p.  80. 

1886.  Parona  —  Elmintologia  sarda',  Ann.  Mus.  Civ.  Genova,  Voi  4, 
p.  317,  T.  6,  fig.  23-25. 

1900.  Ritchie  R.  H.  —  Effects  of  thè  extravasation  of  hydatid  fluid 
in  thè  tissues  :  Intercol.  Med.  Journ.  Austral.  Melburne,  Voi.  5, 
p.  349. 

1819.  Rudolphi,  K.  A.  —  Entozoorum  Synopsis,  cui  accedunt  Mantissa 
duplex  et  indices  locupletissimi  :  Berlin,  p.  558. 

1897.  Sonsino  P.,  —  Di  alcuni  elminti  raccolti  ed  osservati  in  Pisa  : 
Proc.  Verb.  Soc.  Tose.  Se.  Nat.,  4  luglio. 

1844.  Valenciennes,  A.  —  Observation '  d'une  espèce  de  ver  de  la  caviti 
abdominale  d’un  Lézard  ver-piqueté  des  environs  de  Paris, 
le  Dithyridium  lacertae.  Nob.\  C.  R.  Acad.  Se.  Paris,  Tome  19 
p.  544. 

1858.  Van  Beneden  —  Mémoires  sur  les  Vers  intestinaux :  Supplément 
aux  C.  R.  Acad.  Se.  Paris,  p.  321. 

1 888.  Voqel  —  Ueber  Bau  und  Entwickelung  des  Cysticercus  fasciolaris 
Osterwieck  (Harz,  Zickfeldt):  cfr.  p.  14. 

1878.  von  Listow,  O.  —  Neue  Beobachtungen  an  Helminten  :  Arch. 
Naturg.,  Bd.  44,  p.  222. 


—  19  — 

SPIEGAZIONE  DELLE  TAVOLE  1-2 


Tav  1. 

Fig.  1  —  Lacerta  Muralis  con  fegato  affetto  da  cisti  di  Cysticercus  dithyridium. 
Disegno  di  insieme. 

Tav.  2. 

Fig.  2  —  Cisti  di  C.  d .  isolata  dal  tessuto  epatico.  Il  parassita  si  vede  a  tra- 

2 


sparenza.  Colorazione  Paracarminio  Mayer.  Zeiss 


AA 


Fig.  3  e  4  —  Cisticerco  tolto  dalla  cisti  ed  incluso  in  balsamo  del  Canada.  Co- 

2 


lorazione  Paracarminio  Mayer.  Zeiss 


AA 


Fig.  5  —  Cisticerco  in  via  di  svaginazione  incluso  in  balsamo  del  Canadà.  Co- 

2 


lorazione  Paracarminio  Mayer.  Zeiss 


AA 


Fig.  6  e  7  —  Cisticerco  completamente  svaginato  ed  incluso  in  balsamo  del  Ca- 

2 


nadà.  Colorazione  Paracarminio  Mayer.  Zeiss 


AA 


Fig.  8  —  Sezione  di  C.  d.  incluso  nella  cisti.  Colorazione  Ematossilina  ferrica. 
Zeiss  2 


AA 


Fig.  9  e  10  —  Sezione  di  fegato  con  cisti  di  C.  d.  Molte  cisti  per  usura  delle  pareti 
hanno  dato  luogo  a  cisti  più  grandi  contenenti  numerosi  cisticerchi.  Nella 
fig.  9  apparisce  anche  una  lacuna  sanguigna.  Colorazione  Ematossilina 
3 


ferrica.  Zeiss- 


AA 


Fig.  11 — Sezione  di  fegato  normale  di  L.  m.  con  cromatoblasti.  Colorazione 

3 

Saffranina  e  verde  luce.  Zeiss — = — • 

t 

Fig.  12  e  13  —  Degenerazione  progressiva  del  tessuto  epatico  di  L.  m.  per 
la  compressione  esercitata  dalle  cisti  di  C.  d.  Colorazione  Ematossilina 

3 

ferrica.  Zeiss  — = — 


Finito  di  stampare  il  25  maggio  1923 


Simmetria  ed  unità  dinamica  nelle  catene 
di  Salpa. 

Nota 
del  socio 

PtoL  Marco  Fedele 


(Tornata  del  4  febbraio  1923) 

Lo  studio  di  diverse  specie  di  Salpe,  che  ho  potuto  osser¬ 
vare  viventi  nella  Stazione  Zoologica  di  Napoli  e,  in  parte,  in 
quella  di  Rovigno — della  Salpa  punctata  Forsk,  cioè,  della  S.  mas¬ 
sima  Forsk,  S.  fusiformis  Cuv.,  5.  confoederata  Forsk,  5.  de- 
macratica  Forsk,  ò\  zonaria  (Pall),  Gyclosalpa  pianata  Forsk 
e  C.  Virgilio  Vogt  —  mi  ha  sempre  confermata  la  esistenza  di 
una  maggiore  vivacità  di  movimenti,  sia  in  condizioni  naturali 
che  sperimentali  sotto  determinati  stimoli,  delle  forme  solitarie 
di  queste  specie,  in  confronto  ad  una  maggiore  varietà  di  orga¬ 
nizzazione  sensoriale  nelle  forme  aggregate. 

Queste  forme,  costrutte,  dal  lato  neuro-muscolare,  ad  una 
minore  attività  dal  punto  di  vista  quantitativo,  per  la  loro  mag¬ 
giore  varietà  delle  disposizioni  nervose  ci  fan  pensare  alle  pro¬ 
babili  relazioni  di  questa  maggiore  ricchezza  qualitativa  con  la 
vita  in  comune,  che  così  lungamente  le  lega  nella  catena. 

E'  certo  che  la  presenza  degli  organi  sessuali  si  accompagna 
nelle  salpe  con  una  maggiore  varietà  del  sensorio  ma,  data  la 
natura  della  organizzazione,  anche  sessuale,  delle  salpe,  noi  dif¬ 
ficilmente  riusciremmo  a  trovare  relazione  fra  questi  due  fatti, 
e  la  ricchezza  di  organi  sensitivi  più  facilmente  si  spiega  (anche 
se  r  esperimento  non  ci  desse  la  conferma  di  ciò)  con  i  rap¬ 
porti  che  vengono  a  stabilirsi  nella  coordinazione  degli  individui 
sessuati  connessi  nella  catena. 


—  21  — 


Il  riposo  od  il  movimento,  come  la  rapidità  e  il  seguirsi 
del  ritmo  delle  contrazioni,  mostra  nelle  catene,  in  buone  condi¬ 
zioni  di  vita,  una  innegabile  coordinazione,  che  è  più  chiaramente 
visibile  ed  apprezzabile  specialmente  nelle  giovani  catene  nuo¬ 
tanti,  tanto  più  vivaci  nei  movimenti  e  nelle  risposte  alle  stimo¬ 
lazioni  esterne. 

In  queste  se  alcuni  individui  stanno,  tutti  stanno  ;  se  alcuni 
individui  accelerano  rapidamente  alcune  contrazioni,  quasi  tutti 
gli  altri  replicano  il  rapido  susseguirsi  di  esse  ;  sicché  gli  indi¬ 
vidui  della  catena  o  rimangono  tutti  immoti  o  tutti  si  contraggono 
con  ristesso  ritmo  (sincronia  e  omoritmia). 

Una  catena  in  riposo,  in  cui  alcuni  individui  entrano  in  at¬ 
tività,  mostra  generalmente  un  ugual  inizio  di  moto  negli  altri 
individui,  i  quali,  in  breve  istanti,  raggiungono  la  omoritmia. 

Omoritmia  va  intesa  riguardò  alla  durata  e  celerità  delle 
contrazioni  e  non  vuol  significare  che  esse  siano  sincrone  in 
tutti  gli  individui,  come  con  sincronia  si  vuol  indicare  che  tutti 
gli  individui  sono  in  moto  ma  non  tutti  a  movimento  espansivo 
e  contrattivo  contemporaneo,  poiché  le  contrazioni  non  sono  con 
ristessa  fase  in  tutti  gli  individui,  ma  si  susseguono  e  si  propa¬ 
gano  dall'  uno  al  seguente,  quasi  come  un’  onda  propagantesi 
metacronicamente;  così,  secondo  la  rapidità  di  propagazione, 
mentre  un  individuo  è  in  contrazione,  il  secondo,  il  terzo  ecc. 
a  partire  da  esso  si  trova  nel  momento  di  massima  espansione 
e  così  via,  dando  in  tal  modo  la  impressione  che  la  catena  sia 
percorsa  come  da  un'onda  regolare,  e  spesso  ritmica,  di  con¬ 
trazione. 

Questo  accordo,  questa  armonia  di  movimento  in  frequenza 
e  intensità  così  manifesta  nella  progressione  normale  di  una  ca¬ 
tena,  si  complica  e  diventa  più  intimo  in  speciali  condizioni  di 
stimolazioni  naturali  o  sperimentali  esercitate  su  una  qualunque 
delle  salpe  componenti  la  catena,  specie  quelle  anteriori,  in  modo 
da  provocare  in  questa  un  arresto  temporaneo  o  una  inversione 
di  movimento,  ed  una  spinta  nel  senso  cloacale,  che  fa  indie¬ 
treggiare  1’  animale. 

Il  meccanismo  della  trasmissione  di  questo  riflesso,  non  spie¬ 
gabile  con  fatti  esclusivamente  meccanici,  richiede  un  intervento 
coordinativo  del  centro  nervoso;  e  siccome  la  inversione  si  prò- 


—  22  — 


paga  rapidamente,  da  individuo  ad  individuo,  a  tutta  la  catena, 
tutti  i  centri  nervosi  delle  singole  salpe  intervengono  nella  nuova 
coordinazione,  e  ciò  non  sotto  uno  stimolo  comune  esercitato 
collettivamente  su  tutti  gli  individui  del  gruppo,  ma  dietro  una 
stimolazione  ben  localizzata  su  un  solo  individuo  e  trasmessa,  per 
gli  effetti,  a  tutta  la  catena,  che  è  messa  in  condizione  di  risen¬ 
tire  le  variazioni  di  moto  dell' individuo  stimolato. 

Ho  sperimentato  sulle  diverse  forme  aggregate  con  le  più 
svariate  stimolazioni:  meccaniche,  chimiche,  termiche,  luminose, 
variando  le  modalità  di  applicazione  e  di  intensità,  e  sempre  ho 
riscontrato,  per  gli  stimoli  efficaci  compresi  nei  limiti  della  sen¬ 
sitività  degli  animali  in  esame,  una  risposta  riflessa  propagatesi 
successivamente  e  rapidamente  attraverso  i  componenti  della 
catena. 

In  questa  trasmissione  si  mostrano  molto  più  pronti  e  com¬ 
pleti  gli  individui  delle  catene  piuttosto  giovani,  specialmente  in 
5.  maxima  i  cui  individui  sessuati  possono  raggiungere  dimen¬ 
sioni  relativamente  grandi  ed  un  forte  ispessimento  dello  strato 
di  tunicina,  perdendo,  ad  un  determinato  stadio  del  loro  svi¬ 
luppo,  molto  della  vivacità  e  sensibilità  normali. 

Usando,  anzi,  qualche  volta,  stimolanti  chimici  apportanti, 
dopo  efficace  reazione  difensiva,  Timmobilità,  per  paralisi  o  ane¬ 
stesia  temporanea,  dell'individuo  direttamente  stimolato,  ho  ri¬ 
scontrato  una  uguale  trasmissione  della  inversione  di  movimenti 
secondo  il  riflesso  difensivo  (chiusura  dell'orifizio  cloacale,  rapi¬ 
da  contrazione  generale,  fuoriuscita  dell'acqua  dall'apertura  boc¬ 
cale  con  conseguente  spinta  nella  direzione  cloacale  e  indietreg- 
giamento  dell'animale)  per  gli  individui  successivi  della  catena 
che,  coordinando  i  loro  movimenti  di  indietreggiamento  e  tro- 
vantisi  in  stridente  contrasto  con  l'individuo  paralizzato,  finiscono 
con  lo  staccarsi  da  esso,  anche  se  gli  organi  di  attacco,  in  ec¬ 
cellenti  condizioni,  avrebbero  potuto  cementare  ancora  lunga¬ 
mente  gli  individui  della  catena. 

E  così  pure  lo  stimolare  fortemente,  immobilizzandoli,  uno  o 
più  individui  intermedii  di  una  catena,  con  una  tenace  compres¬ 
sione  esercitata  con  una  pinza,  porta  per  conseguenza  lo  spez¬ 
zamento  della  catena,  allontanandosi  i  due  frammenti  laterali  agli 
individui  stimolati  in  direzioni  opposte;  accelerando  e  prose- 


—  23  — 


guendo  l'anteriore  il  movimento  già  in  atto  nella  catena,  indie¬ 
treggiando  l’altro. 

E'  indubitato,  quindi  —  per  questa  rapida  coordinazione  di 
movimenti  e  pronta  armonizzazione  di  essi,  anche  per  rapidi  e 
variati  cambiamenti  dietro  stimoli  causali,  e  per  la  complicatezza 
del  riflesso  difensivo  *)  da  non  potersi  spiegare  con  esclu¬ 
sive  cause  meccaniche  o  regolazioni  periferiche  —  che  nelle  Sal¬ 
pe  aggregate  debbono  esistere  connessioni  nervose  fra  i  diversi 
individui  della  catena,  in  connessione  con  i  centri  dei  vari  zoonti. 

A  questa  conclusione  son  venuto  non  solo  per  lo  studio 
approfondito  che  ho  fatto  del  sistema  nervoso  di  questi  animali 
e  per  i  risultati  affermativi  ottenuti  nei  riguardi  delle  connes¬ 
sioni  accennate,  ma  anche  per  avere  analizzata  la  possibilità,  che 
ho  dovuto  scartare,  di  possibili  coordinazioni  dovute  a  fatti  mec¬ 
canici,  a  mutue  compressioni  trasmettentisi  da  zoonte  a  zoonte 
in  tutta  la  catena,  all’ infuori  dell'intervento  del  sistema  ner¬ 
voso. 

Nelle  Salpe  —  animali  a  sistema  nervoso  di  elevata  orga¬ 
nizzazione,  ed  a  forte  accentramento,  ed  in  cui  sono  da  esclu¬ 
dere,  come  ho  già  dimostrato  in  altro  luogo,  assolutamente  reti 
fibro-cellulari  neuro-epiteliari  diffuse  —  le  connessioni  neurali  fra 
gli  individui  della  catena,  nette  e  ben  differenziate,  le  riscontriamo 
sulle  pareti  cementanti  gli  organi  di  attacco,  in  cui,  con  moda¬ 
lità  variabili  nelle  diverse  specie ,  si  riscontrano  (v.  fig.  1)  non 
solo  fibre  nervose  derivanti  da  rami  ben  determinabili,  e  da  me 
determinati,  di  tronchi  nervosi  (N.),  attraverso  i  quali  è  possi¬ 
bile  seguirne  il  percorso  fino  al  ganglio  centrale,  ma  disposi¬ 
zioni  cellulari  sensoriali  formanti  veri  cuscinetti  sensitivi  (Ps) 
nettamente  delimitati  nelle  aree  segnate  dalle  pareti  di  attacco, 


h  II  riflesso  difensivo  si  manifesta  nei  Thaliacea  con  la  chiu¬ 
sura  dell'orifizio  più  lontano  dalla  parte  stimolata,  rapida  ed  energica  contrazione 
simultanea  della  rimanente  muscolatura,  ed  ha  per  effetto  un  vivace  scatto 
dell'animale  in  senso  contrario  alla  provenienza  della  stimolazione. 

Per  questo  e  gli  altri  riflessi  di  questi  animali  vedi  la  mia  memoria  su 
"  Un  nuovo  organo  di  senso  nei  Salpidei  „  in  Monit.  Zool.  italiano,  anno 
XXXI,  1920,  p.  10-21,  e  il  mio  lavoro  sulle  "  Attività  dinamiche  e  rapporti 
nervosi  „  in  corso  di  stampa  nel  Voi.  IV  delle  "  Pubblicaz.  della  Staz.  Zool.  di 
Napoli,,  A.  1923  p.  129-240. 


—  24  — 

ed  adibiti  alla  trasmissione  delle  stimolazioni  generate  dalle  va¬ 
riazioni  di  movimento  degli  adiacenti  zoonti. 

Per  mezzo  di  queste  disposizioni  ciascun  individuo  è  in 
grado  di  risentire  prontamente  le  variazioni  dell'attività  dinamica 


Fig.  1.  —  Disposizioni  neuro-sensoriali  di  una  placca  adesiva  di  Salpa  maxima  Forsk, 
forma  aggregata. 

Ps  =  cuscinetto  cellulare  sensoriale  ;  N=  rami  nervosi  in  chiara  connessione  col 
centro  gangliare;  Fn  =  filamenti  nervosi  sensitivi  ;  Ma  =  Margine  di  adesione  della 
placca. 

degli  individui  con  cui  è  saldato  e  reagire,  coordinando  ad  essa 
la  propria  attività,  ottenendo  così  quella  unità  dinamica  neces¬ 
saria  alla  saldezza  della  catena,  così  facilmente  suscettibile,  dietro 
disturbi  e  trazioni  disordinate,  di  scomporsi  nei  suoi  componenti. 

A  queste  connessioni  neurali,  che  cementano  in  una  unità 
superiore  le  singole  salpe  nella  catena,  bisogna  aggiungere  altri 
notevoli  particolari  della  organizzazione  che  rendono  questa  unità 
ancora  più  evidente,  anche  dal  punto  di  vista  della  forma,  e  che 
ci  mettono  in  grado  di  discernerne  chiaramente  il  significato. 


-  25  — 


La  ricchezza  di  aggruppamenti  sensitivi  nelle  forme  catenate 
di  Salpe  non  si  rivela  solo  per  i  cuscinetti  sensoriali,  da  me  in¬ 
dicati  come  legame  nervoso  fra  gli  individui,  ma  ancora  con  la 
presenza  di  altri  organi  e  disposizioni  sensoriali  che  sono  evi¬ 
dentemente  in  relazione  con  fattori  che  possono  influire  sul  di¬ 
namismo  complessivo  degli  aggregati  di  Salpe  e  che  possono 
subire,  negli  individui  staccati  e  menanti  vita  solitaria  da  qualche 
tempo,  notevoli  riduzioni,  fino  all'atrofia. 

Di  alcuni  di  questi  organi  abbiamo  cenni,  non  ben  definiti 
strutturalmente  e  fisiologicamente,  anche  in  precedenti  ricerche 
su  alcune  delle  forme  di  salpa  anche  da  me  studiate,  come  p.  e. 
Salpa  maxima  Forsk,  Gyclosalpa  virgula  (Vogt)  *),  ma  io  ho 
potuto  seguire  queste  formazioni  nelle  diverse  specie  di  salpe, 
vederne  i  rapporti  e  dedurne  la  chiara  importanza  in  corrispon¬ 
denza  a  stimolazioni  riguardanti  più  che  i  singoli  individui  che 
ne  son  forniti,  il  dinamismo  e  l'euritmia  invece,  complessivi 
della  catena.  Debbo  procedere  qui,  come  è  ovvio,  per  afferma¬ 
zioni,  rimandando  a  più  ampia  esposizione  i  particolari  illustra¬ 
tivi  e  le  prove. 

Questi  organi  -  manifestantisi  come  disposizioni  mammel- 
lonari  o  tentacolari,  con  una  cupola  estrema  ricca  di  elementi 
sensoriali  e  coronati  da  una  formazione  membranosa,  che  prende 
l'aspetto  di  un  cappuccio  più  o  meno  completo,  e  con  ricchezza, 
alle  volte,  veramente  singolare  di  nervi  (v.  fig.  2)  -  hanno  una 
posizione  molto  caratteristica  per  le  diverse  specie,  che,  trascu¬ 
rando  i  particolari  topografici,  variabili  da  forma  a  forma,  è  par¬ 
ticolarmente  notevole  per  il  fatto  che,  nell'istessa  specie  e  negli 
individui  dell'  istessa  catena,  per  alcuni  sono  localizzati  in  un  lato 
del  corpo,  per  altri  nel  lato  opposto;  così,  p.  es.,  in  Salpa  maxi¬ 
ma  (fig.  3)  i  due  organi  di  tale  natura,  esistenti  per  ciascun  in¬ 
dividuo,  si  riscontrano,  per  alcuni,  il  primo  a  sinistra,  anterior¬ 
mente  al  primo  muscolo  anteriore  del  corpo  (Ts),  ed  il  secondo 
a  destra,  anteriormente  alla  prima  fascia  muscolare  del  secondo 


h  Cfr.  Todaro,  F.  —  Sopra  un  particolare  organo  di  senso  nelle  Sal- 
pidae.  —  Rend.  R.  Acc.  Lincei,  Voi.  16,  1.  Sem.  p.  575,  A.  1907. 

Fernandez,  M.  —  Ueber  zwei  Organe  junger  Kuttensalpen.  —  Zool.  Anz. 
Bd.  32,  p.  321-328,  1907. 


—  26  — 


gruppo  dei  muscoli  principali  del  corpo  (Tsj),  mentre  per  gli 
altri  si  trovano  corrispondentemente,  all'  istesso  livello,  a  destra 
il  primo  (TsO  ed  a  sinistra  il  secondo  (Ts2). 


Fig.  2.  —  Organo  sensoriale  laterale  anteriore  di  Salpa  maxima  Forsk.  Forma  aggregata. 
Colorazione  vitale.  Ts  =  tubercolo  sensoriale  ;  Cs  —  cellule  sensitive  ;  N=  Nervo  in 
cui  confluiscono  le  fibre  ( Fn )  provenienti  dalle  cellule  sensoriali;  Mpc  —  margine  de¬ 
limitante  il  tubercolo  sensoriale  e  la  parete  del  corpo  ;  M  =  Mantello;  Cs  =  Cappuc¬ 
cio  dell’organo  sensoriale  di  dimensioni  ridotte. 


Questa  disposizione  unilaterale  non  è  generale  poiché  in 
qualche  catena  (S.  democratica )  possiamo  riscontrare,  e  spiegare 
in  armonia  alla  conformazione  di  essa,  organi  pari  posti  simme¬ 
tricamente,  su  un  lato  e  l'altro,  nella  parte  anteriore  del  corpo;  ma 
nelle  catene  che  hanno  conformazione  e  progressione  in  cui,  gli 
individui  dei  due  lati  espongono,  in  modo  nettamente  diverso, 
le  superficie  destra  e  sinistra  della  parte  anteriore  del  corpo, 
alle  stimolazioni  generate  dal  dinamismo  dei  zoonti  adiacenti 
della  catena,  e  dalla  progressione  di  questa  nell'acqua,  gli  organi 
si  trovano  sviluppati  asimmetricamente,  ma  sempre  in  stretta 
relazione  con  quelle  parti  del  corpo  meglio  allogate  per  la  ri¬ 
cezione  delle  suddette  stimolazioni,  specialmente  le  variazioni  di 
resistenza  dell'acqua,  come  di  correnti  e  vibrazioni  generate  in 
essi  dalle  contrazioni  dei  zoonti  precedenti  nella  serie. 

Per  fissare  le  idee  accennerò  alle  modalità  riscontrabili  in 
una  delle  specie  più  comuni,  la  Salpa  maxima,  per  non  scendere 
in  soverchi  particolari,  ed  essendo  sufficiente  la  descrizione  som¬ 
maria  di  essa  per  legittimare  le  mie  conclusioni  che  trovano, 


—  27  — 

d’altronde,  piena  conferma  nelle  disposizioni  riscontrabili  nelle 
altre  specie  studiate. 

Nella  Salpa  maxima ,  come  nelle  altre  specie,  è  riscontrabile, 
nella  forma  aggregata,  una  diversità  degli  individui  dei  due  lati 
che,  ad  un  primo  esame  risultano  l’uno  verso  l’altro  come  un 
oggetto  rispetto  la  propria  immagine  in  uno  specchio  (v.  fig.  3). 
E  così  furono  interpretati  dall’  Apstein  ')  che  fermando  la  sua 


Fig.  3.  —  Individuo  destro  e  sinistro  della  forma  aggregata  di  Salpa  maxima  Forsk. 

Nv  ==  nucleo  viscerale  ;  Br  =  cordone  branchiale  ;  E  =  endostile  ;  G  =  ganglio  con 
organo  oculare  ;  C  =  cuore;  O  =  uovo  in  isviluppo;  Tsi  =  tubercolo  sensoriale  an¬ 
teriore;  7s2  —  tubercolo  sensoriale  posteriore. 

Le  dimensioni  di  questi  dne  ullimi  organi  sono  alquanto  esagerate  per  poter  più 
chiaramente  indicare  la  loro  posizione. 

attenzione  su  Cyclosalpa  virgula,  la.  cui  muscolatura  asimmetrica 
rendeva  chiaramente  visibile  questo  fatto,  giudicò  che  gl’  indi¬ 
vidui  delle  due  file  di  una  catena  fossero  fra  di  loro  e  n  a  n  t  io¬ 
ni  o  r  f  i  e  sostenne  la  esistenza  di  un  piano  di  simmetria  passante 
per  l'asse  della  catena,  e  rispetto  al  quale  gli  individui  delle  due 
parti  risultavano  simmetrici. 

l)  Apstein  ,  C.  -  Die  Thaliacea  der  Plankton-Expedition.  Ergebn.  Plan- 
kton-Exped.  Bd.  II,  E.  a  B.  ;  p.  1-67;  specialmente  p.  7  a  9. 


—  28  — 

Ma  per  essersi  fermato  ai  soli  caratteri  appariscenti  della 
muscolatura,  senza  spingere  ranalisi  alla  organizzazione  com¬ 
plessiva  degli  animali,  non  ha  potuto  afferrare  bene  i  limiti  di 
questa  presunta  enantiomorfia,  nè  il  suo  significato. 

In  tutte  le  coppie  corrispondenti  della  catena,  ad  un  esame 
approfondito,  risulta  chiarissimo  che  la  divisione  degli  individui 
destri  e  sinistri  si  rispecchia  esclusivamente  negli  organi  stabi¬ 
lenti  rapporti  tra  gl'  individui  nella  catena  e  a  quelli  che  con¬ 
corrono  al  dinamismo  di  questa  (organi  di  attacco  da  una  parte, 
e  quindi  conformazione  esterna  determinata  dai  prolungamenti 
del  corpo,  e  organi  motori  e  sensoriali,  riguardanti  Fattività  della 
catena,  dall’altro),  mentre  resta  fondamentalmente  inalterata  la 
topografia  degli  altri  organi  essenziali  alla  vita  individuale:  appa¬ 
rato  digerente,  apparato  circolatorio,  organi  sessuali;  che  rispec¬ 
chiano  il  tipo  unico  e  stabile  di  architettura  di  questa  forma 
della  specie. 

Malgrado  un  certo  grado  di  torsione,  destrorsa  o  sinistrorsa, 
dovuta  al  vario  sviluppo,  topograficamente  parlando,  dei  pro¬ 
lungamenti  del  corpo  dell'animale,  e  che  fa  obliquare,  verso  de¬ 
stra  o  sinistra,  il  cordone  branchiale,  in  modo  da  formare,  per 
chi  guardi  dal  lato  dorsale,  un  angolo  fra  branchia  ed  endo¬ 
stile  rivolto  rispettivamente  verso  sinistra  o  destra,  gli  altri 
organi  vegetativi  hanno  Tistesso  comportamento  negli  individui 
dei  due  lati  ;  gli  organi  sessuali  e  l'embrione,  p.  es.,  che  si  svi¬ 
luppano  per  tutti  nell’  istesso  lato,  e  il  cuore  che  è  facilmente 
osservabile  con  la  convessità  della  sua  curva  rivolta  costantemente 
verso  destra  (v.  fig.  3,  O,  C.) 

La  netta  divergenza  di  comportamento  fra  gli  organi  ine¬ 
renti  alla  vita  vegetativa  dei  diversi  zoonti,  e  quelli  connessi 
con  le  relazioni  e  il  dinamismo  della  catena,  risulta  inoppugna¬ 
bilmente  dalle  reciproche  posizioni  che  prendono  l'organo  sen¬ 
soriale  posteriore  (7s2)  e  l'uovo  o  embrione  ( O )  negli  individui 
destri  o  sinistri,  come  è  visibile  con  persuasiva  chiarezza  nella 
figura  3,  senza  bisogno  di  ulteriori  descrizioni. 

Non  possiamo,  quindi,  parlare  di  enantiomorfia  degli 
individui  della  catena,  nè  di  piano  di  simmetria  passante  per  l'asse 
di  questa,  poiché  la  simmetria  speculare  rispecchia  solo:  1)  la 
disposizione  destra  o  sinistra  degli  organi  d'attacco,  con  la  con- 


—  29  — 


seguente  influenza  sulla  conformazione  esterna  del  corpo,  sulle 
conseguenti  congruenti  torsioni  e  sulla  muscolatura  che  si  mo¬ 
della  al  corpo  e  alle  parti  libere  nei  movimenti  di  esso;  2)  nella 
presenza  rispettivamente  a  destra  o  sinistra  di  organi  sensoriali 
in  rapporto  alla  attività  motoria  della  catena  (nella  5.  maxima  gli 
organi  descritti  e  rappresentati  nella  fig.  2  e  3);  3)  nella  po¬ 
sizione  del  nucleo  che  appare  a  destra  o  sinistra  nel  complesso 
del  corpo,  per  gli  spostamenti  che  importano  il  differente  svi¬ 
luppo  dei  prolungamenti  del  corpo  già  accennati. 

Però  tutto  ciò  non  intacca  le  disposizioni  essenziali  relative 
degli  organi  principali  vegetativi  ed  è  perciò  che  la  distinzione 
di  individui  destri  e  sinistri  più  che  organica  è  una  di¬ 
stinzione  puramente  dinamica,  nei  riguardi  del  dinamismo 
complessivo  della  catena,  che  imprime,  con  i  suoi  legami,  alla 
conformazione  dei  vari  individui  di  essa,  l’impronta  di  una  in¬ 
dividualità  superiore,  che  non  invade,  pertanto,  il  campo  delle 
singole  individualità  dei  zoonti  capaci,  come  è  noto,  di  prolun¬ 
gata  ed  efficace  vita  indipendente. 

Ci  troviamo  in  presenza  qui  di  rapporti  molto  differenti  di 
quelli  intervenenti  in  molte  forme  coloniali  in  cui  la  fusione, 
l'armonizzazione,  più  che  altro,  interviene  nella  organizzazione  e 
funzionalità  vegetativa  e,  nei  legami  fra  i  zooliti,  predominano, 
generalmente,  le  vie  per  la  distribuzione  dei  succhi. 

Qui  invece  i  legami  son  formati  esclusivamente  da  rapporti 
nervosi,  e  le  armonizzazioni  avvengono  nella  forma  e  nel  dina¬ 
mismo  muscolare  e  negli  organi  sensoriali  che  possono  influire 
su  di  esso  ;  due  facce  concorrenti  e,  secondo  me,  conseguenti 
dell’  istesso  fenomeno  dinamico  della  coesione  e  locomozione 
della  catena. 

Non  piano  di  simmetria  passante  lungo  l’asse  della  catena, 
ma  dissimmetria;  ma,  non  pertanto,  il  piano  che  passa  fra  il 
doppio  allineamento  degli  zoonti  divide  forme  perfettamente  spe¬ 
culari,  limitatamente  alla  organizzazione  dinamica:  due  zoonti  col¬ 
laterali  destro  e  sinistro  formano  una  coppia  dinamica  e  si 
completano  intorno  al  piano  rigido  della  loro  coesione;  e  quella 
della  catena  è  una  vera  simmetria  dinamica,  che  ha  significato 
solo  nei  riguardi  del  movimento  complessivo  dell’ aggregato  e 
dell'armonizzazione  dell'azione  dei  diversi  individui  in  essa. 


—  30  — 


E  solo  in  questo  senso  noi  possiamo  descrivere  una  s  i  ni¬ 
ni  e  t  r  i  a  della  catena. 

Nella  S.  maxima ,  da  me  principalmente  data  ad  esempio, 
il  piano  che  passa  fra  la  doppia  fila  di  zoonti  divide  quelli  de¬ 
stri  da  quelli  sinistri .  I  successivi  membri  di  ciascun  allineamento 
si  sovrappongono  per  circa  una  metà  del  loro  corpo,  prendendo 
aderenza  nei  rispettivi  dischi  adesivi;  la  metà  del  fianco  sinistro 
superiore  dell’individuo  posteriore  aderisce  alla  metà  destra  po¬ 
steriore  (cloacale)  degli  individui  successivamente  anteriori;  ret¬ 
tificando  Tasse  della  catena,  i  successivi  individui  delle  due  serie 
sono  inclinati  sull’asse  di  un  angolo  di  circa  45°,  volgendo  ester¬ 
namente  il  lato  dorsale  con  il  sistema  nervoso,  gli  organi  sen¬ 
soriali  notati  e  la  muscolatura. 

Abbiamo  quindi  una  parte  assiale  rigida  e  immobile,  in  cui 
si  trovano  gli  organi  di  attacco  e  i  cuscinetti  sensitivi  connet¬ 
tenti  i  diversi  individui  (connessioni  sensoriali  e  vie  coordinative 
interne)  ed  una  parte  periferica  libera  e  mobile,  organizzata  per 
la  sensazione  dei  più  svariati  stimoli  generali  (corrispondenze 
sensoriali  e  vie  coordinative  esterne)  e  fornite  di  fascie  musco¬ 
lari  che,  incomplete  ai  limiti  della  parte  assiale,  si  completano 
quasi,  nella  coppia  dinamica,  in  cerehie  muscolari  complete  e 
concordanti. 

Possiamo  così  distinguere  nella  catena,  mercè  un  piano  nor¬ 
male  a  quello  dividente  la  parte  destra  dalla  sinistra,  e  passan¬ 
te  anch’esso  per  Tasse  della  catena,  una  faccia  orale  (muscolare- 
sensoriale)  libera  nella  propulsione,  e  che  potremmo  chiamare  dor¬ 
sale,  ed  una  faccia  cloacale  volta  normalmente  in  basso  (ventrale)  e 
segnante  la  parte  vegetativa  ed  asimmetrica  della  colonna.  Na¬ 
turalmente  la  designazione  di  dorsale  e  ventrale  nei  riguardi 
della  catena  non  corrisponde  alla  dorso-ventralità  degli  indi¬ 
vidui. 

A  questa  bilateralità  non  si  sottraggono  nemmeno  le  Cyclo- 
salpat  in  alcune  delle  quali,  come  nella  C.  virgula ,  essa  è  ap¬ 
pariscentissima  oltre  che  nella  muscolatura,  anche  nell’organo  ten¬ 
tacolare  visto  anche  dal  Todaro,  a  cui  è  sfuggita  però  la  varia¬ 
bilità  della  posizione  e,  per  preconcetti  teorici,  il  vero  significato. 

Ma  in  questa  specie  la  dissimetria,  e  la  corrispondenza  destra 
e  sinistra  degli  individui,  non  ci  sorprendono,  data  la  forma  della 


31  — 


catena  bilaterale  e  non  circolare,  come  erroneamente  fu  ritenuto 
dal  Vogt  e  da  altri  che  lo  seguirono;  è  notevole,  invece,  che  an¬ 
che  in  C.  pianata ,  questa  forma  tipica  a  catena  concentrica,  è 
visibilissima  la  bilateralità  originaria  e  permanente  dell'aggregato, 
manifestantesi  in  individui  destri  e  sinistri  per  le  disposizioni 
muscolari  e  neurali  e  per  la  presenza  di  una  netta  forma  tenta¬ 
colare,  allogata  qui,  nelle  due  serie  di  individui,  sui  limiti  ante¬ 
riori  destro  e  sinistro,  fra  corpo  ed  organo  di  attacco. 

In  tutte  le  forme,  quindi,  mentre  la  trama  organica  vegeta¬ 
tiva  permane  indipendente,  secondo  un  tipo  unico  individuale, 
subendo  al  più  torsioni  e  rotazioni  per  necessità  puramente  spa¬ 
ziali,  per  lo  sviluppo  e  l' attività  delle  altre,  queste,  esclusiva- 
mente  parti  nervose  e  muscolari  od  organi  di  connessione,  si 
orientano  e  si  connettono  in  unità  superiore  che  si  manifesta  nella 
coordinazione  ed  efficacia  dei  movimenti  della  catena. 

Ecco  così  fermata  e  delimitata  quella  unità 
della  catena  di  Salpe  il  cui  significato  dinamico 
risulta  evidente  non  solo  dallo  studio  fisiologico 
neuro-muscolare  di  essa,  ma  dalla  impronta  istessa 
che  queste  attività  segnano  nella  sua  organizzazione. 
Ma  la  genesi  di  questa  coordinazione  di  forma  e  di  attività  è  inge¬ 
nita  nei  tubi  cellulari  stessi  iniziali  dello  stolone,  o  si  va  for¬ 
mando  per  i  necessari  contatti  dello  sviluppo  e  delle  condizioni 
che  si  vanno  successivamente  creando  nel  progredire  della 
catena  ? 

Debbo  confessare  la  scarsezza  dei  dati  positivi  che  ho  po¬ 
tuto  raccogliere  a  riguardo  di  questo  quesito,  di  cui  non  mi 
sfugge  la  grande  importanza,  e  l' insuccesso  dei  tentativi  speri¬ 
mentali  tendenti  a  stabilire  condizioni  di  sviluppo  anormale  per 
vedere  la  possibile  influenza  della  variazione  di  rapporti  nelle 
catene.  Da  questo  lato,  le  Salpe  sono  un  materiale  difficilissimo. 

Nonpertanto  ,  alcuni  dati  possono  almeno  fornirci  qualche 
luce  sulle  possibili  cause  plasmatrici  di  questa  bilateralità  dina¬ 
mica  della  catena,  che  ha  tutti  i  dati  di  un  fenomeno  cenogene- 
t  i  c  o,  subentrante  in  seguita  ai  mutui  rapporti  stabilentisi  fra  i 
singoli  individui  coordinati  nella  catena,  e  perduranti  finché  que¬ 
sta  sussiste. 

In  questo  senso  ci  parlano  lo  sviluppo  e  1'  atrofia  degli  or- 


gani  adesivi,  come  degli  organi  in  rapporto  con  produzioni  che 
son  chiamate  ancor  più  a  cementare  1'  unione  stabilita  dagli  or¬ 
gani  di  attacco,  e  infine  il  comportamento  di  disposizioni  sen¬ 
soriali  che,  cessato  il  loro  attivo  funzionamento  nei  riguardi  della 
unità  dinamica  della  catena,  vanno  successivamente  perdendo  di 
importanza  ed  alcuni,  pare,  scompaiono  del  tutto  o  perdono  parte 
notevole  dei  loro  tipici  caratteri  J). 

Così  p.  es.  è  molto  significativo  il  fatto  che  nella  forma¬ 
zione  ciclica  degli  aggregati  di  Cyclosalpa  pianata  gli  organi 
tentacoliformi  a  cui  ho  avanti  accennato  si  sviluppano  a  destra 
in  una  metà  giusta  degli  individui  coerenti  e  a  sinistra  nell'  al¬ 
tra  metà,  qualunque  sia  il  numero  degli  individui  coerenti  nel 
ciclo  salvo,  s'intende,  i  casi  di  numero  dispari  dove  la  diffe¬ 
renza  in  più  da  uno  dei  lati  si  limita  sempre  ad  un  solo  individuo. 

E  così  il  constatare  la  scomparsa  o  riduzione  più  o  meno  avan¬ 
zata  degli  organi  sensoriali  destri  o  sinistri  già  accennati  in  indivi¬ 
dui  pescati  isolati  e  con  ogni  probabilità  menanti  da  tempo  vita 
indipendente,  come  il  riscontrarli  in  ottimo  stato  di  sviluppo  in 
individui  anche  di  grosse  dimensioni  ancora  riuniti  in  catena  (ne 
ho  constatati  di  ben  sviluppati  in  una  catena  di  individui  di  Salpa 
maxima  di  più  di  15  cm.)  ci  fanno  con  convinzione  pensare 
alla  influenza  che  possono  avere  nello  sviluppo  di  questi  orga¬ 
nismi  non  solo  rapporti  spaziali  manifestantisi  con  torsioni  e  disu¬ 
guaglianze  di  accrescimento,  ma  anche  l'influenza  di  determi¬ 
nate  condizioni  dinamiche,  non  solo  su  inuguaglianze  di  sviluppo, 
ma  sulla  determinazione  di  ben  specificati  organi  che,  col  ces¬ 
sare  delle  condizioni  determinanti,  possono  ridursi  e  scomparire. 


Finito  di  stampare  il  25  maggio  1923. 


l)  Per  gli  organi  sensoriali  di  Salpa  maxima  da  me  descritti  non  si  può 
parlare  di  completa  involuzione,  come  accenna  il  Fernandez  (1.  c.  p.  324)  nè 
di  scomparsa,  avendoli  io  constatati  ben  differenziati  in  individui  di  grosse  di¬ 
mensioni.  E'  facile  invece  constatare  nella  s.  maxima,  ed  in  altre  specie,  la 
scomparsa  di  altri  organi  di  natura  ben  diversa,  a  forma  di  mammelloni  o  ca¬ 
pezzoli,  mostranti  in  un  primo  tempo  attivo  trofismo  e  proliferazione  cellulare 
e  la  cui  distribuzione,  diversa  in  individui  destri  e  sinistri,  è  in  evi¬ 
dente  rapporto  con  le  asimmetrie  di  accrescimento  che  si  vanno  pronunziando 
fra  le  due  categorie  di  Individui  della  catena. 


Diagnosi  di  nuove  specie  di  Policladi  della 


R 


Nota  preliminare 
del  socio 

Dott*  Arturo  Palombi 


(Tornata  del  4  febbraio  1923) 


Il  Prof.  Monticelli  ha  voluto  affidarmi  lo  studio  dei  Po¬ 
licladi  raccolti  dalla  R.  Nave  Liguria  a  lui  inviati  in  esame  dal 
Prof.  Senna  di  Firenze  che  ha  illustrato  le  raccolte  planctoniche 
fatte  dalla  nave  nel  viaggio  di  circumnavigazione  del  1903-05. 
Riservandomi  in  un  lavoro,  di  prossima  pubblicazione,  accom¬ 
pagnato  da  figure,  la  illustrazione  completa  del  risultato  delle 
mie  ricerche,  riassumo  ora,  per  prender  data,  le  diagnosi  delle 
nuove  specie  da  me  riconosciute. 


Gen.  Cryptocelides  Bergendal  1890 
Cryptocelides  samoensis  nov.  spec. 


Corpo  di  salda  consistenza,  uniformemente  largo  ed  appun¬ 
tito  alle  due  estremità.  Occhi  piccoli,  non  molto  numerosi  e  di¬ 
stinti  in  frontali,  cerebrali  e  tentacolari;  questi  ultimi  raccolti  in 
due  cumuli  ben  definiti.  Cervello  concavo  nella  parte  posteriore, 
profondamente  diviso  nella  parte  anteriore.  Faringe  muscolosa 
con  poche  e  larghe  tasche.  Intestino  riccamente  ramificato  con 
i  rami  non  anastomizzati.  Orifizio  sessuale  maschile  dietro  il  fem¬ 
minile.  I  grossi  canali  del  seme,  non  anastomizzati,  versano  il 
loro  contenuto  in  cinque  apparati  glandolari  granulosi  “  apparati 
copulatori  „  i  quali  sboccano  in  un  unico  antriim  masculinum. 


—  34  — 


Numerose  glandole  granulose  a  pera,  aprentesi  isolatamente 
all’esterno,  sono  localizzate  nel  quinto  posteriore  del  corpo  dietro 
l'orifizio  sessuale  femminile. 

Uteri  posti  lateralmente  alla  faringe;  ovidotti  sboccanti  nella 
vescicola  glandolare  di  Lang  sacciforme.  Grossa  vagina  bulbosa 
aprentesi  all’esterno  per  un  largo  foro. 

Habitat:  Oceano  Pacifico,  in  vicinanza  delle  isole  Samoa. 

Polyposthides  nov.  gen. 

Animali  a  corpo  ovale  alquanto  appuntito  all’estremità  an¬ 
teriore.  Mancano  i  tentacoli.  Numerosi  piccoli  occhi  marginali 
in  serie  prolungatesi  ail'indietro  ed  altri  ancora,  piccoli  anch'essi, 
sulla  parte  anteriore;  oppure,  oltre  a  questi,  due  file  di  occhi 
cerebrali  od  anche  grossi  occhi  a  breve  distanza  dal  margine  del 
corpo  e  due  cumuli  tentacolari  molto  grossi  ed  evidenti.  Cer¬ 
vello  spostato  in  avanti  non  molto  lontano  dal  margine  anteriore. 
Faringe  situata  un  poco  indietro  della  metà  del  corpo.  Nume¬ 
rosi  orifizi  sessuali  maschili  nella  linea  mediana  con  numerosi 
apparati  copulatori  a  rosetta,  sboccanti  in  un  atitrum  masculi- 
num.  Grandissimo  numero  di  apparati  glandolai  in  tutto  il  corpo 
col  collo  diretto  verso  gli  apparati  copulatori  maschili.  Due  per 
ogni  apparato  a  rosetta  grossi  canali  seminali  tortuosi.  Appa¬ 
rato  femminile  con  due  grossi  uteri  lateralmente  alla  faringe. 
Orifizio  genitale  femminile  più  o  meno  lontano  dal  margine 
posteriore. 

Polyposthides  karimatensis  nov.  spec. 

Animali  di  soda  consistenza  alquanto  appuntiti  all'estremità 
anteriore.  Numerosi  piccoli  occhi  marginali  ordinati  in  duplice, 
ed  anche  in  triplice  fila,  orlano  il  bordo  anteriore  del  corpo  ; 
cessano  del  tutto  alla  fine  del  primo  quarto.  Altri  occhi,  un 
poco  più  grandi,  sono  sparsi  nella  parte  anteriore.  Tra  questi, 
risalta  una  fila  di  pochi  occhi  piuttosto  grandi  situati  a  poca 
distanza  ,  margini  laterali  ed  anteriore.  Up  denso  cumulo 
di  piccoli  occhi  presso  il  cervello.  Questo,  piuttosto  piccolo  e 
spostato  in  avanti,  mostra  due  leggere  insenature. 

Bocca  quasi  a  metà  della  tasca  faringea.  La  faringe,  poco 


increspata  e  non  molto  muscolosa,  non  oltrepassa  il  terzo  quarto 
del  corpo.  Orifizio  femminile  poco  lontano  dal  margine  posteriore. 

Habitat :  Mare  della  Sonda,  nello  stretto  di  Karimata,  tra 
Sumatra  e  Borneo. 

Polyposthìdes  affinis  nov.  spec. 

Corpo  tozzo  e  robusto,  appuntito  all'  estremità  anteriore. 
Numerosissimi  piccoli  occhi  marginali  estesi  per  un  buon  tratto 
indietro. 

Numerosi  altri,  che  non  oltrepassano  la  linea  del  cervello, 
su  tutta  la  porzione  anteriore.  Tra  questi  piccoli,  spicca  una  fila 
di  occhi  più  grandi  ed  allungati  che  si  prolunga  indietro.  Due 
gruppi  di  occhi  tentacolari  molto  grossi  sono  situati  ai  lati  della 
faringe.  Cervello  piccolo,  non  molto  distante  dall'estremo  ante¬ 
riore,  largamente  e  profondamente  diviso  anteriormente.  Bocca 
al  centro  della  tasca  faringea.  Faringe  lunga  e  riccamente  in¬ 
increspata  con  strette  insaccature.  Orificio  sessuale  femminile  a 
non  grande  distanza  dal  margine  posteriore. 

Habitat :  Come  la  precedente. 

Polyposthìdes  caraibica  nov.  spec. 

Corpo  ovale  molto  delicato.  Occhi  marginali  nella  porzione 
anteriore  del  corpo.  Due  file  di  pochi  occhi  piuttosto  grossi 
(occhi  cerebrali)  ai  lati,  del  cervello.  Mancano  completamente  gli 
occhi  tentacolari.  Faringe  con  brevi  e  strette  tasche  laterali.  Nu¬ 
merosi  rami  intestinali.  Orifizio  sessuale  femminile  molto  distante 
dal  margine  posteriore  del  corpo. 

Habitat:  Mare  Caraibico. 

Metaposthia  norfolkensis  nov.  gen.  nov.  spec. 

Corpo  ovale.  Numerosi  occhi  sulla  porzione  anteriore  del 
corpo.  Occhi  cerebrali  in  due  file  arcuate  ai  lati  e  sopra  il  cer¬ 
vello.  Due  cumuli  di  occhi  tentacolari  piuttosto  grossi.  Cervello 
con  due  insenature.  Bocca  e  faringe  nel  mezzo  del  corpo.  Fa¬ 
ringe  robusta  e  poco  piegata.  Intestino  in  fitta  rete  anastomo- 
tica  per  tutto  il  corpo.  Orifizi  sessuali  nella  porzione  posteriore 
del  corpo:  il  maschile  dietro  il  femminile.  Numerosi  apparati 


' 


—  36  — 

copulatori  circondano  Y  organo  femminile.  Numerose  glandole 
granulose  nella  porzione  posteriore  del  corpo.  Grossi  canali  del 
seme  lunghi  e  riuniti  indietro.  Grossa  vagina  bulbosa.  Uteri  poco 
tortuosi  riuniti  innanzi  alla  tasca  faringea. 

Habitat :  Oceano  Pacifico,  Mar  di  Tasmania,  al  largo  del- 
T  isola  Norfolk. 

Gen.  Stylochoplana  Stimpson  (Bock  1913  emend.) 

Stylochoplana  siamensis  nov.  spec. 

Corpo  non  molto  esteso,  appuntito  alle  due  estremità.  Man¬ 
cano  i  tentacoli.  Pochi  occhi  cerebrali  in  duplice  fila,  ai  lati  del 
cervello;  due  marcati  gruppetti  di  occhi  tentacolari  spostati  in¬ 
dietro  e  lateralmente.  Cervello  fra  gli  ultimi  occhi  cerebrali.  Fa¬ 
ringe  piccola  ed  increspata,  situata  nella  metà  anteriore  del  corpo. 
Bocca  al  centro  della  tasca  faringea.  Orifizi  sessuali  molto  di¬ 
stanti  fra  loro  :  il  maschile  quasi  nel  mezzo  del  corpo,  il  femminile 
a  breve  distanza  dal  margine  posteriore.  Grossa  vescicola  semi¬ 
nale  e  robusta  vescicola  glandolare  granulosa.  Pene  piuttosto 
grosso  ed  inerme.  Guaina  e  tasca  del  pene  ben  marcate.  Antro 
maschile  abbastanza  lungo.  Vescicola  glandolare  di  Lang  pre¬ 
sente.  Glandole  del  guscio  sboccanti  nella  vagina  media.  Grossa 
e  robusta  vagina  bulbosa. 

Habitat :  Golfo  del  Siam  presso  la  costa  Malay. 

Stylochoplana  caraibica  nov.  spec. 

Corpo  leggermente  slargato  nella  parte  anteriore.  Mancano 
i  tentacoli.  Occhi  ai  lati  del  cervello.  Bocca  circa  alla  metà  del 
corpo.  Faringe  lunga  ed  increspata.  Due  vescicole  seminali  nella 
porzione  posteriore  deir  apparato  copulatore.  Grossa  e  lunga¬ 
mente  distesa  vescicola  glandolare  granulosa.  Pene  grosso  ed 
armato  di  un  lungo  stiletto.  Guaina  del  pene  muscolosa.  Antro 
maschile  molto  grosso.  Vescicola  glandolare  di  Lang  esistente. 
Vagina  bulbosa.  Orifizio  sessuale  femminile  non  molto  distante 
dal  margine  posteriore, 

Habitat  :  Mare  Caraibico. 


—  37  — 


Gen.  Notoplana  Laidlaw  (Bock  1913  emend.) 

Notoplana  parvula  nov.  spec. 

Corpo  ovale  molto  piccolo.  Piccoli  occhi  in  due  file  allun¬ 
gate  ed  arcuate.  Gli  occhi  posteriori  corrispondono  ai  tentaco¬ 
lari.  Bocca  intestinale  al  centro  della  faringe,  bocca  esterna  a 
breve  distanza  da  questa.  Faringe  pochissimo  increspata  e  mu¬ 
scolosa.  Orifizi  sessuali  molto  distanti  l’uno  dall’altro;  il  fem¬ 
minile  presso  il  margine  posteriore.  Pene  piccolo  con  stiletto. 
Guaina  del  pene  ed  antro  moltp  sviluppati.  Vescicola  glandolare 
di  Lang  piccola.  Grossa  e  robusta  vagina  bulbosa. 

Habitat :  Regione  della  Sonda  a  Sud  di  Borneo. 

Euryleptides  brasiliensis  nov.  gen.  nov.  spec. 

Corpo  breve,  ovale,  privo  di  tentacoli.  Numerosi  occhi  in 
doppia  fila  marginale  ed  occhi  cerebrali  in  due  file  ai  lati  della 
faringe.  Cervello  ad  eguale  distanza  circa  tra  il  margine  anteriore 
e  la  bocca.  Intestino  con  numerose  paia  di  rami  intestinali  di 
cui  cinque  notevolmente  grossi  anastomizzati  fra  loro.  Grande 
ventosa  situata  dietro  la  metà  del  corpo.  Apparato  maschile  con 
due  grossi  canali  del  seme  sboccanti  nella  vescicola  seminale. 
Apparato  copulatore  situato  sotto  la  faringe  e  rivolto  in  avanti. 
Vescicola  glandolare  granulosa  e  due  piccole  vescicole  glando¬ 
lar!  accessorie  sboccanti  nel  dotto  eiaculatore.  Pene  provvisto  di 
stiletto.  Manca  la  tasca  del  pene.  Apparato  femminile  con  due 
grossi  e  lunghi  uteri  riuniti  all'  indietro.  Glandola  uterina  cen¬ 
trale  nella  quale  sboccano  gli  uteri.  Apparato  copulatore  femmi¬ 
nile  con  antro  che  sbocca  ad  eguale  distanza  tra  la  ventosa  e 
T  orifizio  boccale. 

Habitat :  Oceano  Atlantico,  coste  del  Brasile. 

Napoli ,  Istituto  Zoologico,  Dicembre  1922 . 


Finito  di  stampare  il  25  maggio  1923. 


L’  effetto  fotoelettrico 


Memoria 
del  socio 

Prof.  Washington  Del  Regno 


(Tornata  del  18  marzo  1923) 

Nel  corso  delle  sue  classiche  esperienze  sulle  oscillazioni 
elettriche  Hertz  l)  ebbe  per  primo  a  notare  che  la  scintilla  fra 
due  conduttori  elettrizzati  si  stabiliva  più  facilmente  quando  i 
due  conduttori  venivano  illuminati  con  radiazioni  di  alta  rifran¬ 
gibilità. 

In  seguito  T  Hallwachs  2)  fece  rilevare  che  l' influenza  della 
luce  si  esercitava  anche  sui  corpi  elettrizzati:  un  corpo  carico 
di  elettricità  negativa  difatti  si  scarica  qualora  venga  colpito  da 
radiazioni  luminose,  mentre  lo  stesso  non  accade  se  il  corpo  è 
carico  di  elettricità  positiva.  Lo  stesso  Hallwachs,  ed  indipen¬ 
dentemente  il  Righi  3),  notò  poi  che  un  corpo  isolato  sotto  Y  a- 
zione  della  luce  acquista  un  potenziale  positivo. 

A  questi  fenomeni  fu  dato  il  nome  di  fenomeni  fo¬ 
toelettrici:  lo  studio  di  essi,  per  quanto  svolto  con  notevole 
larghezza,  sia  dal  punto  di  vista  sperimentale,  sia  dal  punto  di 
vista  teorico,  per  opera  sopratutto  di  Einstein,  Thomson,  Ri- 
chardson/  Sommerfeld,  Debye  e  Millikan,  ha  condotto  a  sta¬ 
bilire  con  certezza  solo  alcune  delle  leggi  che  regolano  il  com¬ 
plesso  fenomeno.  A  tutt'  oggi  molti  dei  fatti  che  ad  esso  si 


1)  Hertz.  —  Wiedemann's.  Ann.  Physik.  Voi.  31  pag.  383,  1887. 

2)  Kallwachs.  —  Ann.  d.  Physik.  33  pp.  301  -  312  -  1888. 

3)  Righi.  —  Rend.  R.  Accad.  Lincei  1888,  Voi.  IV.o  fascic.  5.  l.o  semestre 
pag.  185.  Phil.  Mag.  5,  25  pp.  314 -316 -Anno  1888. 


—  39  — 


collegano  non  hanno  ancora  spiegazione  sicura  nè  si  conosce 
la  vera  natura  del  fotoelettrone  che  secondo  alcuni  sarebbe 
T  elettrone  libero  degli  strati  superficiali  del  metallo  mentre  se¬ 
condo  altri  sarebbe  1'  elettrone  liberato  dagli  strati  esterni  del- 
T  atomo. 

I.  —  Principali  modalità  sperimentali. 

Le  prime  esperienze  furono  eseguite  nell'  aria  alla  pressione 
ordinaria. 

Una  lamina  del  metallo  in  esame  veniva  collocata  di  fronte 
ad  una  griglia  a  pochi  millimetri  di  distanza  da  questa  ed  espo¬ 
sta  alle  radiazioni  di  una  sorgente  ricca  di  raggi  ultravioletti. 
Collegando  la  lamina  con  una  delle  coppie  di  quadranti  di  un 
elettrometro,  mentre  V  altra  coppia  era  in  comunicazione  con  la 
griglia  e  con  la  terra,  e  mettendo  prima  per  un  istante  a  terra 
la  lamina,  il  Righi  i)  aveva,  con  l' illuminazione,  una  deviazione 
sempre  assai  lenta  che  raggiungeva  un  valore  massimo  tanto 
più  rapidamente  quanto  maggiore  era  la  estensione  della  su¬ 
perficie  illuminata  e  quanto  più  intensa  la  radiazione  eccita¬ 
trice.  Esperienze  analoghe  furono  eseguite  dallo  Stoletow  che 
inseriva  una  batteria  di  pile  fra  la  griglia  e  la  coppia  dei  qua¬ 
dranti  a  terra,  il  polo  positivo  di  questa  batteria  essendo  in  co¬ 
municazione  con  la  griglia.  All'elettrometro,  in  molte  esperienze, 
veniva  sostituito  un  galvanometro  di  alta  sensibilità:  variando 
il  potenziale  della  batteria  si  poteva  raggiungere  per  la  corrente 
fotoelettrica  il  valore  massimo  cioè  la  corrente  di  satu¬ 
razione. 

Alle  misure  nell'aria  ben  presto  seguirono  quelle  in  celle  a 
pressione  ridotta  fino  a  raggiungere  i  vuoti  più  spinti  :  solo  di¬ 
fatti  nel  caso  di  assenza  di  aria  o  di  altri  gas,  in  particolare  i 
gas  occlusi  dalla  sostanza  che  si  esamina,  la  corrente  fotoelet¬ 
trica  risulta  dagli  elettroni  emessi  dalla  sostanza  e  non  da  questi 
e  da  quelli  che  si  vengono  a  formare  per  la  ionizzazione  del  gas 
circostante. 

Per  liberare  le  sostanze  dai  gas  occlusi  si  ricorre  al  riscal- 


A)  l.  c. 


—  40  — 


damento  con  la  corrente  elettrica  oppure  al  bombardamento  ca¬ 
todico  facendo  funzionare  per  tutto  il  tempo  dell'operazione 
delle  pompe  ad  alto  vuoto.  Alle  lamine  così  trattate  alcuni  spe¬ 
rimentatori  sostituiscono  depositi  sottilissimi  ottenuti  o  per  iono- 
plastica  o  per  distillazione  della  sostanza  nel  vuoto.  Hugues  i) 
ha  difatti  costruita  una  cella  che  porta  nel  suo  interno  una  for¬ 
nace  di  quarzo  ottenendo  superficie  di  metallo  che  possono 
considerarsi  come  pure  e  libere  di  quelle  pellicole  esilissime  che 
non  possono  non  formarsi  quando  si  usano  lamine  preparate 
con  smeriglio  e  sottoposte  a  lavaggi  con  sostanze  varie. 

Il  Millikan *  2)  ed  i  suoi  allievi,  nelle  ricerche  fatte  allo 
scopo  di  determinare,  per  via  fotoelettrica,  la  costante  della 
legge  di  Plank,  è  riuscito  ad  ottenere  risultati  non  meno  buoni 
di  quelli  avuti  dall'HuGUES  usando  lamine  ordinarie  preparate 
col  semplice  riscaldamento  a  mezzo  della  corrente. 

Solamente,  poiché  anche  nel  vuoto  non  mancano  di  for¬ 
marsi,  col  tempo,  delle  pellicole  superficiali  che,  per  quanto 
sottilissime,  alterano  il  valore  della  forza  elettromotrice  di  con¬ 
tatto,  di  cui  bisogna  tener  conto  nel  calcolo  dei  potenziali  fo¬ 
toelettrici,  come  risulta  dalle  esperienze  dello  stesso  Millikan, 
del  Richardson  e  del  Compton  3),  egli  ha  usato  superficie  sem¬ 
pre  fresche  raschiando,  prima  di  ogni  esperienza,  la  superficie 
del  metallo  mediante  un  coltello  mosso  con  un  elettromagnete 
dall’esterno. 

Come  sorgenti  luminose  negli  studii  di  fotoelettricità  si 
usano  la  lampada  a  mercurio,  la  scintilla  o  l’arco  fra  elettrodi 
metallici  e  la  scarica  nei  gas  rarefatti. 

La  lampada  a  mercurio  presenta  sulle  altre  sorgenti  il  van¬ 
taggio  dì  mantenere  abbastanza  costante  l’intensità  luminosa: 
la  più  piccola  lunghezza  d’onda  ch’è  possibile  ottenere  con  que¬ 
ste  lampade  e  che  corrisponde  al  limite  di  assorbimento  del 
quarzo,  sotto  gli  spessori  che  ordinariamente  vengono  impie¬ 
gati  in  queste  lampade,  è  À  1850. 


4)  Hugues.  —  Phil.  Trans.  A.  CCX1I  p.  205.  1912. 

2)  Millikan.  Phys.  Rev.  VII.  1916  pag.  362.  Hennings  A.  E.  -  Kadesch. 
W.  H.  -Phys  Rev.  Vili.  1916,  pag.  221. 

3)  Richardson  e  Compton.  —  Phil.  Mag.  XXIV.  p.  577,  1912. 


Quando  però  si  voglia  disporre  di  una  maggiore  sensibilità 
e  quindi  di  lunghezze  d'onda  più  brevi,  si  fa  uso  della  scintilla 
fra  elettrodi  metallici  ottenuta  con  forti  rocchetti  d'induzione  de¬ 
rivando  delle  capacità  agli  estremi  del  secondario  :  con  elettrodi 
di  alluminio  si  ha,  nell'aria,  uno  spettro  assai  ricco  che  si  estende 
nell'ultra  violetto  con  un  bellissimo  gruppo  di  righe  assai  in¬ 
tense  nell'intorno  di  X  1300.  Millikan  e  SawveR'  l)  trovarono 
per  scintille  fra  elettrodi  di  C,  Zn,  Fe,  A g  ed  Ni,  nel  vuoto 
assai  spinto,  i  limiti  degli  spettri  rispettivamente  a  X  360,  Z  317, 
X  272,  X  260,  X  202. 

Anche  la  scarica  nei  gas  rarefatti  viene  usata  in  ricerche  di 
fotoelettricità.  Lyman  2),  che  ha  studiato  lo  spettro  della  scarica 
nell’H  e  nell'He,  trova  che  l'H,  ad  una  pressione  da  1  a  5  min., 
dà  uno  spettro  assai  ricco  di  radiazioni  di  piccola  lunghezza 
d'onda  con  un  estremo  a  circa  X  905  mentre  per  l'elio  l'estremo 
è  al  510.  Queste  scariche  hanno  una  debole  intensità  luminosa 
ma  fotoelettricamente  sono  molto  attive:  qualora  però  si  vogliano 
impiegare  lunghezze  d'onda  così  piccole  bisogna  ricorrere  a  di¬ 
spositivi  completamente  nel  vuoto. 

Nella  determinazione  della  relazione  fra  effetto  fotoelettrico 
e  frequenza  della  luce  eccitante,  relazione  che  conduce  alla  de¬ 
terminazione  della  costante  della  legge  di  Plank,  è  necessario 
isolare  radiazioni  di  lunghezza  d’onda  ben  determinate,  ciò  che 
nelle  prime  esperienze  non  si  riusciva  ad  ottenere  avendosi  nei 
risultati  scarti  dal  10  al  20%  del  valore  della  detta  costante.  Fu 
il  Millikan  a  notare,  fra  le  altre,  anche  questa  causa  di  errore  : 
oltre  a  far  ricorso  a  buoni  monocromatori  egli  usava  anche  degli 
opportuni  filtri  coi  quali  era  sicuro  di  eliminare  le  lunghezze 
d’onda  più  brevi  di  quella  impiegata  per  l'esperienza. 

Ai  filtri  si  ricorre  sempre  quando  non  vi  sia  bisogno  di 
una  radiazione  semplice:  è  nota  tutta  una  serie  di  filtri  per  un 
intervallo  che  si  estende  nell'ultravioletto  fino  a  X  600. 


0  Millikan  e  Sawyer.  —  Phy.  Rev.  Voi.  12  pag.  167,  1918.  Astrophysical 
Journal.  Voi.  52  pag.  47,  1920. 

2)  Lyman.  The  spectroscopy  of  thè  Extreme  Ultra  -  Violet.  Longmans. 
Astrophysical  Journal  Voi.  43  pag.  89,  1916.  Science  Voi.  45,  pag.  187,  1917. 


42 


II.  —  Potenziale  fotoelettrico* 

L'  emissione  di  elettroni  dalle  sostanze  per  azione  della  luce 
è  un  fenomeno  assai  complesso  sul  quale  influiscono  sia  la  na¬ 
tura  della  sostanza,  sia  la  intens:tà,  frequenza  e  natura  delle  ra¬ 
diazioni  eccitatrici, 

Si  considerino  due  lamine  affacciate  4  e  5  della  stessa  so¬ 
stanza  ed  allo  stesso  potenziale.  Se  A  viene  colpita  da  un  fascio 
luminoso  mentre  B  resta  all'oscuro,  degli  elettroni  si  liberano 
da  A  e  vanno  verso  B :  come  risultato  si  ha  una  differenza  di  po¬ 
tenziale,  A  essendo  positiva  rispetto  a  B ,  che  va  crescendo  fino 
a  che  il  lavoro  che  é  capace  di  compiere  l'elettrone  espulso  da 
A,  e  che  vien  dato  da  lJ2  m  v2,  se  con  m  si  indica  la  massa 
dell'  elettrone  e  con  v  la  velocità  posseduta  da  esso  fuori  del 
metallo,  non  diventi  uguale  a  V  e,  cioè  al  lavoro  delle  forze  elet¬ 
triche  dovute  al  campo  antagonista  generatosi. 

Si  ha  quindi 

(1)  Ve  =  72mv2 

che  dice  essere  la  velocità  massima  di  emissione  proporzionale 
alla  radice  quadrata  del  potenziale  V  che  prende  il  nome  di  p  o- 
tenziale  fotoelettrico. 

Esso  può  determinarsi  sia  applicando  un  campo  antagoni¬ 
sta  alle  due  lamine  A  e  B  sufficiente  ad  arrestare  tutti  gli  elet¬ 
troni  provenienti  dalla  lamina  A  sotto  1'  azione  della  luce,  sia 
applicando  ad  esse  una  differenza  di  potenziale  atta  a  produrre  il 
moto  di  convezione  degli  elettroni  liberati  :  variando  il  poten¬ 
ziale  si  può  raggiungere  il  valore  al  quale  viene  a  corrispon¬ 
dere  la  corrente  di  saturazione. 

L'  andamento  del  fenomeno  viene  indicato  dalla  curva  della 
figura  1  :  da  essa  si  rileva: 

1. °  che  i  potenziali  contati  da  O  verso  D  rappresentano  dei 
potenziali  acceleranti  mentre  quelli  da  O  verso  A  sono  poten¬ 
ziali  ritardanti  ; 

2. °  OA  rappresenta  il  valore  della  differenza  di  potenziale 
alla  quale  corrisponde  una  corrente  nulla  cioè  rappresenta,  in 
valore  assoluto,  il  potenziale  fotoelettrico  : 


43  — 


3.°  un'ordinata  della  curva,  ad  esempio  EF,  rappresenta  la 
intensità  di  corrente  per  la  quale  gli  elettroni  hanno  una  velo¬ 
cità  superiore  a  quella  che  corrisponde  al  valore  di  v  ricavato 


Fig.  1 

dalla  (1)  nella  quale  si  faccia  V  =  OF:  questa  curva,  per  tale  pro¬ 
prietà,  prende  anche  il  nome  di  curva  di  distribuzio¬ 
ne  delle  velocità. 

Dalla  figura  si  rileva  poi  che  senza  campo  accelerante  solo 
una  parte  degli  elettroni  emessi  dalla  lamina  A  raggiunge  la  la¬ 
mina  B :  perchè  cioè  si  possa  ottenere  la  corrente  di  saturazione 
necessita  un  potenziale  accelerante  che  in  figura  è  indicato  con 
OD.  Tale  fatto,  che  nasce  dall' esperienza,  è  dovuto: 

1. °  alla  riflessione  per  parte  della  lamina  B  di  alcuni  degli 
elettroni  emessi  da  A,  riflessione  che  cessa  a  partire  da  un  de¬ 
terminato  valore  del  campo  accelerante  l 2): 

2. °  dal  mancato  arrivo  di  elettroni  sulla  lamina  B  per  1'  a- 
zione  deviatrice  del  campo  magnetico  terrestre  2): 

3. °  sopratutto  perchè,  come  Richardson  e  Compton  3)  hanno 
previsto  e  mostrato  in  seguito  sperimentalmente,  la  differenza  di 
potenziale  effettiva  fra  i  due  elettrodi  è  quella  applicata  più  o 
o  meno,  a  seconda  della  natura  delle  sostanze,  la  differenza  di 


4)  Bayer.  O.  V.  —  Verh.  Deutsch.  Phys.  Ges.  Bd.  10,  p.  96,  1908. 

2)  Hugues.  —  On  thè  emission  velocities  of  piloto  electrons.  Phil.  Trans. 
Roy.  Soc.  212  pp.  205-226,  1912. 

3)  Richardson  and  Compton.  —  The  photoelectric  effect.  Phil.  Ma g.  XXIV. 
p.  577,  1912. 


—  44 


potenzale  di  contatto  per  effetto  Volta.  Richardson  e  Compton 
hanno  sperimentato  con  platino,  rame,  bismuto,  stagno  e  allu¬ 
minio  ottenendo  curve  regolarissime  che  mostrano  un  anda¬ 
mento  analogo  a  quello  della  curva  (2)  nella  fig.  1.  Non  si  hanno 
quindi  elettroni  che  per  raggiungere  la  lamina  B  hanno  bisogno 
di  potenziale  accelerante,  come  forse  non  si  avevano  nelle  altre 
esperienze,  nelle  quali  la  irregolarità  sarebbe  dovuta  al  non  aver 
tenuto  conto  della  detta  differenza  di  potenziale. 

III. — Velocità  massima  di  emissione  ed  intensità  luminosa* 

La  velocità  massima  di  emissione  degli  elettroni,  e  di  con¬ 
seguenza  il  potenziale  fotoelettrico,  è  indipendente  dalla  intensità 
della  luce  eccitante  come  risulta  da  esperienze  di  Lenard  l) 
Lademburg,  2 3)  Mohlin  3)  e  più  recentemente  di  Millikan  e 
Whincester  4). 

Alcune  esperienze  di  Elster  e  Geitel  5)  con  superficie  di 
sodio,  di  potassio  ed  anche  con  amalgame  di  questi  metalli,  nelle 
quali  l’intensità  luminosa  veniva  variata  a  mezzo  di  un  diafram¬ 
ma  ad  iride,  han  messo  in  evidenza  che  la  variazione  dell’inten- 
sità  luminosa  influisce  solo  sul  tempo  necessario  a  che  la  lamina 
assuma  il  potenziale  positivo  costante  caratteristico  della  sostanza 
ma  non  sul  valore  di  questo  potenziale  che  è  sempre  lo  stesso. 
Questa  indipendenza  fra  potenziale  positivo  ed  intensità  lumino¬ 
sa  risulta  anche  dalle  esperienze  di  J.  R.  Wrigt6)  che  sperimentò 
suiralluminio,  in  vuoti  assai  spinti,  e  con  sorgenti  costituite  da 
scintille  fra  elettrodi  di  zinco,  cadmio  e  ferro  che  davano  varia¬ 
zioni  di  intensità  luminosa  da  10  a  100  unità  ottenendo  varia¬ 
zioni  del  potenziale  non  superiori  al  0, 5  °[0. 

Alcuni  sperimentatori  han  creduto  di  notare  una  differenza 
nei  valori  della  velocità  massima  di  emissione  col  variare  della 


0  P.  Lenard. —  Ann.  Physik.  Bd.  8,  pp.  149-198,  1902. 

2)  Lademburg.  —  Deutsch.  Phys.  Gesell.  Verh.  Bd.  9.  pag.  508,  1907. 

3)  Mohlin.  —  Akad.  Abhandl.  Upsala,  1907. 

4)  Millikan  e  Winchester.  —  Phil.  Mag.  (6).  Voi.  14.  p.  201.  1907. 

5)  Elster  e  Geitel.  — Phy.  Zeit.  Bd.  10  pp.  457-465,  1909. 

6)  J.  R.  Wright.  — Phy.  Rev.  Voi.  33  pp.  43-52,  1911. 


—  45  — 


intensità  luminosa:  le  esperienze  accuratissime  del  Millikan  i) 
e  di  Pohl  e  Pringsheim  2)  dimostrano  che  la  maggiore  velocità 
che  si  ottiene  usando  una  sorgente  costituita  da  una  scintilla,  in 
confronto  al  valore  ottenuto  con  l’impiego  dell'arco,  è  dovuta 
unicamente  al  fatto  che  nel  primo  caso  non  viene  eliminata  la 
influenza  delle  perturbazioni  elettromagnetiche  generate  dalla 
scintilla.  Il  Millikan  ha  verificato  questo  fatto  usando  elettrodi 
di  zinco  e  scintille  molto  luminose  :  tutto  il  sistema  che  costi¬ 
tuisce  la  sorgente  viene  chiuso  in  una  ga.  bia  metallica  che  fun¬ 
ziona  da  schermo,  il  passaggio  della  luce  avendo  luogo  attra¬ 
verso  una  finestra  di  quarzo.  Con  questo  dispositivo  egli  ha  ot¬ 
tenuto  con  la  scintilla  gli  stessi  valori  ottenuti  con  l'arco  a  mer¬ 
curio  :  come  nelle  esperienze  di  Elster  e  Geitel  il  potenziale 
positivo  costante  sotto  l'azione  della  luce  veniva  raggiunto,  per 
le  intensità  molto  deboli,  in  un  tempo  che  era  da  cinque  a  sei 
volte  quello  richiesto  nelle  esperienze  con  intensità  forti. 

IV.  —  Intensità  della  corrente  fotoelettrica  ed  intensità  luminosa* 

L’intensità  della  corrente  fotoelettrica,  a  differenza  della  ve¬ 
locità  massima  di  emissione,  risulta  proporzionale  alla  intensità 
della  radiazione  eccitante.  Tale  fatto  è  stato  confermato  anche  in 
eperienze  molto  recenti  fatte  dall'  Hugues  3),  da  Ives,  f)t  Du- 
shmann  e  Karrer4 5 6)  e  da  Elster  e  Geitel  6);  e  dalle  quali  risulta 
che  nei  casi  nei  quali  la  proporzionalità  non  si  verifica  gli  scarti 
sono  da  attribuire  all'influenza  perturbatrice  di  qualche  parte 
della  superficie  della  cella  non  rivestita  dallo  strato  sensibile,  su¬ 
perficie  che  viene  ad  acquistare  una  carica  per  elettroni  che  la 
raggiungono.  Tale  carica  è  diversa  a  seconda  dell'intensità  del¬ 
l'illuminazione  e  dell'intensità  del  campo  applicato  :  ad  essa  è 


4)  Millikan.  —  Phys.  Rev.  Bd.  1,  p.  73,  1913. 

2)  Pohl  e  Pringsheim.  —  Verh.  Deutschr.  Phys.  Ges.  Bd.  15,  pag.  974,  1912. 

3)  Hugues.  —  Phil.  Mag.  Voi.  35,  pag.  679,  1913. 

4)  Ives.  —  Astrophysical  Journal.  Voi.  39,  pag.  428,  (1914).  Voi.  40,  pag. 
182,  (1914).  Voi.  46,  pag.  241,  (1917). 

5)  Dushman  e  Karrer.  —  Astrophysical  Journal.  Voi.  43,  pag.  9,  1916. 

6)  Physikalische  Zeitschrift.  Bd  14,  pag.  741,  1913. 


—  46  — 


dovuta  una  distorsione  del  flusso  di  elettroni  e  quindi  una  va¬ 
riazione  della  corrente  misurata. 

La  forma  della  cella  ha  dunque  un'importanza  particolare: 


\mjjl 


Fig.  2 

1'  Hugues  indica,  in  sostituzione  del  comune  tipo  della  fig.  2  il 
tipo  della  figura  3  che  presenta  la  superficie  interna  quasi 


Fig.  3 

completamente  ricoverta  da  uno  strato  sottile  di  sodio  mentre 
l’altro  elettrodo  è  costituito  da  un  bastoncino  metallico  Elster 


—  47 


e  Geitel  trovano  che  quando  tale  influenza  è  eliminata  la  pro¬ 
porzionalità  si  verifica  in  un  intervallo  che  va  da  30000  a 
6  X  IO’4  ùix  :  la  più  piccola  intensità  d'illuminazione,  in  queste 
esperienze,  è  di  2,4  X  IO'6  Ìux  e  dà,  con  un  potenziale  di  200 
Volta  applicato  alla  cella,  una  corrente  di  1,8  X  IO'12  Ampère. 

Le  celle  fotoelettriche  sono  formate  generalmente  di  idruri 
di  metalli  alcalini  che  risultano  più  sensibili  dei  corrispondenti 
metalli:  per  aumentarne  ancora  la  sensibilità  s'introducono  nel- 
T  interno  di  esse  piccole  quantità  di  gas  inerte,  generalmente 
He,  Ne,  Ar,  alla  pressione  di  circa  1  mm.  La  corrente  di  queste 
celle,  che  sono  sensibili  anche  alla  luce  ordinaria,  può  inoltre 
essere  amplificata  con  valvole  a  tre  elettrodi  :  Kunz  l)  e  Pike  2) 
hanno  ottenuta  un'amplificazione  nel  rapporto  di  1  a  15000  e 
più  di  recente  Meyer,  Rosemberq  Tank3)  ed  altri  sperimentatori 
sono  arrivati  ad  ottenere  correnti  125000  volte  più  grandi  di 
quelle  misurate  direttamente.  Si  è  trovato  inoltre  che  il  rapporto 
di  amplificazione  resta  sensibilmente  costante  per  correnti  de¬ 
boli. 

V.  —  Intensità  della  corrente  fotoelettrica 
e  natura  della  luce  eccitante* 

Le  prime  esperienze  sulla  dipendenza  fra  piano  di  polariz¬ 
zazione,  angolo  d'incidenza  della  radiazione  ed  intensità  della 
corrente  fotoelettrica,  per  quanto  numerose  ed  accurate,  risultano 
assai  contraddittorie. 

Elster  e  Geitel  4)  trovano  difatti  per  i  metalli  alcalini  un 
comportamento  che  non  si  accorda  con  quello  trovato  da  Pohl  5) 
per  altri  metalli,  come  Pt,  Cu  ed  Hg.  Con  sodio  e  potassio, 
allo  stato  liquido  ed  eccitati  con  luce  bianca  polarizzata,  Elster 
e  Geitel  trovano  che  la  corrente  fotoelettrica  è  dipendente  sia 


q  Kunz.  —  Phys.  Review.  Voi.  10  pag.  205.  1917. 

2)  Pike.  —  Phys.  Review.  Voi.  13  pag.  102,  1919. 

3)  Tank.  —  Archives  des  Sciences.  Tome  2  pag.  260,  1920. 

4)  Elster  e  Geitel.  —  Weitere  lichtelehtrische  Versuche.  Wied.  Ann.  Bd. 
52,  1894.  pag.  433.,,  Bd.  55,  1895  pag.  684. 

5)  Pohl  R.  —Ueber  den  lichtelektrischen  Effect  au  Pt,  Cu ,  Hg,  in  pota 
siertem  ultrav iolette m  licht.  Verh.  d.  D.  Phys.  Ges.  Bd.  Il,  1909  pag.  399.  Bd. 
11,  1909,  pag.  609. 


—  48  — 


dallo  stato  di  polarizzazione  della  luce  sia  dall'angolo  che  il 
raggio  luminoso  fa  con  la  superficie  del  metallo. 

Relativamente  allo  stato  di  polarizzazione  della  luce: 

a)  si  ha  un  massimo  quando  il  piano  di  polarizzazione  è 
perpendicolare  al  piano  d’incidenza,  cioè  il  vettore  elettrico,  nel¬ 
l’onda  luminosa,  è  parallelo  al  piano  d'incidenza  e  quindi  con 
una  componente  normale  alla  superficie  del  metallo: 

b)  si  ha  un  minimo  quando  i  due  piani  sono  paralleli. 

In  quanto  poi  all'influenza  della  particolare  incidenza  del 

raggio  eccitatore  si  ha  : 

a)  una  corrente  fotoelettrica  proporzionale  alla  quantità  di 
luce  assorbita  per  la  luce  polarizzata  parallelamente  al  piano  di 
incidenza  : 

b)  per  luce  polarizzata  perpendicolarmente  al  piano  d'inci¬ 
denza  la  proporzionalità  manca  e  si  ha  solo  quando  si  consi¬ 
dera  quella  parte  di  energia  che  corrisponde  alla  componente  ad 
angolo  retto  con  la  superficie  metallica. 

A  diverso  risultato  conducono  invece  le  esperienze  di  Pohl 
con  Pt,  Cu  e  Hg  eccitati  con  luce  polarizzata  o  non  e  con  an¬ 
goli  d’incidenza  diversi,  impiegando  strati  sottilissimi  del  metallo 
formati  per  ionoplastica  su  lastrine  di  quarzo. 

Se  si  fanno  i  rapporti  delle  intensità  delle  correnti  fotoelet¬ 
triche  ottenute  e  delle  corrispondenti  quantità  di  luce  assorbite 
si  hanno  gli  stessi  valori  per  tutti  gli  angoli  d'incidenza:  si  può 
quindi  dire  che  vi  è  un'influenza  del  piano  di  polarizzazione  e 
del  diverso  angolo  d' incidenza  della  luce  eccitante  solo  in  quanto 
si  ha,  per  tal  fatto,  una  diversa  quantità  di  luce  assorbita. 

Altra  differenza  da  notare  è  che  variando  la  lunghezza  di 
onda  della  luce  eccitante  si  ha  nelle  esperienze  di  Elster  e  Geitel 
una  corrente  che  va  aumentando,  raggiunge  un  massimo  per 
una  certa  lunghezza  d' onda  e  poi  diminuisce,  mentre  per 
gli  altri  metalli,  nelle  esperienze  di  Pohl,  si  ha  un'andamento 
sempre  crescente  col  diminuire  della  lunghezza  d'onda  :  questo 
stesso  andamento  si  ha  nelle  esperienze  dell'Hallvachs  per  uno 
dei  metalli  alcalini,  il  potassio,  ma  in  questo  caso,  ed  a  diffe¬ 
renza  da  quello  delle  esperienze  di  Elster  e  Geitel,  esso  viene 
eccitato  con  luce  normale  alla  superficie  sensibile. 

Tale  disaccordo  fra  queste  diverse  esperienze  è  però  solo 


—  49  — 


ir  ■  . 


r  . 

apparente  com'è  stato  assai  bene  messo  in  evidenza,  con  tutta 
una  lunga  serie  di  esperienze,  da  Pohl  e  Pringsheim  !),  ricerche 
che  han  condotto  a  stabilire  resistenza  di  due  specie  di  feno¬ 
meni  fotoelettrici:  il  fenomeno  normale  ed  il  fenomeno  se¬ 
lettivo. 

Nell'effetto  fotoelettrico  normale,  che  si  riscontra  in  tutti  i 
metalli,  il  numero  di  elettroni  emessi,  a  parità  di  luce  assorbita, 
è,  per  tutti  indistintamente  i  metalli,  indipendente  dall'orientazio- 
ne  della  vibrazione  elettromagnetica.  Nell'effetto  selettivo  invece, 
caratteristico  dei  metalli  alcalini,  e  limitato  ad  un  breve  inter¬ 
vallo  di  lunghezze  d'onda,  il  numero  di  elettroni  liberati  è  mag¬ 
giore  quando  il  vettore  elettrico  è  nel  piano  d'incidenza.  Nelle 
esperienze  di  Elster  e  Geitel  l'influenza  del  piano  di  polariz¬ 
zazione  era  dovuta  al  fatto  che  i  due  autori  sperimentavano  con 
luce  bianca,  cioè  proprio  nella  zona  di  lunghezza  d'onda  nella 
quale  si  determina  il  fenomeno  selettivo.  In  questi  metalli  l'ef¬ 


fetto  fotoelettrico  totale  può  essere  riguardato  come  la  sovrap¬ 
posizione  dei  due  fenomeni  con  questo  di  particolare  che  nel 
selettivo  il  numero  di  elettroni  liberato  dall'unità  di  energia  lu¬ 
minosa  è  però  molto  maggiore  di  quello  che  si  ha  con  effetto 


4)  Pohl  R.  und  Pringsheim  P.  —  Verh.  D.  Phis.  Ges.  Bd.  12  1910,  pag. 
349  — Bd.  12  1910,  pag.  682  —  Bd.  12  1910,  pag.  697  —  Bd.  12  1910,  pag. 
1039  — Bd.  13  1911,  pag.  219  — Bd.  13  1911,  pag.  474  —  Bd.  14  1912,  pag. 
46  — Bd.  15  1913,  pag.  Ili  —  Bd.  15  1913,  pag.  431. 


50  — 


normale.  La  fig.  4  si  riferisce  (Pohl  e  Pringsheim)  ad  una  lega 
Na-K  illuminata  obliquamente  e  l'intensità  è  quella  del  fascio 
incidente.  Per  la  luce  polarizzata  E±  (vettore  elettrico  perpen¬ 
dicolare  piano  incidenza)  l'effetto  cresce  rapidamente  al  decre¬ 
scere  della  lunghezza  d'onda  mentre  per  E||  si  ha  il  fenomeno 
di  massimo  corrispondente  ad  una  determinata  lunghezza  d'onda. 

Nell'ordine  d'idee  avanzato  da  Pohl  e  Pringsheim  sottraendo 
dall'  effetto  totale  l' effetto  normale  si  hanno  le  curve  indicate  nella 
fig.  5  che  mostrano  come  col  variare  dell'angolo  d'incidenza  lo 
effetto  aumenta  senza  che  vi  sia  però  uno  spostamento  della 
lunghezza  d'onda  corrispondente  al  massimo  (lunghezza  d'onda 
critica).  Da  ciò  si  comprende  come  nelle  esperienze  dell'HALL- 


wachs  *)  sul  potassio  il  massimo  non  appaia:  con  l'incidenza 
normale,  impiegata  da  questo  sperimentatore,  viene  difatti  a  man¬ 
care  ogni  componente  del  vettore  elettrico  perpendicolare  alla 
superficie  eccitata,  vettore  al  quale  sarebbe  dovuto  il  fenomeno 
selettivo. 

In  quanto  poi  alla  posizione  di  km  essa  si  sposta  verso  le 
lunghezze  d'  onda  più  brevi  col  diminuire  del  peso  atomico  dei 


l)  Hallwachs.  —  Ann.  Phys.  Voi.  30,  pag.  593,  1909. 


metalli  alcalini  mentre  diminuisce  la  grandezza  dell’  effetto  mas¬ 
simo  e  la  curva  assume  base  più  larga,  come  dimostrano  i  se¬ 
guenti  dati. 


Sostanze 

À,max 

Larghezza  della  zona 

di  effetto  selettivo 

Rb 

4700 

1800 

K 

4400 

2500 

K-Na 

3900 

2900 

K-Hg 

3800 

2900 

Na 

3400 

-a-  3200 

K  -  TI 

3000 

>  3200 

Li 

2800 

— 

Ba 

2800 

— 

E’  notevole  inoltre  considerare  che  nel  caso  di  amalgame 
di  sodio  e  di  potassio  non  si  ha  una  lunghezza  d'  onda  massima 
ciò  che  induce  a  credere  che  il  fenomeno  sia  un  fenomeno  di 
pura  risonanza  dell'  atomo  del  metallo  alcalino. 

Molti  sperimentatori,  specie  in  principio,  ritennero  che  ogni 
massimo  riscontrato  in  queste  curve  fosse  da  ritenere  dovuto  ad 
effetto  selettivo  :  le  esperienze  successive  hanno  confermato  l'ef¬ 
fetto  selettivo  solo  per  i  metalli  alcalini  mentre  negli  altri  casi 
è  escluso  che  il  massimo,  quando  lo  si  ottiene,  sia  di  natura 
selettiva.  Il  Richardson,  in  base  ad  induzioni  teoriche,  è  con¬ 
dotto  a  ritenere  che  le  sostanze  con  effetto  normale  debbano 
presentare  tutte  un  massimo  che  non  è  stato  notato  perchè  molto 
lontano  nell'  ultravioletto,  massimo  che  sarebbe  completamente 
indipendente  dallo  stato  di  polarizzazione  e  dall'  angolo  d'  inci¬ 
denza:  per  il  sodio  l'effetto  normale  avrebbe  un  massimo  a 
k  —  227  [api.  Pohl  e  Pringsheim  pensano  che  il  fenomeno  se¬ 
lettivo  sia  in  relazione  col  potere  riflettente  del  metallo.  Espe¬ 
rienze  sono  state  fatte  da  Mabel  K.  Erehafer  l)  sul  rapporto 


l)  Mabel.  Frehafer.  —  Phy.  Rev.  Voi.  15  pag.  110,  1920. 


52  — 


dei  poteri  riflettenti  del  K  e  del  Na  con  luce  polarizzata  nei 
due  piani  :  da  esse  si  rileva  che  per  entrambi  i  metalli  si  ha  un 

Eli 

massimo  ed  un  minimo  del  rapporto  g-j-  (riferito  al  fascio  ri¬ 
flesso)  per  le  lunghezze  d'  onda  rispettivamente  À  3650  U.  A. 
e  3341  :  per  il  sodio  i  valori  mostrano  che  la  variazione  del  po¬ 
tere  riflettente,  per  i  due  fasci  polarizzati  ad  angolo  retto,  cade 
proprio  nell' intervallo  nel  quale  corrisponde  il  massimo  dell’ef¬ 
fetto  selettivo,  ciò  che  non  si  verifica  per  il  potassio,  per  il  quale 
si  ha  solo  una  piccola  variazione  nella  curva,  in  corrispondenza 
a  À  4358,  ma  poco  netta  e,  come  nota  lo  stesso  A,  non  troppo 
sicura  avendo  questa  parte  del  diagramma  bisogno  di  ulteriore 
conferma  per  il  numero  insufficiente  di  punti  rilevati.  Gli  espe¬ 
rimenti  fatti  poi  con  film  sottili,  tanto  di  sodio  quanto  di  po¬ 
tassio,  non  hanno  indicata  alcuna  discontinuità  nei  fenomeni  di 
riflessione  ed  assorbimento  nella  zona  dell'  effetto  selettivo  la  cui 
natura  resta  perciò  ancora  oscura  e  senza  spiegazione. 

VI.  —  Emissione  fotoelettrica  dai  corpi  non  conduttori. 

Oggetto  di  alcune  interessanti  ricerche  è  stata  la  emissione 
di  elettroni  da  parte  di  sostanze  non  conduttrici. 

Generalmente  in  queste  esperienze  si  ricorre  ad  un  conden¬ 
satore  piano  ponendo  su  di  una  delle  lamine  una  lastra  della 
sostanza  da  esaminare.  Con  questo  dispositivo  Goldmann  e  Ka- 
landyk  2)  studiarono  Y  effetto  fotoelettrico  nello  zolfo  :  R.  Wei- 
ger  3)  sperimentò  con  altri  isolanti  quali  ad  esempio  la  ebonite, 
la  mica,  la  ceralacca  ed  il  vetro  che  mostrano  tutti  un'  assai  pic¬ 
cola  emissione  fotoelettrica  se  esposti  alla  luce  di  un  arco  a 
carbone. 

Più  complete  sono  invece  le  determinazioni  del  Kelly  *) 
fatte  con  un  dispositivo  analogo  a  quello  impiegato  da  Millikan 
nelle  sue  ben  note  esperienze  per  la  determinazione  del  valore 
di  e.  Il  particolare  condensatore,  usato  in  queste  determinazioni, 


2)  Goldmann  e  Kalandyk.  —  Ann.  Phys.  Bd.  36,  p.  589,  1911. 

3)  R.  Weiger.  — Ann.  Physik  Bd.  17,  p.  935,  1905. 

q  Kelly.  —  The  valency  of  photo  electrons  and  thè  Photo-electric  Pro- 
perties  of  some  insulators.  Physical  Review.  Voi.  16,  Ottobre  1920,  p.  260. 


—  53 


è  a  lamine  circolari  orizzontali,  distanti  circa  due  centimetri,  chiuso 
tutt*  intorno  da  una  striscia  di  ebonite  nella  quale  sono  oppor¬ 
tunamente  ricavate  delle  finestruole  una  per  l' illuminazione  della 
goccia,  T  altra  per  il  microscopio  di  osservazione  e  la  terza,  li¬ 
mitata  da  una  lamina  di  quarzo,  per  1'  entrata  delle  radiazioni 
eccitatrici.  Le  gocce  si  ottengono  portando  la  sostanza  allo  stato 
liquido,  oppure  in  soluzione,  e  polverizzandola  nella  camera  su¬ 
periore  del  condensatore.  Il  potenziale  impiegato  in  queste  espe¬ 
rienze  è  di  7000  Volta  e  la  carica  della  goccia,  fra  i  due 
piatti,  viene  regolata  a  mezzo  dell'azione  di  un  fascio  di  raggi  X. 

L’  equilibrio  viene  a  mancare  per  l'azione  della  luce  ultra- 
violetta  :  intercettandone  1'  entrata  non  appena  si  produce  la  va¬ 
riazione  nella  velocità  di  caduta,  dalla  conoscenza  di  questa 
variazione  si  ha,  applicando  metodi  noti,  il  valore  della  carica 
emessa. 

Il  Kelley  .  sperimentò  con  zolfo,  olio,  paraffina  e  ceralacca 
ottenendo  le  lunghezze  d' onda  limiti  dell’  effetto  fotoelettrico 
X  2400-2200  per  lo  zolfo,  l  2200  per  la  ceralacca,  1  2150  per 
l'olio  e  la  paraffina:  di  più  egli  notò  che  la  fotoemissione  dalle 
molecole  di  zolfo  e  ceralacca  risulta  di  un  singolo  elettrone  per 
ogni  emissione. 

Ricerche  di  tal  genere  hanno  un  grande  interesse  dal  punto 
di  vista  teorico  inquantochè  la  emissione  di  elettroni  dai  corpi 
cattivi  conduttori,  che  non  hanno  quindi  elettroni  liberi,  è  uno 
degli  argomenti  che  può  essere  portato  a  sostegno  della  ipotesi 
della  natura  atomica  dei  fotoelettroni.  Questa  ipotesi  è  ancora 
controversa:  non  è  però  controverso,  come  risulta  da  mie  espe¬ 
rienze  l)  che  nel  Selenio,  corpo  cattivo  conduttore  dell’elet¬ 
tricità  all'  oscuro,  la  conducibilità  prodotta  dalle  radiazioni  lu¬ 
minose  sia  dovuta  ad  elettroni  liberati  dalPatomo  con  le  modalità 
che  sono  caratteristiche  dei  fenomeni  di  risonanza. 


l)  Del  Regno,  W.  —  Sulla  natura  del  fenomeno  foto-elettrico  nel  Selenio. 
Nuovo  Cimento  Serie  VI.  Voi.  8,  Fascicolo  Ottobre  1914. 


—  54  — 

VII.  —  Influenza  della  temperatura  sulla  velocità 
massima  di  emissione. 

Anche  la  determinazione  della  velocità  massima  di  emissione 
in  rapporto  alla  temperatura  presenta  un  grande  interesse  teorico 
perchè  Tesservi  o  no  dipendenza  fra  la  detta  velocità  e  la  tem¬ 
peratura  è  criterio  per  stabilire  appunto  la  natura  del  fotoelet¬ 
trone  oggi  ancora  sconosciuta. 

Un'influenza  della  temperatura  sulla  velocità  di  emissione 
porterebbe  a  stabilire  T  ipotesi  che  gli  elettroni  espulsi  siano 
proprio  gli  elettroni  liberi  che  vagano  negli  spazii  intermoleco¬ 
lari  dello  strato  superficiale:  la  maggiore  forza  viva  che  essi 
acquistano  col  crescere  della  temperatura  sarebbe  tale  da  renderli 
più  facilmente  capaci  di  vincere  le  forze  del  doppio  strato  su¬ 
perficiale  del  metallo  e  liberarli  con  una  velocità  all'  esterno 
tanto  più  grande  quanto  maggiore  è  la  temperatura.  Qualora 
invece  i  fotoelettroni  altro  non  siano  che  gli  elettroni  atomici,  e 
s' intende  non  quelli  nucleari  ma  quelli  degli  strati  corticali,  è 
da  prevedere  una  indipendenza  della  velocità  di  emissione  dalla 
temperatura  la  cui  azione  nell' interno  dell' atomo  è  piccolissima 
se  non  del  tutto  nulla. 

Le  prime  esperienze  sull'argomento  presentano  la  più  gran¬ 
de  incertezza  sia  perchè  fatte  per  la  maggior  parte  nell'aria,  i  cui 
moti  convettivi  rendono  incerte  le  determinazioni ,  specie  se 
elettrometriche,  sia  perchè  le  sostanze  impiegate  non  erano  ac¬ 
curatamente  e  completamente  liberate  dai  gas  occlusi. 

Anche  ai  nostri  giorni,  pur  usando  tutte  le  precauzioni  che 
tali  delicatissime  esperienze  richiedono,  non  esclusa  quella  di  ope¬ 
rare  in  vuoti  altissimi,  non  pare  sia  possibile,  a  temperature  un 
poco  alte,  di  sceverare,  nelle  deviazioni  elettrometriche,  la  parte 
dovuta  alla  dispersione  naturale  da  quella  dovuta  all'effetto  fo¬ 
toelettrico. 

Le  migliori  determinazioni  restano  sempre  quelle  del  Mil¬ 
likan  0  che  ha  sperimentato  prima  sull'  alluminio,  spingendosi 


*)  Millikan  and  Winchester.  —  The  influence  of  temperature  upon 
photo-electric  effects.  Phil.  Mag.  Voi.  14,  p.  188,  1907. 


1 


—  55  — 


fino  alla  temperatura  di  348°,  ma  con  risultati  non  troppo  con¬ 
cordanti,  e  poi  su  di  undici  metalli  con  i  quali  ha  però  dovuto 
limitarsi,  per  avere  buoni  risultati ,  alla  temperatura  di  125°  :  a 
temperature  più  alte  la  perdita  naturale  del  sistema  costituito 
dalla  lamina  e  dall'elettrometro  (la  lamina  era  carica  a -20  Volta) 
diveniva  così  grande  da  mascherare  completamente  l'effetto  do¬ 
vuto  all'azione  della  luce,  ed  a  400°  l'elettrometro  disperdeva 
ugualmente  sia  una  carica  positiva  sia  una  carica  negativa.  I 
risultati  ottenuti  da  questo  sperimentatore  sono  indicati  nelle 
tabelle  seguenti  :  essi  portarono,  all'epoca  in  cui  vennero  otte¬ 
nuti,  alla  conclusione  che  nessuna  influenza  sul  potenziale  foto- 
elettrico  è  esercitata  dalla  temperatura  e  quindi  che  al  fenomeno 
non  prendono  parte  gli  elettroni  liberi. 


Valori  della  scarica  in  divisioni  della  scala 


25° 

35° 

40° 

50° 

65° 

80° 

100° 

125° 

Rame  .... 

25.10 

25.15 

25.20 

25.25 

25.00 

25.05 

24.80 

24.75 

Oro  .... 

24.70 

24.60 

24.55 

24.70 

24.80 

24.75 

24.40 

24.00 

Nichel.  .  .  . 

24.00 

23.96 

23.98 

23.90 

24.05 

23.90 

23.55 

23.40 

Ottone.  .  .  . 

23.80 

23.85 

23.95 

24.00 

23.85 

23.90 

23.40 

23.40 

Argento  .  .  . 

17.16 

17.20 

17.15 

17.20 

17.10 

17.00 

16.90 

16.77 

Ferro  .... 

16.40 

16.25 

16.30 

16.20 

16.36 

16.55 

16.15 

16.00 

Alluminio  .  . 

14.90 

15.00 

14.85 

14.86 

15.06 

14.90 

14.50 

14.55 

Magnesio .  .  . 

11.00 

11.12 

11.10 

11.05 

11.00 

10.97 

10.90 

10.90 

Antimonio  .  . 

4.00 

4.00 

4.10 

4.00 

4.00 

4.00 

3.90 

3.95 

Zinco  .... 

1.20 

1.30 

1.31 

1.35 

1.26 

1.20 

1.24 

1.10 

Piombo  .  .  . 

0.90 

0.90 

0.90 

0.88 

0.90 

0.90 

0.90 

0.90 

È  da  osservare  che  l'intervallo  assai  limitato  delle  tempe¬ 
rature  nel  quale  si  è  sperimentato  non  consente  di  asserire 
nulla  1'  influenza  della  temperatura  sul  potenziale  fotoelet¬ 
trico.  E’  noto  difatti  che  a  temperature  relativamente  basse, 
quali  quelle  raggiunte  dal  Millikan  ,  anche  i  fenomeni  di 
emissione  termoionica,  cioè  fenomeni  enormemente  più  cospicui 


—  56  — 


di  quelli  fotoelettrici,  essendo  essi  dipendenti  dagli  elettroni  li¬ 
beri  che  si  trovano  in  numero  grandissimo  nel  metallo,  hanno 


Potenziali  fotoelettrici 


26°  C. 

40° 

55° 

60° 

80° 

95° 

Argento .... 

1.340 

1.340 

1.342 

1.339 

1.338 

1.336 

Ferro  .... 

1.225 

1.224 

1.224 

1.230 

1.220 

1.219 

Oro . 

1.215 

1.217 

1.215 

1.214 

1.215 

1.213 

Ottone  .... 

1.174 

1.170 

1.180 

1.176 

1.181 

1.182 

Rame  .... 

1.135 

1.132 

1.130 

1.128 

1.126 

1.125 

Nichel  .... 

1.126 

1.126 

1.130 

1.130 

1.122 

1.130 

Magnesio  .  .  . 

0.839 

0.840 

0.840 

0.842 

0.835 

0.840 

Alluminio  .  .  . 

0.738 

0.738 

0.738 

0.735 

0.740 

0.738 

Antimonio .  .  . 

0.394 

0.395 

0.390 

0.395 

0.396 

0.390  . 

Zinco  .  .  .  . 

0.197 

0.197 

0.199 

0.192 

0.190 

0.188 

Piombo.  .  .  . 

0.0 

0.0 

0.0 

0.0 

0.0 

0.0 

valori  assai  piccoli.  Non  è  quindi  da  escludere  che  ad  alte  tem¬ 
perature  un'influenza  si  abbia  anche  per  questo  fenomeno,-  in¬ 
fluenza  che,  appunto  se  è  piccola,  potrà  essere  rilevata  solo  quan¬ 
do  venga  esplorato  un'intervallo  di  temperature  abbastanza  am¬ 
pio.  E,  solo  allo  scopo  di  aumentare  l'ampiezza  del  campo  delle 
temperature  esplorato,  si  presenta  utile  lo  studio  del  fenomeno 
dalle  temperature  dell'ambiente  a  quelle  inferiori  fino,  ad  esempio, 
alla  temperatura  dell'aria  liquida;  una  ricerca  come  quella  del 
Lienhop  l)  fatta  solo  nell’  intervallo  temperatura  ambiente-tem¬ 
peratura  dell’aria  liquida,  pur  presentando  un  notevole  interesse 
dal  punto  di  vista  sperimentale  è,  da  sola,  insufficiente  a  deci¬ 
dere  la  questione. 

Una  tale  indagine  va  dunque  ripresa  specie  oggi  che  lo 
stesso  Millikan,  avanzando  l’ ipotesi  che  i  fotoelettroni  siano 
proprio  gli  elettroni  liberi,  riconosce  la  necessità  di  una  revi¬ 
sione  di  tutte  le  esperienze  non  escluse  le  sue. 


—  57 


Vili.  —  Legge  di  Einstein  e 
determinazione  fotoelettrica  della  costante  di  PLANK. 

Le  esperienze  fatte  per  trovare  la  relazione  fra  potenziale 
fotoelettrico  e  frequenza  della  luce  eccitante  han  messo  in  ri¬ 
lievo  che,  qualora  tutte  le  cause  di  errori  nelle  determinazioni 
siano  eliminate,  si  ha  una  relazione  di  perfetta  proporzionalità 
fra  l'energia  massima  dell'elettrone  liberato  e  la  frequenza  della 
radiazione  eccitatrice.  Se  si  indica  graficamente  questa  relazione, 
nel  piano  frequenza  energia,  si  ha  una  retta,  e  la  tangente  del¬ 
l'angolo  che  essa  fa  con  l'asse  delle  frequenze  sta  ad  indicare  il 
valore  della  costante  h  della  formola  di  Plank,  mentre  il  suo 
punto  d’incontro  col  detto  asse  indica  la  frequenza  minima  ca¬ 
pace  di  liberare  un  elettrone  dalla  superficie  del  metallo,  frequenza 
che  viene  comunemente  indicata  col  nome  di  soglia  (threshold) 
dell'effetto  fotoelettrico. 

Nel  1905  Einstein  l)  ha  estesa  la  teoria  di  Plank  al  feno¬ 
meno  fotoelettrico  e  ritenendo  che  l’energia  di  un  fotoelettrone 
sia  appunto  il  quanto  di  luce  è  stato  condotto  a  stabilire  la 
formola 

Ve  =  hv  —  p  =  hv  —  V0e 

nella  quale  V  rappresenta  il  potenziale  fotoelettrico,  Ve  l’energia 
dell'elettrone  dopo  che  ha  abbandonato  il  metallo,  V0e  l'energia 
perduta  attraversando  il  metallo,  h  la  costante  di  PLANCk  e  v  la 
frequenza  della  luce  eccitante. 

Se  tutta  l'energia  del  fotoelettrone  è  spesa  nel  lavoro  ne¬ 
cessario  ad  attraversare  la  superficie  del  metallo,  avendosi  per 
tal  fatto  all'uscita  una  velocità  nulla,  la  relazione  precedente  di¬ 
venta: 

O  ==  hv0  -  V0  e  cioè  V0  e  =  hv0 

che  dà  il  valore  dell'  energia  necessaria  per  attraversare  la  su¬ 
perficie  del  metallo  ed  il  valore  v0  della  soglia  dell'effetto  foto- 
lettrico  per  il  particolare  metallo  in  esame. 


9  Einstein  A.  —  Ueber  eitien  die  Erzengung  und  Verwandlung  des  Li - 
chtes  betreffenden  heuristischen  Gesichtspunkt.  Ann.  Phys.  Voi.  17,  1905,  123. 


—  58  — 


Le  esperienze  del  Ramauser  ])  sono  le  uniche  che  appaiono 
in  disaccordo  con  le  precedenti  conclusioni  tratte  dalla  relazione 
di  Einstein:  in  base  ad  esse  non  vi  sarebbe  un  punto  d'incon¬ 
tro  della  linea  dei  potenziali  fotoelettrici  con  l'asse  delle  fre¬ 
quenze,  e  quindi  non  vi  sarebbe  una  soglia  dell'effetto  fotoelet¬ 
trico  caratteristica  per  ogni  metallo,  ma  si  avrebbe  per  tutte  le 
sostanze,  un  andamento  assintotico  tendente  a  zero. 

Millikan 1  2)  ha  fatto  una  disamina  accurata  di  questi  risultati 
mettendo  in  rilievo  il  fatto  che  la  mancanza  d'incontro  della 
detta  linea  con  l'asse  delle  frequenze  è  dovuta  al  non  avere 
eliminato,  in  dette  esperienze,  l'azione  di  radiazioni  di  lunghezza 
d'onda  più  piccole  di  quella  con  la  quale  si  determinava  volta 
per  volta  il  potenziale  fotoelettrico,  e  ciò  per  l’imperfezione  dei 
monocromatori  usati. 

Egli  che  nelle  prime  esperienze  aveva  irregolarità  del  tipo 
di  quelle  notate  dal  Ramauser  potè  avere  risultati  concordanti, 
nell'ordine  di  vedute  dell'EiNSTEiN,  impiegando  oltre  a  buoni  mo¬ 
nocromatori  opportuni  filtri.  Altro  perfezionamento  sperimentale 
usato  in  queste  ricerche  è  stato  quello  di  annullare  l'azione  di 
piccole  quantità  di  luce  che  arrivano  sempre  sulla  superficie 
interna  della  gabbia  di  Faraday,  destinata  a  raccogliere  gli  elet¬ 
troni  liberati  dalla  lamina  eccitata,  provocando  una  corrente,  per 
quanto  piccola,  antagonista  a  quella  diretta  che  dà  la  misura  del¬ 
l'effetto.  Ciò  egli  otteneva  usando  pel  rivestimento  interno  della 
gabbia  una  sostanza  con  una  soglia  fotoelettrica  molto  lontana 
nell'ultravioletto,  e  studiando  il  fenomeno  con  sodio,  potassio  e 
litio  che  sono  sensibili  alla  luce  ordinaria.  Con  questo  artificio,  la 
sostanza  impiegata  pel  rivestimento  è  l' ossido  di  rame,  il  Ka- 
desch  3),  allievo  del  Millikan,  ha  ottenuto  per  h  i  valori  di 


1)  Ramauser.  —  Ueber  eine  direkte  magnetiche  Methode  zur  Bestinu- 
MUNG  der  lichtelehtrischen  Geschwind igkeits verteilu n g .  Ann.  Physik.  Bd.  45, 
1914,  pag.  961.  Ueber  die  lichtelehtusche  Geschwindigkeitsverteilung  und  ihre 
Abhangigkeit  voti  der  Welleti  lànge.  Ann.  Physik.  Bd.  45,  1914  pag.  1120. 

2)  Millikan.  —  Einstein ’s  Photo electric  Equation  and  Contact  Electromo-- 
trice  Eorce.  Physical  Review.  Voi.  7,  pag.  18,  1916. 

3)  Kadesch.  —  The  energy  of  photo-electrons  from  Sodium  and  Potas- 
sium  as  a  function  of  thè  frequency  of  thè  incident  tight  Phys.  Rev.  Voi.  3, 
pag.  367,  1914. 


—  59  — 


6,16  X  IO"27  e  6,09  X  IO"27  rispettivamente  per  K  ed  Na:  le  espe¬ 
rienze  successive  del  Millikan  *),  estese  anche  al  litio,  hanno  dato 
i  valori  di  6,569  X  IO'27  per  il  sodio  e  6,584  X  IO'27  per  il  litio. 

IX.  —  Relazione  fra  forza  elettromotrice  di  contatto  di  due  metalli 
e  frequenze  limiti  dell'effetto  fotoelettrico. 

Alcune  considerazioni  teoriche  del  Milltkan *  2)  hanno  con¬ 
dotto  ad  un  altro  metodo  sperimentale  per  la  verifica  della  rela¬ 
zione  di  Einstein. 

Se  si  ammette  che  i  fotoelettroni  siano  gli  elettroni  liberati  dal- 
P  atomo  e  non  quelli  liberi  il  termine  p  dev'essere  la  somma  di  due 
termini  pì  e  p2:  il  primo  rappresenta  il  lavoro  necessario  a  staccare 
l'elettrone  dall'atomo  e  farlo  diventare  elettrone  libero,  il  secondo 
è  invece  il  lavoro  necessario  per  liberare  l'elettrone  dal  metallo. 

Ponendo  due  metalli  A  e  B  successivamente  dinnanzi  alla 
stessa  gabbia  di  Faraday  si  hanno  le  due  relazioni. 

per  il  metallo  A  (V  +  K)  e  ==  h  v  —  h  v0 

„  „  B  (V'  +  K')e  =  hv -hv0' 

nelle  quali  K  rappresenta  il  potenziale  di  contatto. 

Sottraendo  dalla  seconda  la  prima  si  ha 

(1)  K’-K=X(vo-v0')-(V’-V) 

che  dà  una  relazione  fra  la  forza  elettromotrice  di  contatto  i  po¬ 
tenziali  di  arresto  e  le  frequenze  limiti  dell'effetto  fotoelettrico, 
relazione  che  viene  verificata  sperimentalmente. 

Ponendo  inoltre 

per  il  metallo  A  (V  +  K)  e  =  hv  —  (pj  +  p2) 

»  „  B  (V'  +  K')  e  =  hv  —  (Pl*  +  p2') 

e  sottraendo  dalla  seconda  la  prima  si  ha 

(2)  (V’—  V)  +  (K1  —  K)=  -  PX 


9  Millikan,  A.  R.  —  A  direct  photo eie ctric  determination  of  Plank’s  “hin 
Phys.  Rev.  Voi.  7,  pag.  355,  1916. 

2)  Millikan  A.  R.  —  Einstein'’ s  photoelectric  equation  and  contacte  elee - 
tromotrice  force .  Phy.  Rev.  Voi.  7,  pag.  18,  1916. 


—  60  — 

Essendo  e  — 2  i  valori  dei  potenziali  intrinseci  Vsa  e  V'sb 

dei  due  metalli  ed  essendo  inoltre  VSa  —  V'sb  =  K'—  K  la  (2 
diventa 

(3)  V'  —  V  = 

Le  esperienze  fatte  da  Pages,  Kadesch  e  dallo  stesso  Mìl- 
likan  per  la  verifica  di  queste  forinole  hanno  condotto  ad  un  ri¬ 
sultato  inatteso  :  ponendo  due  metalli  successivamente  e  rapida¬ 
mente  davanti  alla  stessa  gabbia  di  Faraday  i  potenziali  di  arresto 
V  e  V'  risultano  uguali.  Per  tal  fatto  la  (1)  e  la  (3)  danno  ri¬ 
spettivamente 

K’  —  K  =  ~  (v0  —  V  o) 

Pi  =  Pi’ 

Non  potendosi  ammettere,  perchè  contrario  ad  un  gran  nu¬ 
mero  di  fatti  sperimentali,  che  il  lavoro  per  staccare  un  elettrone 
da  un  atomo  di  un  metallo  sia  lo  stesso  per  tutti  i  metalli,  biso¬ 
gnerà  ammettere,  per  la  validità  delle  relazioni  precedenti,  che  hv0 
rappresenti  per  -i  singoli  metalli  l'energia  necessaria  pel  distacco 
dell'elettrone  dal  metallo  stesso  e  quindi  che,  alla  stessa  tempe¬ 
ratura,  vi  sia  identità  fra  la  funzione  hv0  del  lavoro  fotoelettrico 
e  la  funzione  epe  del  lavoro  termoionico. 

Ammessa  intanto  una  tale  ipotesi  deriva  che,  o  1’  energia 
della  luce  incidente  può  essere  comunicata  all'elettrone  libero 
nella  quantità  data  da  un  quanto  intero,  oppure  che  1'  energia 
della  luce  incidente  non  è  assorbita  per  quanti  interi  ma  1'  as¬ 
sorbimento  continua  fino  a  che  l'elettrone  sia  in  grado  di  la¬ 
sciare  l'atomo  con  l’energia  hv,  la  maggiore  quantità  di  energia 
p  essendo  rappresentata  appunto  dal  lavoro  necessario  per  stac¬ 
care  1'  elettrone  dall'  atomo. 

A  questa  conclusione  arriverebbe  Barkla  con  le  sue  espe¬ 
rienze  con  i  raggi  X  ed  anche  il  De  Broglie  che  trova  elettroni 
con  energia  hv  -|-  a,  hv  -j-  b  etc....  per  quanto  egli  riconosca  che  i 
termini  additivi  siano  tanto  piccoli  di  fronte  ad  hv  da  essere  tra¬ 
scurabili. 

L'ipotesi  del  Barkla  condurrebbe  ad  ammettere  che  nel  me¬ 
tallo  possano  esservi  un  numero  infinito  di  frequenze  naturali 


—  61  — 


oppure  che  un  elettrone  in  un  atomo  sia  capace  di  assorbire  una 
quantità  di  energia  caratteristica  dell' atomo  ed  un'altra  che  è 
solo  caratteristica  del  raggio  incidente. 

Il  Millikan,  respingendo  questa  ipotesi,  è  propenso  ad  am¬ 
mettere  che  i  fotoelettroni  siano  gli  elettroni  liberi  ciò  eh'  è  in 
evidente  disaccordo  con  le  conclusioni  che  egli  traeva  dalle  sue 
esperienze  sulla  nessuna  influenza  della  temperatura  sui  poten¬ 
ziali  fotoelettrici,  esperienze  che  egli  stesso  riconosce  debbano  es¬ 
sere  rivedute.  Le  curve  che  danno  i  potenziali  fotoelettrici  con 
le  temperature  dovrebbero,  secondo  il  Millikan,  presentare  delle 
discontinuità  nei  punti  in  cui  agli  elettroni  liberi  si  cominciano 
ad  unire  anche  gli  elettroni  provenienti  dall'atomo. 

X.  —  Teorie  del  fenomeno  foto-elettrico* 

Le  principali  teorie  del  fenomeno  fotoelettrico  sono  tre  :  la 
teoria  dell'EiNSTEiN  i)  o  dei  quanti  di  luce,  la  teoria  del  Debye 
e  Sommerfeld  2)  o  dei  quanti  di  azione  ed  infine  la  teoria  del 
Richardson  3)  o  teoria  statistica. 

In  quanto  alla  prima,  come  abbiamo  già  visto,  essa  ha  buone 
conferme  sperimentali  e  non  v'ha  altra  difficoltà  ad  ammetterla 
oltre  quella  che  si  riferisce  alla  impossibilità  di  spiegare  con  la 
ipotesi  della  discontinuità  dell'energia  raggiante  i  ben  noti  feno¬ 
meni  dell'ottica  fisica. 

Le  teorie  del  Debye  e  del  Richardson,  per  quanto  essen¬ 
zialmente  diverse,  conducono  ad  espressioni  che  si  identificano 
con  quella  di  Einstein  senza  però  fare  alcuna  ipotesi  sulla  natura 
dell'energia  raggiante. 

Secondo  il  Debye  l'elettrone  costituirebbe  nell’atomo  un  ri¬ 
suonatore  capace  di  assorbire  l'energia  dal  campo  nel  quale  esso 

4)  L.  C. 

2)  Debye,  P.  -  Sommerfeld  A.  —  Theorie  des  lichteléktrischen  Efjettes 
Voti  Standpunkt  des  Wirkungs  quantum.  Ann.  physik.  Bd.  41,  pag.  873,  1913. 

3)  Richardson,  O.  W.  —  Some  applications  of  thè  electron  theory  of 
matter.  Ph.  Mag.  Voi.  23,  pag.  594,  1912. 

—  id.  id.  The  theory  of  photoelectric  action.  Phil.  Mag.  Voi.  24,  pag. 
570,  1912. 

—  id.  id.  Richardson  and  Compton.— 77z£  photoelectric  effect.  Phil. 
Mag.  Voi.  24,  pag.  575,  1912. 


—  62  — 


viene  a  trovarsi  immerso:  nel  caso  dell'effetto  fotoelettrico  dal 
campo  della  radiazione  luminosa  eccitante.  Esso,  per  l'energia 
assorbita,  si  libererebbe  dall'atomo  dopo  un  certo  tempo,  il  tempo 
necessario  ad  assorbire  un  quanto  di  azione  dato  in  valore 


h 

da— — in  cui  h  è  la  costante  di  Planck;  l'espressione  della 


2  Jt 


energia  sarebbe  poi  data  da 


r 


(i) 


o 


in  cui  r  è  il  tempo  di  azione  ed  H  la  differenza  fra  l'energia 
cinetica  e  l’energia  potenziale  dell'elettrone.  Si  avrebbe  quindi, 
secondo  il  Debye,  all'atto  della  liberazione  dell'  elettrone. 


r 


o 


L'energia  richiesta  per  liberare  l'elettrone  dalla  sostanza  non 
sarebbe  contenuta  nell'atomo  ma  nella  radiazione  eccitante  sulla 
cui  natura,  per  la  teoria  del  fenomeno,  non  occorre  fare  alcuna 
particolare  ipotesi  tanto  meno  quella  della  discontinuità  dell'e¬ 
nergia  ammessa  nella  teoria  dell'EiNSTEiN. 

Si  supponga  ora  l'elettrone  nell'atomo  legato  alla  sua  posi¬ 
zione  di  equilibrio  da  una  forza  -  fx,  cioè  contraria  allo  sposta¬ 
mento  x  e  proporzionale  ad  esso.  Se  l'elettrone  è  sollecitato  da 
una  forza  esterna,  dovuta  unicamente  all'onda  incidente  monocro¬ 
matica,  data  da 


e  F  ==  e  Ecosnt 


diretta  secondo  l'asse  delle  a:  (n  ==  pulsazione  ==  2jcv)  l'equazione 
del  movimento  dell'elettrone,  trascurando  ogni  smorzamento,  sarà 


mx"  =  eF  -  fx  =  e  Ecosnt  -  fx 


L'energia  cinetica  e  l'energia  potenziale  saranno  date  rispet¬ 
tivamente  da 


T  =  %  mx'2  U  ==  %  fx2 


—  63  — 


Sostituendo  ad  H  nella  (1)  il  valore 

T  -  U  ==  V2  mx’2  —  V2  fx 2  si  ha 

r  r 

(3)  W  =  /  ~  x'm  -  f-t  x2dt 

o  o 

Sviluppando  per  parti  il  primo  degli  integrali  si  ha 

r  r 

f'm  ,,  m  ,  /s  m  .... 
x'2dt=^-  x  x-  I  x^-x'dt 

o  o 

e  sostituendo  nella  (3) 

r 

(4)  W=~  x'x  -  -ì-  I  x(mx"  -  fx) dt 

o 

L'energia  dell'elettrone  è  rappresentata  da  una  curva  oscillante 
la  cui  ampiezza  va  da  zero  ad  un  massimo.  Se  W  deve  raggiungere 

il  valore  rappresentato  dal  quanto  di  azione  0 —  questo  deve 

Z  3T 

avvenire  nelle  vicinanze  di  un  massimo  perchè  in  caso  diverso  esso 
viene  a  corrispondere  al  massimo  dell'oscillazione  precedente. 

Per  W  massimo 


dW 

dt 


=  o  e  quindi  T  =  U 


cioè 


m 


•  ’2 


_  f 


fX2 


~r  x2  e  quindi  x'2  = 

2  m 


(5) 


Per  essere  la  pulsazione  dell'elettrone 


n0  =  2jevc 


V-L 

m 


la  (5)  dà  x'  =n0  x 


e  quindi  il  primo  termine  della  (4)  si  trasforma  in 


m  1  m  T 

—  XX  = - zr-  x  2  —  -  — 

2  n0  2  n0 


cioè  il  primo  termine  dell'espressione  di  W,  e  che  corrisponde  al 
tempo  r  poiché  è  nullo  per  t  =  o  (x  =  x’  =  o),  è  dato  dall'energia 


—  64  — 

cinetica  dell'elettrone  dopo  il  tempo  di  accumulo  r  divisa  per  la 
sua  pulsazione  n0. 

Essendo 


h 


2  JT 


T-_  _  jl  / 

n0  2  J 


xFdt 


si  avra 


Tr  =  hx)0  +  f  JcFdt  (6) 

O 

che  dà  il  valore  dell'energia  cinetica  dell'elettrone  quando  esso 
viene  emesso  dalla  sostanza.  Nel  caso  della  risonanza  pura  si  di¬ 
mostra  che  il  secondo  termine  della  (6)  si  annulla  e  quindi  per 
l'energia  dell’elettrone  si  ha  il  valore 

T  =  hv0  =  hv 


In  questa  espressione,  come  in  quella  di  Einstein,  non  com¬ 
pare  l'intensità  della  radiazione  incidente  che  influisce  solo  sul 
valore  di  r.  Quando  invece  non  si  ha  la  risonanza  pura,  se  n  >n°, 
1'emissione  fotoelettrica  ha  luogo  con  un’energia  Tr  <hv0<hv; 
se  n<n0,  non  si  verifica  in  generale  l'accumulo  di  un  quanto  di 
azione  e  quindi  non  si  ha  emissione  fotoelettrica.  Da  questa  teo¬ 
ria  scaturisce  dunque  anche  un'  influenza  della  sostanza  eccitata, 
ciò  che  non  si  ha  nella  teoria  dell'EiNSTEiN,  influenza  che  porta 
alla  esistenza  di  un  massimo  per  tutte  le  sostanze  com'è  preve¬ 
duto  per  altra  via,  teoricamente,  dal  Richardson. 

In  questa  teoria  il  Richardson  considera  una  cavità  nell'in¬ 
terno  della  sostanza  mantenuta  a  temperatura  costante:  nelle 
condizioni  di  equilibrio  il  numero  di  elettroni  che  in  un  deter¬ 
minato  tempo  dall'atmosfera  di  elettroni,  che  riempie  la  cavità, 
entrano  nella  sostanza  attraverso  la  superficie,  è  uguale  al  numero 
di  elettroni  che  vengono  emessi  dalla  superficie  per  effetto  della 
radiazione  totale  che  agisce  fotoelettricamente. 

Il  numero  di  elettroni  contenuto  per  ogni  cm3  dall'atmosfera 


—  65  — 


di  elettroni  che  riempie  la  cavità  considerata  è  funzione  della 
temperatura  alla  quale  essa  si  trova  ed  è  dato  da 

J  "  RT-  dT 

n  =  Ae 

in  cui  A  è  una  costante  che  dipende  dalla  natura  della  sostanza, 
R  è  la  costante  dei  gas  e  si  riferisce  ad  un  singolo  elettrone 
dimodoché  l'energia  cinetica  di  un  elettrone  alla  temperatura  T 
è  data  da  3/2  R  T  ed  w  è  il  calore  latente  di  evaporazione  di  un 
elettrone  dalla  sostanza,  calore  che  è  dato  dalla  somma  di  due 
termini,  uno  w0  equivalente  al  lavoro  fatto  per  vincere  le  forze  di 
richiamo  da  parte  della  sostanza  e  l'altro  equivalente  all'energia 
cinetica  posseduta  aall'elettrone. 

Dalla  teoria  cinetica  dei  gas  risulta  che  il  numero  di  elettroni 
che  da  quest'atmosfera  arriva  alla  superficie  della  parete  che 
limita  la  cavità,  per  secondo,  è  dato  da 

j_ 

N  ==  (3n  T  2 

e  quindi 

,  dT  &  \ 

N  =  pATTe 

e  sostituendo  ad  co  il  suo  valore  si  ha 

-  CDo 

N  =  A,re~RT 

Questo  è  il  numero  di  elettroni  che,  nelle  condizioni  di 
equilibrio,  dev'essere  eguale  al  numero  di  elettroni  emessi.  Con¬ 
siderando  la  densità  dell'energia  raggiante  nell'intervallo  di  fre¬ 
quenze  dv  e  supponendo  che  essa  sia  rappresentata  da  una  fun¬ 
zione  E  della  temperatura  e  della  frequenza  (nei  calcoli  per  le 
verifiche  sperimentali  il  Richardson  impiega  o  la  formola  diWiEN 
o  quella  del  Plank)  la  quantità  di  questa  energia  che  viene  as¬ 
sorbita  è  data  da 

~  sE(vT)dv 


—  66  - 


nella  quale  c  rappresenta  la  velocità  della  luce  ed  s  è  remissività 
della  sostanza. 

Se  si  ammette  che  il  numero  di  elettroni  emessi  dalla  super¬ 
ficie  per  l'eccitazione  della  radiazione  è  proporzionale  alla  quantità 
di  energia  elettromagnetica  assorbita,  e  se  F  (vT)  indica  il  nu¬ 
mero  di  elettroni  emessi  dall'unità  di  area  della  superficie  quando, 
attraverso  di  essa,  passa  l'unità  di  quantità  di  energia  raggiante 
di  frequenza  v,  il  numero  totale  di  elettroni  emessi  nell'unità  di 
tempo  dalla  radiazione  totale  è 

00 

r*> 

sF(vT)E(vT)dv. 

O 


Nelle  condizioni  di  equilibrio  si  ha 

<»  —  03  o 

-—■I  eF(vT)E(vT)dv  =  A1T2e”Rr 

O 

che,  quando  per  E  (vT)  si  assuma  la  formula  di  Wien  diventa 

°°*  -hv  -  co0 

T  '~ir§l  ®F(vT)hv3e~Sr  dv  =  A2T2e^r 

O 

che  ammette  come  soluzione 


(a)  eF(vT)  =  o  quando  o<hv<co0 

COo 
hv 

Essendo  co0  =  hv0  dalla  prima  delie  (a)  risulta  che  manca  la 

emissione  fotoelettrica  per  frequenze  minori  di  cioè  minori 

di  v0  (soglia)  e  ciò  in  accordo  ai  risultati  sperimentali. 

Inoltre  se  Tv  è  l'energia  cinetica  media  di  un  elettrone  libe¬ 
rato  dalla  luce  di  frequenza  v,  l'energia  totale  di  tutti  gli  elettroni 
emessi  sarà 

co 

E  =  -j- /TveF(vT)E(vT)dv 


) 


per  co0<hv<oo 


sF(vT)  = 


_Ah_ 

R2V2 


( 


—  67  — 


L'energìa  che  arriva  al  metallo  a  causa  dell'agitazione  termica 
degli  elettroni  interni  è  data  da  2NRT  per  secondo.  Se  non  vi  è 
riflessione  si  ha 

oo  -hv  -hv 

f  TveF(vT)hv3e_5r"  dv  =  2A2RT3e  RT 

O 

Con  i  valori  della  (a)  si  ricava 

Tv  =  hv-o)0  per  co0<hv<oo 

formola  che  si  identifica  con  quella  di  Einstein  senza  che  vi  sia 
stata  necessità  di  ammettere  una  particolare  struttura  dell'energia 
incidente. 

L'esame  della  relazione  (a)  dice  inoltre  che  la  emissione  foto- 
elettrica  invece  di  crescere  indefinitamente  raggiunge  un  valore 
massimo  in  corrispondenza  al  valore  della  frequenza  v=3/2v0 

Ciò  può  essere  sottoposto  al  controllo  sperimentale  per  quanto 
non  sia  possibile  nelle  esperienze  realizzare  le  condizioni  teori¬ 
che  assai  semplici  messe  a  base  dei  calcoli:  del  resto,  anche  quan¬ 
do  ciò  fosse  possibile,  bisogna  tener  presente  che  le  funzioni 
indicate  sono  soluzioni  del  problema  ma  non  soluzioni  complete. 
Esse  indicano  che  la  funzione  ha  la  stessa  forma  per  tutte  le  so¬ 
stanze,  la  caratteristica  deila  sostanza  entrando  semplicemente 
nel  valore  particolare  di  v0  cioè  della  soglia  fotoelettrica  del 
metallo. 

A  verificare  la  detta  relazione  Compton  e  Richardson  l)  spe¬ 
rimentarono  con  Pt,  Al,  Na  e  Cs  con  luci  monocromatiche  di 
frequenze  differenti.  I  risultati  ottenuti  per  l'alluminio  ed  il  Na 
(vedi  fig.  6a  e  fig.  7a  a  pag.  seguente)  indicano  un  valore  del 
massimo  che  è  più  netto  di  quello  presentato  dalla  curva  costruita 
in  base  ai  dati  teorici:  vi  è  però  accordo  fra  i  due  massimi. 

In  quanto  al  sodio  la  curva  sperimentale  presenta  due  mas¬ 
simi  ben  definiti  ed  un  andamento  molto  diverso  da  quello  teorico. 
Il  Richardson  è  condotto  a  ritenere  la  (a)  come  un'espressione 


4)  Compton  and  Richardson. — The  photoelectric  effect.  Phil.  Mag.  Voi. 
26,  pag.  549,  1913. 


—  68  — 


incompleta  della  e  F  (v  T)  che  lascia  prevedere  la  lunghezza  d'onda 
della  soglia  ed  il  primo  dei  massimi  :  l'altro  massimo  sarebbe 
dato  da  un'altro  termine  che  completerebbe  l'espressione  di 


Fig.  6. 


gF  (v  T).  Ciò  significa  che  anche  per  gli  altri  metalli  vi  è  l’altro 
massimo  ma  esso  capita  troppo  oltre  nell'ultravioletto  per  poter 
essere  determinato. 


—  69  — 


PARTE  SPERIMENTALE 


Relazione  fra  comportamento  fotoelettrico  e  comportamento  elastico 

dei  metalli. 

Nella  vasta  letteratura  sul  fenomeno  fotoelettrico  non  ho 
trovato  traccia  di  ricerche  intese  a  stabilire  una  possibile  dipen¬ 
denza  fra  fenomeno  fotoelettrico  e  stato  particolare  di  tensione 
dei  diversi  metalli  sottoposti  all'azione  della  luce. 

Questa  indagine  ho  voluto  tentare  sia  per  interesse  che 
presenta  in  sè,  sia  perchè  essa  si  collega  a  tutto  un  complesso 
di  ricerche  che,  con  indirizzo  unico,  da  diversi  anni  e  da  diversi 
sperimentatori,  si  eseguono  nell'  Istituto  di  Fisica  Sperimentale 
della  R.  Università  di  Napoli. 

Questa  parte  del  presente  lavoro,  unitamente  ai  risultati  della 
mia  precedente  ricerca  sulla  natura  del  fenomeno  fotoelettrico 
nel  Selenio  *)  rappresenta  il  contributo,  di  carattere  sperimen¬ 
tale,  portato  dall'A.  alle  nostre  attuali  conoscenze  sul  fenomeno 
fotoelettrico. 


Dispositivo  sperimentale  impiegato» 

Il  dispositivo  impiegato  nello  studio  che  mi  sono  proposto 
è  il  seguente: 

La  lamina  sulla  quale  si  sperimenta  è  in  comunicazione  con 
una  delle  coppie  dei  quadranti  di  un  elettrometro  tipo  Doleza- 
lek  che  può  essere  anche  messa  a  terra.  L'altra  coppia  di  qua¬ 
dranti  è  messa  stabilmente  a  terra  mentre  l'ago  si  carica  ad  un 
potenziale  determinato,  servendosi  di  una  piccola  batteria  di 
elementi  Kruger  tale  da  aversi  nelle  condizioni  di  ciascuna  espe¬ 
rienza  una  conveniente  sensibilità. 

Di  fronte  alla  lamina,  alla  distanza  di  qualche  millimetro,  è 
posta  una  griglia  metallica  che  trovasi  in  ccmunicazione  con  il 
polo  positivo  di  una  piccola  batteria  di  accumulatori  di  cui  l'al- 
tro  polo  è  a  terra.  La  sorgente  luminosa  è  costituita  da  una 
lampada  a  vapori  di  mercurio  tipo  Heraeus:  i  raggi  luminosi 


l)  L.  C. 


—  70  — 


sono  concentrati  sulla  lamina  a  mezzo  di  una  lente  di  quarzo  e 
possono  essere  intercettati  con  la  chiusura  di  una  finestruola 
portata  da  un  opportuno  schermo:  la  distanza  fra  lampada  e 
lamina  risulta  in  queste  condizioni  di  m.  0,50. 

La  lamina  è  fissata  ad  un  pezzo  ad  U  rovescio  che,  me¬ 
diante  grosse  viti,  è  unito  ad  una  sbarra  fissa  di  legno  :  le  viti 
penetrano  in  due  grossi  cilindri  di  ebollite  intasati  nella  sbarra. 
La  parte  superiore  della  lamina  è  stretta  fra  due  lastre  di  ebo- 
nite  in  modo  che  il  passaggio  delle  viti  non  stabilisca  contatto 
della  lamina  col  sostegno  ad  U  che  è  metallico  e  propriamente 
di  ottone.  La  parte  inferiore  poi  della  lamina  è  stretta  in  un 
pezzo  simile  a  quello  superiore:  per  fare  in  modo  che  la  lamina 
si  conservi  sempre  alla  stessa  distanza  dalla  griglia  in  tutto  il 
corso  delle  esperienze,  e  specie  quando  si  applica  il  carico,  il 
sostegno  è  fatto  come  si  è  detto  ad  U  rovescio,  dimodoché  le 
colonnine  possono  fare  da  guida.  A  questo  pezzo,  mediante  un 
gancio  che  passa  pel  centro  ,  viene  sospesa  una  grossa  rotella  di 
ebonite  sulla  cui  gola  passa  un  filo  rivestito  d' isolante  che  porta 
all'estremo  il  piatto  dei  carichi  messo  stabilmente  in  comunica¬ 
zione  col  suolo. 

Non  v'ha  dubbio  che  la  lamina  metallica,  stretta  fra  le  quattro 
lastrine  di  ebonite  ai  due  estremi,  sia  completamente  isolata  dal 
sostegno  metallico  :  questo  per  altro  è,  a  sua  volta,  bene  isolato 
dal  suolo  perchè  alla  parte  superiore  è  avvitato  nei  cilindri  di 
ebonite  portati  dalla  sbarra  di  legno  ben  secco,  ed  alla  parte  in¬ 
feriore  è  separato  dal  piatto  dei  carichi  a  mezzo  della  grossa  ro¬ 
tella  di  ebonite.  Con  questo  dispositivo  viene  a  mancare  ogni 
dubbio  circa  possibili  effetti  di  variazioni  di  potenziale  dovute  a 
variazioni  di  capacità  elettrica  prodotte  dalle  variazioni  del  carico, 
ed  inoltre  quando,  per  una  causa  qualunque,  venga  a  difettare  o 
addirittura  a  mancare  l'isolamento  fra  carico  e  sistema  portante 
la  lamina,  se  ne  ha  indizio  dalla  mancata  indicazione  dell'elet¬ 
trometro. 

Nella  tema  che  l'applicazione  del  carico  avesse  a  produrre, 
con  lo  spostamento  del  pezzo  inferiore  del  sostegno  per  rispetto 
alle  colonnine,  una  piccola  elettrizzazione  per  strofinio,  ogni 
qualvolta  si  variavano  i  carichi  l'intero  sostegno  veniva  messo 
a  terra. 


—  71 


Le  esperienze  sono  state  condotte  nel  seguente  modo. 

Portata  la  lampada  a  regime  costante  e  tenendo  la  lamina  a 
terra  si  apriva  la  finestruola  in  modo  da  dar  passaggio  ai  raggi  lu¬ 
minosi:  rapidamente  veniva  tolta  la  comunicazione  della  lamina 
col  suolo  facendo  contemporaneamente  scattare  un  conta  secondi. 
Le  letture  venivano  fatte  ad  intervalli  di  un  primo  fino  ad  aversi 
un  potenziale  costante  sotto  razione  della  luce.  Chiusa  la  fine¬ 
struola  e  rimessa  a  terra  la  lamina,  si  applicava  il  carico  e  poscia 
si  ripeteva  l'esperienza  in  modo  analogo  notando  il  nuovo  valore 
del  potenziale  raggiunto  dalla  lamina.  Per  tal  modo  di  speri¬ 
mentare  non  v'ha  dubbio  che  l'effetto  differenziale,  malgrado  si 
operi  nell'aria,  sia  dovuto  unicamente  alla  variazione  di  tensione 
della  lamina. 

In  tutte  le  esperienze  veniva,  a  brevi  intervalli  di  tempo, 
controllata  la  sensibilità  dell'  elettrometro  con  uria  pila  cam¬ 
pione  tipo  Weston  che  si  riuscì  ad  avere  costante  per  tutto  il 
tempo  di  un'esperienza  e  per  diversi  giorni  consecutivi. 

Le  lamine  cimentate  si  sono  sempre  caricate  positivamente: 
tutte  le  curve  dei  potenziali  ottenute,  malgrado  i  tempi  non  pic¬ 
coli  di  esposizione,  mostrano  una  regolarità  che  assicura  dell'as¬ 
senza  di  qualsiasi  causa  disturbatrice  dovuta  ad  azioni  sia  elet¬ 
trostatiche  sia  termiche.  Per  quanto  si  dimostrasse  superflua  pure 
non  si  mancò  di  operare  la  verifica  della  natura  dell'  effetto  : 
intercettando  i  raggi  luminosi  con  un  vetrino  l'elettrometro  ri¬ 
maneva  a  zero. 

Risultati  ottenuti. 

Da  uno  studio  preliminare  da  me  fatto  con  una  lamina  di 
nichel  isolata,  messa  a  piccola  distanza  da  una  griglia  portata  a 
potenziali  diversi,  risulta  che  in  corrispondenza  alla  stessa  inten¬ 
sità  luminosa  ed  alla  stessa  distanza  fra  lamina  e  griglia,  l'indi¬ 
cazione  data  dall'elettrometro,  pel  potenziale  della  lamina,  va  au¬ 
mentando,  per  quanto  sempre  meno  rapidamente,  con  l'aumentare 
del  potenziale  della  griglia.  Difatti,  come  si  rileva  dallo  specchietto 
a  pagina  seguente,  mentre  passando  da  +  4  Volta  a  +  12  Volta  pel 
potenziale  di  griglia  con  un'  illuminazione  corrispondente  a  2 
ampère  per  la  corrente  di  alimentazione  della  lampada,  l'aumento 


—  12  — 


di  potenziale  della  lamina  è  di  1,96  Volta,  passando  da  +  12  a 
+  100  Volta  l'aumento  è  solo  di  1,42  Volta:  per  Tilluminazione 
corrispondente  a  3  ampère  per  la  corrente  di  alimentazione,  lo 
effetto  è  più  cospicuo  avendosi  prima  un  aumento  di  Volta  3,13 
e  poi  di  Volta  0,86. 

Poiché,  come  risulta  dalle  indagini  del  Thomson,  con  lo 
aumento  dell'intensità  del  campo,  al  fenomeno  fotoelettrico  viene 
a  sovrapporsi  quello  dovuto  alla  ionizzazione  per  urto  nello 
spazio  che  intercede  fra  la  lamina  e  la  griglia,  e  dato  l'assai  pic¬ 
colo  aumento  del  potenziale  raggiunto  dalla  lamina  in  corrispon¬ 
denza  ad  un  aumento  di  potenziale  al  di  là  dei  12  Volta,  ho,  in 


Intensità  corrente 
della  lampada 

+  4  Volta 

+  8  Volta 

+  12  Volta 

+  100  Volta 

2  ampère 

0,95 

1,41 

2,91 

4,33 

3  ampère 

2,79 

4,16 

5,92 

6,78 

tutte  le  mie  esperienze,  nelle  quali  ho  quasi  sempre  impiegato 
1'  illuminazione  con  la  corrente  di  2,5  ampère  della  lampada, 
portata  la  griglia  al  potenziale  di  12  Volta. 

Le  lamine  da  me  sperimentate  presentano,  illuminate  la  pri¬ 
ma  volta,  una  sensibilità  che  diminuisce  in  principio  rapidamente 
con  le  successive  illuminazioni  e  poi  in  seguito  più  lentamente 
e  con  modalità  diverse  che  sono  dipendenti  dal  particolare  av¬ 
vicendarsi  delle  eccitazioni  luminose  e  dei  processi  meccanici  ai 
quali  la  lamina  è  sottoposta.  L'andamento  assai  regolare  indicato 
dalla  tabella  a  pagina  seguente  si  riferisce  ad  una  lamina  di  rame 
fortemente  ricotta  e  trattata  poi  con  smeriglio:  illuminata  la  prima 
volta  ho  avuto,  con  le  successive  illuminazioni  sempre  nelle  stesse 
condizioni  e  separate  da  un  intervallo  di  cinque  minuti  di  riposo, 
una  rapida  accomodazione  fotoelettrica  con  un  potenziale  finale 
che  può  ritenersi  il  potenziale  della  lamina  nelle  condizioni  ini¬ 
ziali  perchè  si  ritrova  anche  dopo  aver  cimentata  la  lamina  per 


—  73  — 


circa  quattro  ore  con  carichi  diversi  e  dopo  averla  lasciata  in 
riposo  per  quindici  ore. 


V 

2' 

3' 

4' 

5' 

15' 

Volta 

la 

illuminazione 

405 

498 

522 

529 

530 

514 

+  8.30 

2a 

« 

.  375 

455 

482 

490 

491 

482 

+  7.79 

3a 

» 

342 

425 

450 

460 

462 

456 

+  7.36 

4a 

» 

325 

407 

432 

440 

444 

451 

+  7.28 

5a 

il 

328 

409 

438 

447 

451 

451 

+  7.28 

Intensità  di  corrente  della  lampada:  Ampère  2.5. 
Potenziale  della  griglia:  12  Volta. 


Per  quanto  lavorassi  in  aria,  con  lampada  a  mercurio  e  quindi 
in  atmosfera  assai  ricca  di  ozono,  non  ho  avuto,  come  indica 
qualche  autore,  effetti  quasi  immediati  di  notevole  fatica  fotoe¬ 
lettrica.  Ho  potuto  constatare,  e  ciò  si  rileva  nelle  esperienze 
riportate,  che,  successive  identiche  illuminazioni  producono,  in 
generale,  una  piccola  diminuzione  dei  valori  dei  potenziali  rag¬ 
giungendosi  in  molti  casi,  dopo  due  o  tre  illuminazioni,  valori 
quasi  costanti.  Per  tale  ragione  quando  s'intende  mettere  in  evi¬ 
denza  razione  del  carico,  e  quando  quest'azione  è  piccola  e  nel 
senso  di  una  diminuizione,  occorre  iniziare  1'  esperienza  solo 
dopo  una  serie  di  illuminazioni,  a  lamina  scarica,  nelle  identiche 
condizioni  di  luce  in  modo  o  da  aver  raggiunto  il  potenziale 
costante  o  da  conoscerne  la  velocità  di  variazione.  Occorre 
quindi,  oltre  che  per  altre  ovvie  ragioni,  che  la  lampada  abbia 
un'intensità  luminosa  costante,  ciò  che  si  è  raggiunto  assai  bene 
nelle  mie  esperienze  usando  una  batteria  di  accumulatori  sem¬ 
pre  ben  carica,  mantenendo  la  lampada  sempre  accesa  anche 
nei  periodi  di  riposo  delPesperienza,  perchè  se  occorre  del  tempo 
per  raggiungere  un  certo  regime,  questo,  una  volta  stabilito,  si 
mantiene  anche  per  lunghe  ore,  e  finalmente  eliminando  la  luce 
dovuta  ad  uno  degli  estremi  del  bastone  luminoso  che  non 
cessa  mai,  per  quanto  si  possa  ridurre,  di  presentare  un  leg- 


—  74  — 


giero  tremolio.  Dato  inoltre  il  non  breve  periodo  di  funziona¬ 
mento  della  lampada  in  una  serie  di  esperienze,  un'influenza  del 
riscaldamento,  e  quindi  una  variazione  dell'intensità  luminosa, 
si  ottiene  qualora  si  usi  la  lampada  nelle  condizioni  di  massima 
luminosità.  Io  ho  preferito  ridurre  l'intensità  della  corrente  a 
2.5  ampère,  mentre  la  lampada  poteva  lavorare  fino  a  3.5  ampère, 
e  guadagnare  d'intensità  luminosa  avvicinando  al  massimo  la  sor¬ 
gente  alla  lamina  e  concentrando  la  luce  con  una  lente  di  quarzo. 

Per  ora,  volendo  sopratutto  assodare*  1'esistenza  del  feno¬ 
meno,  ho  sperimentato  solo  su  due  metalli,  il  rame  ed  il  nichel 
con  i  quali  è  possibile  avere  buone  superficie  quasi  inalterabili 
all'aria:  per  ottenere  condizioni  di  isotropia,  trattandosi  di  me¬ 
talli  laminati,  li  ho  ricotti  e  poscia  trattati  con  carta  smeriglio 
sottile  e  lavati  con  benzolo,  alcool  ed  acqua  distillata. 

In  tutte  le  mie  esperienze  ho  avuto  costantemente 
verificata  l'influenza  del  carico. 

La  tabella  la  e  la  tavola  la  si  riferiscono  ad  una  lamina  di 


Tabella  l.a  Nichel  Carico  5  Kg. 


Tempo 

scarica 

carica 

scarica 

carica 

scarica 

carica 

V 

188 

200 

180 

198 

181 

197 

2' 

259 

310 

247 

295 

253 

293 

3' 

285 

366 

270 

338 

278 

341 

4' 

297 

392 

278 

358 

287 

364 

5’ 

299 

402 

280 

368 

291 

379 

6’ 

299 

409 

280 

371 

294 

387 

r 

299 

411 

281 

374 

295 

393 

8’ 

299 

412 

280 

376 

298 

392 

9’ 

299 

413 

280 

376 

299 

390 

10’ 

— 

413 

280 

376 

299 

387 

+  5.75 

+  7.94 

+  5.38 

f  7.23 

+  5.75 

+  7.44 

Intensità  corrente  della  lampada  :  Ampère  2.5. 
Tensione  della  griglia:  Volta  12. 


-  75  — 


nichel  solo  leggermente  ricotta.  Essa  è  stata  di  seguito,  alterna¬ 
tivamente,  caricata  e  scaricata  con  un  carico  di  5  kg.,  ottenen¬ 
dosi  sempre,  nella  trazione  un  aumento,  e  nella  detrazione  una 
diminuzione  del  potenziale.  Inoltre  la  variazione  relativa  del  po¬ 
tenziale  per  effetto  del  carico,  che  la  prima  volta  è  0,38,  diventa 
più  piccola  nei  cicli  successivi:  si  ha  difatti  pel  secondo  ciclo  il 
valore  0,34  e  pel  terzo  0,29  ciò  che  indica  un  piccolo  effetto  di 
fatica  fotoelettrica.  La  tabella  2a  si  riferisce  sempre  alla  stessa 


Tabella  2.a  Nichel  Carico  5  Kg. 


Tempo 

Carica 

Carica 

Scarica 

Carica 

Scarica 

Carica 

V 

120 

120 

114 

110 

108 

107 

2' 

203 

213 

193 

190 

177 

165 

3' 

255 

277 

232 

250 

210 

199 

4' 

288 

327 

254 

286 

225 

220 

5' 

309 

355 

268 

317 

232 

231 

6' 

321 

375 

278 

335 

239 

238 

:  r 

327 

374 

284 

348 

245 

240 

8' 

330 

375 

287 

359' 

247 

242 

9' 

341 

375 

290 

365 

236 

243 

10' 

350 

382 

289 

368 

234 

242 

11' 

361 

392 

288 

370 

228 

242 

12' 

367 

393 

287 

371 

222 

242 

13' 

371 

386 

284 

372 

220 

242 

14' 

377 

376 

282 

373 

218 

242 

15' 

380 

364 

282 

373 

217 

242 

+  6.67 

+  6.38 

+  4.94 

+  6.54 

+  3.81 

+  4.24 

Intensità  della  corrente  della  lampada  =  2.5  Ampère 
Tensione  della  griglia  =  Volta 


lamina  sulla  quale  si  è  voluto  esagerare'  l’effetto  di  fatica  fa¬ 
cendola  rimanere  con  la  tensione  corrispondente  al  carico  ap¬ 
plicato  di  5  kg.  per  la  durata  di  45'.  Le  due  serie,  fatte  con  la 


—  76  — 


làmina  in  queste  condizioni  nei  primi  e  negli  ultimi  15',  danno 
un  valore  poco  diverso  del  potenziale  con  una  leggera  dimi¬ 
nuzione  del  secondo  rispetto  al  primo:  le  serie  fatte  successi¬ 
vamente,  caricando  e  scaricando  la  lamina,  confermano  l'influenza 
del  carico  sul  potenziale  ed  il  segno  della  variazione.  Solamente 
in  questo  caso  si  nota  l'influenza  della  fatica  prodotta  sulla  la¬ 
mina  perchè  la  variazione  relativa  del  potenziale  scende  rapida¬ 
mente,  da  un  ciclo  all'altro,  da  0,32  a  0,11. 

Cimentando  questa  stessa  lamina  con  un  carico  maggiore 
si  è  avuta  l' inversione  del  segno  della  variazione  così  come 
nelle  esperienze  del  Cantone  ed  altri,  col  crescere  del  carico,  si 
ha  prima  una  diminuizione  e  poi  un  aumento  della  resistenza 
elettrica  specifica. 

La  tabella  3a  e  la  tavola  2a  si  riferiscono  al  carico  appli- 


Tabella  3.a  Nichel  Carico  7  Kg. 


Tempo 

scarica 

carica 

scarica 

carica 

scarica 

carica 

r 

115 

110 

106 

104 

100 

98 

2' 

201 

187 

188 

183 

170 

168 

3‘ 

260 

240 

250 

240 

238 

219 

4' 

303 

280 

297 

279 

281 

258 

5’ 

333 

304 

329 

310 

315 

280 

6' 

353 

322 

350 

330 

338 

305 

r 

368 

338 

369 

337 

356 

314 

8’ 

379 

346 

380 

339 

369 

321 

9’ 

387 

352 

390 

339 

378 

329 

10' 

392 

357 

396 

342 

384 

330 

ir 

395 

359 

399 

339 

390 

335 

12’ 

398 

362 

402 

339 

392 

334 

13' 

400 

364 

402 

340 

393 

337 

14’ 

402 

365 

402 

341 

394 

336 

+  7.17 

+  6.51 

+  7.18 

+  6.09 

+  7.03 

+  6.00 

Intensità  corrente  della  lampada:  Ampère  2.5. 
Tensione  griglia:  12  Volta. 


—  77  — 


cato  di  7  kg.  si  ha  in  queste  esperienze  sempre  una  diminu¬ 
zione  del  potenziale  con  1'  applicazione  del  carico  ed  un  ritorno 
al  potenziale  primitivo  quando  la  lamina  si  scarica. 

E’  degno  di  nota  rilevare  come  scaricando  la  lamina,  la  prima 
volta,  si  ritorna  perfettamente  allo  stesso  valore  del  potenziale, 
mentre  la  seconda  volta  si  ritorna  ad  un  potenziale  solo  un  pò 
più  piccolo  ciò  che  indica  un  leggero  effetto  d'isteresi.  Anche  il 
potenziale  della  lamina  carica  differisce  di  assai  poco  nella  se¬ 
conda  e  terza  esperienza:  come  risultato  si  ha  che  la  variazione 
relativa  è  la  stessa  nelle  due  ultime  esperienze  avendosi  i  valori 
rispettivamente  di  0,09  —  0,15  —  0,15. 

Le  esperienze  successive  fatte  con  un  carico  di  9  kg.  con- 


Tab.  4.a  Nichel  Kg.  9 


Tempo 

Scarica 

Carica 

Scarica 

1' 

93 

84 

90 

2' 

170 

158 

165 

3' 

231 

211 

219 

4' 

280 

250 

260 

5' 

316 

280 

292 

6r 

346 

304 

314 

7' 

367 

319 

332 

8' 

386 

334 

344 

9' 

399 

344 

356 

10' 

410 

352 

363 

11' 

417 

358 

369 

12' 

424 

360 

374 

13' 

429 

365 

377 

14' 

432 

368 

378 

15' 

434 

370 

381 

+  7.75 

+  6.61 

+  6.80 

Intensità:  Ampère  2.5. 
Tensione  griglia:  12  Volta. 


—  78  — 


fermano  come  indicano  le  tabelle  4a  e  5a  che  si  riportano,  Y  in¬ 
fluenza  del  carico  ed  il  senso  della  variazione  che  corrisponde 
sempre  ad  una  diminuzione  del  potenziale.  La  lamina  però,  sia 
per  il  maggior  carico  sia  per  il  lungo  periodo  di  lavoro,  è  meno 
attiva  che  nella  esperienza  precedente,  avendosi  una  variazione 
relativa  di  0,14  che  si  riduce  ancora  essendo  successivamente 
eguale  a  0,08. 


Tabella  5.a  Nichel  Carico  Kg.  9 


Tempo 

Scarica 

Carica 

Scarica 

1’ 

60 

60 

54 

54 

57 

57 

2’ 

92 

94 

85 

88 

91 

90 

3’ 

109 

112 

102 

106 

107 

109 

4’ 

117 

119 

113 

115 

118 

116 

5' 

122 

126 

118 

120 

125 

124 

6’ 

125 

129 

120 

125 

127 

128 

r 

126 

133 

123 

125 

130 

129 

8’ 

127 

137 

124 

125 

132 

131 

9' 

131 

136 

124 

125 

134 

132 

10’ 

131 

136 

124 

125 

136 

133 

ir 

132 

137 

125 

126 

135 

133 

12’ 

133 

137 

126 

124 

135 

133 

13’ 

135 

137 

125 

125 

135 

132 

14’ 

136 

138 

126 

124 

135 

132 

15’ 

136 

138 

127 

124 

135 

132 

137 

+  3.16 

125 

+  2.89 

133 

+  3.04 

Intensità:  Ampère  2.5 
Tensione  griglia:  12  Volta. 


Comportamento  essenzialmente  diverso  presenta  il  rame  per 
il  quale  si  ha  sempre  diminuzione  del  potenziale  per  effetto  del- 
T  applicazione  del  carico  con  variazioni  relative  più  piccole  di 
quelle  che  si  avevano  col  nichel.  Inoltre  non  è  possibile,  col  ra- 


79  — 


me,  spingersi  a  carichi  un  pò  forti  perchè  in  tal  caso  si  ha  un 
notevole  effetto  di  fatica  che  riduce  notevolmente  Y  attività  fo¬ 
toelettrica  della  lamina. 

La  tabella  6a  si  riferisce  ad  una  lamina  di  rame  fortemente 
ricotta:  da  essa  si  rileva  la  variazione  dei  potenziali  per  un  ca¬ 
rico  di  5  kg:  per  un  carico  piu  piccolo  l’effetto  non  manca  per 


Tabella  6.a  Rame  Carico  5  Kg. 


Tempo 

Scarica 

Carica 

Scarica 

Carica 

Scarica 

Carica 

Scarica 

V 

328  ! 

315 

327 

310 

318 

299 

328 

2' 

409  ; 

393 

409 

390 

398 

378 

413 

3' 

438 

415 

432 

414 

421 

408 

432 

4’ 

447  ; 

421 

442 

421 

431 

420 

442 

5' 

451 

425 

446 

425 

435 

— 

444 

6’ 

453 

426  ! 

447 

425 

436 

— 

454 

T 

451 

427 

448 

425 

437 

429 

453 

8' 

451 

429 

450 

425 

439 

429 

448 

9’ 

452 

429 

450 

425 

439 

430 

443 

10' 

456 

428 

449 

425 

440 

428 

448 

w 

456 

429 

449 

425 

439 

427 

449 

12’ 

454 

429 

450 

425 

438 

426 

449 

13’ 

452  # 

429 

451 

424 

438 

428 

449 

14' 

452 

429.5 

452 

424 

437 

428 

449 

15' 

451 

430 

451 

424 

437 

429 

449 

+  7.28 

+  6.94 

+  7.28 

+  6.83 

+  7.05 

+  6.92 

+  7.22 

Lamina  di  rame  fortemente  ricotta. 

Intensità  della  corrente  della  lampada  :  Ampère  2.5, 
Potenziale  dalla  griglia:  12  volta. 


quanto  piccolo  ed  è  anche  di  diminuzione  del  potenziale  col  ca¬ 
rico  applicato. 

L'  esperienza  dice  che  per  il  primo  ciclo  si  ha  scaricando 
la  lamina  un  ritorno  al  valore  che  si  aveva  prima  dell’  applica- 


—  80  — 


zione  del  carico  ed  un  effetto  d' isteresi  quasi  nullo.  Non  così  nel 
ciclo  successivo  nel  quale  si  ha  una  maggiore  variazione  relativa 
del  potenziale,  passandosi  dal  valore  0,046  al  valore  0,061,  ma  non 
manca  un  effetto  d*  isteresi  :  considerando  il  terzo  ciclo  si  ha  nel 
ritorno  una  curva  che  si  mantiene  non  al  disotto  come  prece¬ 
dentemente,  ma  al  disopra  della  curva  di  andata:  qualora  però 
la  si  rapporti  ai  valori  corrispondenti  dell’andata,  tanto  nel  primo 
che  nel  secondo  ciclo,  essa  si  trova  al  disotto.  In  questo  terzo 
ciclo  la  variazione  relativa  del  potenziale  è  assai  piccola  ridu¬ 
cendosi  a  0,018. 

Con  questa  stessa  lamina,  dopo  un  periodo  di  riposo  di  20 
ore,  ho  avuto,  con  una  maggiore  eccitazione  luminosa  (3  ampère 
invece  di  2,5)  i  risultati  indicati  nella  tabella  7. 


Tabella  7.a  Rame 


Tempo 

Scarica 

CARICA 

Scarica 

Kg.  2.000 

Kg.  4.000 

Kg.  5.000 

r 

320 

330 

320 

310 

320 

2' 

460 

457 

447 

434 

455 

3' 

510 

500 

489 

483 

506 

4' 

530 

517 

503 

501 

523 

5' 

540 

523 

509 

509 

527 

6' 

546 

527 

512 

512 

528 

7' 

,  552 

531 

515 

514 

527 

8' 

555 

533 

514 

514 

528 

9' 

556 

533 

516 

514 

527 

10' 

558 

535 

516 

514 

527 

Volta +  8.73 

Volta +  8.38 

Volta +  8.20 

Volta +  8.1 7 

Volta +8.44 

Lamina  di  rame  fortemente  ricotta 
Intensità  corrente  della  lampada:  Ampère  3. 
Potenziale  di  griglia:  12  Volta. 


—  81  — 


Essi  si  riferiscono  ad  un  ciclo  compiuto  con  carichi  diversi 
il  massimo  dei  quali  era  di  5  kg.  come  nel  caso  precedente:  i 
valori  stanno  ad  indicare  una  diminuzione  continua  del  poten¬ 
ziale  col  carico,  il  ritorno  ad  un  valore  del  potenziale  maggiore 
scaricando  la  lamina,  ed  un  effetto  d'isteresi.  La  variazione  re¬ 
lativa  di  potenziale,  malgrado  la  maggiore  eccitazione  luminosa, 
non  ha  superato  il  valore  massimo  ottenuto  nella  serie  prece¬ 
dente  essendo  uguale  a  0,064  ciò  che  indica  una  diminuzione 
dell'attività  fotoelettrica  della  lamina. 

L'  esame  delle  curve  dei  potenziali  in  funzione  del  tempo 
d’ illuminazione  e  corrispondenti  alla  lamina  scarica  ed  alla  la¬ 
mina  carica,  mette  in  evidenza  un  altro  particolare  dell'  azione 
delle  forze  interne  di  tensione  sui  potenziali. 

Quando  1'  azione  del  carico  corrisponde  ad  una  diminuzione 
del  potenziale  raggiunto  dalla  lamina,  la  curva  dei  potenziali  a 
lamina  carica  dopo  una  rapida  salita  si  prolunga  con  un  tratto 
che  è  meno  inclinato  del  tratto  analogo  della  curva  corrispondente 
alla  lamina  scarica.  Ciò  indica  che  la  variazione  relativa  del  po¬ 
tenziale  è  diversa  per  i  diversi  periodi  d’ illuminazione  e  pro¬ 
priamente  che  va  crescendo  col  tempo. 

Quando  invece  1’  azione  del  carico,  come  per  carichi  non 
troppo  grandi  nel  nichel,  corrisponde  ad  un  aumento  del  poten¬ 
ziale,  allora  la  curva  per  la  lamina  in  tensione  è  più  inclinata  di 
quella  corrispondente  alla  lamina  scarica  quindi  anche  in  questo 
caso  si  ha  una  maggiore  variazione  relativa  dei  potenziali  rag¬ 
giunti  col  tempo.  Anche  per  il  rame  vi  è  una  variazione  col 
tempo  e  nel  senso  di  un  aumento  come  in  tutti  i  casi  pel  nichel: 
la  tabella  8a  è  calcolata  pel  nichel. 


Tabella  8.a 


Tensione  9  kilogrammi 

•Sl> 

oro 

(6) 

1 

1 

1 

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d 

oro 

(8) 

1 

l 

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0,14 

0.14 

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G. 

B 

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CN 

co 

ìo 

o 

LO 

H 

„  4)  fatta  dopo  diversi  giorni  nei  quali  la  lamina  fu  sottoposta  a  periodi  diversi,  alternati,  di  lavoro  e  di  riposo. 

„  5)  6)  7)  fatte  consecutivamente  nello  stesso  giorno. 

,,  8)  e  9)  fatte  in  giorni  diversi. 

Tutte  le  serie  sono  state  fatte  nell'ordine  secondo  il  quale  sono  segnate. 


Conclusioni. 


Tralasciando  molti  degli  altri  risultati  da  me  ottenuti  in 
queste  esperienze  e  che  richiedono  un'ulteriore  conferma,  a  me 
pare  di  potere,  in  base  ai  dati  raccolti  ed  esposti  sin  d'ora,  sta¬ 
bilire  alcune  conclusioni  di  carattere  generale. 

Le  due  questioni  ancora  aperte,  quella  riguardante  la  natura 
del  fotoelettrone  e  l'altra  la  grandezza  dello  strato  che  prende 
parte  al  fenomeno  dell'emissione,  possono  entrambe  giovarsi  di 
qualche  contributo  portato  da  queste  esperienze. 

Ed  invero  se  gli  elettroni  emessi  fossero  esclusivamente  quelli 
dello  strato  limite  superficiale  vi  sarebbe  da  attendere  un'azione 
immediata  quasi  istantanea  della  eccitazione  luminosa.  In  tutte 
le  mie  esperienze  invece  si  ha  un'azione  che  in  principio,  per 
quanto  rapida,  dura  sempre  diversi  minuti  primi  e  poi  in  seguito 
assai  più  lenta,  non  cessa  che  solo  dopo  un  tempo  piuttosto  lun¬ 
go.  Il  fenomeno  fotoelettrico  sarebbe  quindi  non  solo,  e  preva¬ 
lentemente,  un  fenomeno  superficiale,  perchè  è  oramai  in  modo 
indubbio  assodato,  ed  anch'io  ho  potuto  verificarlo  nel  corso  di 
queste  esperienze,  che  lo  stato  particolare  della  superficie  ha  in¬ 
fluenza  notevole  sull'emissione  fotoelettrica,  ma  anche  un  feno¬ 
meno  di  volume  relativo  però  solo  ad  un  certo  strato  il  cui 
spessore  andrebbe  aumentando  col  tempo  ma  limitatamente  ad 
un  valore  sempre  assai  piccolo. 

E  qui  non  sembra  arrischiato  il  ritenere  che  possa  esservi 
se  non  identità  analogia  fra  queste  modalità  e  quelle  presentate 
dal  Selenio  sotto  l'azione  della  luce,  fenomeno  che  verrebbe  quin¬ 
di  ad  inquadrarsi  nella  vasta  categoria  dei  fenomeni  comune¬ 
mente  indicati  col  nome  di  fotoelettrici. 

In  quanto  poi  all’accertata  influenza  della  tensione  sull’emis¬ 
sione  fotoelettrica  essa  conferma  questo  punto  di  vista  perché 
tale  azione  varia  appunto  col  tempo. 

Ben  più  importante  però  è  il  fatto  di  aversi  un'influenza 
della  tensione  ed  una  variazione  del  segno  col  variare  del  ca¬ 
rico  come  nel  caso  del  nichel.  Ciò  vuol  dire  che  la  relazione  di 
dipendenza  non  è  limitata  solamente  all'intervento  delle  forze  e- 
lastiche,  ma  che  vi  ha  qualche  altro  fattore  caratteristico  della 


—  84 


sostanza  se  non,  come  appare  più  probabile,  dello  stato  fisico 
in  cui  la  sostanza  viene  a  trovarsi. 

E  se  questo  fosse  vero  non  dovrebbe,  ad  esempio,  ritenersi 
probabile  che  per  sostanze  con  punti  di  trasformazione  possa 
esservi  indipendenza  del  potenziale  fotoelettrico  dalla  tempera¬ 
tura  neirintorno  del  punto  di  trasformazione.  Si  arriva  quindi 
alla  conclusione  che,  almeno  in  questi  casi,  e  per  ragioni  diverse 
da  quelle  indicate  nei  precedenti  ordini  di  considerazioni,  non 
dovrebbe  mancare  un’influenza  della  temperatura  sulla  emissione 
fotoelettrica:  tale  influenza,  così  accertata,  non  ci  autorizzerebbe 
però  ad  identificare  il  fotoelettrone  nell'elettrone  libero  anziché 
in  quello  vincolato. 

Deduzioni  di  tal  genere  saranno  possibili  solo  quando  si 
potranno  conoscere  le  modalità  di  carattere  elettronico  con  le 
quali  avvengono  i  passaggi  per  i  punti  di  trasformazione  ed  in 
generale  il  meccanismo  di  azione  delle  forze  esterne  sugli  elet¬ 
troni  sia  liberi  sia  vincolati  della  sostanza,  meccanismo,  a  tut— 
t'oggi,  ancora  sconosciuto. 


INDICE 


Parte  Generale 

1.  —  Principali  modalità  sperimentali  ....  pag.  2 

2.  —  Potenziale  fotoelettrico . »  5 

3.  —  Velocità  massima  di  emissione  ed  intensità  lu¬ 
minosa  . »  7 

4.  —  Intensità  della  corrente  fotoelettrica  ed  intensità  lu¬ 
minosa  . . »  8 

5.  —  Intensità  della  corrente  fotoelettrica  e  natura  della 

luce  eccitante . «  10 

6.  —  Emissione  fotoelettrica  dai  corpi  non  conduttori  .  »  15 

7*  —  Influenza  della  temperatura  sulla  velocità  massima 

di  emissione . «  17 

8.  —  Legge  di  Einstein  e  determinazione  fotoelettrica 

della  costante  di  Plank . »  20 

9.  —  Relazione  fra  forza  elettromotrice  di  contatto  di  due 

metalli  e  frequenze  limiti  dell’effetto  fotoelettrico  .  .  .  »  22 

10.  —  Teorie  del  fenomeno  fotoelettrico  .  .  .  .  »  24 

Parte  sperimentale 

1.  —  Relazione  fra  comportamento  fotoelettrico  e  com¬ 
portamento  elastico  dei  metalli . »  32 

2.  —  Dispositivo  sperimentale  usato.  .  .  .  .  »  32 

3.  —  Risultati  ottenuti . »  34 

4.  —  Conclusioni . .  ,  «  47 


i- 


Ricerche  su  la  reazione  tra  cloruro  di 
benzile  e  fenolo 

del  socio 

Dott.  Carlo  Serao 


(Tornata  del  18  marzo  1923) 

Come  è  noto,  nella  reazione  tra  C6  H5  CH2  CI  e  C6  H5  OH 
in  presenza  di  zinco  !)  o  di  altri  catalizzatori 1  2 3)  ed  in  assenza 
o  presenza  di  un  solvente  neutro  3),  si  hanno  sempre  prodotti 
solubili  e  insolubili  in  NaOH.  Tra  i  primi  è  stato  isolato  e 
identificato  il  para-monobenzilfenolo  fondente  a  84°  che  si  ac¬ 
compagna  all’  isomero  liquido  ritenuto  per  orto-monobenzilfenolo 
dal  Rennie  4 5),  dal  Liebmann  s)  e  dallo  Zincke. 

Nel  ripetere  questa  sintesi  in  seno  a  benzina  di  petrolio 
(p.  e.  100°-110°)  con  Zn  polveroso,  sia  con  quantità  equimole- 
colari  di  C6  H5.  OH  e  C6H5.  CH2.  CI  (A),  sia  con  quantità  doppia 
di  quest'ultimo  (B),  essa  si  compì  con  grande  regolarità  svolgen¬ 
dosi  HC1  misto  ad  H  per  la  reazione  secondaria  che  ha  luogo 
tra  lo  Zn  e  l'HCl,  ciò  che  determina  un  consumo  di  una  quan¬ 
tità  di  Zn  pari  alla  decima  parte  in  peso  circa  del  fenolo  im¬ 
piegato. 


1)  Paterno,  E.  —  Ricerche  sul  fenolbenzilato.  Gazz.  Ch.  It.  1872,  pag.  1. 

2)  Aloe,  M.  —  Sintesi  in  presenza  dei  metalli  e  loro  alo  ge  miri.  (Disser¬ 
tazione  di  laurea.  R.  Università  di  Napoli,  1917. 

3)  Bakunin,  M.  —  Sulle  condensazioni  in  presenza  di  metalli  o  di  loro 
cloruri.  Rend.  Acc.  Se.  Fis.  Mat.  Anno  1903,  p.  58. 

4)  Rennie,  E.  H.  —  Sul  benziljenolo  di  Paterno  e  su  un  suoi  somero. 
Journal  Chem.  Soc.  (41,  33,  35,  220). 

5)  Liebmann,  A.  —  Synthese  der  hotnologen  Phenole.  Ber.  der  Deut.  ecc. 
1882,  p.  150. 


—  87  — 

Separate  con  trattamento  sodico  in  imbuto  a  rubinetto  le 
parti  solubili  dalle  insolubili  e  liberatele  dalla  benzina: 

A.  gr.  500  di  C6H5OH  e  gr.  675  di  C6H5CH2C1 
dettero  gr.  710  di  solubili  e  gr.  230  di  insolubili. 

B.  gr.  500  di  C6H5OH  e  gr.  1350  di  C6H5CH2C1 
dettero  gr.  815  di  solubili  e  gr  650  di  insolubili. 

Parte  solubile  in  NaOH. 

Dalla  parte  solubile,  con  distillazione  frazionata  fino  a  110°  e 
a  2  cm.  di  pressione,  si  separò  del  fenolo  immodificato:  gr.  71 
in  A  e  gr.  14  in  B  e  per  cristallizzazione  delle  successive  fra¬ 
zioni  fino  a  270°  e  a  3  cm.  di  pressione  circa,  gr.  150  di  p- 
benzilfenolo  in  A  e  gr.  230  dello  stesso  prodotto  in  B. 

11  liquido,  liberato  dalla  parte  cristallina,  risponde  alla  com¬ 
posizione  del  monobenzilfenolo  ed  è  probabilmente  l'orto-ben- 
zilfenolo  mescolato  con  piccole  quantità  di  para.  Infatti  per  com¬ 
bustione  si  ebbe: 

1)  Prodotto  di  A-  Sost.  =  gr.  0,2325;  C02=:  gr.  0,7248; 
H2  0=gr.  0,1498. 

2)  Prodotto  di  A  tenuto  in  essiccatore  a  vuoto-  Sost.  == 
gr.  0,2022:  C02  =  gr.  0,6285;  H20  =  gr.  0,1130. 

3)  Prodotto  di  B-  Sost.  =  gr.  0,2093;  C02  =  gr.  0,6502  ; 
H20  =  gr.  0,1319. 

4)  Prodotto  di  B  tenuto  in  essiccatore  a  vuoto  -  Sost.  == 
gr.  0,2224;  C02=gr.  0,6909;  H20  =  gr.  0,1255. 


donde: 


I 

II 

III 

IV 

Teoria  per  Cl3H120 

C°/0  84,98 

84,76 

84,72 

84,72 

84,78 

Ho/o  7,15 

6,20 

7,00 

6,27 

6,50. 

Del  medesimo  prodotto  le  determinazioni  crioscopiche  hanno 
data  col  benzolo  [K  =  49  (Raoult)]  : 

Abbassamento 

del  punto  di  gelo  '  Peso  mol.  trov. 

0°,190  186,7 

0°,240  184,1 


Peso  mol.  calcolato 
per  C13H120 


184 


Concentraz.  °/0 
0,724 
0,902 


-  88  — 


Le  frazioni  poi,  distillate  al  disopra  di  270°  e  sempre  a  3  cm. 
di  pressione  circa,  rispondono,  per  i  dati  analitici,  alla  compo¬ 
sizione  di  un  dibenzilfenolo  : 

1)  Prodotto  di  A-Sost.  =  gr.  0,2185;  C02  =  gr.  0,6980; 

H2  O  =  gr.  0,1406. 

2)  Prodotto  di  B-  Sost.  =  gr.  0,2089;  C02  =  gr.  0,6740  ; 

H20  =  gr.  0,1360. 

donde  : 

I  II  Teoria  per  C2oH180 

Co/o  87,20  87,03  87,59 

Ho/0  7,14  7,20  6,57 

Le  temperature  elevate  di  distillazione  determinano  certa¬ 
mente  parziale  alterazione  dei  prodotti,  come  lo  dimostrano  gli 
spumeggiamenti  che  Taccompagnano  ed  il  residuo  per  nulla 
trascurabile  di  sostanze  pecioce.  Non  mi  è  possibile  perciò  ri¬ 
portare  dati  sicuri  sulle  rispettive  proporzioni  dei  componenti 
la  miscellanea. 

Il  coefficiente  di  solubilità  nella  Na  OH  della  frazione  di¬ 
stillata  al  disopra  di  270°,  diminuisce  notevolmente  rispetto  le 
mescolanze  primitive  del  prodotto  grezzo,  ciò  che  fa  supporre 
che  la  presenza  dei  monobenzilfenoli  contribuisca  a  facilitarne  la 
soluzione. 

Che  l'OH  fenolico  sia  ancora  immutato,  lo  dimostra  la  sua 
trasformazione  in  etere  benzilico  eseguita  col  metodo  all'alcoolato 
sodico  dello  Staedel  *)•  H  nuovo  etere  si  presentò  liquido, 
vischioso  e  di  color  bruno-rossiccio.  Per  combustione  dette: 

Sost.  ==  gr.  0,2294;  C02  =  gr.  0,7450;  H20  =  gr.  0,1377 
donde  : 

Trovato  Teoria  per  C27H240 

C  %  88,66  89,01 

Ho/0  6,66  6,59 

mentre  l' etere  benzilico  del  p-benzilfenolo,  preparato  con  lo 
stesso  metodo,  cristallizza  in  prismetti  rombici  bianchi,  dotati 


9  Staedel.  —  Sopra  alcuni  nuovi  eteri  jenolici  di  Demselben.  Liebig’s 
Aiinalen.  Bd.  217-218,  p.  40. 


—  89  — 


di  viva  iridescenza  con  p.  di  f.  di  50°.  Per  combustione  dette: 

Sost.  =  gr.  0,2100;  C02  =  gr.  0,6736;  H20  =  gr.  0,1287 
donde  : 

Trovato  Teoria  per  C20H18O 

C  o/o  87,49  87,59 

H  o/0  6,81  6,57 

Le  porzioni  solubili  risultano  perciò  costituite  dai  due  mo- 
nobenzilfenoli  para  ed  orto,  e  da  un  dibenzilfenolo. 

Parte  insolubile  in  NaOH* 

Le  combustioni  direttive  fatte  sui  prodotti  insolubili  in  NaOH 
delle  due  preparazioni ,  liberati  dal  solvente  e  dal  C6H5CH2C1 
non  combinato,  dettero  percentuali  in  C  tra  88,00  ed  88,36  e 
percentuali  in  H  tra  6,6  e  6,9  ciò  che  farebbe  supporre  Y  esi¬ 
stenza  in  tali  prodotti  di  una  mescolanza  di  dibenzil  e  triben- 
derivati.  Infatti  la  teoria  vuole  per  : 


C  o/o  H  o/0 
C20H18O  87,59  6,57 

C27H240  89,01  6,59 

Percentuali  medie  :  88,30  6,58 


Preparazioni  di  eteri* 

Gli  eteri  preparati  con  la  non  realizzata  speranza  di  otte¬ 
nere  prodotti  ben  cristallizzati  ed  atti  a  facilitare  la  separazione 
dei  vari  prodotti,  esistenti  forse  anche  in  diverse  forme  isomere, 
li  ottenni  per  azione  della  P2  05  sui  benzilderivati  dei  fenoli 
e  gli  acidi  sciolti  in  benzolo  *),  lavati  con  NaOH  ed  H20  e 
cristallizzati  dal  benzolo  o  dall'alcool,  liberandoli  poscia  dal  sol¬ 
vente  per  evaporazione  e  opportuni  essiccamenti  se  liquidi. 

Ottenni  così  : 


9  Bakunin,  M.  —  Preparazione  di  eteri  fenici  per  azione  di  P2  05  su 
acidi  e  fenoli  sciolti  in  solvente  neutro.  Atti  Acc.  Se.  Fis.  Mat.  Voi.  X,  se¬ 
rie  II,  n.o  11. 


—  90 


1)  Etere  o  -  ni  tr  obenzo  i  c  o  del  p-benzilfe- 
nolo  —  Cristallizzato  in  lamelle  bianco-giallastre  dairalcool  ed 
avente  un  p.  di  f.  di  83°. 

Sost.  =  gr.  0,2132;  C02  =  gr.  0,5637;  H20  =  gr.  0,0969 
donde: 

Trovato  Teoria  per  C2oH15N04 
Co/o  72,10  72,07 

H  o/o  5,04  4,50 


2)  Etere  m-nitrobenzoico  del  p-benzil- 
fenolo  —  Cristallizzato  in  piccoli  aghi  bianchi  dairalcool  ed 
avente  un  p.  di  f.  di  91°. 


I)  Sost.  =gr.  0,1971;  C02  =  gr.  0,5203;  H20  =  gr.  0,0833 

II)  „  =  „  0,2168;  „  =  „  0,5725;  „  =  „  0,0920 


donde: 

Co/o 

Ho/0 


I 

71,99 

4,69 


II 

72,01 

4,71 


3)  Etere  p  - nitrobenzoico  del  p-benzil- 
fenolo.  —  Cristallizzato  dairalcool  in  aghi  lunghi  e  sottili  di 
color  grigio-argentino-pisello  ed  avente  un  p.  di  f.  di  105°. 

Sost.  =  gr.  0,2190;  C02  =  gr.  0,5783;  H2  0  =  0,0932 
donde  : 

Co/0  =  72,17;  Ho/0=4,72 

4)  Etere  o-nitrobenzoico  dell'isomero 
o-benzilfenolo. —  Costituito  da  una  sostanza  vischiosa 
gialla  dell'apparenza  di  un  olio,  dal  benzolo. 

Sost.  =  gr.  0,2052;  C02  =  0,5429;  H20  =  gr.  0,0887 
donde: 

Co/o  =  72,12;  Ho/o  =  4,80 


5)  Etere  m-nitrobenzoico  dell’  isomero 
o-benzilfenolo.  — Costituito  da  una  sostanza  gialla  d'a¬ 
spetto  oleoso  e  più  vischiosa  della  precedente,  dal  benzolo. 


—  91  — 


Sost.=  gr.  0,2048  ;  C02  =  gr.  0,5435  ;  H20  =  0,0888 
donde  : 

C  %  =  72,37  ;  Ho/0=4,81 

6)  Etere  p-nitrobenzoico  dell'  isomero 
o-benzilfen  olo.  —  Cristallizzato  dall'  alcool  in  cristallini 
giallo-brunastri  ed  avente  un  p.  di  f.  di  168°. 

Sost.  =gr.  0,2291;  C02  ==  gr.  0,6100;  H20  =  gr.  0,0996 
donde: 

C  %  =  72,61  ;  HQ/0,==4,83. 

* 

*  * 

Da  queste  ricerche  preliminari  risulta  che  l'uso  di  quantità 
equimolecolari  di  C6H5OH  e  di  C6H5.CH2.C1  dà  una  maggior 
percentuale  di  CeH5.OH  immodificato  e  non  impedisce  la  forma¬ 
zione  di  polibenzilsostituiti  che  si  accompagnano  ai  due  monoben- 
zilfenoli  solido  e  liquido;  che  il  numero  dei  gruppi  benzilici  sosti¬ 
tuiti  diminuisce  la  solubilità  in  NaOH  del  fenolderivato,  fatto  già 
constatato  in  altri  casi  *);  che  l'unico  etere  cristallizzato,  finora 
ottenuto,  dall'isomero  orto-benzilfenolo  è  il  para-nitrobenzoico, 
ciò  che  mi  fa  supporre  che  potrò  ottenerne  altri  e  facilitare 
così  la  separazione  dei  vari  componenti  della  massa  di  reazione. 

Con  l'ulteriore  studio  dei  prodotti  della  reazione  mi  pro¬ 
metto  di  completare  l'isolamento  e  l'identificazione  dei  singoli 
componenti. 

Napoli  -  Laboratorio  di  Chimica  Organica  della  R.  Scuola  Sup.  Politecnica. 


Finito  di  stampare  il  20  luglio  1922. 


l)  Mazzara,  G.  —  Timoli  benzilati.  Gazz.  Ch.  It.  ;  Anno  1881,  p.  346. 


Osservazioni  su  alcune  bombe  vesuviane. 


Nota  preliminare 
del  socio 

Gennaro  Biondi 


(Tornata  del  18  marzo  1923) 

Su  di  una  colata  lavica  dell'  aprile  1872,  che  si  estende  su 
le  Novelle  di  Resina,  si  osservano  una  grandissima  quantità  di 
bombe  di  varie  dimensioni.  Sono  in  generale  di  forma  sferica  o 
elissoidale  e  presentano  all' interno  una  struttura  molto  varia. 
Fra  queste  una,  assai  vistosa,  per  la  sua  mole  gigantesca,  è  stata 
in  particolar  modo  da  me  studiata*  Poiché  dall'  analisi  biblio¬ 
grafica  è  risultato  che  nessuno  finora  si  è  occupato  di  queste 
bombe,  e,  poiché  dal  mio  studio  di  varii  anni  sono  riuscito  a 
determinare  la  loro  genesi,  la  loro  morfologia  e  le  loro  proprietà, 
in  attesa  di  poter  al  più  presto  pubblicare  il  lavoro  completo,  co¬ 
munico  per  ora  i  risultati  più  notevoli  del  mio  studio. 

La  bomba  più  grande,  della  quale  riferisco  per  prima,  trovasi 
a  m.  Ili  dalla  centrale  elettrica  Cook,  e  la  sua  posizione  cor¬ 
risponde  a: 

qp  ==  40°.  49'.  53",  3 

l  =  lo.  56'.  13",  6.  E  di  Roma.  (M.  Mario) 

Ha  forma  ellissoidale,  con  circonferenza  equatoriale  di  m.  8,15 
e  quella  meridiana  di  m.  7,85.  I  suoi  assi  misurano,  nella  dire¬ 
zione  NS.  m.  2,60,  in  quella  EW.  m.  1,90  ed  in  ultimo  il  ver¬ 
ticale  m.  2,10.  La  superficie  totale  è  di  m.2  15,205,  ed  il  volume 
corrisponde  a  m.3  5,431826.  Infine,  avendone  calcolato  il  peso, 
ho  ottenuto  che  dovrebbe  essere  di  tonnellate  11,3. 


93  — 


Delle  altre  bombe,  che  sono  disposte  tutte  nel  piano  da  me 
indicato,  mi  sono  pure  occupato  nel  modo  più  accurato  possibile. 

Dal  complesso  di  osservazioni  fatte  risulta  che,  questi  massi 
sferici  od  ellissoidali,  possono  dirsi  delle  bombe  vere  e  proprie, 
appunto  perchè  si  formano,  con  una  certa  analogia,  come  le  bombe 
di  projezione ,  ma  che  non  debbono  affatto  confondersi  con 
queste. 

Per  evitare,  quindi,  ulteriore  confusione  nella  denominazione 
di  queste,  ed  anche  per  completare  la  classificazione  dei  prodotti 
vesuviani  di  questo  genere,  propongo  di  chiamarle  "bombe 
peritrepiche  „  1). 

Ho  notato,  invero,  che  affinchè  una  bomba  peritrepica  possa 
originarsi,  bisogna,  principalmente,  che  la  lava  venga  a  trovarsi 
o  su  di  un  piano  alquanto  inclinato,  oppure  in  gole  e  avvalla¬ 
menti  inclinati,  che  restringendo  il  campo  di  scorrimento,  ven¬ 
gono  a  far  sottostare  la  colata  lavica  a  tre  forti  pressioni  esercitate 
sia  dalle  regioni  laterali,  che  dal  peso  della  dietrostante  lava.  Nel- 
T  uno  e  r  altro  caso,  la  lava  produce,  per  il  rapido  dislivello  a 
cui  va  soggetta,  o  per  la  nuova  posizione  statica,  nella  regione 
crostosa,  numerose  fenditure ,  che  permettono  la  fuoruscita  di 
parti  del  magma  lavico  sottostante. 

Queste,  essendo  ancora  fluide  ed  alquanto  vischiose,  coin¬ 
volgono,  alle  volte,  scorie  ed  altri  elementi  superficiali,  e  roto¬ 
lando,  per  gravità,  lungo  il  pendìo  vanno  a  finire  dove  questo 
termina,  acquistando  così  la  forma  caratteristica  ovale  e  sferoi¬ 
dale,  che  si  riscontra  in  esse. 

Nel  lavoro  completo  esporrò  ampiamente  la  loro  giacitura. 
Per  ora  mi  preme  far  notare  che  i  campi  bombiferi  più  im¬ 
portanti  trovansi  su  lave  poste  in  pianure  situate  presso  alzate, 
colline  e  piani  inclinati  in  genere,  oppure  lateralmente  a  quelle 
incastonate  in  gole  ed  avvallamenti;  così  da  poter  dire  che  mag¬ 
giore  è  la  pendenza  e  la  estensione  dei  piani,  maggiore  è  la 
formazione  ed  il  numero  delle  bombe  peritrepiche. 

La  struttura  di  queste  bombe  è  variabilissima,  tanto  che  di 
esse  ne  ho  potuto  distinguere  quattro  gruppi. 


9  3T8(h  =  intorno  e  TQejtco  =  volgere. 


—  94  — 


Nel  primo  gruppo  ho  classificato  tutte  quelle  che  non  mo¬ 
strano  alcuna  distinzione  tra  la  regione  centrale  e  la  periferica, 
perchè  la  loro  struttura  è  quasi  omogenea,  quindi  le  ho  chiamate 
"bombe  peritrepiche  o  mogen  e  e  „,  ne  ho  descritto  al¬ 
cune  più  caratteristiche,  dandone  le  relative  dimensioni  e  forme. 

Il  secondo  gruppo  comprende  bombe  che  hanno  un  nucleo 
rivestito  da  uno  o  più  strati  e  le  ho  chiamate:  "bombe  pe¬ 
ritrepiche  con  nuclei  e  strati  omogenei,,,  perchè 
la  intiera  massa  di  ciascuna  appartiene  allo  stesso  magma. 

Darò  di  esse  una  minuta  descrizione,  specie  sulla  diversità 
degli  strati  involucranti  e  del  modo  della  loro  formazione. 

Le  "bombe  peritrepiche  con  nucleo  formato 
da  diversi  inclusi,,  formano  il  terzo  gruppo.  A  questa  ca¬ 
tegoria  appartengono  le  bombe  gigantesche  che  hanno  un  vo¬ 
lume  di  varii  metri  cubici  e  di  queste  fa  parte  appunto  la  bomba 
che  ho  studiata  in  modo  particolare.  Il  nucleo  di  queste  bombe 
è  formato  da  diversi  frammenti  provenienti  dalla  superficie  della 
lava,  ed  aventi  forma  di  cordami,  di  mammelloni,  di  croste  ecc., 
oppure  sono  blocchi  formati  da  detriti  della  crosta  lavica,  che 
sono  cementati  tra  loro  dalla  semplice  compressione. 

L’ultimo  gruppo,  senza  dubbio  il  più  caratteristico,  è  com¬ 
posto  dalle  "bombe  peritrepiche  con  nuclei  for¬ 
mati  da  lave  antiche  „. 

Questi  nuclei,  a  tessitura  varia,  facevano,  probabilmente,  parte 
di  lave  antiche,  e,  strappati  dal  materiale  fluido  coevo,  sono  stati 
trascinati  a  l’esterno  del  cratere,  galleggianti  sul  torrente  lavico 
a  causa  del  loro  lieve  peso  specifico.  La  loro  colorazione  è  sor¬ 
prendente,  perchè  assai  varia;  in  genere  vi  predomina  il  giallo, 
in  tutte  le  sue  gradazioni,  ed  un  rosso  vivo  assai  caratteristico. 
Alcuni  nuclei  presentano  una  policromia  assai  vivace,  ed  alle  volte 
si  riscontra  in  essi  anche  la  iridescenza. 

Un’analoga  classificazione  ho  seguito  per  le  bombe  di  proie¬ 
zione,  ed  ho  fatto  ciò,  non  perchè  mancasse  di  esse  una  classi¬ 
ficazione,  ma  per  poter  con  maggiore  facilità  dedurre  le  diffe¬ 
renze  dell'uno  e  dell’altro  tipo  di  bombe. 

A  conclusione  di  quanto  ho  finora  esposto  dirò  che  in  un 
capitolo  speciale  ho  trattato  le  note  più  caratteristiche  delle  bom¬ 
be  peritrepiche  in  confronto  di  quelle  di  projezione;  facendo  qui 


—  95  — 


solamente  notare  che  le  prime  si  formano  su  colate  laviche,  per 
forza  di  gravità,  da  magmi  pastosi  o  semifluidi,  mentre  le  bombe 
di  proiezione  sono  formate  da  un  blocco  di  magmi  craterici  semi¬ 
fluidi,  che,  dalla  esplosione,  vengono  lanciati  in  alto  e  si  trovano 
sottoposti  ad  un  movimento  di  rotazione  intorno  ad  un  asse. 

Circa  poi  la  forma  delle  une  e  delle  altre  si  può  general¬ 
mente  affermare  che  le  peritrepiche  sono  ellissoidali  o  sferiche, 
mentre  le  proiettate  sono,  preferibilmente  fusiformi  o  piriformi 
od  a  forma  di  ellissoide  allungato. 

Napoli,  Istituto  di  Fisica  terrestre  della  R.  Università,  febbraio  1923. 


Finito  di  stampare  il  20  luglio  1923. 


Sulla  presenza  di  Penilia  schmackeri  Richard 
nel  golfo  di  Napoli. 

Nota 
del  socio 

Ernesto  Caroli 


(Tornata  del  31  dicembre  1922) 

Il  genere  Penilia ,  stabilito  dal  Dana  nel  1849  J),  fa  parte  dei 
pochi  Cladoceri  marini  finora  conosciuti.  Ad  esso  sono  state  ri¬ 
ferite  più  specie,  ma  di  queste  una  sola,  P.  Schmackeri  Richard *  2) 
è  sicura;  le  altre,  o  sono  state  riconosciute  identiche  con  la  spe¬ 
cie  predetta,  o  sono  rimaste  dubbie  per  insufficiente  descrizione. 

Quantunque  questo  Cladocero  abbia  un’ampia  distribuzione, 
come  ne  sono  prova  i  ripetuti  rinvenimenti  in  località  diverse  e 
distanti  tra  loro:  lungo  le  coste  atlantiche  dell'America,  nel  golfo 
di  Guinea,  ad  Hongkong,  nello  stretto  della  Sonda,  nelle  acque 
dell'Australia,  della  Nuova  Zelanda  e  del  Giappone;  pure  la  sua 
presenza  nei  mari  d'Europa  finora  non  era  stata  constatata  che 
due  volte,  e  in  epoca  recente:  la  prima  volta  nel  1908  dallo 
Zernow  3)  nel  Mar  Nero,  l'altra  nel  1914  dal  Leder  4)  nel  golfo 


9  Dana,  J.  D.  —  Conspedus  Crustaceoriim  in  orbis  terrarum  circamna- 
vigcitione  C.  Wilkes  e  classi  Reipublicae  foederatae  dace  collectorum.  Proc. 
Amer.  Acad.  art.  se.  Voi.  2,  1849. 

2)  Richard,  J.  —  Re'vision  des  Cladoceres.  Ann.  Se.  Nat.  (7),  Tome  18, 
1895,  p.  279. 

3)  Zernow,  S.  A.  —  Penilia  schmackeri  Richard  {Cladocero)  dans  la  Mer 
Noire.  Note  préliminaire.  Ann.  Mus.  Z.  Pétersbourg.  Tome  13, 1918  (1909)  p.  500. 

4)  Leder,  H.  —  Ueber  Penilia  schmackeri  Richard  in  der  Adria.  Z. 
Anz.  45  Bd.,  1915,  p.  350. 


—  97  — 


di  Trieste.  Quest'anno  (1922)  esso  è  comparso  nel  golfo  di  Na¬ 
poli,  dove  ho  avuto  agio  di  raccoglierlo,  in  gran  .numero  e  per 
lungo  tempo,  nel  plancton  di  superficie. 

In  tutte  le  località  dove  finora  Penilia  era  stata  riscontrata, 
almeno  in  quelle  per  le  quali  si  hanno  osservazioni  esatte  in 
proposito,  essa  è  sempre  apparsa  improvvisamente  e  in  gran 
quantità;  e  dopo  un  periodo  più  o  meno  breve  —  il  più  lungo 
è  quello  di  un  mese,  dal  27  ottobre  al  25  novembre,  riportato 
dal  Leder  pel  golfo  di  Trieste — è  sparita  altrettanto  rapidamente, 
senza  lasciar  traccia  di  sè.  Anche  nel  golfo  di  Napoli  essa  si  è 
presentata  d'un  tratto  e  in  gran  numero,  ma  la  sua  dimora  è 
stata  molto  più  lunga  e  la  sua  scomparsa  lenta  e  graduale. 

L'ho  trovata  la  prima  volta,  e  in  quantità  già  rilevante,  l'8 
luglio,  mentre  nelle  prove  di  plancton  raccolte  fino  allora,  le 
quali  già  contenevano  Cladoceri  dei  generi  Podon  e  Evadne ,  non 
ne  avevo  mai  trovato  traccia.  In  seguito  il  numero  degli  indi¬ 
vidui  è  andato  sempre  più  aumentando,  fino  a  costituire  la  quasi 
totalità  del  plancton  di  superficie.  A  questo  periodo  di  intenso 
sviluppo,  durato  circa  un  mese,  dalla  metà  di  agosto  a  quella  di 
settembre,  ne  successe  uno  di  graduale  e  lenta  diminuzione,  che 
si  protrasse  fino  al  9  dicembre,  nel  quale  giorno  raccolsi  gli  ul¬ 
timi  tre  esemplari  di  Penilia. 

È  giusto  pertanto  supporre  che  essa  nel  golfo  di  Napoli 
abbia  incontrato  condizioni  tali,  che  ne  abbiano  favorita  la  mol¬ 
tiplicazione  e  la  durata,  per  un  periodo  insolitamente  lungo  di 
cinque  mesi.  E  a  speciali  condizioni,  quivi  trovate,  credo  debba 
anche  attribuirsi  la  presenza  di  numerosi  maschi,  che  preceden¬ 
temente  erano  stati  rinvenuti  una  sola  volta;  nonché  la  forma¬ 
zione  di  uova  a  lento  sviluppo,  finora  sconosciute  in  questo  Cla- 
docero. 

Ho  trovato  i  maschi,  benché  scarsissimi,  sin  dalla  prima  rac¬ 
colta;  in  seguito  il  loro  numero  è  andato  aumentando  fino  ad 
eguagliare,  e  talvolta  sorpassare,  quello  delle  femmine,  ed  ho 
continuato  a  trovarli  quasi  fino  all'ultimo.  Le  prime  femmine 
fecondate,  portanti  nella  cavità  incubatrice  uno  o  due  grosse  uova 
scure  e  con  guscio  spesso,  sono  comparse  in  agosto  ed  hanno 
continuato  a  mostrarsi  fino  alla  fine  di  ottobre;  il  loro  numero 
però  è  rimasto  sempre  basso  rispetto  a  quello  delle  femmine 


—  98  — 


partenogenetiche.  Nulla  posso  dire  dell'ulteriore  sorte  delle  uova 
a  sviluppo  lento;  è  probabile  che  esse  vengano  semplicemente 
emesse  e  cadano  al  fondo,  giacché  non  ho  mai  trovato  efippii. 

Rimandando  ad  un  prossimo  lavoro  le  osservazioni  morfo¬ 
logiche  e  biologiche,  che  l'abbondante  materiale  raccolto  mi  ha 
concesso  di  fare,  chiudo  la  presente  nota  con  poche  considera¬ 
zioni  sulla  presenza  di  Penilia  nel  Mediterraneo. 

Secondo  il  Leder,  1'  improvvisa  comparsa  di  questo  Clado- 
cero  nel  golfo  di  Trieste,  dove  prima  non  era  stato  mai  rinve¬ 
nuto,  potrebbe  spiegarsi  nel  modo  seguente.  Individui  —  o  uova  — 
trasportati  passivamente,  vi  avrebbero  trovate  condizioni  favo¬ 
revoli  di  sviluppo,  e  si  sarebbero  moltiplicati  per  più  genera¬ 
zioni,  per  poi  scomparire  appena  cessate  queste  condizioni.  Il 
Leder  però  ignorava  che  precedentemente  Penilia  era  stata 
osservata  nel  Mar  Nero.  Ora,  poiché  essa  è  stata  trovata  tre 
volte,  con  l' intervallo  di  parecchi  anni  1'  una  dall'  altra,  in  tre 
parti  diverse  del  Mediterraneo,  cioè  prima  nel  Mar  Nero,  poi 
neH’Adriatico  e  da  ultimo  nel  Tirreno;  bisogna  ammettere,  se  si 
accetta  la  supposizione  del  Leder,  che  ogni  volta  si  sia  ripetuto 
lo  stesso  fatto.  Ma  in  tal  caso,  sarebbe  difficile  spiegare  come 
individui  di  Penilia ,  trasportati  da  correnti  provenienti  dal¬ 
l'Atlantico  —  poiché  solo  in  tal  modo  credo  debba  intendersi 
sia  avvenuto  il  loro  trasporto  —  abbiano  la  prima  volta  attra¬ 
versato  tutto  il  Mediterraneo  e  raggiunta  la  sua  parte  più  orien¬ 
tale,  senza  fermarsi  e  prosperare  in  quei  tratti,  come  il  Tirreno 
e  l' Adriatico,  nei  quali  certo  non  mancavano  condizioni  propi¬ 
zie  al  loro  sviluppo,  poiché  in  fatti  dopo  ve  le  hanno  trovate. 

Se  poniamo  mente  al  modo  di  comportarsi  di  Penilia  nel 
Mediterraneo,  vediamo  che  —  salvo  la  recente  lunga  dimora  — 
non  differisce  da  quello  osservato  negli  altri  mari;  anche  in 
questi  essa  è  stata  incontrata  ad  intervalli  irregolari  e  sempre 
in  punti  diversi,  nei  quali  prima  non  era  stata  vista.  Bisogna 
perciò  ammettere  che  anche  le  cause  di  questo  speciale  com¬ 
portamento  siano  le  stesse,  ma  purtroppo  esse  ci  sono  igno¬ 
te,  e  tali  resteranno  finché  non  conosceremo  meglio  la  biologia 
dell'  animale. 

Spero  che  la  presente  Nota  varrà  a  richiamare  l'attenzione 
degli  studiosi,  e  ad  incitarli,  ove  ne  abbiano  l'opportunità 


—  99  — 


a  fare  ricerche  al  riguardo,  nei  nostri  e  negli  altri  mari. 
La  rarità  delle  comparse  di  Penilia  può  essere  —  date  le  sue 
abitudini  —  più  apparente  che  reale,  e,  senza  dubbio,  in  molti 
luoghi  sarà  rimasta  inosservata  per  mancanza  di  osservatori.  Ora 
è  solo  per  mezzo  di  ripetute  osservazioni  che  potremo  conoscere 
la  storia  della  vita  di  questo  interessante  Cladocero. 

Napoli,  Stazione  Zoologica ,  dicembre  1922. 


Finito  di  stampare  il  20  luglio  1923. 


Sul  l’assorbimento  di  fuorescenza 


del  socio 

Dott.  Antonio  Carrelli 


(Tornata  del  18  marzo  1923) 

Il  principio  di  Kirchoff  che  quantitativamente  non  vale 
per  1’emissione  per  luminescenza  è  stato  da  alcuni  autori  veri¬ 
ficato  qualitativamente  nel  fenomeno  di  fluorescenza. 

Il  Burke  i)  infatti  ricercò  se,  quando  una  sostanza  fluore¬ 
scente  emette  energia  di  una  certa  frequenza,  per  il  fatto  stesso 
che  emette,  non  acquista  un  maggior  potere  assorbente  per  la 
stessa  frequenza  di  emissione.  Egli  realizzò  esperienze  con  vetri 
d’  uranio  e  potè  concludere  che  una  sostanza,  quando  emette 
una  radiazione  per  fluorescenza,  assorbe  maggiormente  la  stessa 
radiazione.  Le  esperienze  di  Burke  furono  ripetute  con  dispo¬ 
sitivi  sperimentali  molto  più  sensibili  da  Nicols  e  Moritt  2);  i 
quali  oltre  che  confermare  1'  effetto  scoperto  da  Burke  misero 
in  luce,  con  uno  studio  particolareggiato,  modalità  assai  inte¬ 
ressanti.  Essi  infatti  studiarono  questo  assorbimento  per  fluore¬ 
scenza  in  funzione  della  lunghezza  d'  onda  ed  ottennero  curve 
relative  all'  assorbimento  con  andamento  analogo  a  quelle  cor¬ 
rispondenti  all'  intensità  dell'  emissione,  inoltre  facendo  variare 
l’ intensità  della  luce  che  veniva  assorbita  dalla  soluzione  fluo¬ 
rescente  trovarono  che  l'assorbimento  variava  per  piccole  intensità 
all'  incirca  proporzionalmente  a  questa  e  poi  meno  rapidamente 
man  mano  che  aumentava  la  detta  intensità  fino  ad  aversi  un 


1)  Burke.  —  Phil.  Trans.  191,  pag.  89,  1898. 

2)  Nicols  e  Moritt.  —  Phys.  Rev.  2°  sem.  1904. 


—  101  — 


limite  di  saturazione  :  vi  sarebbe  adunque,  secondo  questi  autori, 
un  carattere  differenziale  notevole  in  questo  speciale  assorbi¬ 
mento.  D' altra  parte  il  Chamichel  0  potè  dimostrare  che  le 
suddette  esperienze  erano  molto  dubbie  poiché  le  misure,  nelle 
condizioni  in  cui  erano  fatte,  risultavano  affette  da  errori  spe¬ 
rimentali  e  quindi  non  era  possibile  risolvere  definitivamente  la 
questione.  Invece  M.  Vick 1  2),  nel  laboratorio  di  Nicols  e  Morritt, 
ripetette  le  esperienze  di  questi  autori  in  risposta  alle  obbiezioni 
di  Camichel,  e  impiegando  metodi  più  sensibili  confermava  pie- 
namente  i  primitivi  risultati,  ritrovando  fra  1'  altro  il  sopradetto 
limite  di  suturazione  dell'assorbimento  per  valori  elevati  della 
intensità  della  luce  che  attraversa  la  soluzione  fluorescente,  ed 
è  da  questa  assorbita. 

Il  Wood  3)  allora,  data  l' importanza  dell'effetto,  trattò  la 
quistione  da  un  nuovo  punto  di  vista,  con  metodi  sperimentali 
semplici  e  dotati  di  maggiore  sensibilità.  Le  esperienze  condotte 
da  questo  autore  presentano  il  maggior  grado  di  attendibilità, 
venendo  eliminati  i  processi  laboriosi  di  misure  e  procedendosi 
invece  direttamenle  al  confronto  dell'  intensità  del  fascio  luminoso 
quando  ha  subito,  e  quando  non  ha  subito  questo  presunto  as¬ 
sorbimento;  e  il  Wood  potè  concludere  che  non  esiste  alcun 
apprezzabile  assorbimento  s  p  ecial  e  .  Sono  ancora  qui 
da  ricordare  le  esperienze  di  Becquerel  4)  che  non  riscontrò  al¬ 
cuna  variazione,  quando  veniva  eccitata  la  fluorescenza,  dell'  in¬ 
dice  di  rifrazione  nelle  vicinanze  delle  bande  di  assorbimento  e 
di  emissione  del  rubino  e  dello  smeraldo,  e  ciò  con  un  me¬ 
todo  sensibilissimo  capace  di  porre  in  evidenza  variazioni  dell'  in¬ 
dice  dell'ordine  IO6- 

Della  medesima  questione  si  sono  sperimentalmente  occu¬ 
pati  1'  Houston  5)  e  il  Kampf  6)  ottenendo  entrambi  un  risultato 
nettamente  negativo. 


1)  Camichel. —Journal  de  Physique,  Tome  4,  pag.  873,  1905. 

2)  WiCK.  —  Phys.  Rev.  24,  1907. 

3)  Wood.  —  Phil.  Mag.  15,  1908. 

4)  Becquerel.  —  C.  R.  153,  pag.  936,  1911. 

5)  Houston.  —  Edin.  Proc.  29,  401,  1909. 

6)  Kampf.  —  Phys.  Zeit.  12,  76,  1911. 


—  102  — 


Mentre  sembra  adunque  da  ritenere  che  Y  effetto  annunziato 
da  Burke  non  sia  che  il  risultato  di  errori  sperimentali,  non 
sarà  superfluo  vedere  come  si  presenta  la  questione  dal  lato 
teorico.  Il  problema  che  venne  trattato  sperimentalmente  era  il 
seguente  cioè  stabilire  l'andamento  deir  assorbimento  nella  zona 
di  emissione  delle  sostanze  fluorescenti,  sia  quando  emettono, 
sia  quando  la  fluorescenza  non  è  eccitata. 

Prima  d'  ogni  altro  è  da  fissare  il  significato  di  un  assorbi¬ 
mento  in  una  zona  di  emissione.  Per  quanto  è  stato  ottenuto 
nel  caso  dei  vapori  incandescenti,  un  fascio  di  luce  con  frequenze 
uguali  a  quelle  di  emissione  del  vapore,  nel  passare  attraverso 
questo  è  influenzato  dai  vibratori  ivi  presenti,  poiché  si  osserva 
una  diminuzione  d' intensità  della  luce. 

La  quantità  d' energia,  detta  comunemente  assorbita  è  in 
realtà  distribuita  nello  spazio  in  tutte  le  direzioni  per  Y  inter¬ 
vento  dei  vibratori  del  vapore,  producendo  la  riscontrata  dimi¬ 
nuzione  del  flusso  luminoso  nella  direzione  incidente. 

Ora  poiché  è  stato  confermato  da  tutti  gli  autori  Y  esistenza 
di  un  assorbimento  nel  caso  di  sostanze  fluorescenti  nella  zona 
di  emissione,  può  dirsi  per  esse  dal  lato  qualitativo  quello  che 
si  è  ripetuto  per  i  vapori;  può  cioè  definirsi  un  coefficiente  di 
assorbimento  K  anche  per  le  frequenze  di  emissioni  !)  ;  ed  al¬ 
lora  il  contenuto  fondamentale  dell'esperienza  di  Burke  porta 
alla  posizione  del  seguente  problema:  il  valore  di  K  presenta 
variazioni  quando  la  sostanza  emette? 

Dai  risultati  sperimentali  suesposti  risulta  che  non  si  verifica 
alcuna  variazione  sia  die  la  fluorescenza  è  eccitata  sia  nell'  altro 
caso  e  ciò  può  anche  esprimersi  dicendo  che  lo  stato  speciale 
in  cui  trovansi  le  molecole  che  emettono  non  altera  il  mecca¬ 
nismo  per  cui  viene  ridotta  1'  ampiezza  di  un'  onda  incidente 
della  stessa  frequenza. 

Di  qui  si  ricava  che  queste  frequenze  di  emissione  esistono 
nella  molecola  con  un  loro  particolare  modo  d'  azione  sia  emit- 


4)  E'  da  ricordare  che  esperienze  da  me  condotte  sulla  dispersione  di  so¬ 
luzioni  fluorescenti  (R.  Acc.  Lincei  Voi.  26,  1°  sem.  pag.  157,  192 2),  hanno  di¬ 
mostrato  Resistenza  di  un'anomalia  dell'indice  nella  zona  di  emissione. 


—  103  — 

tendo  per  azione  di  un  assorbimento  in  un'  altra  zona  spettrale, 
sia  essendo  poste  in  risuonanza  da  un'onda  della  stessa  frequenza. 
Questa  deduzione  può  presentare  interesse  se  applicata  alle  teorie 
che  sono  state  proposte  per  l' interpretazione  del  fenomeno  di 
fluorescenza  e  ciò  relativamente  in  special  modo  a  quelle  so¬ 
stanze  organiche  presentanti  larghe  bande  di  emissione. 

Ora  l'antica  teoria  di  Smiles  l)  basata  sul  concetto  emi¬ 
nentemente  fisico  di  risuonanza,  e  che  interpreterebbe  facilmente 
questo  risultato  negativo,  è  stata  abbandonata  perchè  non  in  ac¬ 
cordo  in  alcune  deduzioni  con  i  risultati  sperimentali;  e  pre¬ 
dominano  oggi  teorie  che  tengono  conto  principalmente  del  lato 
chimico  del  problema.  Gl'  importanti  studi  condotti  sulle  rela¬ 
zioni  tra  costituzione  molecolare  e  fluorescenza  hanno  dimostrato 
che  essa  è  strettamente  collegata  alla  presenza  di  gruppi  atomici 
caratteristici  i  quali  conferirebbero  una  speciale  instabilità  alla 
molecola,  rendendola  atte  ad  emettere  luce  di  determinata  fre¬ 
quenza.  Il  Baly  2)  d’altra  parte  trova  verificata  nei  casi  da  lui 
studiati  la  teoria  sviluppata  sulla  base  di  una  stretta  analogia  tra 
gli  spettri  di  assorbimento  e  di  emissione.  Egli  infatti  dimostra 
che  molte  volte  1'  azione  del  solvente  si  riduce  ad  una  trasfor¬ 
mazione  di  bande  di  assorbimento  in  bande  di  emissione  per  un 
indebolimento  di  legami.  La  teoria  di  Perrin  3)  si  basa  addirit¬ 
tura  su  di  una  trasformazione  completa  della  molecola. 

Secondo  questo  autore  infatti  la  fluorescenza  è  prodotta 
dalla  trasformazione  della  sostanza  che  è  decomposta  dall'azione 
della  luce. 

Oltre  le  esperienze  condotte  dallo  stesso  Perrin,  recente¬ 
mente  il  Wood  ha  potuto  confermare  modificazioni  notevoli 
nelle  soluzioni  fluorescenti  dopo  1'  eccitazione,  e  a  risultati  ana¬ 
loghi  hanno  portato  esperienze  da  me  condotte  su  sali  di  chinina. 

,  Quando  ancora  si  riteneva  come  esistente  1'  effetto  Burke,  esso 
era  considerato  come  una  delle  prove  favorevoli  alla  teoria  di 
Perrin  ed  infatti  un  aumento  dell'  assorbimento  sotto  1'  azione 
della  luce  eccitatrice  veniva  interpretato  come  appunto  dovuto 


4)  Smiles.  —  The  relation  petwind  chemied,  pag.  424. 

2)  Baly.  —  Phil.  Mag.  Aprii,  1914,  pag.  632. 

3)  Perrin.  -  Ann.  de  Phis.  Tom.  X,  Sept.  Oct.  1918. 


—  104  — 


1 


alla  creazione  di  un  maggior  numero  di  vibratori  con  le  fre¬ 
quenze  della  zona  di  emissione,  vibratori  generati  dall'  azione 
della  luce  eccitatrice.  Premesso  ciò  non  sembra  tuttavia  che  le 
precedenti  deduzioni  debbano  contraddire  la  teoria  di  Perrin. 

Egli  infatti  ritiene  che  per  verificarsi  1'  emissione  deve  ot¬ 
tenersi  un  incontro  efficace  tra  1' onda  luminosa  e  la  molecola 
fluorescente.  Per  tale  incontro  egli  suppone  che  debba  prima 
realizzarsi  per  risonanza  con  la  luce  eccitatrice  un’oscillazione 
nella  molecola  con  frequenza  corrispondente  a  quella  di  assor¬ 
bimento.  Quando  1'  ampiezza  di  tale  moto  ha  raggiunto  un  certo 
valore  critico  avviene  la  trasformazione  della  molecola  e  cioè 
una  rottura  di  legame  accompagnata  da  un  irraggiamento.  Ora 
da  ciò  che  si  è  ora  esposto  si  ricava  che  la  mancanza  di  assor¬ 
bimento  speciale  nell'ordine  d'idee  proposto  da  Perrin  porta 
alla  deduzione  che  queste  frequenze  che  compaiono  nella  emis¬ 
sione  devono  preesistere  nella  molecola  in  modo  da  poter  entrare 
in  oscillazione  anche  senza  l'eccitazione  della  fluorescenza.  D'altra 
parte  è  da  notare,  che  recenti  esperienze  portano  ad  una  modi¬ 
fica  alla  teoria  di  Perrin.  Infatti  G.  C.  Mac  Lennon  *)  e  M.  Cale 
in  un  recente  lavoro  sulla  fluorescenza  dell'  esculina  ha  mostrato 
che  la  luce  ultravioletta  produce  una  trasformazione  delle  mo¬ 
lecole  con  la  distruzione  della  emissione,  ma  sostituendo  ad  un 
recipiente  di  quarzo  un  recipiente  di  vetro  ha  potuto  ottenere 
una  fluorescenza  molto  intensa,  che  non  produceva  la  trasforma¬ 
zione  chimica.  Non  volendo  accettare  la  teoria  di  Perrin  e  quindi 
limitandosi  ad  ammettere  soltanto  che  la  proprietà  caratteristica 
delle  molecole  fluorescenti  dipenda  da  una  instabilità  che  per¬ 
mette  a  queste  di  trovarsi  in  due  stati  distinti  e  che  il  passag¬ 
gio  da  uno  di  questi  all'altro  e  viceversa  produca  appunto  l'as¬ 
sorbimento  e  1'emissione  di  energia  sotto  forma  di  radiazioni, 
si  conclude  in  attesa  di  esperienze  definitive  che  i  cosidetti  gruppi 
fluorigeni  conferiscono  alle  molecole  oltre  che  l' instabilità 
anche  nuove  frequenze  caratteristiche  le  quali  individuano  per 
ogni  sostanza  la  zona  di  emissione. 

Le  considerazioni  precedenti  relativamente  poi  allo  scopo 


h  Mac  Lennon.  —  Proc.  Roy,  Soc.  A.  t.  GII,  p.  256. 


principale  dell'esperienza  di  Burcke  e  cioè  verifica  della  prima 
legge  qualitativa  di  Kirkhoff  portano  appunto  ad  una  con¬ 
ferma  di  questa  legge  anche  in  questo  speciale  tipo  di  emissione, 
poiché  come  già  si  è  detto,  nella  zona  di  emissione  si  riscontra 
ancora  un  assorbimento  dipendentemente  dalla  presenza  dei  vi¬ 
bratori  emittenti. 

Quanto  finora  si  è  esposto  è  limitato  al  fenomeno  di  fluo¬ 
rescenza  propriamente  detto,  presentato  da  composti  organici  a 
molecola  molto  complessa,  in  cui  cioè  il  fenomeno  della  emis¬ 
sione  è  contemporaneo  alla  eccitazione,  ma  se  si  considerano  fe¬ 
nomeni  di  fosforescenza  in  cui  un  certo  tempo  passa  tra  cause 
ed  effetti,  può  riscontrarsi  una  diversità  di  comportamento  quando 
la  sostanza  è  eccitata.  Converrà  allora  distinguere,  come  fa  il 
Pringsheim  !)  tra  molecola  eccitata  e  non  eccitata,  ed  è  da  ri¬ 
cordare  che  una  diversità  negli  spettri  di  assorbimento  è  stata 
notata  nei  fosfuri  alcalino-terrosi  per  i  quali  vale  la  teoria  di 
Lenard  basata  su  di  un  effetto  fotoelettrico. 

Concludendo  si  è  visto  che  la  mancanza  di  un  presunto  ef¬ 
fetto  Burke,  mancanza  posta  in  luce  da  numerosi  osservatori 
può  essere  interpretata  come  mostrante  l'influenza  che  può  avere 
il  gruppo  fluorogeno  nella  molecola  anche  riguardo  ai  perime¬ 
tri  ottici,  oltre  che  fornire  una  nuova  prova  attestante  le  diver¬ 
sità  che  intercedono  tra  fluorescenza  e  fosforescenza. 

Napoli ,  Istituto  Fisico  della  R.  Università. 


Y 


Finito  di  stampare  il  20  luglio  1923. 


*)  Pringsheim.  —  Fluorescenz  und  Phosphorescenz,  p.  100. 


L’origine  nucleolare  dei  centrosomi  negli 
oociti  di  cagna. 

Memoria 
del  socio 

CI  audio  Gargano 


(Tornata  del  18  marzo  1923) 


Fin  da  quando  Balbiani  osservò,  durante  la  maturazione 
dell'uovo  dei  mammiferi,  la  presenza  nel  vitello  di  un  corpic- 
ciuolo  speciale,  che  in  suo  onore  prese  il  nome  di  vescicola  di 
Balbiani  [Milne-Edward  (1867)]  o  di  corpo  vitellino  di  Balbiani 
[Henneguy  (1893)],  i  lavori  sull'argomento  si  sono  moltiplicati 
sia  per  assodare  l'origine  di  questa  formazione,  che  i  suoi  rap¬ 
porti  con  il  nucleo.  E,  considerando  l'uovo  un  organismo  uni- 
cellulare  simile  ai  protozoi,  si  volle  pensare  che  il  corpo  vitel¬ 
lino  di  Balbiani  fosse  analogo  al  macronucleo  degli  infusori, 
laddove  la  vescicola  germinativa  rappresenterebbe  il  micronucleo 
o  nucleo  sessuale. 

Studiandosi  in  seguito  la  genesi  del  corpo  vitellino  dai  più 
non  si  potettero  disconoscere  i  rapporti,  che  esso  ha  con  il  nu¬ 
cleolo  :  il  nucleolo  fuoruscito  dalla  vescicola  germinativa  pro¬ 
durrebbe  un  centrosoma,  che  per  Julin  non  è  altro  che  il  me¬ 
desimo  corpo  vitellino  di  Balbiani,  il  quale,  dopo  di  aver 
presenziato  alla  divisione  dell'uovo,  si  riassorbirebbe. 

Sfere  direttrici  o  centrosomi  furono  altresì  riscontrate  oltre 
che  nelle  cellule  in  riproduzione,  da  Guignard  (1921-94)  in 
elementi  vegetali  in  riposo,  da  Flemming  (1891)  nell'epitelio  pol¬ 
monare  delle  salamandre,  ecc.  ;  ma,  non  essendo  costanti  in  tutti 
gli  elementi,  si  volle  da  Hertwig  (1903)  ammettere  l'ipotesi,  che 


—  107  — 


W: 


i  centrosomi,  dopo  la  divisione  della  cellula,  rientrassero  nel 
nucleo,  per  tornare  ad  uscire  all' inizio  della  profase. 

Una  concezione  così  semplice,  quale  quella  espressa  da 
Julin  e  da  Hertwtg  suirorigine  nucleolare  del  centrosoma,  non 
ha  pertanto  trovato  il  consenso  generale  dei  citologi,  giacché 
molti,  sia  in  una  epoca  relativamente  antica,  che  in  epoche  re¬ 
centi  furono  di  parere  contrario,  considerando  i  centrosomi 
come  formazioni  esclusivamente  citoplasmatiche.  Nè  tampoco  le 
recenti  ricerche  di  Georgévitch  (1922)  suirorigine  intranucleo- 
lare  del  centrosoma,  confermate  da  Argaud  (1922)  anche  in 
tessuti  patologici,  credo  risolvano  tale  controversa  quistione  ed 
invece  ingrandiscono  il  problema,  estendendolo  allo  studio  della 
natura  e  delle  funzioni  dei  nucleoli. 

Per  quanto  si  debba  supporre  una  identità  nei  fenomeni 
generali  della  vita  (!)  è  un  errore  lo  generalizzare,  in  ispecie  per 
il  fatto,  che  in  argomenti  così  delicati  non  possiamo  servirci 
della  visione  diretta  delle  cellule  vive,  e  bisogna  portare  la  pro¬ 
pria  attenzione  su  preparati  fissati  e  colorati  variamente  e  stabi¬ 
lire  delle  seriazioni,  che  non  sempre  forse  rispondono  alla  realtà. 

Infatti  i  vari  autori,  che  si  sono  occupati  deH'argomento, 
pur  adoperando  il  medesimo  materiale  di  studio,  sono  venuti  a 
conclusioni  abbastanza  diverse. 

I  nucleoli,  in  numero  variabile,  relativamente  piccoli  negli 
oociti  giovani,  raggiungono  dimensioni  piuttosto  grandi  man 
mano  che  Toocito  si  evolve.  Risultano  di  uno  stroma  fonda- 
mentale  omogeneo  o  leggermente  granuloso,  nel  quale  si  trova 
un  reticolo  cromatico,  dei  granuli  cromatici  e  spesso  dei  vacuoli. 

Circa  la  natura  delle  sostanze  costituenti  i  nucleoli  la  contro¬ 
versia  iniziatasi  per  opera  dei  maggiori  citologi  non  sembra 
possa  ritenersi  risoluta.  Per  Ruckert  (1892-95)  i  nucleoli  negli 
oociti  dei  Selaci  sarebbero  plasmatici  ed  in  ogni  guisa  mai  da¬ 
rebbero  origine  ai  cromosomi,  laddove  Carnoy  e  Lebrun  (1897- 
900),  nelle  loro  notevoli  memorie,  ritenendoli  dei  piccoli  nuclei 
in  miniatura,  li  considerano  come  nucleoli  nucleinici.  Il  vario 
modo  di  comportarsi  rispetto  ai  fissativi  ed  ai  reagenti  più  che 
essere  esponente  di  differenza  nella  loro  composizione  chimica, 
sarebbe  da  riporsi  nelle  fasi  del  loro  sviluppo. 

Cerruti  (1906)  infatti  pensa  che  negli  stadi  giovani  ed 


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allorché  si  presentano  più  o  meno  sferoidali,  con  masse  com¬ 
patte  nell'  interno,  abbiano  una  elettività  per  i  colori  basici, 
laddove  invece,  negli  stadi  avanzati  di  sviluppo,  mostrerebbero 
una  spiccata  acidofilia. 

Anche  più  controverso  è  il  capitolo  riguardante  le  risolu¬ 
zioni  dei  nucleoli.  Carnoy  e  Lebrun  (1897-900)  negli  oociti  molto 
giovani  hanno  notato  il  frammentarsi  del  loro  reticolo  nucleinico 
e  la  loro  risoluzione  in  formazioni  interpetrate  erroneamente  per 
cromosomi,  ma  che  invece  sarebbero  destinate  ad  una  ulteriore 
risoluzione  in  granuli.  Molti  di  questi  granuli  si  dissolverebbero 
per  un  processo  di  lisi,  laddove  altri  riunendosi  darebbero  ori¬ 
gine  a  nuovi  nucleoli.  Tale  processo  di  risoluzione  e  di  rico¬ 
struzione  nucleolare  si  moltiplicherebbe  fino  a  quando  non  si 
abbia  il  periodo  di  maturazione  degli  oociti;  in  quel  periodo  la 
risoluzione  dei  nucleoli,  contemporanea  alla  dissoluzione  della 
membrana  nucleare,  genererebbe  i  cromosomi. 

La  genesi  nucleolare  dei  cromosomi,  enunciata  da  Carnoy 
e  Lebrun  (1897-900)  è  in  contraddizione  con  quanto  avevano 
notato  precedentemente  Ruckert  (1892-94),  Holl  (1890),  Born 
(1894)  ed  altri  autori,  per  i  quali  i  nucleoli  sarebbero  destituiti 
di  questa  importante  funzione,  sebbene  sieno  stati  osservati 
fuoriuscire  dal  nucleo  durante  la  maturazione  degli  oociti. 

Pur  non  dividendo  completamente  le  idee  di  Carnoy  e 
Lebrun  (1897-900),  Winiwarter  (1900),  Marechal  (1904-05), 
Levi  (1903-05)  hanno  potuto  anche  essi  constatare  delle  risolu¬ 
zioni  nucleolari,  risoluzioni,  che  nella  Salamandrina  (Levi)  si 
fonderebbero  con  i  cromosomi. 

Cerruti  (1906)  non  si  nasconde  che  i  filamenti  osservati  da 
Carnoy  e  Lebrun  (1897-900)  nei  nucleoli  possano  essere  consi¬ 
derati  variamente,  quantunque  si  rinvengano  in  oociti  immedia¬ 
tamente  dopo  la  loro  estrazione  dagli  ovari.  Non  avrebbe  del 
pari  valore  il  fatto  che  i  nucleoli  in  alcuni  stadi  della  loro  evo¬ 
luzione  appaiano  omogenei,  essendo  ciò  dovuto  ad  un  partico¬ 
lare  comportamento  dei  granuli  nucleinici.  La  regolarità  pre¬ 
sentata  da  molte  risoluzioni  nucleolari,  per  il  detto  A.,  è  do¬ 
vuta  all’azione  di  centri  speciali  esistenti  nell'interno  dei  nucleoli 
centri  che  agirebbero  sui  filamenti  nucleolari  allorché  questi  si 
individualizzano. 


—  109  — 


Pertanto  ad  eccezione  di  Cerruti  (1906)  è  stata  data  poca 
importanza  airorientamento  presentato  dai  nucleoli,  orientamento 
che  non  può  essere  dovuto  ai  fissativi,  trovandosi  costantemente 
in  tutte  le  profondità  dell'ovaio  ed  in  varia  misura  a  secondo 
della  maturazione  più  a  meno  avanzata  degli  oociti.  Infatti  Cer- 
ruti  (1906)  ha  notato  che  i  nucleoli  si  spostano  sempre  verso 
la  parte  della  vescicola  germinativa  più  prossima  alla  membrana 
vitellina:  nella  medesima  direzione  si  orienterebbero  anche  i 
nuclei  in  foto.  La  spiegazione  di  ciò,  secondo  il  detto  A.,  sa¬ 
rebbe  da  riporsi  nei  complicati  fenomeni  di  nutrizione  degli 
oociti  e  nello  sviluppo  ulteriore  dell'uovo. 

Dai  pochi  accenni  bibliografici  si  vede  che  ancora  molto 
disaccordo  vi  sia  sull'  origine  dei  centrosomi  e  sulla  interpe- 
trazione  delle  funzioni  dei  nucleoli. 

Da  alcuni  esemplari  di  ovaio  di  cagna  ho  potuto  ottenere 
delle  sezioni,  che  mettono  in  rilievo  delle  particolarità  degne  di 
nota,  le  quali  forse  potrebbero  darci  ragione  dell'origine  nu- 
cleolare  dei  centrosomi  e  del  loro  destino  ulteriore  negli  oociti 
non  ancora  maturi.  Le  sezioni  provengono  da  materiale  fissato 
in  liquido  di  Flemming  e  sono  state  colorate  con  ematossilina 
ferrica  di  Heidenhain. 

1. °  Stadio.  —  Negli  oociti  molto  giovani  la  vescicola  ger¬ 
minativa  risulta  dì  una  sottile  membrana,  nel  cui  interno  trovasi 
un  reticolo  cromatico  a  filamenti  anche  sottili,  granuli  cromatici 
ed  un  nucleolo  di  struttura  molto  semplice. 

2. °  Stadio.  —  Man  mano  che  l' oocita  si  matura,  anche  il 
nucleolo  presenta  una  morfologia  più  complicata;  sembra  un  nu¬ 
cleo  in  miniatura,  risulta  cioè  di  una  membrana  nucleolare,  di  un 
reticolo  nucleinico  e  di  un  punto  più  brillante  nel  suo  interno. 
Tale  struttura  abbastanza  complessa  del  nucleolo  rende  possi¬ 
bile  lo  studio  del  suo  ulteriore  destino  e  fa  stabilire  delle  se¬ 
riazioni,  che  probabilmente  rispondono  al  vero,  sebbene  in  que¬ 
sta  seriazione  manchino  alcuni  stadi  intermedi. 

3. °  Stadio.  — All'esterno  della  vescicola  germinativa,  nel  vi¬ 
tello,  si  trovano  due  formazioni,  che  hanno  una  morfologia  comple¬ 
tamente  uguale  a  quella  del  nucleolo  descritto  nel  secondo  stadio. 
Queste  formazioni  le  considero  come  nucleoli  migrati  nel  vitello. 


—  110  — 


4.o  Stadio.  —  Continuando  la  maturazione  dell'oocito,  uno 
dei  due  nucleoli  migrati  si  sposta  verso  la  membrana  vitellina, 
laddove  l'altro  si  risolve  in  prossimità  della  vescicola  germina¬ 
tiva  in  numerose  risoluzioni  ad  anse  ed  a  granuli. 

6.°  Stadio.  —  Oocito  maturo.  Si  nota  nel  vitello  in  pros¬ 
simità  della  vescicola  germinativa  un  granulo  brillante,  che  ha  la 
morfologia  e  le  reazioni  microchimiche  dei  centrosomi. 

La  topografia  della  vescicola  germinativa,  del  nucleolo  e  di 
queste  formazioni,  che  dovranno  generare  i  centrosomi,  non  è 
arbitraria.  Negli  oociti  molto  giovani  la  vescicola  germinativa 
trovasi  al  centro  del  vitello  e  la  macchia  germinativa  nel  centro 
della  vescicola  germinativa;  ma  man  mano  che  l'oocito  si  evolve 
e  si  matura,  la  vescicola  germinativa  e  la  macchia  germinativa 
si  spostano  verso  il  polo  dell'  uovo  più  prossimo  al  punto  dove, 
a  maturazione  completa  ,  dovrà  scoppiare  il  follicolo  di  Graf. 
Le  formazioni  poi,  che  io  interpetro  come  nucleoli  migrati,  sia 
nella  loro  fuoriuscita  dal  nucleo,  che  nello  spostarsi  e  nel  risol¬ 
versi,  seguono  sempre  la  medesima  polarità  della  vescicola  ger¬ 
minativa,  ne  ciò  è  dovuto  all'azione  dei  fissativi  o  degli  alcooli. 

Dagli  stadi  osservati  credo  possa  concludersi,  che  i  nucleoli 
continuamente  generano  quelle  formazioni,  che  io' interpetro  co¬ 
me  nucleoli  migranti,  le  quali  negli  oociti  giovani  si  risolvono 
variamente  degenerando,  laddove  negli  oociti  maturi  danno  ori¬ 
gine  ai  centrosomi. 


Clinica  chirurgica  della  R.  Università  di  Napoli. 


LAVORI  CITATI 


1922.  Argaud,  R.  —  Sur  la  présence  intra-tiucléolaire  da  centrosome  : 

C.  R.  Acad.  Se.  Paris,  Tome  194,  p.  1078. 

1894.  Born,  G.  —  Die  Stradar  des  Kcimblàschens  voti  Triton  taeniatas: 
Arch.  Mik.  Anat.,  43.  Bd.,  p.  1,  Taf.  1-4. 

1897.  Carnoy,  I.  B.  —  Lebrum,  H.  —  1.  La  vésicale  germinative  et  les 

globales  polaires  chez  les  Batraciens:  La  Cellule,  Tome  12, 
p.  189,  PI.  1-5. 

1898.  —  —  2.  —  —  Ibid.  Tome  14,  p.  109,  PI.  4. 

1899.  —  —  3.  —  —  Ibid.  Tome  16,  p.  209,  PI.  9-12. 

1900.  —  —  4.  —  —  Ibid.  Tome  17,  p.  201,  PI.  1-7. 

1905.  Cerruti,  A.  —  1.  Sulle  risoluzioni  nacleolari  nella  vescicola  ger¬ 

minativa  degli  oociti  di  alcuni  vertebrati:  Anat.  Anz.,  26  Bd., 
p.  613,  16  figg. 

1906.  —  —  2.  Sull’evoluzione  dell’uovo  ovarico  nei  Selaci :  Atti  Accad. 

Se.  Napoli,  Voi.  13,  N.  3,  88  pag.,  7  Tav. 

1891.  Flemming,  W.  —  Atlraktionssphàren  und  Centralhòrper  in  Ge- 
webszellen  und  Wanderzellen  :  Anat.  Anz.,  6.  Bd.,  p.  78. 

1921.  Georgévitch,  P.  —  L’origine  du  centrosome  et  la  formation  du 
fuseau  chez  Stypocaulon  scoparium  (L.)  Riitz  :  C.  R.  Acad.  Se. 
Paris,  Tome  174,  p.  695. 

1891.  Guignard,  L.  —  1.  Sur  l'existence  des  «  sphères  attradives »  dans 
les  cellules  végétales:  Ibid.,  Tome  112,  p.  539. 

1894.  —  —  2.  Sur  l’origine  des  sphères  diredrices  :  Ibid.,  Tome  119, 
p.  300. 

1893.  Henneguy,  F.  —  1.  Le  corps  vitelliti  de  Balbiani  dans  l’oef  des 

Vertèbres  :  Journ.  Anat.  Phys.  Paris,  Tome  29,  p.  1,  PI.  1. 

1894.  —  —  2.  Recherches  sur  l’atrésic  des  follicules  de  Graaf  chez 

les  Mammifères  et  quelques  autres  Vertèbrés  :  Ibid.,  Tome  30, 
p.  1,  PI.  1-2. 

1903.  Hertwig,  O.  —  cof.  Articolo  «  Eireife  und  Befruchtung  »  :  Hand- 
buch  der  vergleichenden  undexperimentellen  Entwickelungslehre 
der  Wirbeltiere,  herausgeg.  von  O.  Hertwig. 

1890.  Holl,  M.  —  1.  Ueber  die  Reifung  der  Eizelle  des  Muhn’s.:  Sitz 
Akad.  Wien.,  Ili  Abth.,  99.  Bd.,  p.  311,  Taf.  1. 

1893.  —  —  2.  Ueber  die  Reifung  der  Eizelle  bei  den  Saugetieren  : 
ibid.,  102.  Bd.,  p.  249. 

1903.  Levi,  G.  —  1.  Osservazioni  sulla  differenziazione  delle  uova  negli 
Anfibii :  Monit.  Z.  Ital.  Voi.  13,  p.  18. 


—  112 


1905.  —  —  2.  Sulla  differenziazione  del  gonocita  e  dell’ovocita  degli 

Atifibii  con  speciale  riguardo  alle  modificazioni  della  vesci¬ 
cola  germinativa:  Arch.  Anat.  Embr.,  Voi.  4,  p.  696,  Tav.  71-78. 

1904.  Maréchal,  I.  —  1.  Ueber  die  morphologische  Entwickelung  der 

Chromosomen  im  Keimblàscheti  des  Selachiercies  :  Anat.  Anz., 
25.  Bd.,  p.  483,  25  figg. 

1905.  —  —  2.  Ueber  die  morphologische  Entwickelung  der  Chromo¬ 

somen  im  Teleostierei  (mit  einem  Zusatz  iiber  das  Ovarialei 
von  Amphioxus  lanceolatus  und  Ciotta  intestinalis):  Ibid.,  -26. 
Bd.,  p.  641,  27  figg. 

1892.  Ruckert,  I.  —  1.  Zur  Entwickelungsgeschichte  des  Ovarialeies  bei 
Selachiertv.  Ibid.,  7.  Bd.,  p.  107,  6  figg. 

1894.  —  —  2.  Zur  Eireifung  bei  Copepoden  :  Anat.  Hefte,  1  Abth., 

4,  Bd.,  p.  261,  Taf.  21-25. 

1895.  —  —  3.  Ueber  das  Selbstàndigbleiben  das  vàterlichen  und 

mutterlichen  Rernsubstanz  wàhrend  der  ersten  Entwickelung 
des  befruchteten  Ciclops-Eies :  Arch.  Mikr.  Anat.,  45.  Bd., 
p.  339,  Taf.  21-22. 

1900.  Winiwarter,  H.  von.  —  1.  Le  corpuscule  intérmediaire  et  le 
nombre  des  chromosomes  du  Lapin:  Arch.  Biol.,  Tome  16, 
p.  685,  Pie.  29. 

1900.  —  —  2.  Recherches  sur  Uovo genèse  et  l’organo genèse  de  l’ov aire 
des  Mammifères  ( Lapin  et  Homme):  Ibid.,  Tome  17,  p.  39, 
Pie.  4-8. 


Finito  di  stampare  il  20  luglio  1923 


Sulla  genesi  delle  colonie  primaverili  del 
Zoobotryon  pellucidum  Ehrbg. 


Ricerche 
del  socio 

Prof.  Giuseppe  Zirpolo 

Libero  docente  di  Zoologia  nella  R.  Università  di  Napoli 


(Tornata  del  22  gennaio  1923) 

Introduzione. 

In  una  mia  precedente  Nota  mi  sono  occupato  del  ciclo 
biologico  del  Zoobotryon  pellucidum  Ehrbg,  che  ho  potuto  se¬ 
guire  completamente  in  varii  anni  di  ricerche. 

Nel  presente  lavoro,  studio  in  modo  particolareggiato,  lo 
sviluppo  delle  colonie  primaverili,  cioè  di  quelle  che  si  origi¬ 
nano  dai  rami  autunnali  che  hanno  svernato. 

Ho  la  speranza  che  queste  ricerche  e  le  altre  che  andrò  pub¬ 
blicando  e  che  sono  in  gran  parte  completate  possano  far  co¬ 
noscere  meno  imprecisamente  la  etiologia  di  questo  briozoo. 

Materiale  di  studio  e  tecnica. 

Verso  la  fine  di  ottobre  io  ho  seguitato  a  raccogliere  i  ra¬ 
mi  residuati  che  mi  era  possibile  ancora  trovare  in  vicinanza 
delle  chiglie  delle  navi  o  di  altri  oggetti  sommersi.  Non  ne  ho 
potuto  ottenere  mai  in  abbondanza:  sempre  pochi  e  in  gene¬ 
rale  rivestiti  completamente  da  diatomee,  ma  così  numerose 
e  fitte  da  formare  come  una  crosta  di  colore  brunastro.  Que¬ 
sti  rami  io  ho  avuto  cura  di  distribuire  in  vasche  speciali 


—  114  — 


contenenti  acqua  di  mare  limpida,  non  corrente  i)  ed  osservarli 
durante  tutto  Y  inverno. 

Io  ho  seguito  le  colonie  quasi  giornalmente  ed  ho  potuto 
notare  che  di  tutta  la  colonia  i  rami  terminali  erano  quelli  che 
si  disfacevano  nel  periodo  di  poche  settimane.  A  partire  da 
quelli  periferici  fino  a  quelli  più  vicini  all'asse  principale  avve¬ 
niva  un  continuo  sfaldamento.  Non  appena  la  sostanza  blasto- 
gena  interna  si  esauriva  incominciava  la  caduta  di  tutti  i  zoidi 
residuati.  Indi  i  rami  terminali  diventavano  flaccidi,  si  riducevano 
e  si  sfaldavano  lentamente.  Eguale  sorte  capitava  a  tutti  gli  altri 
rimanenti  rami  di  secondo  o  terzo  ordine  che  erano  ancora  a  - 
derenti  al  ramo  principale,  finché  rimaneva  un  unico  e  solo  asse, 
di  aspetto  turgido,  senza  nessun  zoide,  opaco,  ma  con  una  no¬ 
tevole  quantità  di  sostanza  blastogena  in  tutta  la  regione  interna. 

Questo  ramo  unico  era  quello  che  rimaneva  in  generale 
durante  tutto  l'inverno.  Della  lunghezza  di  qualche  centimetro 
e  mezzo  o  meno  esso  rimaneva  sul  fondo  del  vaso  senza  pre¬ 
sentare  nessuna  manifestazione  di  vita,  anzi  al  binoculare  non  pre¬ 
sentava  nulla  di  notevole,  e  poteva  dirsi  che  fosse  in  uno  stato 
di  vita  latente. 

Io  ho  seguito  questi  rami  per  tutto  il  periodo  invernale  ed 
ho  cercato  di  osservarli  in  modo  che  nulla  mi  sfuggisse  delle 
modificazioni  che  sarebbero  potute  avvenire  in  essi,  ma  nulla  ho 
potuto  notare  degno  di  rilievo  durante  l'inverno,  solamente  all'i¬ 
nizio  della  primavera  ho  potuto  osservare  che  varie  zone  della 
superficie  dei  rami  pigliavano  una  tinta  più  chiara  e  numerose 
granulazioni  biancastre  venivano  a  formarsi  verso  queste  parti 
che  presentavano  un  certo  rilievo  in  confronto  del  ramo  ba¬ 
sale.  Ne  isolai  uno  di  questi  in  una  vasca  speciale  onde  poter 
seguire  tutte  le  fasi  di  sviluppo  durante  la  primavera  e  nel  pe- 


l)  L’acqua  di  mare  corrente  non  mi  ha  dato,  in  tutto  il  periodo  di  osser¬ 
vazione,  alcun  risultato  positivo.  Le  colonie  tenute  nelle  vasche  dove  la  corrente 
d’acqua  le  teneva  in  continua  agitazione  si  disfacevano  molto  facilmente,  ed 
anche  se  la  corrente  d’acqua  veniva  immessa  in  modo  da  non  turbarle,  pure 
non  vivevano  per  tutto  il  periodo  invernale,  ma  andavano  distrutte.  Solamente 
con  l’acqua  di  mare  stagnante  io  ho  potuto  seguire  tutto  il  ciclo  biologico  del 
Zoobotryon. 


—  115  — 


riodo  successivo,  e  potetti  così  convincermi  che  i  rami  primaverili 
si  originano  da  rami  autunnali  che  svernano  sul  fondo  marino. 

Descrizione  dello  sviluppo  dei  rami  primaverili* 


Il  ramo  raccolto  misurava  circa  15  mm.  (Fig.  1).  Era  costi¬ 
tuito  da  due  articoli,  uno  più  lungo  A,  di  circa  11  mm.  e  l'al¬ 
tro  più  corto  B  di  circa  4  mm., 
separati  fra  loro  da  una  breve 
strozzatura,  ma  fortemente  ade¬ 
renti  per  una  larga  zona  di  con¬ 
tatto. 

Il  primo  aveva  forma  cilin¬ 
drica,  lievemente  arcuato  e  ter¬ 
minava  a  cono  con  estremo  con¬ 
vesso.  In  tutta  quanta  la  sua 
lunghezza  non  presentava  lo  stes¬ 
so  calibro,  ma  nella  zona  mediana 
era  alquanto  più  largo:  lateral¬ 
mente  non  mancavano  piccoli  ri¬ 
lievi  ed  introflessioni  che  si  os¬ 
servavano  lungo  tutto  il  ramo. 

L'altro  articolo,  quello  inferiore, 
era  molto  più  tozzo,  di  forma 
grossolanamente  conica.  La  mag¬ 
giore  grandezza  era  in  vicinanza 
del  punto  d' innesto  con  l'altro 
ramo,  ma  terminava  alquanto  più 
sottile,  sebbene  la  regione  basale 
si  presentasse  a  forma  ovoide. 

Anche  tutta  la  superficie  non  era 
perfettamente  liscia,  in  quanto 
presentava  di  tanto  in  tanto  pic¬ 
coli  infossamenti  e  rilievi  che 
davano  al  ramo  un  aspetto  par¬ 
ticolare.  Ambedue  questi  rami  erano  notevolmente  turgidi,  tra¬ 
sparenti  in  alcune  regioni  della  loro  lunghezza,  mentre  in  altri 
punti,  specialmente  nella  regione  centrale,  si  osservava  nel  primo 


Fig.  1. 


—  116  — 


articolo  un  denso  cilindro  di  sostanza  di  colore  giallo  intenso 
che  occupava  tutta  la  regione  mediana  del  ramo  a  partire  dal¬ 
l'apice  sino  al  punto  d'innesto  con  l'altro  ramo,  e  l'articolo  ba¬ 
sale  aveva  quasi  tutto  Y  interno  completamente  occupato  dalla 
sostanza  di  colore  giallo,  salvo  qualche  lievissima  zona  laterale 
che  ne  era  sfornita.  Onde  la  trasparenza  dei  rami  del  Zoobotryon 
pellucidum  Ehrbg,  durante  il  periodo  estivo,  in  questo  ramo  non 
era  limitata  che  a  poche  zone  solamente. 

Alla  massa  di  colore  giallo  io  ho  dato  il  nome  di  “  sostan¬ 
za  blastogena  „.  Essa  era  stata  chiamata  del  Reichert  “  sostanza 
protozootica  ma  io  non  ho  creduto  conservare  questo  nome  per¬ 
chè  m'è  parso  improprio  e  le  ragioni  le  ho  già  riferite  in  prece¬ 
denti  lavori.  Questa  sostanza  blastogena,  la  cui  importanza  nello 
sviluppo  dai  rami  è  davvero  eccezionale,  si  presenta  di  un  colore 
giallo  cupo,  ma  può  anche  avere  tinte  varie  di  giallo  fino  al  bianco 
e  ciò  in  rapporto  al  suo  spessore.  Difatti  nella  zona  centrale  essa 
si  presentava,  in  questi  rami,  di  colore  giallo  scuro  per  essere 
fortemente  densa.  Non  correva  diritta  lungo  tutto  il  ramo  A,  ma 
si  presentava  lievemente  tortuosa.  Nelle  regione  basale,  cioè  al 
punto  d'inserzione  coll'altro  articolo  essa  era  abbastanza  sottile, 
ma  poi  diventava  di  forma  ovale  e  poi  cilindrica.  Correva  lungo 
tutto  il  ramo  presentando  verso  la  metà  una  forte  insenatura  verso 
le  superficie  di  sinistra,  per  poi  allontanarsi  e  disporsi  verso  la  re¬ 
gione  centrale  fin  verso  l'estremo  apice  del  ramo.  Il  suo  spessore 
quindi  non  era  sempre  lo  stesso,  ma  variava  in  tutta  la  lunghezza 
e  osservando  la  Fig.  1  si  può  vedere  la  varia  posizione  assunta 
dal  cilindro  di  sostanza  blastogena  lungo  tutto  il  ramo.  Intorno 
a  questo  cilindro,  la  cui  costituzione  morfologica  e  strutturale 
avrò  occasione  in  un  prossimo  lavoro  di  descrivere  ed  illustrare, 
osservavasi  per  trasparenza  una  rete  della  stessa  sostanza,  di  co¬ 
lore  giallo  pallido,  con  rami  di  sottigliezza  varia,  ma  intersecan- 
tisi  fra  di  loro  in  modo  vario.  Questa  rete  più  o  meno  fitta,  a 
maglie  irregolari  si  staccava  sempre  più  dalla  regione  mediana 
e  si  andava  facendo  sempre  più  rada  ed  a  maglie  più  larghe  fin 
verso  la  parete  del  tubo  dove  terminava  con  i  suoi  apici  con¬ 
fondendosi  in  parte  con  la  sostanza  della  regione  interna  del 
tubo  cellulosico  ed  in  parte  dirigendosi  verso  particolari  zone 
donde  traevano  origine  i  nuovi  rami. 


—  117  — 


La  sostanza  blastogena  nel  ramo  inferiore,  data  la  sua  no¬ 
tevole  estensione  in  tutto  1'  articolo  e  la  piccolissima  parte  la¬ 
sciata  trasparente,  non  permetteva  di  osservare  neppure  in  questa 
zona  la  rete  che  così  facilmente  si  scorgeva  nel  ramo  superiore, 
ma  variando  la  distanza  focale  dell' obbiettivo  si  potevano  vede¬ 
re  lunghi  filamenti  costituenti  le  zone  superficiali  della  massa 
blastogena  centrale. 

Tanto  neiruno  che  nell'altro  ramo  io  ho  potuto  notare  nu¬ 
merosi  rami  o  inizii  di  rami  formatisi  sulla  loro  superficie.  Nel 
primo  articolo,  il  più  lungo,  si  contavano  ben  nove  rami  in  via 
di  sviluppo  e  sull'altro  quattro. 

Questi  rami  (Fig.  2)  il  12  aprile,  dopo  otto  giorni,  erano 
già  abbastanza  sviluppati  e  su  di  essi  si  notavano  numerose 
gemme  di  zoidi  in  via  di  sviluppo.  La  disposizione  di  questi  rami 
non  era  la  più  normale  e  regolare  così  come  si  è  soliti  osservare 
in  tutti  i  rami  del  Zoobotryon ,  ma  in  prossimità  dell'apice  se  ne 
erano  sviluppati  due,  a,  a'  quasi  della  stessa  lunghezza  e  disposti 
l’uno  di  fronte  all'altro.  Questi  erano  in  immediato  contatto  nel 
loro  interno  con  la  sostanza  blastogena  del  ramo  fondamentale.  Da 
questo  si  partivano  due  ramificazioni  che  innestandosi  alla  base 
dei  due  novelli  rami  li  seguivano  sino  ai  loro  estremi  apici.  Late¬ 
ralmente,  da  questi  fili  di  sostanza  blastogena  si  osservavano 
ulteriori  ramificazioni  che  si  connettevano  all'origine  degli  zoidi. 
A  questi  due  rami  seguiva  un  altro  inferiormente  a  sinistra  b  e 
più  giù  un  altro  e  tutti  e  due  presentavano  le  stesse  modifica¬ 
zioni  per  quanto  si  riferisce  alla  sostanza  blastogena  dei  rami 
precedentemente  descritti. 

Nella  regione  mediana  poi  si  notavano  due  grossi  rami  c,  c' 
sviluppatisi  l'uno  accanto  aU’altro.  Notevole  poi  era  il  fatto  che 
essi  nelle  zone  in  cui  erano  l'un  di  fronte  all'altro  non  avevano 
sviluppato  zoidi,  ma  questi  si  erano  formati  in  numero  notevole 
nelle  regioni  opposte.  Nella  metà  inferiore  poi  del  tubo  vi  erano 
altri  quattro  rami  e,  f,  f,  g  disposti  in  modo  vario  e  quasi  tutti 
con  numerosi  zoidi  in  via  di  sviluppo. 

Nell'articolo  inferiore  B  dei  quattro  rami  h,  h',  k,  i  tre  erano 
ben  sviluppati  e  l’altro  posteriore  i  di  meno.  Di  questi  rami  tre, 
i  superiori,  erano  tutti  disposti  quasi  allo  stesso  livello:  quello  di 
destra  più  sottile,  ma  più  lungo,  quello  di  mezzo  più  tozzo  ma  più 


—  118  — 


corto  e  l'altro  più  sottile  e  con  appena  qualche  accenno  allo  svi¬ 
luppo  di  zoidi.  Nella  regione  inferiore  a  destra  si  notava  un  altro 
ramo  k  piuttosto  tozzo  e  abbastanza  sviluppato  che  portava  varii 
zoidi  lungo  tutto  il  suo  asse. 

In  generale  tutta  questa  ricca  serie  di  rami  si  era  sviluppata 


nello  spazio  di  pochi  giorni.  Essi  avevano  una  forma  cilindrica 
in  quasi  i  due  terzi  della  loro  lunghezza,  ma  verso  l'estremo  pi¬ 
gliano  una  forma  conica  ad  apice  convesso.  Gli  zoidi  in  alcuni  di 
questi  rami  si  erano  sviluppati  di  più  verso  l'apice,  in  altro  lun- 


—  119  — 


go  tutto  l’asse,  in  più  file  o  in  due  o  talvolta  si  vedevano  sparsi. 
Tutti  i  rami  però  avevano  immediata  relazione  con  la  sostanza 
blastogena  fondamentale.  Nel  loro  centro  era  sempre  ben  visibile 
il  filamento  biancastro,  cilindrico,  che  correva  diritto  verso  l'apice 
del  ramo,  dove  corpuscoli  bianchi,  come  fitte  granulazioni  si  rac¬ 
coglievano  quasi  a  dare  la  spinta  alla  ulteriore  crescita  del  ramo. 

Nell'intermezzo  di  questi  due  articoli  si  osservava  1'  ultimo 
residuo  di  un  vecchio  ramo  che  si  era  andato  disfacendo  durante 
r  inverno.  Conservava  an¬ 
cora  la  forma  cilindrica,  ma 
in  tutta  la  sua  lunghezza 
numerose  diatomee  ed  alghe 
si  erano  formate,  segni  tan¬ 
gibili  della  morte  del  ramo. 

Dopo  nove  giorni  il 
ramo  in  esame  (Fig.  3)  pre¬ 
sentava  le  seguenti  partico¬ 
larità  : 

Il  ramo  superiore  A 
non  mostrava  nessuna  va¬ 
riazione  in  tutta  la  sua  lun¬ 
ghezza.  La  sostanza  blasto¬ 
gena  in  essa  contenuta  si  era 
notevolmente  ridotta.  Nel 
punto  di  contatto  con  il 
ramo  inferiore  si  presentava 
fortemente  assottigliata  e  vi 
era  connessa  per  mezzo  di 
un  breve  peduncolo.  Lun¬ 
go  tutto  il  tratto  seguiva  la 
stessa  direzione  osservata 
innanzi  e  presentava  brevi 
sinuosità.  Tutta  la  massa  di 
colore  giallo  più  denso  si 
era  raccolta  lungo  l' asse 

mediano  ed  intorno  era  ben  visibile  la  zona  trasparente  che  la 
circondava  e  si  dirigeva  nei  vari  punti  verso  i  germogli  sorti  sulla 
superficie  del  ramo. 


—  120  — 


Nel  secondo  articolo  B  la  riduzione  non  era  stata  molto  no¬ 
tevole;  aveva  conservata  la  forma  ovale  del  tubo  in  cui  era  con¬ 
tenuta  e  questo  si  presentava  lateralmente  abbastanza  trasparente. 

Ciò  che  si  mostrava  di  notevole  in  questo  stadio  del  ramo 
era  lo  sviluppo  straordinario  dei  germogli  laterali. 

Innanzi  tutto  verso  I'  apice  del  tubo  superiore  A  si  erano 
sviluppati  due  grossi  zoidi  in  immediata  dipendenza  della  parete 
del  tubo. 

I  due  rami  che  si  trovavano  a  destra  e  a  sinistra,  a,  a’  quasi 
allo  stesso  livello,  si  erano  notevolmente  sviluppati  e  numerosi 
zoidi  erano  cresciuti  negli  apici  ed  erano  così  densamente  stretti 
fra  di  loro  da  costituire  come  un  ceppo. 

II  ramo  sviluppato  immediatamente  dopo,  nella  regione  di  si¬ 
nistra  b,  portava  anch’esso  numerosi  zoidi  che  covrivano  il  ramo 
per  circa  un  terzo.  Il  ramo  situato  a  destra,  b'  nella  stessa  dire¬ 
zione  di  quello  superiore,  presentava  pochi  zoidi.  I  due  rami  in¬ 
vece  situati  al  disotto,  c,  c',  allo  stesso  livello  e  di  fronte  si  erano 
sviluppati  straordinariamente,  .dando  origine  a  due  articoli  ognuno; 
e  questi  erano  completamente  rivestiti  da  numerosi  zoidi  svilup¬ 
patisi  verso  gli  apici. 

Degli  altri  due  rami  situati  a  sinistra  quello,  d,  superiore 
era  completamente  carico  di  zoidi;  mentre  l'altro  f  ne  aveva  una 
certa  quantità  solo  verso  la  regione  terminale.  Gli  altri  rami  di 
destra,  quello  posteriore  e  aveva  avuto  poco  sviluppo,  mentre 
l'altro,  quello  anteriore  f,  aveva  avuto  un  duplice  sviluppo  e  si 
andava  formando  un  terzo  articolo.  In  tutti  si  notavano  zoidi 
già  sviluppati  o  in  via  di  sviluppo. 

L’ultimo  ramo,  g,  cioè  quello  situato  superiormente  al  ramo 
principale,  si  era  afflosciato  e  rovesciato  sul  ramo  inferiore. 

Nell'articolo  inferiore  B  poi  i  rami  già  sviluppatisi  avevano 
pure  uno  sviluppo  vario.  Quelli  di  sinistra  si  erano,  durante  i 
giorni  successivi  alle  prime  operazioni,  accresciuti,  ma  poi  erano 
andati  via  via  afflosciandosi;  quello  di  destra,  invece,  aveva  dato  nu¬ 
merosi  rami,  dei  quali  quello  posteriore  era  in  via  di  disfacimen¬ 
to,  mentre  quello  anteriore  si  andava  ulteriormente  sviluppando. 

Il  ramo  basale  poi  di  destra  k  si  era  notevolmente  accre¬ 
sciuto  ed  era  costituito  da  due  rami,  ognuno  dei  quali  ricco  di 
zoidi  e  tutti  in  piena  attività  di  sviluppo. 


—  121  — 


Il  ramo  intermedio  fra  i  due  articoli  non  aveva  subito  al¬ 
terazioni  di  sorta  e  rimaneva  sempre  relativamente  rigido  nella 
sua  posizione.  Quello  che  a  me  però  interessa  far  notare  è  che 
la  sostanza  blastogena  che,  nello  stadio  precedentemente  studiato, 
riempiva  gran  parte  del  ramo  ed  era  densa  di  colore  giallo 
vivo,  in  questo  novello  stadio  si  era  andata  assottigliando  e  non 
aveva  più  quell'aspetto  caratteristico,  indizio  di  una  grande  vitalità. 
Ora  lo  sviluppo  dei  rami  lungo  1'  asse  principale  e  la  imme¬ 
diata  riduzione  della  sostanza  blastogena  dell’  interno  di  questi, 
come  quella  del  ramo  principale  fa  pensare  che  questa  si  è  ri¬ 
dotta  per  dare  ai  rami  mezzo  di  svilupparsi.  Difatti  la  crescita 
di  questi  è  stata  notevole  e  lo  sviluppo  dei  zoidi  su  ognuno  di 
essi  ha  raggiunto  un  numero  rimarchevole  e  tutti  erano  in  co¬ 
municazione  con  la  sostanza  blastogena  centrale. 

Nell’articolo  inferiore  B  essa  non  si  era  ridotta  molto,  anche 
perchè  non  c'  era  stato  notevole  sviluppo  di  rami  ed  anche  quei 
pochi  che  si  erano  formati  ed  accresciuti  avevano  potuto  utiliz¬ 
zare  poca  sostanza  blastogena.  Ora  questa  era  abbondantissima 
in  questo  ramo  e  quindi  era  stata  in  parte  conservata,  per  la  pic¬ 
cola  quantità  che  ne  aveva  dovuto  fornire  ai  novelli  rami  neoforma- 
tisi.  Resta,  però,  da  tutte  queste  considerazioni  un’osservazione 
di  fatto  che  è  stata  in  altro  lavoro  meglio  sviluppata,  cioè  dei 
rapporti  fra  sostanza  blastogena  e  sviluppo  di  rami  coloniali. 

Dopo  21  giorni  (Fig.  4)  ho  riosservato  di  nuovo  questo  ramo 
ed  ho  potuto  constatare  che  lo  sviluppo  dei  rami  laterali  era 
nella  fase  massima. 

Il  tubo  principale  non  aveva  subito  nessuna  modifica  ester¬ 
namente;  solo  la  sostanza  blastogena  si  era  andata  sempre  più 
riducendo  e  si  presentava  come  un  lungo  cilindretto  più  denso 
verso  la  regione  basale.  Intorno  a  questo  cilindro  di  colore  giallo 
era  ben  visibile  lo  strato  jalino  che  lo  circondava  e  che  di  tanto 
in  tanto  in  direzione  dei  rami  laterali  dava  propagi  ni  che  si 
dirigevano  verso  di  essi. 

Dei  due  zoidi  formatisi  verso  l’apice  del  primo  articolo 
erano  rimasti  solamente  i  cistidi:  i  polipidi,  dopo  un  periodo  di 
varii  giorni  di  vita,  erano  morti. 

Dei  due  rami  laterali,  situati  quasi  nella  stessa  direzione, 
quello  di  destra  a  non  aveva  subito  ulteriori  modifiche  se  non  che 


gli  zoidi  si  erano  sempre  rigenerati  nel  punto  dove  gli  altri  rami 
erano  morti  ;  il  ramo  di  sinistra  a’,  invece,  si  presentava  tuttora 
rigido  e  con  doppia  formazione  di  articoli  e  numerosi  zoidi  in 
via  di  sviluppo  o  già  sviluppati  in  gran  parte  ed  alcuni  anche 
morti,  specialmente  di  quelli  più  basali  non  era  rimasto  che  solo 


Fig.  4. 


il  cistide.  Il  ramo  di  sinistra  b  posto  a  poca  distanza  da  quello 
superiore  aveva  subito  un  accrescimento  notevolissimo:  si  erano 
formati  due  rami  e  su  ognuno  di  essi  si  contavano  numerosi 
zoidi  tutti  in  piena  vitalità:  solo  verso  la  base  del  primo  articolo 


c'era  qualche  cistide  di  zoide  morto.  Gli  altri  tre  rami  mediani 
di  destra  b'  c,  c'  s'erano  anch'essi  sviluppati  molto:  quello  supe¬ 
riore  b'  aveva  dato  origine  ad  un  secondo  articolo  anch'esso  ricco 
di  zoidi,  i  due  inferiori  disposti  frontalmente  c,  c'  avevano  subito 
un  breve  accrescimento:  tutti  e  tre  erano  poi  carichi  di  zoidi. 

Gli  altri  due  rami  inferiori  di  sinistra  d,  f'  presentavano  que¬ 
ste  modifiche  :  quello  superiore  era  completamente  carico  di 
zoidi  che  andavano  dall'estremo  apice  del  ramo  fino  alla  base;  e 
quello  inferiore  era  accresciuto  del  doppio  e  su  di  esso  v'erano 
zoidi  con  scarsa  vitalità. 

Dei  due  rami  basali  situati  a  destra,  e,  f  quello  posteriore  c 
era  completamente  disfatto,  mentre  quello  anteriore  f  s'  era  ac¬ 
cresciuto  notevolmente  essendosi  su  di  esso  formati  tre  rami, 
tutti  ricchi  di  zoidi. 

Il  ramo  mediano  g,  che  nella  fase  precedente  si  era  incur¬ 
vato  su  quello  sottostante,  aveva  ripreso  novello  vigore  e  su  di 
esso  non  si  erano  formati  altri  rami  ma  solamente  numerosi  zoidi 
circondavano  il  ramo  in  tutta  la  sua  lunghezza. 

Nel  ramo  inferiore  B  la  sostanza  blastogena  non  aveva  subi¬ 
ta  nessuna  riduzione,  ma  si  presentava  sempre  di  colore  giallo 
intenso  e  di  forma  ovoide.  Dei  tre  rami  sviluppatisi  su  di  esso 
quello  superiore  di  sinistra  h  si  era  allungato  abbastanza  ed  aveva 
numerosi  zoidi;  quello  di  destra  h'  aveva  dato  tre  ramificazioni 
successive  e  tutte  con  zoidi  e  quello  k  inferiore  presentava  l' ini¬ 
zio  della  formazione  di  tre  rami  l'uno  successivo  all'altro  e  tutti 
con  gruppi  di  zoidi  disposti  verso  gli  apici  di  ciascun  ramo. 

Anche  in  questo  stadio  io  devo  ribadire  il  fatto  della  ridu¬ 
zione  della  sostanza  blastogena  in  rapporto  alla  formazione  dei  ra¬ 
mi  e  basta  dare  uno  sguardo  comparativo  alle  singole  illustrazioni 
riportate  per  osservare  questo  fatto  così  rimarchevole  della  for¬ 
mazione  dei  rami  a  spese  della  sostanza  blastogena  che  si  riduce. 

Dopo  20  giorni  il  ramo  (Fig.  5)  aveva  perduto  la  sua  tra¬ 
sparenza  ed  il  suo  turgore  era  diminuito.  Il  ramo  conservava  nei 
due  articoli  la  stessa  forma,  ma  era  opaco.  La  sostanza  blastogena 
nel  primo  articolo  si  era  ridotta  ad  un  filo  sottilissimo.  Un  gru¬ 
mo  maggiore  trovavasi  verso  l'apice,  ma  nel  rimanente  ramo  era 
completamente  sparita.  Intorno  ad  essa  era  sempre  più  visibile 
la  zona  di  sostanza  gialla  chiara  che  circondava  l'asse  mediano. 


—  124  — 


Nell'articolo  inferiore  B  in  uno  spazio  di  tempo  relativamente 
breve  tutta  la  grande  quantità  di  sostanza  blastogena  era  com¬ 
pletamente  ridotta  ad  una  piccola  masserella  che  s'  era  raccolta 
verso  T  apice  e  ad  una  porzione  cilindrica  che  correva  lungo  il 
rimanente  tubo. 


Fig.  5. 


Dei  rami  non  restavano  che  pochi  residui.  Solamente  il 
ramo  superiore  di  sinistra  a'  aveva  però  uno  sviluppo  notevole 
solo  perché  s'era  accresciuto  di  molto  in  lunghezza,  ma  ancora 


—  125  — 


m-' 


perchè  su  di  esso  vi  si  erano  formati  numerosi  zoidi  e  tutti  in 
piena  attività  di  accrescimento. 

Rimanevano  ben  visibili  i  rapporti  fra  la  sostanza  blasto¬ 
gena  del  ramo  centrale  con  quella  che  andava  fin  verso  l’apice 
del  ramo  laterale. 

L'altro  ramo  di  destra  a  durante  tutto  il  periodo  di  venti 
giorni  si  era  accresciuto  di  un  secondo  ramo  che  però  aveva 
avuto  una  vita  molto  breve,  difatti  di  esso  non  rimanevano 
che  solamente  i  cistidi  e  tutto  il  ramo  era  abbastanza  flaccido. 

Tutti  gli  altri  germogli  che  erano  sorti  lungo  il  ramo  erano 
tutti  morti  e  di  essi  non  rimanevano  che  porzioni  dei  tubi  ba¬ 
sali  e  qualcuno  con  pochi  residui  di  cistidi. 

Il  secondo  articolo  B  aveva  pure  tutti  i  rami  morti,  ma  è 
notevole  osservare  che  essi  fra  il  13.  V.  21  e  il  2.  VI.  21  si  erano 
sviluppati  molto,  ma  la  loro  vitalità  era  stata  molto  breve.  E 
specialmente  il  ramo  basale  di  destra,  oltre  a  formare  quattro 
ramificazioni  tutte  con  zoidi  e  abbastanza  avanti  nello  sviluppo, 
aveva  dato  lateralmente  un  novello  ramo  anch'esso  ricco  di  zoidi. 
Tutta  la  sostanza  blastogena,  quindi,  era  stata  consumata  per  un 
accrescimento  ed  una  formazione  di  rami  notevolmente  straor¬ 
dinaria,  ma  questa  vitalità  così  forte  era  stata  di  breve  durata, 
tanto  che  nel  corso  di  appena  venti  giorni  si  erano  formati  rami 
di  vario  ordine  e  di  varia  grandezza  e  tutta  la  massa  blastogena, 
davvero  cospicua  in  questo  articolo,  s'era  completamente  esaurita. 

Ho  voluto  seguire  ancora  questo  ramo  per  studiarne  l'ul¬ 
teriore  destino  e  dopo  dieci  giorni  dalla  precedente  osservazione 
ho  potuto  notare  che  la  forma  di  tutti  e  due  gli  articoli  rima¬ 
neva  immodificata  (Fig.  6).  Restava  ancora  un  residuo  di  sostanza 
blastogena,  a  forma  di  grumo  verso  l'apice  superiore  del  ramo 
più  lungo  con  appena  qualche  piccola  diramazione  laterale  ed 
un  grumetto  più  piccolo  verso  la  regione  superiore  dell'articolo 
inferiore.  Tutti  i  germogli  che  rendevano  questo  ramo  così  gra¬ 
zioso  erano  tutti  morti  e  molti  di  essi  anche  distrutti  in  modo 
da  non  rimanere  che  solamente  qualche  frammento  basale;  so¬ 
lamente  i  due  rami  superiori,  benché  morti,  pure  conservavano 
ancora  i  cistidi. 

Nell'articolo  inferiore  ancora  tutti  i  rami  erano  sfaldati  e  solo 
il  ramo  basale  aveva  ancora  conservato  i  cistidi. 


—  126  — 


Ma  tutto  il  ramo  aveva  perduto  il  suo  turgore  e  già  si  os¬ 
servava  che  in  alcuni  punti  si  andavano  sviluppando  piccole  al¬ 
ghe  filamentose  verdi  o  brune. 

Dopo  otto  giorni  dalla  precedente  osservazione  il  ramo  era 
completamente  avvizzito.  Non  v'era  traccia  di  sostanza  blastogena 


Fig.  6. 

ed  il  ramo  era  abbastanza  flaccido  e  tutta  la  superficie  era  co¬ 
sparsa  di  una  graziosa  flora  marina.  Alghe  verdi  venivano  fuori 
da  diversi  punti  dei  due  articoli  che  erano  completamente  rive¬ 
stiti  di  alghe  brune.  Oramai  il  tubo  era  diventato  mezzo  adatto 


per  lo  sviluppo  delle  alghe  e  nello  spazio  di  pochi  giorni  era 
tutto  zeppo  di  esse. 

Io  ho  tenuto  ancora  questo  ramo  nella  vasca  e  l'ho  seguito 
ancora  per  vario  tempo,  ma  non  ho  potuto  notare  altro  che  uno 
sviluppo  sempre  più  intenso  di  flora,  fino  a  che  il  tubo  si  è 
andato  disfacendo  in  più  frammenti,  ognuno  dei  quali  poi  si  è 
disperso  nella  vasca  non  lasciando  alcuna  traccia  di  sè. 

Conclusione* 

Dalla  serie  delle  varie  ricerche  fin  qui  eseguite  ne  risulta 
che  questo  ramo,  che  aveva  vissuto  tutto  l'inverno  sul  fondo  di 
una  vasca  e  che  lo  stesso  avrebbe  fatto  se  fosse  stato  nel  mare, 
dopo  aver  dato  nella  primavera  una  ramificazione  straordinaria¬ 
mente  esuberante,  si  è  andato  via  via  disfacendo  e  di  esso  non 
è  rimasta  traccia  alcuna. 

Ma  lo  studio  di  esso  mi  ha  permesso  di  svelare  una  parte 
ignota  della  biologia  del  Zoobotryon ,  cioè  io  sono  venuto  a  pre¬ 
cisare  questo  dato  di  fatto  che: 

Particolari  rami,  ricchi  di  sostanza  blastogena 
t  privi  di  zoidi,  vivono  durante  l'inverno  sul  fon¬ 
do  marino,  per  dare  poi  origine  a  nuovi  rami  du¬ 
rante  la  stagione  primaverile  successiva. 

Da  questi  rami  si  sviluppano  in  seguito  le  larve  che,  a  loro 
volta,  danno  origine  a  nuove  colonie. 


Napoli ,  Stazione  Zoologica ,  dicembre  1922. 


BIBLIOGRAFIA. 


1869.  Reichert,  K.  B.  —  Vergleichende  Anatomische  Untersuchungen 
iiber  Zoobotryon  pellucidus  (Ehrenberg).  Abh.  Kònig.  Akad.  Wiss. 
Berlin,  pp.  233-338,  6  Tafn. 

1873.  Trinchese,  S.  —  Nuove  ricerche  sulla  struttura  del  fusto  del 
Zoobotryon  pellucidum  (Ehrenberg).  Mem.  Acc.  Se.  Ist.  Bologna 
(3)  Tomo  4,  pp.  1-5. 

1914,  Waters,  A.  W.  —  The  marine  Fauna  of  British  East  Africa  and 
Zanzibar  f  from  collections  made  by  Cysil  crossland  M.  A., 
B.  Se.  F.  Z.  S .  in  thè  years  1901- 2.  Bryozoa,  Cy  ciò  sto  mata, 
Ctenostomata  and  Endoprocta.  Proc.  Z.  Soc.  London,  pp.  831-858, 
Plts  1-4,  1  Textfig. 

1921.  Zirpolo,  G.  —  1.  Ricerche  sulla  rigenerazione  del  Zoobotryon 
pellucidum  (Ehrenberg).  Boll.  Soc.  Nat.  Napoli,  Voi.  33,  p.  98-101. 

1921.  —  —  2.  Sulla  biologia  del  Zoobotryon  pellucidum  (Ehren¬ 
berg).  Ibid.  Voi.  34.  Com.  Verb.  p.  3-6. 

1922.  —  —  3.  Contributo  alla  conoscenza  del  ciclo  biologico  del 
Zoobotryon  pellucidum  (Ehrenberg).  Mon.  Z.  It.  Ann.  32, 
p.  128-134. 

1922.  —  —  4.  Sullo  sviluppo  del  Zoobotryon  pellucidum  (Ehren¬ 
berg).  Atti  Unione  Zool.  It.  12  Ass.  Ord.  e  Conv.  Un.  Z.  It. 
Trieste  8-12  sett.  1921,  pag.  12. 

1922.  —  —  5.  Sul  ringiovanimento  dei  rami  coloniali  del  Zoobo¬ 
tryon  pellucidum  (Ehrenbebg).  Arch.  Z.  Voi.  10,  p.  223,  5  fig. 

1923.  —  —  6.  Ricerche  sul  rapporto  fra  sostanza  blastogena  e  svi¬ 
luppo  dei  rami  coloniali  nel  Zoobotryon  pellucidum  (Ehrenberg). 
Pubbl.  Staz.  Z.  Napoli,  Voi.  4,  p.  117-128,  Tav.  2. 


Finito  di  stampare  il  25  luglio  1923 


Ricerche  sulla  simbiosi  fra  Zooxantelle  e 
Phyllirhoè  bucephala  Peron  et  Leseur. 


Studio 
del  socio 

Prof*  Giuseppe  Zirpolo 

Libero  docente  di  Zoologia  nella  R.  Università  di  Napoli 


(Tornata  del  18  marzo  1923) 


Introduzione. 

Numerosi  casi  di  simbiosi  fra  animali  e  piante  sono  stati 
registrati  finora. 

I  Protozoi,  le  Spugne,  i  Celenterati,  gli  Ctenofori,  i  Turbei¬ 
lari,  i  Rotiferi,  gli  Anellidi,  i  Briozoi  comprendono  numerose  spe¬ 
cie  che  albergano  nell’interno  del  loro  corpo  Zooclorelle  o  Zooxan¬ 
telle.  Fra  i  Molluschi  sono  state  notate  solamente  la  Tridachna 
e  V  Ely sia  viridis  che  presentano  questa  caratteristica. 

Nel  passato  anno  ho  avuto  occasione  di  fare  numerose 
osservazioni  su  Phyllirhoè  bucephala  Peron  et  Leseur,  gra¬ 
zioso  gasteropodo  che  si  pesca  in  notevole  quantità  nel  no¬ 
stro  golfo  e  che  presenta  il  fenomeno  della  fosforescenza  così 
ben  messo  in  evidenza  dal  Panceri  e  ripreso  in  quest'ultimi 
anni  dal  Trojan. 

Durante  le  mie  ricerche  ho  potuto  constatare  con  costanza 
nell’ interno  del  corpo  e  propriamente  nell'interno  dei  ciechi  epa¬ 
tici  dei  corpi  di  colore  giallo  o  verde  e  che  ho  facilmente  po¬ 
tuto  identificare  per  alghe.  Poiché  finora  nessuno  s' è  occupato 
della  simbiosi  fra  Zooxantelle  e  Phyllirhoè  ho  creduto  opportuno 
arne  una  comunicazione  allo  scopo  di  allargare  le  conoscenze 


—  130  — 


che  si  hanno  sull'importante  fenomeno  della  simbiosi  fra  ani¬ 
mali  e  piante. 

Ricerche  bibliografiche. 

Sin  dal  1824  Bory  de  Saint-Vincent  citato  dal  Brandt  attribuì 
ad  un'alga  verde  ( Anaboetiia  irnpalpabilis )  la  colorazione  delle 
Spongille. 

Il  Siebold  (1849)  considerò  molto  vicini  alla  clorofilla  se  non 
identici  i  granuli  verdi  che  si  trovano  ne\Y  Hydra,  nei  Turbella- 
rii  ed  in  diversi  Infusorii. 

Schultze,  nel  1851,  fece  osservazioni  su  di  un  turbellario  (  Vor - 
tex  viridis),  su  di  un  polipo,  ( Hydra  viridis)  e  sul  protozoo  Stentor 
polymorphus  e  potè  chimicamente,  facendo  uso  di  acido  solforico, 
acido  cloridrico,  potassa  concentrata,  ammoniaca  ecc.  constatare 
che  le  proprietà  chimiche  presentate  dai  grànuli  contenuti  in  que¬ 
sti  animali  erano  identiche  a  quelle  della  clorofilla. 

Il  Cohn  (1851)  ottenne  analoghi  risultati. 

Lo  Stein  (1854),  Clàparède  e  Lachmann  (1857)  accettarono 
le  idee  dello  Schultze  e  del  Cohn,  anzi  Ray  Lankester,  ricorrendo 
al  metodo  spettroscopico  potè  dimostrare  che  il  pigmento  verde 
della  Spongilla  fluviatilis  e  del Y Hydra  viridis  era  analogo  alla 
clorofilla. 

Cohn  e  Shròter,  studiando  l'estratto  alcoolico  di  un  pro¬ 
tozoo  1’  Ophidium  versatile  raggiunsero  gli  stessi  risultati. 

Ricerche,  inoltre,  di  indole  varia  furono  eseguite  da  nume¬ 
rosi  altri  biologi,  come  Dangeard  (1900),  Dastre  (1899),  Keeble 
(1910),  Borrel  (1913)  ed  uno  studio  molto  accurato  sull'  argo¬ 
mento  è  stato  fatto  dal  Bouvier  (1893). 

Ultimamente  1’  argomento  è  stato  aggiornato  dal  Caullery 
(1922),  dal  Buchner  (1921),  in  lavori  di  indole  generale. 

In  questi  ultimi  anni  sono  stati  pubblicati  due  lavori  uno  del 
Kuskop  (1921)  sulla  simbiosi  fra  Sifonoforie  Zooxantelle  ed  uno  del 
Goetsch  (1921)  su  una  nuova  simbiosi  nei  polipi  di  acqua  dolce.  Fi¬ 
nalmente  il  Fulton  (1922)  si  è  occupato  ancora  ampiamente  de¬ 
gli  animali  aventi  clorofilla,  ed  una  bibliografia  abbastanza  com¬ 
pleta,  che  trovasi  alla  fine  di  questo  lavoro,  mi  dispensa  dal  ri¬ 
ferire  tutte  le  varie  ricerche  finora  eseguite. 


—  131  — 


Hovasse  e  Teisser  hanno  comunicato  in  quest'anno  (1923) 
di  aver  studiato  Zooxantelle  in  Peridinee,  Sifonofori  (Velello), 
Anemonia  sulcata  Penn,  e  Aglaophenia  piuma  L. 

Da  tutta  la  ricerca  bibliografica  si  deduce  che  il  numero  di 
casi  di  simbiosi  fra  alghe  ed  animali  va  notevolmente  accrescen¬ 
dosi,  e  che  uno  studio  di  tal  genere  è  di  un  interesse  notevole 
anche  perchè  è  possibile  dalle  maggiori  conoscenze  meglio  de¬ 
terminare  la  posizione  sistematica  delle  Zooxantelle. 

Materiale  di  studio  e  tecnica* 

Nelle  mie  osservazioni  io  ho  fatto  uso  della  dissezione  e  dei 
tagli  microtomici. 

Negli  animali  di  fresco  venuti  dal  mare  io  isolavo  i  ciechi  epa¬ 
tici  e  li  spappolavo  con  aghi  sottili  e  poi  osservavo  le  Zooxantelle. 

Per  avere  un'  idea  della  distribuzione  delle  alghe  lungo  i  ca¬ 
nali  epatici  io  fissavo  gli  animali  e  poi  dopo  averli  tenuti  alcun 
tempo  in  acqua  li  lasciavo  stare  per  varie  ore  in  una  soluzione 
di  alcool  iodato.  La  reazione  amidacea  avveniva  in  modo  da  ren¬ 
dere  brune  le  alghe  e  quindi  dopo  la  chiarificazione  con  glice¬ 
rina  si  poteva  osservare  la  posizione  delle  Zooxantelle  nell’in¬ 
terno  dei  ciechi  e  la  loro  distribuzione. 

Adoperando  un  tal  metodo  le  Zooxantelle  comparivano  di 
colore  brunastro  nel  fondo  chiaro  delle  cellule  dei  ciechi  epatici. 

Le  sezioni  microtomiche  di  appena  dieci  micron  io  le  colo¬ 
ravo  col  Giemsa  a  caldo  e  mentre  tutte  le  cellule  prendevano  le 
doppie  colorazioni  le  Zooxantelle  rimanevano  inalterate  e  spic¬ 
cavano  evidenti. 

La  disposatone  delle  Zooxantelle  nei  ciechi  epatici. 

La  trasparenza  del  corpo  che  presenta  la  Phyllirhoè  per¬ 
mette  di  poter  osservare  facilmente  la  disposizione  delle  Zooxan¬ 
telle  nei  ciechi  epatici. 

Si  sa  che  questi  sono  quattro:  due  dorsali  e  due  ventrali  e 
si  presentano  punteggiati  per  i  granuli  di  colore  giallognolo  che 
appaiono  subito  ove  si  osservino  ad  uno  ingrandimento  non 
molto  forte.  Studiando  meglio  la  loro  posizione,  per  quanto  è 
dato  vedere  attraverso  la  regione  del  corpo,  si  nota  che  esse 


132  — 


sono  sparse  in  gran  parte  nella  regione  esterna  e  sono  non  soli¬ 
tarie  ma  aggruppate  e  in  serie.  Non  tutta  la  superficie  ne  è  ri¬ 
vestita,  ma  se  ne  vedono  sparse  in  determinate  zone  ed  in  alcuni 
punti  sono  numerose. 

Facendo  una  dissezione  si  può  isolare  tutto  il  gruppo  dei 
quattro  ciechi  e  osservarli  in  glicerina.  Ivi  è  facile  vedere  dopo 
poco  che  i  granuli  giallognoli  che  sono  poi  le  Zooxantelle  oc¬ 
cupano  tratti  più  o  meno  estesi  dei  ciechi  epatici  e  sono  va¬ 
riamente  disposti  lungo  tutta  la  regione  dei  canali  epatici.  In  al¬ 
cuni  punti  ve  ne  sono  ammassati  numerosi. 

Immergendo  i  ciechi  epatici  in  una  soluzione  di  iodo  si  vede 
che  i  granuli  diventano  di  colore  bruno  e  sono  molto  più  facil¬ 
mente  visibili. 

Se  si  spappolano  gli  organi  e  poi  si  schiacciano  facendo 
pressione  con  un  vetrino  coprioggetto  si  nota  che  le  Zooxantelle, 
talvolta  rompono  la  parete  cellulare  e  liberamente  stanno  nel  li¬ 
quido,  talvolta  però  restano  ancora  racchiuse  neirinterno  delle 
cellule  epatiche,  ma  non  vi  sono  perfettamente  aderenti  essen¬ 
dovi  un  piccolo  alone  tra  le  Zooxantelle  e  la  parete  interna  della 
cellula  epatica. 

In  altre  regioni  del  corpo  non  mi  è  occorso  osservare  Zoo¬ 
xantelle. 

Per  meglio  studiare  la  posizione  di  queste  nei  ciechi  epatici 
ho  creduto  fare  delle  sezioni.  I  tagli  di  circa  dieci  micron  veni¬ 
vano  colorati  con  il  Giemsa  a  caldo.  Ho  ottenuto  bellissimi  pre¬ 
parati:  fra  le  cellule  colorate  in  roseo  e  azzurro  spiccano  i  corpi 
gialli  o  Zooxantelle. 

Se  ne  trovano,  talvolta,  una  per  cellula,  ma  molte  volte  ve 
ne  sono  ancora  gruppi  di  due  o  più  che  sono  addossate  fra  di 
loro.  Nel  lume  interno  non  ne  ho  trovato  mai,  ma  solo  nella 
parete  e  propriamente  in  quella  più  esterna  dei  ciechi  epatici. 

Si  possono  trovare  in  tutti  gli  stadi  riproduttivi  e  ve  ne 
sono  anche  di  varia  grandezza.  In  generale  la  loro  forma  é  qua¬ 
si  sempre  ovale,  a  contorni  ben  definiti,  con  nucleo  ben  visibile 
quando  si  è  ben  lavato  con  alcool  e  si  è  sciolta  la  clorofilla.  Si 
trovano  quasi  sempre  in  via  di  scissione. 

Questa  presenza  delle  Zooxantelle  nei  ciechi  epatici  delle 
Phyllirhoè  non  deve  far  meraviglia.  In  questi  organi  se  ne  an- 


133  — 


nidano  sempre.  Il  Kuskop,  infatti,  che  ha  studiato  numerosi  Si- 
fonoforidi  ne  ha  trovato  in  altre  parti  del  corpo,  ma  sovratutto 
in  grande  quantità  nei  ciechi  epatici  tanto  nella  Veletta  spirans 
che  nella  Porpita  umbella. 

Ora  questo  fatto  che  la  distribuzione  delle  Zooxantelle  nei 
varii  gruppi  animali  non  è  capricciosa,  ma  segue  una  determi¬ 
nata  disposizione  ci  deve  far  pensare  che  esse  compiono  un  certo 
ufficio  a  loro  vantaggio  e  forse  anche  dell'ospite  che  li  alberga. 

Ricerche  sulle  Zooxantelle. 

Le  Zooxantelle  della  Phyllirhoè  in  tutti  i  numerosissimi  esem¬ 
plari  osservati  presentano  sempre  la  stessa  forma.  Sono  gene¬ 
ralmente  circolari,  talvolta  appena  ovalari,  a  contorni  netti  e 
ben  definiti. 

Trattate  con  iodo  diventano  brune  e  con  alcool  perdono  la 
clorofilla. 

Di  Zooxantelle  se  ne  registrano  nella  bibliografia  dì  grandezza 
varia  da  uno  e  mezzo  micron  a  tredici.  Il  Brandt  ne  ha  voluto 
fare  due  specie  tenendo  conto  della  grandezza,  ma  la  sua  clas¬ 
sificazione  è  davvero  artificiale,  perchè  noi  troviamo  Zooxantelle 
di  grandezza  differente  nello  stesso  animale  e  quindi  non  è  pre¬ 
sumibile  dallo  sviluppo  maggiore  o  minore  di  organismi  così 
piccoli  dare  delle  classificazioni.  D'altra  parte  i  casi  finora  rife¬ 
riti  non  sono  molti  e  bisogna  attendere  ancora  abbastanza  per 
potere  avere  una  serie  di  dati  tali  da  poter  inquadrare  le  varie 
forme  conosciute  in  specie  ben  determinate  e  non  suscettibili  di 
variazione  alcuna. 

Anche  il  colore  delle  Zooxantelle  varia.  In  alcuni  esemplari 
di  Phyllirhoè  ho  osservato  talvolta  Zooxantelle  di  colore  aran¬ 
cione  che  davano  un  aspetto  caratteristico  all'animale;  general¬ 
mente  poi  sono  di  colore  giallo  chiaro.  Hanno  un  diametro  di 
circa  quattro  micron. 

La  genesi  delle  Zooxantelle. 

La  ereditarietà  dei  simbionti  è  oramai  un  fatto  acquisito 
della  scienza.  Dopo  gli  studii  del  Pierantoni,  di  Buchner  e  di 


—  134  — 


numerosi  altri  non  c'è  più  dubbio  sulla  trasmissione  di  germi 
attraverso  le  uova. 

Sulla  genesi  delle  Zooclorelle  vi  sono  varie  questioni.  E'  stata 
emessa  l'ipotesi  se  esse  siano  trasmesse  dall'animale  stesso.  Il 
Lankester,  che  1'  ha  prospettata,  si  è  basato  sulle  ricerche  del 
Kleinenberg  e  sulle  sue  osservazioni  personali. 

Secondo  Kleinenberg  e  Lankester  i  corpuscoli  rotondi  o 
ovali  che  si  trovano  nell'entoderma  delle  idre  e  delle  spongille 
sono  privi  di  clorifilla,  ma  potrebbero  sotto  l'azione  del  sole  im¬ 
pregnarsi  di  questa.  Tale  supposizione  ha  avuto  però  delle  ob¬ 
biezioni  gravi  e  non  può  affatto  ritenersi  come  vera,  giacché  i 
corpuscoli  incolori  sono  sostanze  di  riserva,  come  ha  potuto  ben 
dimostrare  Greenwood. 

Kleinenberg  ha  potuto,  però,  dimostrare  nell'uovo  di  Hydra 
viridis  la  presenza  di  corpuscoli  verdi  e  quindi  la  ereditarietà  di 
queste  clorelle. 

II  problema  è  interessante  ed  uno  studio  accurato  nei  vari 
gruppi  potrebbe  dare  la  dimostrazione  più  evidente  circa  la  sim¬ 
biosi  ereditaria  fra  alghe  ed  animali,  come  è  stato  esauriente¬ 
mente  data  per  blastomiceti  e  batteriacee  con  animali. 

Nella  Phyllirhoè  io  ho  cercato  di  poter  addivenire  a  conclu¬ 
sioni,  ma  nelle  vasche  del  nostro  Acquario  questi  animali  non  vi¬ 
vono  che  pochissimi  giorni  e  lo  sviluppo  delle  uova  e  delle 
larve  mi  è  stato  impossibile,  ma  io  in  base  alla  serie  di  fatti 
generalmente  noti  circa  la  ereditarietà  non  sarei  alieno  dal  pensare 
ad  una  trasmissione  ereditaria  delle  Zooxantelle  nelle  Phyllirhoè . 

I  rapporti  fra  Zooxantelle  e  Phyllirhoè  bucephala. 

E'  interessante  studiare  i  rapporti  intercedenti  fra  le  Zooxan¬ 
telle  e  le  Phyllirhoèf  perchè  non  si  trova  qualche  unico  esemplare 
di  queste  con  Zooxantelle,  ma  tutti.  Io  ne  ho  osservato  numerosis¬ 
simi  ed  in  tutti  ho  notato  la  presenza  di  queste  alghe.  E'  strano 
che  nella  letteratura  non  si  sia  mai  notato  un  tal  fatto.  Il  Ves- 
sichelli  nei  suoi  interessanti  lavori  parla  di  granuli  di  clorofilla 
che  non  sfuggirono  alla  sua  minuziosa  indagine,  ma  evidentemente 
egli  non  andò  all'idea  di  trattarsi  di  Zooxantelle  e  d'altra  parte 
non  era  cosa  che  entrava  nel  campo  delle  sue  ricerche. 


Non  è  il  caso  qui  di  pensare  ad  una  simbiosi  unilaterale 
Esiste  qui  un  vero  e  proprio  mutualismo. 

Infatti  l'alga  emette  durante  il  processo  di  fotosintesi  una 
certa  quantità  di  ossigeno  che  viene  utilizzato  dalla  Phyllirhoè 
Il  Geddes  potè  calcolare  la  quantità  di  ossigeno  emesso  dalle 
Zooclorelle  e  dalle  Zooxantelle  e  1'  Engelmann  potè  osservare 
che  nel  Paramoeciam  bursaria ,  quando  manca  l'ossigeno,  l'ani¬ 
male  cerca  i  raggi  luminosi.  D'altra  parte  è  noto  che  Graff  te¬ 
nendo  delle  idre  verdi  all'oscuro  vide  che  queste  morivano  più 
rapidamente  di  quelle  tenute  alla  luce.  Io  ho  cercato  di  tenere 
le  Phyllirhoè  all'oscuro  ed  ho  potuto  constatare  che  la  loro  vita¬ 
lità  diminuisce,  anzi  se  dall'oscuro  si  rimettono  alla  luce  si  vede 
che  se  prima  erano  sul  fondo  della  vasca,  non  appena  sono  ri¬ 
portate  alla  luce  ripigliano  i  loro  movimenti. 

Hamann  nega  completamente  che  l'animale  abbia  bisogno 
dell'ossigeno  emesso  dall'alga. 

Ora  se  è  vero  che  1'  ossigeno  non  è  necessario  all'  animale 
considerato  che  esso  può  non  sentirne  bisogno,  pure  se  l’ani¬ 
male  ne  ha  a  sua  disposizione  lo  può  ben  utilizzare. 

Sarebbe  d'altra  parte  inspiegabile  questa  costanza  di  asso¬ 
ciazione  fra  Zooxantelle  e  Phyllirhoè ,  senza  una  reciproca  utilità 
ed  anche  a  voler  escludere  ogni  finalismo  in  tutto  questo  resta 
la  serie  di  fatti  in  nostro  possesso,  che  riguarda  i  particolari 
bisogni  dell'alga  e  il  particolare  adattamento  delle  Phyllirhoè. 

Ma  ove  noi  diamo  uno  sguardo  ai  numerosissimi  casi  di  sim¬ 
biosi  esistenti  fra  alghe  ed  animali,  alla  costanza  con  la  quale  il 
fatto  si  ripete  nelle  generazioni  successive,  alla  trasmissione  ere¬ 
ditaria  delle  alghe  osservate  in  alcuni  gruppi,  alla  presenza  co¬ 
stante  di  queste  in  determinati  organi  non  possiamo  negare  che 
un  qualche  fattore  utilitario  debba  pur  esistere,  perchè  tutto. que¬ 
sto  avvenga  e  si  ripeta. 


Napoli,  Stazione  Zoologica,  febbraio  1923. 


BIBLIOGRAFIA. 


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p.  472,  Taf.  19-20. 

1906.  Vessichelli,  N.  —  Contribuzioni  allo  studio  della  Phylliroè  bu¬ 
cephala  Peron  et  Leseur.  Mitth.  Z.  Stat.  Neapel,  Bd.  18,  p.  105, 
Taf.  5-6. 


SPIEGAZIONE  DELLA  TAVOLA  5. 


Fig.  1.  —  Esemplare  di  Phyllirhoè  bucephala  Peron  et  Leseur  in  cui  sono 
stati  trascurati  i  particolari  degli  altri  organi  e  messi  in  evidenza 
i  ciechi  epatici  e  la  loro  posizione.  La  fitta  granulazione  che  si  osserva 
in  essi  rappresenta  le  Zooxantelle. 

Fig.  2.  -  Parte  terminale  di  un  cieco  epatico  a  forte  ingrandimento  per  far 
vedere  gli  aggruppamenti  e  le  disposizioni  delle  Zooxantelle. 

Fig.  3.  —  Taglio  trasversale  di  un  cieco  epatico.  I  corpi  neri  intracellulari  sono 
le  Zooxantelle.  In  alcune  cellule  le  Zooxantelle  sono  cadute  ed  è  ri¬ 
masto  lo  spazio  vuoto.  X  260. 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


Sulla  salinità  delle  acque  di  superficie  dello 
stretto  di  Messina  durante  l’ inverno 
1921-22. 


Notizie  preliminari 
del  socio 

Dr.  Pietro  Lo  Giudice 

Libero  docente  ed  Aiuto  di  Zoologia  nella  R.  Università  di  Messina 


(Tornata  dell’ 8  luglio  1923) 

Per  alcune  indagini  biologiche  sui  laghi  di  Ganzirri  e  del 
Faro  mi  occorreva  confrontare  la  salinità  delle  acque  di  questi 
laghi  con  quella  del  mare.  Poiché  mi  risulta  che  fino  ad  ora  non 
è  stato  pubblicato  nulla  sulla  salinità  dello  stretto  di  Messina, 
così  ritengo  utile  rendere  noti  i  risultati  delle  mie  analisi  ese¬ 
guite  nel  periodo  invernale  1921-22,  ripromettendomi  di  ripi¬ 
gliare  ben  presto  il  lavoro,  tenendo  conto  specialmente  dell'an- 
damento  delle  correnti,  del  regime  eolico  e  delle  precipitazioni 
atmosferiche  :  fattori  che  hanno  una  grande  influenza  sulle  varia¬ 
zioni,  anche  minime,  di  salinità  delle  acque. 

I  vari  campioni  di  acqua  furono  sempre  prelevati  in  super¬ 
ficie,  alle  8h  del  mattino,  a  circa  500  m.  dalla  riva,  all'altezza  del 
villaggio  di  Ganzirri,  in  direzione  del  così  detto  "  Canale  Ca- 
tuso  „,  uno  dei  canali  di  comunicazione  tra  il  lago  di  Ganzirri 
e  il  mare,  comunicazione  che  è  però  interrotta  durante  l'inverno, 
perchè  il  canale,  in  seguito  alle  mareggiate,  resta  ostruito  per  lun¬ 
go  tratto  da  grande  quantità  di  sabbia. 

Le  relative  analisi  sono  state  eseguite  col  ben  noto  metodo 
di  Knudsen,  servendomi  di  pipette  tarate  e  di  burette  all'uopo 
fornite  dall'Istituto  Idrografico  di  Copenaghen,  il  quale  ha  prov- 


—  140  — 


veduto  altresì  Y  acqua  normale  necessaria  per  la  titolazione  del 
A g  NO3.  Trovato  il  contenuto  in  grammi  di  ciò  che  col  men¬ 
zionato  metodo  va  considerato  come  CI  ho,  con  l'aiuto  natural¬ 
mente  delle  note  tabelle  idrografiche  dello  stesso  Knudsen,  de¬ 
terminato  ciò  che  nel  metodo  è  indicato  come  S  (salinità)  e  come 
co  e  f  17.5  (densità  rispettivamente  a  0°  e  a  17°5  C)  giusta  il  se¬ 
guente  prospetto  : 


N.° 

Data 

CI 

S 

Oo 

P 17-5 

1 

1921 

Dicembre 

1 

20,78 

37,54 

1,03017 

1,02868 

2 

H 

a 

9 

20,98 

37,90 

1,03046 

1,02896 

3 

» 

a 

16 

20.83 

37,63 

1,03025 

1,02875 

4 

a 

a 

23 

20,80 

37,57 

1,03020 

1,02871 

5 

n 

a 

31 

20,91 

37,77 

1,03036 

1,02886 

6 

1922 

Gennaio 

13 

20,88 

37,72 

1,03032 

1,02882 

7 

a 

a 

20 

20,63 

37,27 

1,02995 

1,02847 

8 

a 

n 

30 

20,72 

37,43 

1,03009 

1,02860 

9 

n 

Febbraio 

10 

20,96 

37,86 

1,03044 

1,02893 

10 

n 

a 

24 

20,96 

37,86 

1,03044 

1,02893 

11 

a 

Marzo 

17 

20,71 

37,41 

1,03007 

1,02858 

Non  ritengo  da  questi  pochi  dati  trarre  deduzioni  di  sorta, 
trattandosi  per  ora,  come  ho  sopra  detto,  di  un  semplice  saggio 
della  salinità  invernale  delle  acque  di  superficie  dello  stretto  di 
Messina. 

Messina ,  Istituto  Zoologico  della  R.  Università ,  Giugno  1923. 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


A  proposito  di  Heteroglyphaea  Paronae 

COLOSI. 

(Decapodo  fossile) 


del  socio 


G  .  Golosi 


(Tornata  ordinaria  del  29  luglio  1923) 


Se  dedico  qualche  rigo  ad  una  noterella  critica  di  V.  Van 
Straelen  0  sopra  Heteroglyphaea  Paronae  Colosi *  2)  è  solo  per 
deferenza  verso  1'  importante  rassegna  in  cui  essa  è  comparsa 
e  verso  gli  specialisti  che  potrebbero  essere  tratti  in  qualche 
dubbio. 

V.  Straelen  dice:  "  Il  y  a  désaccord  entre  la  reconstitution 
hypothétique  du  fossile  et  la  reproduction  de  son  état  actuel.  La 
reconstitution  indique  que  la  pince  terminale  du  deuxième  thora- 
copode,  serait  constituée  de  manière  que  le  dactylopodite  soit 
externe  et  le  prolongement  digité  du  carpopodite  interne.  Le 
fossile,  tei  qu'il  est  figuré,  ne  permet  pas  de  tirer  cette  conclu- 
sion,  fort  importante  au  point  de  vue  morphologique 

V.  Straelen  ha  ragione  nell'affermare  che  tale  conclusione 
sarebbe  molto  importante,  ma  erra  di  gran  lunga  attribuendola 
a  me.  Vari  anni  di  studio  di  crostacei  mi  hanno  conferito  una 
certa  pratica  sulla  conformazione  delle  chele  di  questi  animali, 
pratica  di  cui  pare  che  il  mio  critico  sia  del  tutto  sfornito,  tanto 
che  mostra  poca  dimestichezza  con  la  nomenclatura  delle  parti. 
Toracopodo  !  io  ho  scritto  pereopodo.  Carpopodite!  io  ho  scritto 
propodite.  Sembra  che  l'attività  di  V.  Straelen  si  sia  estrinse- 


£)  Revue  critique  de  Paleozoologie  et  de  paléophytologie  Tome  27,  n.  1923. 

2)  Atti  R.  Accad.  Scienze  Torino,  Voi.  56,  1921. 


—  142  — 


cata  tutta  nel  dare  un’occhiata  alle  figure  senza  darsi  nemmeno 
la  pena  di  leggere  la  descrizione  di  cui  avrebbe  ,  se  non  altro, 
potuto  copiare  con  profitto  la  terminologia.  Chè,  se  nel  guar¬ 
dare  le  figure  il  dito  mobile  gli  è  parso  esterno  e  l' immobile 
interno,  si  è  perchè  il  margine  superiore  del  secondo  pereopodo 
(non  toracopodo  per  carità  !)  è  rivolto  verso  l'osservatore  come 
sovente  avviene  nel  disporre  sopra  un  piano  e  neH'allargare  le 
zampe  dei  decapodi.  E  crede  il  signor  V.  Straelen,  che  se  avessi 
segnalato  un  dito  mobile  esterno  ed  un  prolungamento  digiti— 
forme  del  propodite  (non  carpopodite,  per  carità  !)  verso  Y  in¬ 
terno,  non  ne  avrei  fatto  menzione  nel  testo  ? 

Insomma  V.  Straelen  avrebbe  potuto  tutto  al  più,  benché 
non  ne  fosse  il  caso,  consigliarmi  di  non  esporre  il  mio  disegno 
ad  una  Mostra  di  Belle  Arti  ;  ma,  per  quanto  riguarda  la  sua 
critica  carcinologica,  io  potrei,  certo  con  più  ragione,  ripetergli 
il  vecchio  consiglio  di  Apelle:  “  ne  sutor  altra  crepidam  \ 

Torino ,  maggio  1923. 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


Ricerche  sulF  epitelio  del  mesointestino  di 
Locusta  danica,  L. 

del  socio 

Dott*  Mario  Salfi 


(Tornata  ordinaria  8  luglio  1923) 


Introduzione. 

Ancora  è  viva  la  discussione  circa  la  funzionalità  ed  i  rap¬ 
porti  genetici  delle  cellule  dell'epitelio  del  mesointestino  degli 
insetti. 

Lo  studio  istologico  rivela  differenze  notevoli  nella  strut¬ 
tura  degli  elementi  cellulari  costituenti  l’epitelio  mesointestinale. 

Tale  variabilità  nella  forma  delle  cellule  è  interpretata  da 
molti  autori  [Mingazzini  '89,  Visart  '94,  Verson  '97,  '98,  Steu- 
del  '913]  come  dovuta  a  differenti  periodi  dell'attività  funzio¬ 
nale  dei  singoli  elementi.  Molti  altri,  specialmente  fra  gli  autori 
recenti  con  a  capo  il  Deegener,  si  schierano  decisamente  con¬ 
tro  tale  interpretazione,  affermando  che  nel  mesointestino  degli 
insetti  esistono  due  distinte  forme  negli  elementi  epiteliali  ben 
separate  per  caratteri  sia  morfologici  che  funzionali  e  di  origine 
perfettamente  indipendente  [Van  Gehuchten  '91,  Deegener  '909, 
'910,  FoÀ  '918,  Federici  '922], 

Avendo  intrapreso  una  serie  di  ricerche  istologiche  sul  tubo 
digerente  dei  Locustidi  ( Acrididae ,  Auct.)  ho  voluto  esaminare  in 
questi  insetti  tale  questione  ed  ho  ottenuto  dei  risultati  interes¬ 
santi  che  confermano  l'ipotesi  unitaria  degli  elementi  epiteliali 
del  mesointestino. 

I  risultati  di  queste  mie  ricerche,  per  altro,  non  vengono  per 
nulla  ad  infirmare  quelli  ottenuti  da  altri  ricercatori  a  sostegno 


—  144  — 


della  ipotesi  contraria,  dato  che  si  tratta  di  insetti  appartenenti  a 
gruppi  sistematicamente  lontani. 

Del  resto  la  materia  vivente  è  così  plastica,  così  numerose  sono 
le  modificazioni  che  essa  ci  mostra  nei  suoi  edifici,  così  varii  sono 
gli  equilibri  che  in  essa  si  stabiliscono  che  non  è  poi  gran  me¬ 
raviglia  il  constatare  che,  sia  pure  in  specie  di  un  medesimo  gruppo, 
le  modalità  sia  strutturali  che  funzionali  degli  elementi  d'uno 
stesso  tessuto  deputato  alla  stessa  funzione  siano  molteplici  e 
varie. 

Le  ricerche  sono  state  eseguite  sul  mesointestino  di  Locusta 
clanica ,  L.  (Pachytylus  cinerascens ,  Fabr.)  sia  su  individui  rac¬ 
colti  nella  stagione  autunnale,  epoca  in  cui  essi  manifestano  la 
massima  attività  vitale,  sia  su  vari  individui  ibernizzanti. 

Oltre  alla  osservazione  a  fresco  e  sul  vivo  ho  adoperato  su 
vasta  scala  lo  studio  delle  sezioni  microtomiche. 

Ottimo,  quale  fissatore,  mi  si  è  rivelato  l’Alcool  acetico  (Al¬ 
cool  45o/o  col  V2  %  di  Acido  acetico). 

Ho  trovato  tale  miscela  superiore  a  qualsiasi  altro  fissatore 
adoperato  (Sublimato  acetico,  Liquido  di  Gilson)  comprese  le  mi¬ 
scele  cromo-osmiche. 

Ho  colorato  le  sezioni  in  varie  maniere,  ottenendo  ottime 
colorazioni  con  l'Ematossilina  ferrica  e  con  la  doppia  colorazione 
Carminio  boracico  -  Arancio  G  o  Verde  luce. 


Ricerche  personali. 

Il  mesointestino  di  Lucusta  clanica,  come  quello  della  ge¬ 
neralità  dei  Locustidi,  è,  rispetto  alle  rimanenti  zone  in  cui  di 
solito  viene  distinto  il  tubo  digerente,  il  tratto  più  breve.  Ad 
esso  si  aggiungono  quali  appendici  i  sei  ciechi  del  mesenteron, 
che,  come  è  noto,  sono  in  diretta  dipendenza  di  questo  (cfr.  per 
maggiori  particolari  sulla  struttura  anatomica  di  tale  organo  il 
lavoro  del  Bordas  '98). 

L'esame  a  fresco  sia  del  mesointestino  che  dei  ciechi  rivela 
uniformità  nella  superficie  interna  ed  esterna  di  questi;  il  colore 
è  uniformemente  bianco  tendente  al  giallo  pallido. 

Il  mesointestino,  si  trova  sempre  riempito  dal  cibo,  di  natura 


esclusivamente  vegetale,  avvolto  dalla  membrana  peritrofica,  qui 
evidentissima. 

L'epitelio  riposa  sulla  membrana  basale  e  questa  a  sua  volta 
sui  muscoli,  qui  disposti  in  tre  strati  l). 

Mentre  nel  mesointestino  gli  elementi  epiteliali  sono  piccoli 
e  confusi,  nei  ciechi  essi  appaiono  più  grandi,  meglio  indivi- 
dualizzabili. 

Differenza  fondamentale  fra  l'epitelio  dei  ciechi  e  quello 
mesointestinale,  come  vorrebbe  il  Plateau  '75,  non  esiste.  L'unica 
differenza  esistente  consiste  soltanto  nella  diversa  maniera  di  rag¬ 
gruppamento  delle  cellule. 

Nei  ciechi  l'epitelio  è  costituito  da  un  unico  strato  di  grosse 
cellule  che  col  connettivo  sottostante  forma  numerose  pieghe 
(10  a  15)  le  quali  limitano  di  molto  la  cavità  cecale,  aumentando  la 
superficie  uniformemente  coperta  dall'epitelio. 

Nel  mesointestino  viceversa  si  hanno  veri  villi,  più  numerosi 
nella  zona  posteriore  di  esso. 

L'epitelio  è  costituito  da  elementi  piccoli  (Fig.  1)  i  quali 
però  mostrano  in  generale  tale  confusione  nel  loro  aggruppa¬ 
mento  da  rendere  nella  massima  parte  dei  casi  difficile  l'indivi¬ 
duarli  distintamente. 

Nell'epitelio  mesointestinale ,  come  mostra  la  Fig.  1  che 
rappresenta  un  frammento  di  una  sezione  nella  zona  media  del 
mesointestino,  sono  bene  evidenti  due  forme  di  cellule  caratte¬ 
rizzate  principalmente  dalla  presenza  o  meno  del  rabdorio. 

Le  cellule  col  rabdorio  si  colorano  più  intensamente;  il  loro 


Ù  Al  disotto  della  membrana  basale  ho  rinvenuto  uno  strato  di  esilissime 
fibrocellule  molto  ravvicinate  fra  loro. 

Gli  strati  muscolari  del  mesointestino,  nei  Locustidi  sono  quindi  tre  e  non 
già  due  come  afferma  il  Visart  '94. 

Questo  strato  di  fibrocellule  longitudinali  interno  ricorda  quanto  il  Biz- 
zozzero  '92  descrisse  a  proposito  del  mesointestino  di  Hijdrophilas. 

Le  fibre  degli  strati  muscolari  del  mesointestino  appartengono  al  tipo 
liscio.  Ciò  mi  è  confermato  da  osservazioni  di  elementi  sia  a  fresco  che  fissati  e 
colorati. 

La  presenza  di  fibre  liscie  nel  mesointestino  era  stata  segnalata  per  Pha- 
sgonura  viridissima  L.  dal  Vosseler’91  e  non  soltanto  in  quest’organo  ma 
anche  neU’ovidutto  della  stessa  specie. 


—  146  — 


citoplasma  abbonda  di  granuli,  che  si  fanno  più  numerosi  nella 
zona  distale  e  prossimale  deirelemento. 

In  alcuni  casi  il  citoplasma  assume  in  queste  due  zone  forma 
assolutamente  striata.  Ciò,  come  mostra  la  Fig.  4  si  verifica 
meglio  nei  ciechi  nelle  cellule  delle  pieghe  epiteliali  più  prossime 
alla  sommità  di  queste  e  ricorda  quanto  il  Veneziani  '905  ha 
osservato  nelle  cellule  dell'epitelio  dei  Tubi  Malpighiani. 

Non  rare  nella  zona  distale  della  cellula  si  riscontrano  for¬ 
mazioni  riferibili  a  quella  serie  di  strutture  che  costituiscono  il 
cosiddetto  apparato  cromidiale. 

Il  nucleo  relativamente  grosso,  ovale,  intensamente  colorato 
occupa  una  posizione  prossima  all'orlo  distale  della  cellula. 

Il  rabdorio  assume  varie  forme;  nelle  cellule  in  riposo  (Fig.  3) 
si  mostra  basso  e  debolmente  colorato;  altre  volte,  (Fig.  2)  in 
cellule  del  mesointestino  in  attività  secernente,  esso  appare  più 
alto  e  si  colora  più  intensamente. 

In  questa  fase  dell'attività  cellulare  ho  riscontrato  le  varie 
forme  descritte  dal  Van  Gehuchten  '91  per  Ptychoptera  conta¬ 
minata  pel  processo  della  fuoruscita  del  secreto  sotto  forma  di 
gocciole  attraverso  l'orletto. 

L'altra  forma  di  cellule,  senza  rabdorio  è  meno  comune  nel 
mesointestino. 

Le  cellule  di  questa  forma  si  trovano  però  uniformemente  fram¬ 
miste  a  quelle  a  rabdorio.  Nei  ciechi  esse  costituiscono  da  se  sole  no¬ 
tevoli  tratti  alla  base  delle  pieghe  epiteliali,  specialmente  in  pros¬ 
simità  dell'orificio  di  sbocco  di  questi  nel  mesointestino  (Fig.  7). 

A  differenza  delle  cellule  a  rabdorio,  in  queste  il  citoplasma  è 
più  scarso,  si  colora  più  debolmente,  il  secreto  occupa  buona  parte 
della  cellula  localizzandosi  generalmente  verso  l'estremo  distale. 

Il  nucleo  non  differisce  da  quello  delle  cellule  a  rabdorio; 
esso  però  qui  occupa  una  posizione  vicina  alla  base  della  cellula. 

Non  è  raro  fra  queste  cellule  il  rinvenirne  alcune  che  hanno 
interamente  perduto  tutto  il  citoplasma  e  il  cui  nucleo  è  in  via 
di  disfacimento. 

Tali  forme  cellulari  sono,  senza  dubbio,  da  considerarsi  come 
l'ultima  fase  a  cui  giunge  l'attività  cellulare,  con  la  completa  di¬ 
struzione  della  cellula  stessa. 

Frequenti  si  rinvengono  nell'epitelio  sia  dei  ciechi  che  del 


mesointestino  aggruppamenti  nucleari,  già  descritti  dal  Frenzel 
'85  e  prima  ancora  dal  Sirodot  '58. 

Il  Frenzel  ritenne  tali  aggruppamenti  vere  glandole  aventi 
sbocco  proprio.  Il  Visart  '94  che  li  descrisse  per  primo  negli 
Ortotteri  pur  riconoscendone  resistenza  non  potè  individuarne 
bene  lo  sbocco. 

Ma  queste,  come  dice  esattamente  il  Guènot  '95,  “sont  bien 
des  cellules  de  remplacement  comme  le  prouvent  les  mitoses 
que  l'on  ne  rencontre  que  là  dans  tout  l'epithelium  „. 

E  che  veramente  siano  centri  germinativi  e  non  altro  lo  con¬ 
fermano  pienamente  le  mie  osservazioni. 

Nella  Fig.  5  ho  figurato  un  gruppetto  di  nuclei  circondati 
da  scarso  citoplasma,  dei  quali  uno  in  mitosi. 

Tali  raggruppamenti  nucleari  sono  diffusi  in  tutto  l'epitelio 
sia  dei  ciechi  che  del  mesointestino  sempre  alla  base  delle  altre 
cellule  epiteliali.  (Fig.  1  e  4). 

11  rinnovamento  degli  elementi  epiteliali  è  dovuto  esclusiva- 
mente  a  tali  focolai  di  cellule  giovani. 

Ed  a  principio  della  sua  formazione,  prima  ancora  che  la 
cellula  entri  a  far  parte  dell'epitelio  funzionante,  avvengono  le 
mitosi  e  la  moltiplicazione  delle  cellule. 

In  nessun  caso  ho  mai  osservato  tracce  di  moltiplicazione 
nelle  cellule  in  piena  attività  funzionale. 

Come  interpretare  ora  queste  varie  forme  e  aspetti  delle 
cellule  epiteliali? 

Dalla  prima  formazione  dell'elemento  giovanissimo  fino  al 
completo  disfacimento  di  questo  è  tutta  una  serie  di  modifica¬ 
zioni  che  la  cellula  attraversa  o  pur  no? 

Io  ritengo  che  si  tratti  perfettamente  di  varii  aspetti  succes¬ 
sivi  di  una  sola  cellula,  durante  il  corso  della  sua  vita. 

Ho  cercato  di  rappresentare  nelle  Figg.  5,  3,  4,  6,  7,  8  le 
varie  modificazioni  subite  dagli  elementi  epiteliali  dalla  loro  prima 
origine  fino  alla  loro  completa  distruzione. 

Ho  figurato  frammenti  della  base  delle  pieghe  dell'  epitelio 
dei  ciechi,  perchè  qui  il  processo  è  più  intelligibile,  per  quanto  esso 
si  verifichi  esattamente  e  nel  medesimo  modo  nelle  cellule  del¬ 
l’epitelio  mesointestinale. 


—  148  — 

Interessanti  sono  le  forme  cellulari  in  cui  il  rabdorio  accenna 
a  sparire. 

Da  quanto  ho  potuto  osservare,  essendo  l'orletto  non  altro 
che  una  differenziazione  dell'estremo  distale  del  citoplasma  in 
date  condizioni  di  funzionalità,  variando  queste,  ne  deriva  un 
completo  mutamento  nella  struttura  di  esso:  il  rabdorio  quindi 
scompare.  * 

Ho  notato  molte  cellule  in  cui  (la  fig.  6  ne  rappresenta  al¬ 
cune)  il  bordo  superiore  segna  il  limite  di  una  zona  di  citoplasma 
completamente  trasparente;  qui  però  non  si  possono  individuare 
bene  i  bastoncini  caratteristici  del  rabdorio.  Esistono  delle  forme 
di  passaggio  tra  l'orletto  tipico  e  il  citoplasma  indifferenziato. 

Da  questo  stadio,  in  cui  anche  il  citoplasma  perde  le  note 
proprie  della  cellula  ad  orletto,  il  passaggio  alla  forma  di  cellule 
della  Fig.  7  è  evidente. 

Le  cellule  a  citoplasma  striato  nella  zona  distale  e  prossi¬ 
male  (Fig.  2)  rappresentano  poi  uno  stadio  in  cui  la  cellula  può 
considerarsi  in  attività  assorbente. 

Tutte  le  cellule  della  sommità  delle  pieghe  epiteliali  dei 
ciechi  sono  in  tali  condizioni;  l'afflusso  delle  sostanze  assorbite 
attraverso  la  ceduta  imprimerebbe  a  questa  la  struttura  striata 
caratteristica. 

La  fase  assorbente  negli  elementi  epiteliali  seguirebbe  quella 
di  riposo  (Fig.  3),  precederebbe  la  fase  secernente  a  secreto  sotto 
forma  di  gocciole  fuoruscenti  attraverso  il  rabdorio,  e  finalmente 
si  giungerebbe  all'  ultima  fase  di  attività  cellulare,  caratterizzata 
dal  disfacimento  successivo  degli  elementi  stessi. 

Concludendo:  Nell'epitelio  mesointestinale  (e  dei  ciechi)  di 
Locusta  danica  (L.)  sono  evidenti  due  distinte  e  ben  caratteriz¬ 
zate  forme  di  cellule.  Esse  però  non  rappresentano  che  le  mo¬ 
dificazioni  dovute  alle  diverse  fasi  dell'attività  fisiologica  della 
cellula  stessa,  durante  il  corso  della  sua  vita. 

Napoli ,  Istit.  di  Anat.  e  Fisiol.  Comparate  R.  Università,  giugno  1923. 


149  — 


BIBLIOGRAFIA 

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1892.  Bizzozzero,  G.  —  Sulle  ghiandole  tabulari  del  tubo  gastroenterico , 
Nota  V:  Intestino  medio  di  alcuni  insetti.  Atti  Acc.  Se.  To¬ 
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1898.  Bordas,  L.  —  L' Appareil  digesti f  des  Orthoptères.  Ann.  Se.  Nat. 
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1895.  Cuènot,  L.  —  Etudes  phisiologiques  sur  les  Orthoptères.  Arch. 
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1909.  Deegener,  P,  —  1.  Beitràge  zur  kenntnis  der  Darmsekretion. 

I.  Teil:  Deilephila  euphorbiae,  L.  Arch.  Naturg.  76°  Jahrg, 
p.  71,  Tav.  2. 

1910.  —  —  2.  Beitràge  zur  kenntnis  der  Darmsekretion  II.  Teil 

Macrodites  ( Diticus )  circumcinctus,  Ahr.  Ibid.  76.  Jahrg,  p.  27. 
1922.  Federici,  E.  —  Lo  stomaco  della  larva  di  Anopheles  claviger,  Fabr. 
e  la  dualità  delle  cellule  meso intestinali  degli  Insetti.  Atti  R. 
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1918.  FoÀ,  A.  —  L’epitelio  dell’intestino  medio  nel  Baco  da  seta  sano  ed 
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Voi.  12,  p.  217,  Tav.  1  e  2. 

1885.  Frenzel,  I.  —  Einiges  uber  den  Mitteldarm  der  Insecten.  Arch. 

Mikr.  Anat.  26  Bd.,  p.  299,  Tav.  7-9. 

1890.  Van  Gehuchten,  A.  —  Récherches  histologiques  sur  l’ appareil 
digesti f  de  larve  de  la  Ptychoptera  contaminata  "'La  Cellule,, 
Tome  6,  p.  183,  6  Tav: 

1889.  Mingazzini,  P.  —  1 .  Ricerche  sul  canale  digerente  delle  larve  di 
Lamellicorni  fitofagi.  Mitth.  Z.  Stat.  Neapel  9  Bd.  p.  1,  Tav.  1-4. 
1889.  —  —  2.  Ricerche  sul  canale  digerente  di  Lamellicorni  fitofagi 
Ibid.  9  Bd.  p.  266,  T.  9-11. 

1875.  Plateau,  F.  —  Récherches  sur  les  phénomènes  de  la  digestion  chez 
les  Insectes.  Mem.  Acad.  Roy.  Belgique.  Voi.  41,  p.  113. 

1858.  Sirodot,  Ch.  —  Récherches  sur  les  sécrétions  chez  les  Insectes. 

Ann.  Se.  Nat.  (4)  Tome  10,  p.  251,  Tav.  14. 

1913.  Steudel,  A.  —  Absortion  und  sekretion  in  Dartn  der  Insekten. 

Zool.  Jahrb.  Abt.  Allg.  Zool.  Physiol.  33  Bd,  p.  165. 

1904.  Veneziani,  A.  —  Valore  morfologico  e  fisiologico  dei  Tubi  Mal- 
pighiani.  ''Redia,,  Giornale  di  Entomologia  Voi.  2  p.  176,  Tav. 
17-20. 


—  150 


1879.  Verson,  E. — 1.  La  evoluzione  del  tubo  intestinale  nel  Filugello. 
(Parte  prima)  Atti  Ist.  Veneto  Se.  [7]  Tomo  8,  p.  917,  2Tav. 

1898.  —  —  2 .La  evoluzione  del  tubo  intestinale  nel  Filugello  (Parte 

seconda).  Ibid.  Tomo  9,  p.  1273,  2  Tav. 

1894.  Visart,  O.  —  Contributo  allo  studio  del  tubo  digerente  degli  Ar¬ 
tropodi.  Atti  Soe.  Toscana  Se.  N.  Pisa  Mem.  Voi.  13,  p.  20, 
34  fig. 

1891.  Vosseler,  Iul.  —  U ntersuchungen  uber  glatte  und  unvollkommeu 
quergestreifte  Muskeln  der  Arthropoden.  Tùbingen  150  pp. 


SPIEGAZIONE  DELLA  TAVOLA  6 


Lettere  comuni  a  tutte  le  figure 

a  ti  —  aggruppamenti  nucleari 
c  r  —  cellule  a  rabdorio 
c  s  —  cellule  senza  rabdorio 
gs  —  gocciole  di  secreto 
m  b  —  membrana  basale 
mie —  muscoli  long,  esterni 
mli —  muscoli  long,  interni 
mpr—  membrana  peritrofica 
m  t  —  muscoli  trasversali 
r  b  —  rabdorio 
si  —  secreto 

str  —  zona  striata  del  citoplasma 

Le  figure  sono  state  disegnate  con  la  camera  lucida  di  Zeiss  all’  altezza  del 
tavolino  da  lavoro. 

Fig.  1. —  Frammento  di  sezione  trasversa  attraverso  la  zona  media  dell'inte¬ 
stino  medio  di  Locusta  danica  (L).  Si  notano  le  due  forme  di  cellule, 
c  r.  a  rabdorio  c  s.  senza  rabdorio  e  gli  aggruppamenti  nucleari  a  n. 
alla  base  dell'epitelio.  Oc.  2  Ob.  E.  Zeiss  X  310. 

Fig.  2.  —  Gruppo  di  cellule  dell'epitelio  mesointestinale  col  rabdorio ,  in  atti¬ 
vità  secernente.  Il  secreto  sotto  forma  di  gocciole  fuoriesce  attraverso 

l'orletto.  Oc.  comp.  6-  Imm.  Omog.  Zeiss  X  1000. 

Fig.  3.  —  Cellule  dell'  epitelio  dei  ciechi  in  fase  di  riposo.  Oc.  4.  Ob.  E. 
Zeiss.  x600. 

Fig.  4  —  Estremità  di  una  piega  epiteliale  dei  ciechi  con  cellule  in  attività  as¬ 
sorbente.  Si  notano  la  striatura  distale  e  prossimale  del  citoplasma  str 
e  qualche  aggruppamento  nucleare  ag.  Oc.  4  Ob.  E.  ZeiSS  X  600. 
Fig.  5.  —  Aggruppamento  nucleare  nell’epitelio  dei  ciechi  con  nuclei  in  mitosi 

Oc.  comp.  6 — 1g-  Imm.  Om.  Zeiss  X  1000. 

Fig.  6.  —  Cellule  dell’epitelio  dei  ciechi  in  cui  il  rabdorio  è  in  via  di  trasfor¬ 
mazione  regressiva.  Oc.  4.  Ob.  E.  Zeiss.  X  600. 

Fig.  7.  —  Cellule  dell'  epitelio  dei  ciechi ,  senza  rabdorio  in  avanzata  attività 
secernente.  Oc.  4,  Ob.  E.  Zeiss  X  600. 

Fig.  8.—  Cellule  dell’epitelio  dei  ciechi  in  attività  secernente:  ultima  fase  Oc 
4.  Ob.  E.  Zeiss  X  600. 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


Identità  fra  Dolchinia  mirabilis  Korotneff 
e  Dolio  latri  Chimi  Neu/tann. 

del  socio 

Prof*  Marco  Fedele 


(Tornata  ordinaria  del  29  aprile  1923) 

Nel  febbraio  del  1891  veniva  pescato  nel  Golfo  di  Napoli, 
e  studiato  dal  Korotneff,  una  nuova  forma  di  tunicato  pela¬ 
gico,  che  venne  da  questo  autore  battezzata,  dietro  suggerimento 
dei  professori  Eisiq  e  Mayer,  Dolchinia  mirabilis,  per  significare 
1'  importanza  filogenetica  che  ad  essa  si  attribuiva  come  forma 
intermedia  fra  il  genere  Anchinia  e  il  genere  Doliolam .  Malgrado 
la  netta  rassomiglianza  dell'esemplare  avuto  in  esame  con  un'ap¬ 
pendice  dorsale  carica  diforozoidi  staccatasi  da  una  nutrice 
di  grosse  dimensioni  di  Doliolurn,  il  Korotneff  ritenne  incon¬ 
testabilmente,  per  la  mancanza  di  trofozoidi,  per  le  dimen¬ 
sioni  vistose  e  per  la  possibilità  di  vita  autonoma ,  di  trovarsi 
in  presenza  di  una  forma  sui  generis  da  porsi  di  lato  ad  An¬ 
chinia  e  Doliolurn  e  costituente,  come  queste,  un  gruppo  a  parte 
dei  Cyclomyaria  1). 

Questa  forma  così  interessante  ,  ripescata  dal  Lo  Bianco  2), 
nella  crociera  del  Puritan,  il  4  marzo  del  1902,  ad  8  km.  dalla 
Punta  della  Campanella,  con  cavo  filato  a  1100  ni.,  venne  di 
nuovo  riscontrata  contemporaneamente  a  Napoli  e  a  Villafranca 


0  1891,  Korotneff  (de),  A.  —  La  Dolchinia  mirabile  ( nouveau  tunicier). 
Mitth.  Z.  Stat.  Neapel.  Bd.  10,  1891-93,  p.  187-205  (sp.  p.  12-13). 

2)  1903,  Lo  Bianco,  S.  —  Le  pesche  abissali  eseguite  da  F.  A.  Krupp 
col  yacht  "  Puritan  „  nelle  adiacenze  di  Capri  e  in  altre  località  del  Medi- 
terraneo.  Mitth.  Z.  Stat.  Neapel.  Bd.  16,  p.  109-279,  Taf.  7-9.  (efr.  sp.  p.  168), 


(verso  il  1902-3)  e  ristudiata  dal  Korotneff  i)  che  riscontra  negli 
esemplari  di  Napoli  anche  forme  di  trofozoidi,  e,  pur  rico¬ 
noscendo  insostenibili  le  sue  conclusioni  filogenetiche,  insiste  nel 
ritenere  Dolchinia  forma  perfettamente  indipendente,  da  non 
confondersi  con  Doliolum ,  e  formante,  ad  ogni  modo,  un  nuovo 
genere,  avente  come  carattere  distintivo  essenziale  la  disposi¬ 
zione  irregolare  delle  forme  laterali  (trofozoidi). 

Di  questa  specie  —  ribattezzata  posteriormente,  a  ragione,  dal 
Neumann  (1913)  sotto  il  nome  di  Doliolum,  (Dolioletta)  mirabili s 
Korotn. 1  2)  e  ritenuta  finora  esclusiva  del  Mediterraneo  occiden¬ 
tale  (Napoli,  Villafranca)  —  conosciamo,  dalle  descrizioni  del  Ko¬ 
rotneff,  le  forme  di  forozoidi  (Korotneff  1891,  p.  191-193, 
Taf.  12,  fig.  1-4),  di  trofozoidi  (Korotneff  1903-4,  p.  482, 
Taf.  9,  fig.  1)  e  forme  giovanili  di  gonozoidi  ancora  in  con¬ 
nessione  con  l'appendice  ventrale  dei  forozoidi  (Korotneff, 
1891,  p.  193,  Taf.  12,  fig.  5). 

Nel  1906  il  Neumann  3)  descrisse  una  nuova  specie  di  Do¬ 
liolum  pescata  dalla  “  Valdivia  „,  a  cui  diede  il  nome  di  Dolio¬ 
lum  Chuni  Neumann  1905,  dandola  come  specie  prossima  al  D. 
Tritonis  e  D.  Valdlviae. 

Il  D.  Chuni  fu  pescato  dalla  Deutsche  Tiefsee  -  Expedition 
tanto  nell'Oceano  Atlantico  quanto  nell'Indiano  in  piccolissimo 
numero;  in  tutto  tre  catture  con  solo  sei  esemplari,  di  cui  3  gio¬ 
vani  gonozoidi  e  gli  altri  tre  forozoidi  adulti.  Per  l'At¬ 
lantico  furono  pescati  due  soli  individui  in  due  punti  diversi 
appartenenti  uno  alla  corrente  sudequatoriale,  nella  parte  esterna 
del  Golfo  di  Guinea,  1’  altro  alla  corrente  del  Benguela,  presso 
la  coste  occidentali  dell'Africa.  Nell'Oceano  Indiano  furono  pe¬ 
scati  gli  altri  quattro  esemplari  presso  le  coste  occidentali  del¬ 
l'Africa,  in  vicinanza  di  Dar  es  Salam. 


1)  1903-4,  Korotneff  (de),  A.  --  Notes  sur  les  Cyclomyaires.  Mitth.  Z. 
Stat.  Neapel,  Bd.  16,  p.  480-88,  Taf.  19. 

2)  1913.  Neumann,  G.  Cyclomyaria  et  Pyrosomida.  Das  Tierreich  —  Tu¬ 
nicata;  40  Lief.  pp.  X  —  37  (cfr.  sp.  p>  17-18). 

3)  1906.  Neumann,  G.  Doliolum.  Wiss.  Ergebn.  Deutsch.  Tiefsee-Exp. 
(Valdivia  1898-99)  Bd.  12,  p.  93-243,  Taf.  11-25  (cfr.  sp,  p.  221-222,  Taf.  23,  fig. 
9  e  10  e  Taf.  24,  fig.  3). 


154  — 


Dalla  comparazione  delle  due  descrizioni  date  dai  rispettivi 
scopritori  per  le  due  specie  notate,  dall'esame  delle  figure  che  le 
accompagnano  (belle  e  precise  quelle  del  Neumann)  e  dalla  indica¬ 
zione  esplicita  che  ne  fa  anche  questo  A.  nella  descrizione  delle 
due  specie  riportate  in  "  Tierreich  „  (1.  c.  p.  17-18)  si  può  dedurre 
che  i  caratteri  che  dovrebbero  distinguere  Dolchinia  mirabilis  da 
Doliolum  Chimi  sarebbero  essenzialmente  i  seguenti: 

1)  per  la  forma  di  forozoide:  diversità  nella  con¬ 
formazione  e  dimensioni  dell'appendice  ventrale; 

2)  per  la  forma  di  gonozoide;  le  dimensioni  diffe¬ 
renti  del  corpo,  minori  in  Dolchinia  (ó  min.),  il  numero  delle  fes¬ 
sure  branchiali  (fino  a  70  in  questa  forma,  fino  a  90  nell'  altra),  la 
estensione  dell'estremo  ventrale  della  branchia  e,  infine,  la  con¬ 
formazione  degli  organi  sessuali,  risultanti  in  D. 
Chimi  da  un  ovario  posto  nel  sesto  spazio  intermuscolare  e  da  un 
testicolo  otriforme  circondante,  con  largo  arco,  il  tubo  intestinale 
sul  lato  ventrale  sinistro,  mentre  in  Dolchinia  mirabilis  gli  organi 
genitali  ermafroditi  presenterebbero  la  forma  di  un  sacco  ricurvo, 
nel  fondo  del  quale  gli  zoospermi  si  svilupperebbero  indipen¬ 
dentemente  dalle  uova,  poste  nella  parte  anteriore  del  sacco  (Ko- 
rotneff,  1891  p.  193,  fig.  5  gn.). 

Ma  queste  presunte  differenze  non  sono  inconciliabili  é  sono 
la  conseguenza  di  osservazioni  fatte  su  materiale  scarso  a  diverso 
stadio  di  sviluppo;  mentre  il  Korotneff,  infatti  ha  potuto  os¬ 
servare  forozoidi  ancora  connessi  con  tratti  dell'appendice 
dorsale  di  nutrice  o  staccatisene  da  poco,  il  Neumann  ha  os¬ 
servato  individui  di  tale  forma  ben  più  avanti  nello  sviluppo, 
come  lo  provano  gli  individui  sessuati  liberi  e  a  completo  sviluppo 
pescati  con  essi;  e  così,  mentre  il  primo  autore  ha  potuto  osser¬ 
vare  solo  gonozoidi  giovanissimi  ed  ancora  in  evoluzione 
ed  in  connessione  con  l'appendice  ventrale  del  f  oro  z  oi  d  e  ,  il 
secondo  potè  osservare  individui  a  sviluppo  completo  senza 
avere,  evidentemente,  opportunità  di  vedere  stadi  giovanili  con¬ 
nessi  ai  forozoidi. 

Già  queste  considerazioni,  unite  al  fatto  che  i  caratteri  tipici 
sono  dedotti  dal  Korotneff  dal  f  or  o  zo  id  e  e  dal  Neumann 
dal  gonozoide,  fanno  molto  dubitare  della  reale  esistenza 
delle  differenze  notate;  l'esame  poi  che  ho  potuto  fare  di  abbon- 


dante  materiale  simile  a  quello  osservato  dal  Korotneff,  varia¬ 
mente  conservato,  e  datomi  in  esame  gentilmente  dalla  Stazione 
Zoologica  di  Napoli,  e  la  fortunata  pesca,  da  me  eseguita,  di  tre 
individui  adulti,  un  gonozoide  e  due  forozoidi,  con 
gemme  e  individui  sessuati  a  diversi  stadi  di  sviluppo  sull'appen¬ 
dice  ventrale,  tolgono  ogni  dubbio  sulla  identità,  spiegano  com¬ 
pletamente  le  presunte  differenze  specifiche  e  ci  convingono  esau¬ 
rientemente  che  ci  troviamo  in  presenza  di  forme  della  istessa  specie. 

I  tre  individui  in  parola  furono  da  me  pescati  —  durante  una 
delle  serie  di  pesche  planctoniche  sistematiche  che  vado  periodi¬ 
camente  eseguendo  nel  golfo  di  Napoli  e  adiacenze  fin  dall'anno 
scorso  —  nel  centro  del  Golfo,  quasi  a  metà  strada  fra  Capo  Mi- 
seno  e  P.  della  Campanella,  a  circa  100  metri  di  profondità,  il 
giorno  30  marzo  di  quest'anno. 

II  gonozoide  adulto,  con  testicolo  maturo,  presentava 
una  lunghezza,  sul  vivo,  di  circa  8  mm.  Mentre  il  colore  del  tubo 
digerente  era  di  un  verde  giallastro  molto  appariscente,  il  testi¬ 
colo  si  mostrava  bianco  latteo  e  mostrava  disposizioni  e  con¬ 
formazioni  perfettamente  ugali  a  quelle  descritte,  e  con  chiarezza 
figurate,  dal  Neumann  per  Doliolum  Chuni.  Su  questo  e  sugli 
altri  punti  ho  potuto  procedere  sicuro  nella  comparazione  per 
le  figure  molto  chiare,  precise  e  particolareggiate  del  Neumann 
e  per  la  diretta  osservazione  del  materiale  ben  conservato  di 
Dolchinia. 

I  due  forozoidi  da  me  pescati,  in  perfette  condizioni,  per 
tutti  i  particolari  di  struttura,  nonché  per  le  condizioni  speciali 
di  pesca,  non  lasciano  dubbio  che  siano  forme  asessuate  della 
istessa  specie  dei  gonozoidi;  essi  alla  appendice,  molto  più 
ridotta  di  quella  riportata  dal  Korotneff  per  i  trofozoidi 
di  Dolchinia  da  lui  (e  da  me)  osservata,  avevano  ancora  connesse 
diverse  forme  di  gonozoidi  giovanili,  con  i  diversi  organi  ancora 
in  isviluppo,  e  il  più  avanzato  con  una  massa  genitale  confor¬ 
mata  perfettamente  come  quella  descritta  dal  Korotneff  e  pas¬ 
sata  erroneamente  come  conformazione  definitiva  dell'adulto. 

E  basterebbe  ciò  perchè  ogni  dubbio  definitivamente  spa¬ 
risse  come  completamente  scomparve  in  me  fin  dalla  prima  os¬ 
servazione  ;  ma  l'esame  degli  altri  caratteri,  che  io  farò  brevemente, 
renderà  ancora  più  evidente  la  identità. 


—  156  — 


Per  l'appendice  ventrale  del  forozoide,  l'esame  del  ma¬ 
teriale  conservato  e  di  quello  vivente  da  me  fatto,  come  la  pra¬ 
tica  e  la  conoscenza  delle  altre  forme  di  Doliolum,  mette  defi¬ 
nitivamente  fuori  dubbio  che  essa  è  variabilissima  nelle  dimen¬ 
sioni  e  subisce  riduzioni  non  scompagnate  da  variazioni  nella 
conformazione;  non  ha  quindi  alcun  valore  sistematico. 

La  conformazione  e  i  rapporti  della  lamina  branchiale,  of¬ 
frono,  invece,  buoni  caratteri  diagnostici,  non  il  numero  delle 
fessure,  però,  che  è  variabile  durante  lo  sviluppo.  L'apparente 
diversità  che  si  nota  fra  le  inserzioni  ventrali  della  branchia  in 
Dolchinia  mirabilis  e  Doliolum  Cimai ,  e  che  è  messa  in  evidenza 
nei  caratteri  diagnostici  dati  delle  due  specie  dal  Neumann  in 
Tierreich,  si  risolve  subito  notando,  come  ho  già  fatto,  che  la  de¬ 
scrizione  di  questo  autore  è  basata  sul  gonozoide  e  che  quella 
del  Korotneff  sul  forozoide,  due  forme  che  hanno,  come  è 
chiarissimo  dalla  osservazione  comparativa  degli  esemplari  da  me 
pescati,  una  piccola  diversità  di  inserzione  ventrale  e  cioè,  mentre 
la  branchia  nel  gonozoide  si  inserisce  alle  pareti  ventrali  del 
corpo  strettamente  contro  il  margine  inferiore  del  4°  nastro 
muscolare,  nel  forozoide  non  vi  giunge  (e  questo  negli  in¬ 
dividui  conservati  avuti  in  esame  e  in  quelli  da  me  pescati  !)  e 
si  estende  solo  alquanto  al  disopra  della  metà  del  4°  spazio 
intermuscolare.  In  qualche  individuo  con  70  e  più  fessure  bran¬ 
chiali  si  spinge,  anche  in  questa  forma,  quasi  sotto  il  4°  anello 
muscolare. 

Il  numero  delle  fessure  branchiali  è  evidentemente  variabile 
con  l'età:  negli  individui  da  me  pescati  ne  ho  contati,  nei  fo- 
rozoidi  85-90  paia,  nel  gonozoide  85  paia.  Nei  gonozoidi 
giovani  il  numero  è  molto  minore,  e  negli  individui  conservati 
si  nota  una  graduale  varietà,  fino  a  raggiungere  i  limiti  tracciati 
dal  Korotneff  e  a  superarli. 

Le  piccole  diversità  nelle  dimensioni  non  hanno  valore,  se 
si  tien  conto  dei  diversi  stadi  su  cui  sono  state  eseguite  le  mi¬ 
surazioni;  così  i  gonozoidi  giovanissimi  del  Korotneff  hanno 
dato  una  lunghezza  di  6  mm.,  quelli  giovani,  ma  ben  sviluppati, 
del  Neumann  7,  mentre  il  gonozoide  da  me  pescato  dà,  sul 
vivo,  8  mm.  Queste  diversità,  anzi,  sono  una  prova  dippiù  che 
si  tratta  dell’istessa  forma  a  diversi  stadi  di  sviluppo. 


157  — 


Sono  così  risolte  e  spiegate  tutte  le  apparenti  discordanze  ; 
e  le  minute  corrispondenze  in  tutti  gli  altri  particolari  della  or¬ 
ganizzazione,  come,  p.  es.,  il  nodo  ciliare  dorsale,  che  pre¬ 
senta,  in  tutti  gli  esemplari  osservati,  gli  identici  particolari,  che 
vanno  fino  alle  minime  ondulazioni  dei  nastri  e  al  caratteristico 
arco  discordante  innalzantesi  nel  punto  dove  si  inserisce  l' im¬ 
buto  cibato  (v.  fig.  9,  Tav.  23  del  Neumann,  1906),  come  i  par¬ 
ticolari  caratteristici  di  quest’ultimo  organo,  come  sono  dati  dal 
Neumann,  e  come  ho  riscontrati  negli  individui  conservati  e  in 
quelli  da  me  pescati,  ci  fanno  con  sicurezza  concludere  che  si 
tratta  di  una  stessa  specie  di  Doliolum. 

Perciò  alla  Dolchinia  mirabilis  Korotn.  e  Doliolum  Chuni 
Neumann  va  definitivamente  sostituita  l'unica  specie,  Doliolum 
mirabile  (Korotn.)  Fedele  1923,  appartenente  al  sottogenere 
Dolioletta ,  con  distribuzione  geografica  estendentesi  sulle  località 
prima  distinte  di  appartenenza  delle  due  presunte  diverse  spe¬ 
cie,  e  di  cui  ci  son  chiaramente  note,  finora,  tutte  le  forme,  ec¬ 
cetto  la  Nutrice  (Oozoide). 

La  specie  resta  così  caratterizzata  : 

Doliolum  ( Dolioletta )  mirabile  (Korotn.)  Fedele  1923. —  1891  Dolchi¬ 
nia  mirabilis ,  Korotneff  in:  Mitth.  Z.  Stai.  Neapel,  Bd.  10,  p.  191- 
193,  taf.  12  fig.  1  (Forozoide);  1904  D.  m.  Korotneff  in:  Mitth  Z. 
Stai.  Neapelt  Bd.  16  p.  482,  Taf,  19,  fig.  1  (Trofozoide);  1906 
Doliolum  chuni,  Neumann  G.  in:  Ergebn-Tiefsee-Exp.  Bd.  12 n, 
p.  221-222,  Taf.  24,  fig.  2  (Gonozoide);  1913  Doliolum  mirabile 
(Korot.)  Neumann  in:  Das  Tierreich  40  Lief.  p.  17-18. 

Oozoide  -  ignota 

Gonozoide:  Mantello  sottile  ma  consistente,  lamina  branchiale 
fortemente  arcuata  posteriormente,  con  molte  (fino  a  90)  paia  di  fessure, 
ed  inserentesi  dorsalmente  appena  dietro  il  3°  nastro  muscolare,  ven¬ 
tralmente  al  5°  nastro;  tubo  digerente  a  spira,  colorato  in  giallo 
verdastro  nel  vivo,  posto  quasi  completamente  nel  5°  spazio  inter¬ 
muscolare  e  sboccante  dietro  il  6°  anello  muscolare;  endostile 
iniziatesi  appena  avanti  al  3°  e  giungente  fin  sopra  la  metà  dello 
spazio  fra  4°  e  5°  anello  muscolare.  Organi  sessuali:  ovario 
posto  nel  sesto  spazio  intermuscolare,  sotto,  il  6°  anello  ;  il  testicolo, 
allungato,  forma  come  un  arco  a  pastorale  e,  attraversando  6°  e 
5°  anello  muscolare,  si  incurva  nel  4°  spazio  intermuscolare,  cir¬ 
condando  con  largo  arco  il  tubo  intestinale  sul  lato  ventrale  sinistro. 
Lunghezza  fino  ad  8  mm. 


—  158  — 


Forozoide  come  il  gonozoide;  la  lamina  branchiale  si  inserisce  ven¬ 
tralmente  alquanto  al  di  sopra  della  metà  del  4°  spazio  intermusco¬ 
lare;  l’appendice  ventrale  lunga  e  sviluppata  negli  individui  gio¬ 
vani,  si  va  successivamente  riducendo. 

Trofozo i de  -  Senza  lembi  boccali  e  senza  tentacoli  tattili,  tubo  dige¬ 
rente  ad  ansa;  fessure  branchiali  (in  individui  di  8  mm.)  da  40-42. 

Specie  affini  : 

Doliolutn  valdiviae  Neum.,  D.  tritonis  Herdm.  j). 

Distribuzione  Geografica:  Mediterraneo  (Napoli:  Korotneff,  1891  e  1904; 
Lobianco,  1903-4;  Fedele,  1923;  Villafranca:  Korotneff),  Oceano 
Atlantico  ed  Oc.  Indiano  tropicali  (Neumann  1906). 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


9  Sono  veramente  sorprendenti  le  rassomigiianze  fra  il  D.  mirabile  e 
questa  ultima  specie,  in  cui  il  carattere  distintivo  più  valutato,  la  forma  ed 
estensione  del  testicolo,  presenta  anche,  dalle  osservazioni  del  Ritter  ed  Herd- 
mann  ,  una  notevole  variabilità.  Credo  che  una  revisione  di  queste  forme  e 
l'osservazione  di  nuovo  materiale  potranno  riservarci  forse,  sulla  sistematica  dì 
queste  specie,  qualche  ulteriore  sorpresa. 


La  morfologia  del  bacino  dei  Sauropsidi 


Il  pube  degli  Uccelli 

Ricerche 
del  socio 

Prof.  Ermete  Marcucci 
(con  10  fig,  nel  testo) 

(Tornata  ordinaria  dell' 8  luglio  1923) 


Il  pube  degli  uccelli  è  omologo  all'intero  pube  dei  rettili  od 
a  parte  di  esso,  oppure  è  una  nuova  formazione,  un  nuovo  ele¬ 
mento  del  bacino  ?  Le  opinioni  in  proposito  sono  varie.  Molti 
morfologi  e  paleontologi  hanno  cercato  di  risolvere  questa  an¬ 
tica  ed  ardua  quistione,  ma  sono  ben  lungi  dal  venire  ad  un 
accordo.  Meckel  (1824),  Cuvier  (1835),  Owen  (1866),  Gegenbaur 
(1871)  considerano  il  pube  degli  uccelli  omologo  all'intero  pube 
dei  rettili.  Il  pube,  che  nei  rettili  viventi  è  rivolto  in  basso  ed 
in  avanti  (cefalicamente),  sarebbe  negli  uccelli  ruotato  caudal¬ 
mente.  Bunge  (1880),  mediante  l’esame  di  sezioni  microtomiche 
di  giovanissimi  embrioni  di  pollo,  ha  potuto  constatare  che  il 
pube  nel  suo  primo  abbozzo  si  presenta  quasi  perpendicolare 
all'ileo,  come  negli  embrioni  di  rettili;  ma  in  embrioni  più  svi¬ 
luppati  esso  appare  ruotato  caudalmente  e  quindi  parallelo  al¬ 
l'ileo.  Da  ciò  deduce  che  il  pube  degli  uccelli  è  omologo  a  quello 
dei  rettili,  confermando  embriologicamente  l'ipotesi  degli  antichi 
morfologi. 

Ma  la  scoperta  dei  Dinosaurii  ornitopodi  pone  in  una  nuova 
luce  la  morfologia  del  bacino  degli  uccelli  e  modifica  l'antica 
concezione  del  pube.  Hulke  (1876)  e  poi  Marsh  (1878)  credono 
riconoscere  in  questi  rettili  fossili  gli  antenati  degli  uccelli;  ed 
ammettono  che  il  pube  degli  uccelli  non  abbia  alcun  omologo 


—  160  — 

nei  rettili  viventi,  ma  corrisponda  a  quella  porzione  del  bacino 
dei  Dinosaurii  ornitopodi  da  Marsh  chiamata  postpubis;  men¬ 
tre  il  pube  dei  rettili  viventi  sarebbe  omologo  al  pubis  o  prae- 
pubis  di  Dames  dei  Dinosaurii  ed  al  processus  pectinealis  degli 
uccelli.  Così  il  processus  pectinealis  ritenuto  da  Gegenbaur  (1871) 
e  poi  da  Bunge  (1880)  facente  parte  delPileo  e  perciò  da  loro 
chiamato  spina  iliaca ,  da  Owen  (1866,  Voi.  2,  p.  36)  e  da  altri 
come  una  porzione  acetabolare  del  pube,  e  da  Sabatier  (1880), 
nel  Casuarius  galeatus ,  come  facente  parte  del  pube  e  dell'ileo, 
sarebbe  invece  il  rappresentante  dell'intero  pube  dei  rettili  viventi. 

Johnson  (1883),  per  consiglio  di  Balfour,  studia  lo  sviluppo 
del  bacino  del  pollo  e  constata  che  V  abbozzo  del  pube,  che  è 
fuso  con  quello  dell'intero  bacino,  dapprima  appare  semplice;  ma 
poi  si  mostra  costituito  da  due  branche  pressoché  uguali  :  una 
diretta  cefalicamente  (branca  anteriore)  ed  una  rivolta  in  basso 
(branca  posteriore)  e  quasi  perpendicolare  all'abbozzo  dell'ileo. 
La  branca  anteriore,  la  quale  formerà  il  processus  pectinealis  del 
pube,  si  arresta  quasi  nel  suo  sviluppo.  La  branca  posteriore 
invece,  la  quale  formerà  il  pube,  si  allunga  sempre  più  in  ma¬ 
niera  che  mentre  la  sua  porzione  prossimale  rimane  nella  me¬ 
desima  posizione  che  aveva  prima,  la  porzione  distale  si  accresce 
nel  senso  antero-posteriore,  parallelamente  all'ileo.  Da  ciò  ne  de¬ 
duce  che  non  vi  è  alcuna  rotazione  del  pube.  La  Johnson  viene 
ad  una  conclusione  opposta  a  quella  di  Bunge  e  cioè:  che  il  pube 
degli  uccelli  è  omologo  al  processus  lateralis  del  pube  dei  ret¬ 
tili  viventi  ed  al  postpubis  di  Marsh  dei  Dinosaurii;  mentre  il 
processus  pectinealis  degli  uccelli  è  omologo  al  pube  dei  rettili 
viventi  ed  al  pubis  di  Marsh  dei  Dinosaurii. 

Baur  (1885),  dopo  ricerche  fatte  su  giovani  polli,  quaglie  ed 
anitre,  e  tenendo  conto  dei  lavori  di  Bunge,  Dollo,  Sabatier  e 
Johnson,  viene  ad  una  conclusione  che  si  accorda  in  parte  con 
quella  di  Johnson,  cioè  che  il  pube  degli  uccelli  è  omologo  al 
postpubis  dei  Dinosaurii;  ma  che  il  pubis  dei  Dinosaurii,  che 
negli  Ornitopodi  incomincia  a  ridursi,  è  solo  rappresentato  dalla 
porzione  inferiore  del  processus  pectinealis  dei  Ratiti  ;  mentre  la 
porzione  superiore  del  processus  pectinealis  dei  Ratiti  e  l'intero 
processus  pectinealis  dei  Carenati  corrisponde  alla  porzione  ar¬ 
ticolare  dell'ileo  dei  Dinosaurii,  che  si  articola  col  pubis. 


—  161  — 


Wiedersheim  (1883-1886)  anche  sembra  seguire  in  parte 
Johnson.  Egli  dice  (1883)  che  si  può  concludere  che  il  pube  de¬ 
gli  uccelli  non  è  omologo  a  quello  dei  rettili,  ma  che  esso  deve 
essersi  sviluppato  nuovo  nella  serie  dei  Dinosaurii  e  forse  già 
nei  loro  antenati,  e  che  (1886)  il  prolungamento  anteriore  del 
pube  dei  Dinosaurii  può  solo  corrispondere  ad  un  forte  accre¬ 
scimento  della  pars  acetabularis  e  che  traccia  di  esso  si  trova 
anche  negli  uccelli  recenti,  come  nello  Apteryx ,  Drotnaeus ,  Geo- 
coccyx.  Egli  ammette  quindi  un  nuovo  elemento  formatosi  nel 
bacino  (la  pars  acetabularis ),  che  è  evidente  in  molti  mammi¬ 
feri  e  che  secondo  Wiedersheim,  si  trova  anche  nel  bacino  del 
Coccodrillo. 

Baur  più  tardi  (1886)  cambia  opinione.  Egli  riconosce  che 
il  pube  degli  uccelli  è  omologo  al  pube  dei  rettili  e  che  non 
esiste  alcun  postpubis ;  poiché  nello  stadio  embrionale  il  pube 
degli  uccelli  sta  quasi  perpendicolarmente  all'ileo  ed  in  seguito 
si  gira  verso  dietro.  Egli  accetta  l'ipotesi  di  Wiedersheim  circa 
resistenza  di  un  quarto  costituente  del  bacino,  affermando  che 
il  prolungamento  (processus  pectinealis)  degli  uccelli  (in  parte), 
come  quello  dei  Dinosaurii,  è  molto  probabilmente  omologo  al- 
Tosso  acetabolare.  Poiché  se  questo  prolungamento  dei  Dino¬ 
saurii  fosse  il  pube,  allora  noi  avremmo  un  caso  unico  in  tutti 
i  vertebrati,  cioè  che  l'estremo  distale  del  pube  sarebbe  diretto 
in  fuori  e  non  in  dentro. 

Mehnert  (1887),  per  concorrere  ad  un  premio  stabilito  dalla  Fa¬ 
coltà  di  Medicina  della  Università  di  Dorpat,  si  occupa  della  qui- 
stione  della  composizione  e  modo  di  sviluppo  del  bacino  degli 
uccelli,  sotto  il  punto  di  vista  della  teoria  della  discendenza.  Poi¬ 
ché  ritiene  che  non  è  possibile  risolvere  la  quistione  con  ricer¬ 
che  fatte  solo  sul  pollo,  egli  esamina  anche  numerosi  embrioni 
di  uccelli  acquatici  e  di  altri  uccelli  selvatici.  L'esame  è  fatto  sia 
mediante  sezioni  microtomiche,  che  mediante  dissezioni.  Egli  nota 
che  l'abbozzo  del  pube  degli  uccelli,  nei  primi  stadii  embrio¬ 
nali,  si  presenta  quasi  perpendicolare  a  quello  dell'ileo,  e  che  in 
embrioni  più  avanti  nello  sviluppo  esso  appare  girato  caudal¬ 
mente;  e  che  il  processus  pectinealis  non  nasce  dall'abbozzo  del 
pube,  ma  dal  pericondrio  della  cartilagine  acetabolare  dell'  ileo. 
Egli  viene  quindi  alla  stessa  conclusione  di  Bunge,  cioè  che  il 


pube  degli  uccelli  è  omologo  a  quello  dei  rettili  viventi.  Secondo 
Mehnert  il  processus  pectinealis  sia  nei  Carenati  che  nei  Ratiti 
non  può  essere  considerato  come  una  formazione  autonoma,  cioè 
come  un  quarto  componente  della  pelvi;  ed  i  Dinosaurii  orni- 
topodi  non  sono  gli  antenati  degli  uccelli,  ma  solo  un  ramo  la¬ 
terale  del  comune  tronco  dei  Sauropsidi,  del  quale  ramo  non  è 
sopravvissuto  alcun  discendente. 

Zittel  (1890)  segue  completamente  Mehnert  e  Bunge.  Egli 
dice  che  il  pube  degli  uccelli  corrisponde  al  vero  pube  dei  Coc¬ 
codrilli,  Lucertole  e  rimanenti  rettili;  e  che,  contrariamente  a 
quanto  ammettono  Hulke  e  Marsh,  il  pube  degli  uccelli  non  è 
affatto  omologo  al  postpubis  dei  Dinosaurii  ornitopodi.  Che  la 
presunta  corrispondenza  del  bacino  degli  uccelli  con  quello  dei 
Dinosaurii  ornitopodi  è  solo  apparente  e  che  quindi  vengono  a 
cadere  le  conclusioni  fondate  su  di  essa.  Il  postpubis  degli  Orni¬ 
topodi  e  Stegosaurii  sembra  perciò  come  un  prolungamento  ap¬ 
partenente  solo  ai  Dinosaurii,  come  un  particolare  differenzia¬ 
mento,  al  quale  negli  uccelli  non  è  omologa  alcuna  formazione 

Gadow  (1891)  accetta  Y  ipotesi  di  Johnson,  cioè  che  il  pube 
degli  uccelli  è  omologo  al  processus  lateralis  del  pube  dei  ret¬ 
tili  ed  al  postpubis  dei  Dinosaurii  ;  ed  il  processus  pectinealis 
degli  uccelli  è  omologo  al  pube  dei  rettili  ed  al  pubis  dei  Di¬ 
nosaurii;  e  che  mentre  esso  come  processus  pectinealis  pubicus 
è  un  preformato  elemento  ereditato  dai  rettili,  ha  esso  come  spina 
iliaca  solo  il  valore  di  una  cresta  od  apofisi  dell' ileo. 

W iedersheim  più  tardi  (18923,  1898,  1902)  torna  all'antica  con¬ 
cezione  del  pube  degli  uccelli,  cioè  che  questo  è  omologo  al  pube 
dei  rettili  ed  è  rotato  verso  dietro.  Egli  dice  (18923)  che  negli  uc¬ 
celli  non  si  sviluppa  un  postpubis  nel  senso  di  Marsh,  e  che  la 
pars  acetabularis,  come  giustamente  osserva  Bunge,  appartiene 
geneticamente  al  processus  ilei  acetabularis  pubicus  e  deve  es¬ 
sere  considerata  come  spina  iliaca . 

Gegenbaur  (1898)  persiste  nella  sua  antica  concezione  del 
pube,  accettando  completamente  le  conclusioni  di  Mehnert. 
Circa  il  processo  preacetabolare,  egli  fa  osservare  che  bisogna 
escludere  un  rapporto  di  esso  con  un  prepube,  poiché  nei  Ca¬ 
renati  esso  non  appartiene  al  pube  ma  all’ileo;  e  che  se  nei 
Ratiti  il  pube  può  prender  parte  alla  sua  formazione  ( Casuarius , 


—  163  — 


Apteryx ),  ciò  non  modifica  Popinione  sopra  espressa,  poiché  Ponto- 
genesi  ha  già  provato  come  sia  erronea  ogni  altra  spiegazione. 

Haller  (1904)  considera  invece  il  pube  degli  uccelli  omologo 
al  postpubis  dei  Dinosaurii  ornitopodi  ed  il  processus  pectinealis 
<\t\X  Apteryx  omologo  al  praepabis. 

Butschli  (1910)  non  si  accorda  con  nessuno  degli  autori 
precedenti.  Infatti  egli  ammette  che  il  pube  degli  uccelli  sia 
omologo  al  pube  dei  rettili  ed  al  postpubis  dei  Dinosaurii,  il 
quale,  come  il  vero  pube  dei  rettili,  forma  una  sinfisi;  e  che  il 
processus  pectinealis  degli  uccelli  sia  omologo  al  processus  late¬ 
rali  del  pube  dei  rettili,  che  egli  chiama  processus  praepubici , 
ed  al  praepubis  dei  Dinosaurii,  il  quale,  come  il  processus  prue- 
pubici,  non  forma  una  sinfisi.  Egli  dice  che  se  alla  formazione 
del  processus  pectinealis  in  alcuni  Ratiti  prende  parte  anche  P  i- 
leo  e  nei  Carenati  solamente  l'ileo,  ciò  deve  riferirsi  ad  una 
omologia  sostituzionale*  Si  potrebbe  dire  che  Pipotesi  di  Butschli 
sia  quella  di  Johnson  capovolta. 

Da  questo  breve  cenno  bibliografico  si  può  chiaramente  ve¬ 
dere  come  le  opinioni  sulla  omologia  del  pube  dei  Sauropsidi 
sono  varie  e  contradittorie.  Esse,  per  quanto  riguarda  i  Sauro¬ 
psidi  viventi,  possono  essere  riassunte  nelle  seguenti  tre  princi¬ 
pali  ed  opposte  concezioni:  1)  11  pube  degli  uccelli  è  omologo 
all'intero  pube  dei  rettili;  ed  il  processus  pectinealis  è  da  con¬ 
siderarsi  come  una  formazione  della  porzione  acetabolare  o  del- 
P  ileo ,  o  del  pube,  o  dell'ileo  e  del  pube,  oppure  come  una 
formazione  autonoma  ( pars  acetabularis ),  già  esistente  in  alcuni 
rettili  e  che  costituisce  un  quarto  elemento  del  bacino.  2)  Il  pube 
degli  uccelli  è  omologo  al  processus  laterali  del  pube  dei  rettili; 
ed  il  processus  pectinealis  è  omologo  al  pube  dei  rettili,  meno  il 
processus  laterali.  3)  Il  pube  degli  uccelli  è  omologo  al  pube 
dei  rettili,  meno  il  processus  laterali ;  ed  il  processus  pectinealis 
è  omologo  al  processus  laterali  del  pube  dei  rettili. 

Da  che  dipende  questa  diversità  di  concezioni?  L'esame  e  la 
comparazione  delle  sole  ossa  del  bacino  dei  Sauropsidi,  così  nel 
loro  completo  sviluppo,  che  nei  primi  abbozzi  embrionali,  non  è 
sufficiente  per  poter  venire  a  conclusioni  morfologiche.  L'embrio¬ 
logia  ci  mostra  che  negli  stessi  rettili  i  primi  abbozzi  del  bacino 


-  164  — 


possono  apparire  in  maniera  affatto  diversa;  così,  per  esempio, 
neirHatteria,  secondo  Schauinsland  (1900),  il  pube  e  rischio  di 
ciascun  lato  da  principio  sono  costituiti  da  un  abbozzo  unico,  che 
dairacetabolo,  biforcandosi,  si  accresce  verso  la  linea  mediana, 
senza  mai  fondersi  con  quello  del  lato  opposto;  mentre  ntW'Emys 
lutarla  taurica ,  secondo  Mehnert  (1890,  fig.  1),  ambedue  i  pubi 
e  gli  ischi  nascono  da  un  unico  abbozzo  mediano  a  forma 
di  x,  le  cui  branche  laterali,  accrescendosi,  vanno  più  tardi  a 
raggiungerel'abbozzo  dell'ileo  nella  regione  acetabolare.  Io  ritengo 
quindi  che  sia  necessario  tener  conto  anche  di  altri  dati  non  meno 
importanti,  e  cioè  :  1)  di  alcuni  caratteristici  legamenti  del  bacino  dei 
rettili,  che  nei  Saurii  specialmente  hanno  una  importanza  funzionale 
grandissima  per  la  inserzione  di  numerosi  muscoli;  2)  della  presenza, 
inserzione  e  rapporti  di  posizione  dei  muscoli;  3)  dei  nervi  e  spe¬ 
cialmente  del  nervo  otturatore. 

Tenendo  conto  principalmente  di  questi  tre  dati  e  mettendo 
a  profitto  sia  le  mie  dirette  osservazioni  sulla  miologia  del  bacino 
di  molti  rettili  ed  uccelli,  che  quelle  degli  altri  autori  e  special- 
mente  di  Furbringer  (1870),  Hoffmann  (1890),  Gadow  (1882, 
1891),  Selenka  (1891),  Perrin  (1892),  Osawa  (1898)  ed  Ogusi 
(1911,  1913),  io  mi  propongo  di  risolvere  l’antica  quistione  del¬ 
l'omologia  del  pube  dei  Sauropsidi  viventi. 

L'Otturatore  e  l'Adduttore  del  femore  degli  Uccelli 
ed  i  loro  omologhi  nei  Rettili* 

Per  la  esatta  conoscenza  dei  rapporti  di  posizione  del 
pube,  è  necessario  prima  di  tutto  stabilire  quali  siano  nei  ret¬ 
tili  gli  omologhi  del  M.  otturatore  e  del  M.  adduttore  del  fe¬ 
more  degli  uccelli. 

Il  Gadow  (1891),  nel  suo  importante  lavoro  sugli  uccelli, 
dice  che  11  A4.  obturator  (n.  41)  si  è  forse  sviluppato  dal  A4.  pubi- 
ischio- f  e  moralis  externus  (n.  14)  dei  rettili.  Ma  poiché  questo 
muscolo  nei  rettili  si  inserisce  sulla  faccia  ventrale  del  bacino, 
mentre  il  AL  obturator  prende  inserzione  sulla  superficie  visce¬ 
rale  del  bacino;  egli  suppone  che  il  A4.  obturator  originaria¬ 
mente  avesse  la  stessa  posizione  del  A4.  pubi-ischio-fetnoralis 


—  165  — 


m  ' 


externus  dei  rettili,  ma  che,  spinto  forse  dallo  sviluppo  dei  mu¬ 
scoli  più  superficiali,  sia  poi  migrato  con  la  sua  porzione  prossi¬ 
male  nelTinterno  del  bacino;  e  che  il  pube  e  l'ischio,  riavvicina¬ 
tisi,  siano  stati  secondariamente  connessi  tra  loro  dalla  membrana 
ischio-pubica.  Egli  quindi  ammette  che  il  forame  otturato  degli 
uccelli  sia  omologo  al  forame  cordiforme  dei  rettili;  ciò  che  è, 
come  vedremo  in  seguito,  in  evidente  contraddizione  con  Tipo- 
tesi  di  Johnson,  da  lui  accettata. 

L'Otturatore  degli  uccelli  (fig.  1,  3,  ot),  come  i  suoi  mu¬ 
scoletti  accessorii  (fig.  1,  aot),  è  certamente  omologo  al  Flessore 
del  femore  dei  rettili  (fig.  2,  4,  ff.),  cioè  al  M.  pubi-ischio- fe¬ 
morali  externus  n.  14  Gadow,  Fléschisseur  du  fémur  n.  119. 
Perrin,  M.  pubo-ischio-trochantericus  externus  n.  7.  Osawa,  M. 
obturatorius  externus  n.  119  Ogushi.  Ciò  si  deduce  dalla  sua  fun¬ 
zione,  innervazione,  inserzioni  e  rapporti  di  posizione.  Infatti 
l'Otturatore  degli  uccelli  come  il  Flessore  del  femore  dei  rettili: 

1)  porta  caudalmente  il  femore  e  lo  fa  alquanto  ruotare  in  dentro, 

2)  è  innervato  dal  nervo  otturatore,  prima  che  questo  vada  al¬ 
l'Adduttore  del  femore  (714.  pubi-ischio-femoralis  n.  43  Gadow, 
Adductor  magnus  n.  80  Selenka),  3)  il  suo  capo  distale  si  inse- 
risce  sulla  faccia  postero-esterna  del  capo  del  femore.  Quanto 
alla  sua  inserzione  prossimale  ed  ai  suoi  rapporti  di  posizione 
con  le  ossa  del  bacino,  sembra  a  prima  vista  che  esso  si  diffe¬ 
risca  di  molto  dal  Flessore  del  femore  dei  rettili;  ma  questa  di¬ 
versità  di  comportamento,  che  ha  fatto  supporre  a  Gadow  una 
migrazione  del  muscolo  dalla  faccia  esterna  a  quella  interna  del 
bacino,  non  è  che  apparente.  Per  poter  comprendere  quali  siano 
i  veri  rapporti  di  posizione  di  questo  muscolo,  è  necessario  tener 
conto  non  solamente  delle  ossa,  ma  anche  dei  legamenti. 

Se  si  esamina  il  bacino  di  un  Saurio,  per  esempio  di  una 
Lucertola,  si  nota  un  legamento  laminare  molto  resistente  (fig.  2, 
4,  10,  Ipi),  il  quale  dalla  spina  pubica  {processus  lateralis ),  si 
estende  sino  al  bordo  posteriore  dell'ischio,  formando,  insieme 
alla  spina  pubica,  come  un  ponte  che  va  dall'ischio  al  pube,  e 
determinando  una  specie  di  cavità  compresa  tra  la  faccia  ventrale 
di  questi  due  elementi  del  bacino  ed  il  legamento  stesso.  E'  in 
questa  cavità  che  trovasi  la  porzione  prossimale  del  Flessore  del 
femore  (fig.  2,  4,  ff),  isolata  dagli  altri  muscoli.  Questo  lega- 


—  166 


mento,  che  in  alcuni  rettili  (Testugine,  Camaleonte  fig.  7)  si 
presenta  in  parte  fortemente  ispessito,  in  modo  da  formare  un 
cordone  tendineo  molto  robusto,  prende  comunemente  il  nome 
di  legamento  pube-ischiatico.  Ma  io  preferisco  chiamarlo  lega¬ 
mento  spina  pubica-ischiatico,  per  distinguerlo  da  un  altro  lega¬ 
mento  pube-ischiatico  (fig.  5,  lm.),  il  quale  e  situato  nella  regione 
mediana  del  bacino  e  riunisce  la  sinfisi  pubica  a  quella  ischiatica, 
dividendo  il  forame  cordiforme  (fc.)  in  due  porzioni  simmetriche. 


Fig.  1.  —  Bacino  di  un  giovane  pollo,  visto  lateralmente  ed  alquanto  schematico  :  aot.  ac¬ 
cessorio  dell’otturatore,  fe.  femore,  fo.  forame  otturato,  il.  ileo,  is.  ischio,  Ipi.  lega¬ 
mento  pube-ischiatico,  ot.  porzione  interna  (prossimale)  dell’  otturatore  sinistro ,  ot\ 
porzione  esterna  (distale)  dell’otturatore  destro,  pu.  pube. 

Tenendo  conto  dei  due  menzionati  legamenti,  il  bacino  presenta 
per  ciascun  lato  due  aperture:  una  dorsale,  che  corrisponde  ad 
una  metà  del  forame  cordiforme  {fc.)  e  che  è  delimitata  dal 
margine  interno  del  pube,  dal  margine  anteriore  dell'ischio  e  dal 
legamento  mediano  pube-ischiatico  {lm.)\  l'altra,  (fig.  2,  10,  fo.) 
latero-ventrale,  la  quale  è  delimitata  dal  margine  esterno  della 


spina  pubica  (sp.),  dal  legamento  spina  pubica-ischiatico,  dal  mar¬ 
gine  posteriore  dell'ischio  e  dall'acetabolo.  A  questa  apertura  io  dò 
il  nome  di  forame  otturato.  Per  gli  autori  invece  foramen  obtura - 
tum  od  obturatorium  è  sinonimo  di  forame  cordiforme  o  pube- 
ischiatico,  oppure  di  foro  nerveo-vascolare  (piccolo  foro  del  pube 
dei  saurii  per  il  quale  passa  il  nervo  otturatore)  ;  mentre  negli 
uccelli  è  detto  forame  otturato  l'apertura  situata  presso  l' aceta¬ 
bolo,  compresa  tra  il  pube  e  l' ischio  e  per  la  quale  fuoriesce 


Fig.  2.  —  Lacerta  viridis.  Bacino  visto  dalla  faccia  ventrale,  alquanto  schemat;co  :  Le 
linee  a  grossi  tratti  indicano  il  luogo  di  inserzione  dei  muscoli  sulla  superficie  esterna 
del  legamento  spina  pubica-ischiatico.  adf.  adduttore  del  femore,  adt.  adduttore  ante¬ 
riore  e  medio  della  tibia,  btp.  branca  trasversale  del  pube,  fc.  forame  cordiforme  o 
pube-ischiatico,  ff.  ff*  flessore  del  femore,  ff.  sua  porzione  interna  (prossimale),  ff*. 
sua  porzione  esterna  (distale),  Ipi  legamento  spina  pubica-ischiatico,  mpa.  muscoli  della 
parete  ventrale  dell’addome,  rit.  rotatore  inverso  della  tibia,  sp.  spina  pubica.  Le 
altre  indicazioni  come  nella  fig.  1. 

dal  bacino  il  capo  distale  dell'Otturatore.  Il  forame  otturato  de¬ 
gli  uccelli  è  ritenuto  omologo  al  forame  pube-ischiatico  dei  Che- 
lonii  e  Coccodrilli,  cioè  al  forame  cordiforme  più  il  foro  ner¬ 
veo-vascolare  del  pube  dei  Saurii;  ma,  come  io  cercherò  di  di¬ 
mostrare  in  seguito,  queste  due  aperture  del  bacino  dei  rettili 
non  hanno  alcun  omologo  negli  uccelli  ;  ed  il  forame  otturato 


—  168  — 


di  questi  sauropsidi  può  solo  omologarsi  a  quella  apertura  del 
bacino  dei  rettili,  che,  come  ho  detto  innanzi,  è  delimitata  dal  mar¬ 
gine  esterno  della  spina  pubica  e  del  legamento  spina  pubica- 
ischiatico,  dal  margine  posteriore  dell'ischio  e  dall’acetabolo.  Perciò 
a  questa  apertura  ho  voluto  dare  il  nome  di  forame  otturato. 

Il  legamento  spina  pubica-ischiatico  ha  una  grande  importanza 
funzionale,  poiché,  mentre  sulla  sua  superficie  interna  si  possono 
inserire  molti  fasci  muscolari  del  Flessore  del  femore  ( Platyda - 
ctylus ,  Hemidactylus ),  sulla  sua  superficie  esterna  si  inseriscono 
nella  Lacerta :  1)  i  Retti  dell'addome  ed  in  parte  gli  Obbliqui 
(< npa );  2)  l’Adduttore  anteriore  della  tibia  ( adt )  (M.  pubi-ischio- 
tibialis  n.  10  pt.  I  Gadow,  Adducteur  antérieur  du  tibia  n.  106 
Perrin);  3)  l'Adduttore  medio  della  tibia  (adt)  (M.  pubi-ischio- 
tibialis  n.  10  pt.  II  Gadow,  Adducteur  moyen  du  tibia  n.  107 
Perrin);  4)  il  Rotatore  inverso  della  tibia  (rie)  (M.  pubi-tibialis 
n.  12  Gadow,  Rotateur  inverse  du  tibia  n.  117  Perrin);  ed  in 
fine  5)  l'Adduttore  del  femore  (adf)  (M.  ischio-femoralis  n.  11 
Gadow,  Adducteur  du  fémur  n.  118  Perrin). 

Il  capo  distale  del  Flessore  del  femore  (fig.  2 fuoriesce  in 
vicinanza  dell'acetabolo  attraverso  uno  spazio  lasciato  libero  dal 
legamento  spina  pubica-ischiatico  e  delimitato  dalle  branche  arti¬ 
colari  del  pube  e  dell’ischio,  dalla  spina  pubica  e  dal  legamento  in 
parola  (fo).  Anche  negli  uccelli  il  capo  distale  del  M.  otturatore 
(fig.  1,  ot ')  fuoriesce  dal  bacino  presso  l'acetabolo,  attraverso  un'a¬ 
pertura  (forame  otturato)  (fo),  delimitata  dalle  branche  articolari  del 
pube  e  dell'ischio  e  dal  legamento  pube  ischiatico  (membrana  ot¬ 
turatrice)  (Ipi).  La  inserzione  del  Flessore  del  femore  nei  Saurii 
si  fa  sulla  faccia  ventrale  del  pube  e  dell'ischio,  ma  i  fasci  più  su¬ 
perficiali  (ventrali)  si  inseriscono  sulla  faccia  interna  della  spina 
pubica,  ed  in  alcuni  saurii  anche  sulla  superficie  dorsale  del  le¬ 
gamento  spina  pubica-ischiatico.  Così  nel  Platydactylus  maurita- 
tiicus  e  nel X Hemidactylus  verruculatus  i  capi  del  terzo  gruppo  della 
porzione  grande  del  Flessore  del  femore  (cioè  i  capi  più  superfi¬ 
ciali  e  situati  dorsalmente  al  legamento  spina  pubica-ischiatico) 
prendono  inserzione  sopra  il  detto  legamento  (Marcucci  1907).  Ed 
è  degno  di  nota  il  fatto  che  essi  possono  variare  di  numero  nella 
stessa  specie,  ciò  che  mostra  una  evidente  instabilità  del  Flessore 
del  femore  ed  una  tendenza  ad  abbandonare  la  sua  normale  in- 


—  169  — 


serzione  pube-ischiatica.  Anche  in  Triotiyx  japonicus ,  secondo 
Ogushi  (1913),  la  porzione  superficiale  (a)  di  questo  .muscolo 
(M.  obtaratorias  exter nas  n.  119)  si  inserisce  sulla  faccia  dorsale 
della  Fascia  pelvico- femoralis,  cioè  del  legamento  spina  pubica- 
ischiatico;  e,  come  in  alcuni  saurii,  presenta  dei  capi  che  oltrepas¬ 
sano  la  linea  mediana  e  si  incrociano  con  quelli  del  lato  opposto 
(porzione  ischiatica,  d).  Ora  se  noi  sopprimiamo  completamente 
la  branca  trasversale  del  pube  (btp)  insieme  alla  porzione  del 
Flessore  del  femore  che  vi  si  inserisce,  lasciando  solamente  la 
porzione  articolare  e  la  spina  pubica  col  relativo  legamento  spi¬ 
na  pubica-ischiatico,  riesce  facile  comprendere  come  la  posizione  del 
Flessore  del  femore  dei  rettili  e  quella  dell'Otturatore  degli  uc¬ 
celli  sia  la  stessa  rispetto  a  questi  elementi  del  bacino;  cioè  tutti 
e  due  i  muscoli  sono  situati  dorsalmente  (lato  viscerale)  al  pube 
(spina  pubica)  ed  al  legamento  pube-ischiatico,  mentre  il  loro 
capo  distale  per  inserirsi  al  femore  fuoriesce  attraverso  il  forame 
otturato  (fig.  1,  ot',  fig.  2,  ff'). 

Anche  per  la  inserzione  ischiatica  questi  due  muscoli  pre¬ 
sentano  gli  stessi  rapporti  di  posizione.  Se  nei  rettili  il  Flessore 
del  femore,  contrariamente  all'Otturatore  degli  uccelli,  prende 
inserzione  sulla  faccia  ventrale  dell'  ischio  ;  nel  Gongilus  però, 
come  io  ho  fatto  notare  (1906,  fig.  21,  22),  i  capi  profondi  di 
questo  muscolo  possono  passare  dorsalmente  all'ischio.  Ma,  senza 
voler  tenere  conto  di  questa  peculiare  disposizione,  è  da  notare 
che  la  faccia  viscerale  dell'ischio  degli  uccelli  non  corrisponde  a 
quella  dei  rettili.  E'  presumibile  invece  che  la  faccia  viscerale 
dell'ischio  degli  uccelli  corrisponda  al  bordo  anteriore  ed  in  parte 
alla  superficie  antero-ventrale  dell'ischio  dei  rettili,  mentre  la 
faccia  esterna  dell'ischio  degli  uccelli  corrisponda  al  bordo  po¬ 
steriore  ed  in  parte  alla  superficie  postero-dorsale  dell'ischio  dei 
rettili;  come  pure  il  tratto  di  unione  dell'ischio  con  l'ileo  degli 
uccelli  non  corrisponda  al  legamento  ischio-iliaco  dei  rettili.  Ciò 
si  può  dedurre:  dalla  posizione  di  dette  facce  rispetto  all'acetabolo 
ed  all'ileo,  dal  punto  di  inserzione  del  legamento  pube-ischiatico, 
e  specialmente  dai  rapporti  di  posizione  con  i  muscoli.  Così  mentre 
nei  rettili  i  Deduttori  caudali  della  coscia  (fig.  4,  de)  (M.  caudi- 
femoralis  n.  7  e  M.  caudi-ilio- femoralis  n.  6  Gadow,  Déducteur 
caudal  inférieur  de  la  cuisse  n.  111-112  e  Déducteur  caudal  su- 


—  170  — 

périeur  de  la  cuisse  n.  116  Perrin,  M.  coccygeo-femoralis  longus 
n.  4  e  M.  coccygeo-femoralis  brevis  n.  3  Osawa),  passano  inter¬ 
namente  al  legamento  ischio-iliaco  (fig.  4,  liil),  cioè  attraverso  al 
foro  delimitato  dall'ischio,  dall'ileo  e  da  detto  legamento;  il  loro 
omologo  negli  uccelli  ( Adductor  longus  n.  81  Selenka,  M.  caudo- 
ileo-famoralis  n.  36  Gadow)  non  attraversa  il  f or  amen  ischiadicumt 
ma  passa  esternamente  al  tratto  di  unione  ischio-iliaco,  e  quindi 


adf  et 


Fig.  3.  —  Gallus  domesticus.  Muscoli  della  superficie  interna  della  coscia  destra  e  della 
corrispondente  metà  del  bacino  :  adf.  adduttore  del  femore,  et.  M.  ambiens,  pp.  pro- 
cessus  pectinealis.  Le  altre  indicazioni  come  nelle  figure  precedenti. 

non  internamente  ma  esternamente  all'ischio.  Così  pure  il  Rotatore 
inverso  del  femore  degli  uccelli  ( Quadratus  femoris  n.  79  Selenka, 
M.  ischio- femoralis  n.  40  Gadow!  si  inserisce  sulla  faccia  esterna 
dell'ischio,  mentre  nei  rettili  il  suo  omologo  (M.  pubi-ischio- 
femoralis  poster ior  n.  15  Gadow,  Rotateur  inverse  da  fémur  n. 
124  Perrin,  M.  ischio-trochantericus  n.  9  Osawa)  si  inserisce 
sulla  superficie  postero-dorsale  dell'ischio.  E'  strano  che  Gadow, 
il  quale  giustamente  considera  omologhi  questi  due  muscoli,  non 
si  preoccupi  della  loro  inserzione  prossimale,  quando  cerca  di 
spiegare  quella  dell'Otturatore. 


Dopo  quanto  ho  detto,  credo  che  si  possa  concludere  che 
l'Otturatore  degli  uccelli  corrisponda  perfettamente  al  Flessore 
del  femore  dei  rettili,  non  solamente  per  la  funzione,  innerva¬ 
zione  ed  inserzione  femorale,  ma  anche  per  i  rapporti  di  posi¬ 
zione  con  gli  elementi  del  bacino;  e  che  non  sia  quindi  neces¬ 
sario  ricorrere  alla  migrazione  del  Flessore  del  femore  nell'in¬ 
terno  del  bacino  ed  alla  neoformazione  della  membrana  otturatrice,, 
supposta  da  Gadow. 


Fig.  4.  —  Lacerta  viridis.  Muscoli  della  faccia  ventrale  del  bacino  ed  antero-interna  della 
coscia  ;  a  sinistra  sono  stati  asportati  i  muscoli  superficiali  della  coscia  :  c.  cuneo  che 
sporge  nella  cavità  addominale,  costituito  dalle  due  branche  trasversali  del  pube  e  dai 
muscoli  che  ad  esse  si  inseriscono,  de.  deduttori  caudali  della  coscia ,  et.  estensore 
della  tibia,  liti,  legamento  ischio-iliaco,  Ipi.  legamento  spina  pubica-ischiatico.  Le 
altre  indicazioni  come  nelle  figure  precedenti. 

Un  altro  muscolo  del  bacino  degli  uccelli,  del  quale  è  ne¬ 
cessario  stabilire  la  omologia,  è  l'Adduttore  del  femore  (fig.  3,  9, 
adf)  (M.  pubi-ischio-femoralis  n.  43  Gadow,  A  dductor  magnus 
n.  80  Selenka).  Questo  muscolo,  molto  bene  sviluppato  e  si¬ 
tuato  nella  regione  interna  della  coscia,  è  costituito  da  due  grossi 
e  piatti  capi  muscolari,  ben  distinti  fra  loro,  e  si  inserisce  sulla 
faccia  esterna  della  metà  prossimale  del  pube,  della  membrana 
otturatrice  (legamento  pube-ischiatico)  e  della  porzione  a  questa 
adiacente  dell'ischio  e  del  pube. 

Per  la  sua  funzione,  rapporti  di  posizione  ed  innervazione, 
questo  muscolo  deve  considerarsi  omologo  all’Adduttore  del  fe- 


—  172  — 


more  dei  rettili  (fig.  2,  4,  IO,  adf)  (M.  ischio-femoralis  n.  11 
Gadow,  Adducteur  da  fémur  n.  118  Perrin,  M.  pubo-ischio- fe¬ 
moralis  n.  6  Osawa,  M.  Sartorius  n.  132  Ogushi),  il  quale  è  re¬ 
lativamente  meno  sviluppato  e  costituito  da  un  solo  capo  mu¬ 
scolare.  Il  Gadow  invece  lo  fa  derivare  in  parte  dal  M.  pubi- 
ischio-femoralis  externus  n.  14  dei  rettili,  cioè  dal  Flessore  del 
femore  (ff).  Egli  propriamente  nel  trattato  sui  rettili  (1882-2)  fa 
derivare  il  M.  pubi-ischio -  femoralis  dei  Ratiti  in  parte  dal  M. 
pubi-ischio-femoralis  externus  n.  14  dei  rettili  ed  in  parte  an¬ 
che  dal  M.  ischio-femoralis  n.  11,  cioè  dall’Adduttore  del  femo¬ 
re  (adf)]  ma  nel  lavoro  sugli  uccelli  (1891),  che  è  di  molto  po¬ 
steriore  a  quello  sui  rettili,  dice  solo  che  il  M.  pubi-ischio-femo¬ 
ralis  n.  43  degli  uccelli  corrisponde  in  parte  al  M.  pubi-ischio- 
femoralis  externus  n.  14  dei  rettili.  La  omologia  dell’Adduttore 
del  femore  degli  uccelli  con  l’Adduttore  del  femore  dei  rettili  è 
evidente.  Infatti:  1)  L'Adduttore  del  femore  degli  uccelli  è  inner¬ 
vato  dal  nervo  otturatore,  come  nella  maggior  parte  dei  rettili. 
Il  nervo  otturatore  sia  negli  uccelli  che  nei  rettili,  dopo  di  essere 
uscito  dal  bacino  e  dopo  di  avere  innervato  il  M.  otturatore  de¬ 
gli  uccelli  od  il  suo  omologo  nei  rettili,  cioè  il  Llessore  del  fe¬ 
more  (ff.),  va  ad  innervare  l' Adduttore  del  femore  {adf).  2) 
L’Adduttore  del  femore  degli  uccelli,  come  quello  dei  ret¬ 
tili  adduce  il  femore,  cioè  esso  tende  ad  avvicinare  il  femore  alla 
faccia  ventrale  deH'animale;  invece  il  Flessore  del  femore  dei  ret¬ 
tili  ( ff ’.)  tende  ad  avvicinare  il  femore  alla  coda  del  rettile,  cioè 
a  portare  la  coscia  verso  dietro.  3)  L'adduttore  del  femore  degli 
uccelli  si  inserisce  alla  porzione  distale  del  femore,  distalmente 
al  Deduttore  caudale  della  coscia  (M.  caudo-ileo-femoralis  n.  36 
GaDow).  Similmente  l’Adduttore  del  femore  dei  rettili  si  inserisce 
sulla  diafisi  del  femore,  distalmente  ad  Deduttore  caudale  infe¬ 
riore  della  coscia  (M.  caudi- femoralis  n.  7  Gaoow,  n.  111-112 
Perrin)  ed  al  Deduttore  caudale  superiore  della  coscia  (M.  cau- 
di-ilio-femoralis  n.  6  GaDow,  n.  116  Perrin),  i  quali,  come  am¬ 
mette  il  GaDow,  sono  sicuramente  omologhi  al  Deduttore  cau¬ 
dale  della  coscia  degli  uccelli  (M.  caudo-ileo-femoralis  n.  36 
GaDow).  Mentre  il  Flessore  del  femore  dei  rettili  si  inserisce  alla 
porzione  prossimale  del  femore  (capo  del  femore)  e  prossimal- 
mente  ai  due  menzionati  Adduttori  caudali  della  coscia.  Dimo- 


—  173  — 


doche  la  inserzione  sul  femore  di  questi  due  ultimi  muscoli  è 
posta  tra  quella  del  Flessore  del  femore  e  quella  dell'Adduttore 
del  femore.  Volendo  far  derivare,  come  vuole  il  Gadow,  l'Ad¬ 
duttore  del  Femore  degli  uccelli  dal  Flessore  del  femore  dei 
rettili,  si  dovrebbe  supporre  non  solamente  che  la  funzione  di 
questo  muscolo  fosse  mutata,  ma  che  la  sua  inserzione  femorale 
si  fosse  spostata  dalla  parte  prossimale  verso  la  parte*  distale  del 
femore,  scavalcando  la  inserzione  femorale  dei  due  Adduttori 
della  coscia;  ciò  che  non  è  assolutamente  ammissibile. 

Il  pube  dei  Sautopsidi  viventi* 

Se  si  esamina  il  pube  di  una  Lucertola  (fig.  5),  si  nota  che 
il  foro  nerveo-vascolare  (per  in  quale  passa  il  nervo  otturatore), 
ed  un  solco  longitudinale  mediano  (causato  dall'assottigliamento 
dell'osso)  dividono  il  pube  in  due  porzioni  ben  distinte  fra  loro: 
una  esterna  (pe.),  che  si  continua  nella  spina  pubica  (sp.); 
l'altra  interna  (pi) ,  che  si  continua  nella  branca  trasversale 
(i btp .).  Inoltre  il  pube  e  propriamente  la  porzione  esterna  di 
questo  non  è  situata  nello  stesso  piano  dell'ischio  e  dell'ileo,  ma 
in  un  piano  a  questo  quasi  normale.  La  porzione  esterna,  col 
suo  estremo  prossimale  si  articola  dorsalmente  col  processo  ace- 
tabolare  pubico  dell'  ileo  (pap.)  e  posteriormente  coll'  ischio 
(fig.  10),  contribuendo  nella  stessa  misura  dell'  ischio  e  dell'  ileo 
alla  formazione  della  cavità  acetabolare  l).  La  porzione  interna 
col  suo  estremo  prossimale  si  articola  pure  coll'ileo  e  con  l'ischio 
)fig.  5),  ma  non  prende  parte  alla  formazione  della  cavità  ace¬ 
tabolare;  essa  concorre  invece  a  formare  il  forame  cordiforme 


4)  Gegenbaur  (1876,  p.  237)  afferma  che  "  Bei  den  Eidechsen  und  Schild- 
kròten  bietet  sich  zwar  das  Bestehen  eines  mit  der  Pfanne  verbundenen  Scham- 
beins,  aber  der  Antheil  an  jener  Pfanne  ist  geringer  als  der  einer  der  beiden 
anderen  Bestandtheile  des  Hiiftbeins Ma  ciò  non  è  esatto,  poiché  nella  La¬ 
certa,  Platydactylus  e  molti  Saurii,  nei  quali  la  porzione  esterna  del  pube  è 
ben  sviluppata,  i  tre  componenti  del  bacino  partecipano  ugualmente  alla  for¬ 
mazione  dell’acetabolo;  in  ogni  modo  la  porzione  del  pube  che  prende  parte  alla 
formazione  dell'  acetabolo  non  è  inferiore  a  quella  degli  altri  due  componenti 
del  bacino. 


—  174  — 

(fc.)  e  la  sinfisi  pubica.  Perciò  rischio  presenta  nella  sua  super¬ 
ficie  interna,  cioè  opposta  all'acetabolo,  due  bordi  articolari:  uno 
per  l'ileo  e  l’altro  per  il  pube.  Nel  Camaleonte  (fig.  7),  dove  la 
porzione  esterna  del  pube  è  molto  ridotta,  noi  vediamo  perciò 
il  pube  quasi  completamente  escluso  dalla  formazione  della  ca¬ 
vità  acetabolare.  Nei  Chelonii  (fig.  6),  dove  manca  la  parte  pros¬ 
simale  della  porzione  interna,  mentre  il  pube  partecipa  alla  for¬ 
mazione  dell'acetabolo,  sulla  superficie  interna  della  regione  ar- 


Fig.  5.  —  Lacerta  virìdis.  Bacino  visto  dalla  superficie  dorsale  :  btp .  branca  trasversale 
del  pube,  fn  foro  nerveo-vascolare,  per  il  quale  passa  il  nervo  otturatore.  Im.  lega¬ 
mento  mediano  pube-ischiatico,  pap.  processo  acetabolare  pubico  dell’ileo,  pe.  por¬ 
zione  del  pube  situata  esternamente  al  nervo  otturatore,  pi.  porzione  del  pube  situata 
internamente  al  nervo  otturatore,  sii.  spina  iliaca,  sp.  spina  pubica.  Le  altre  indica¬ 
zioni  come  nelle  figure  precedenti. 

ticolare,  opposta  all'acetabolo,  non  si  nota  più,  come  nelle  Lu¬ 
certole,  il  bordo  dell'articolazione  pube-ischiatica,  ma  solamente 
quello  molto  esteso  dell'articolazione  pube-iliaca,  come  se  il  pube 
si  articolasse  solo  con  l' ileo;  ed  il  nervo  otturatore  non  perfora 
il  pube.  Nei  Coccodrilli  oltre  a  mancare  la  porzione  interna  pros¬ 
simale  del  pube,  manca  anche  il  processo  acetabolare  pubico 


dell'  ileo  (pap.)  ;  e  la  porzione  esterna  del  pube  è,  come  nel  Ca¬ 
maleonte,  molto  ridotta;  perciò  il  pube  non  prende  parte  alla 
formazione  della  cavità  acetabolare  e  si  articola  solo  con  l'ischio. 
Anche  nei  Coccodrilli,  come  nei  Chelonii,  il  nervo  otturatore  non 
perfora  il  pube.  In  tutti  i  Saurii  e  nell’  Hatteria  invece  il  nervo 
otturatore  attraversa  il  pube,  passando  tra  le  due  branche  di  questo 
(esterna  ed  interna),  in  modo  che  è  situato  internamente  alla  prima, 
esternamente  alla  seconda.  Quando  viene  a  mancare  la  branca  in¬ 
terna,  almeno  nella  sua  porzione  prossimale,  manca  anche  il  foro 
nerveo-vascolare  e  quindi  il  nervo  otturatore  non  perfora  più  il 
pube,  e  trovasi  invece  nel  forame  cordiforme.  Così  deve  spiegarsi 
che  nei  Chelonii  e  Coccodrilli  il  nervo  otturatore  non  perfora  il 
pube.  Ciò  è  provato  anche  dal  fatto  che  nei  Chelonii  e  Coccodrilli 
manca  il  Rotatore  accessorio  del  femore  (M.  pubi-ischio-fetnoralis 
inter  nas  pt.  II.  n.  13  Gadow,  Rotateur  acce  sso  ir  e  da  fémur  n.  123 
Perrin),  che  nei  Saurii,  dove  è  molto  sviluppato,  si  inserisce  so¬ 
pra  questa  porzione  del  pube,  chiudendo  dorsalmente  il  forame 
cordiforme.  Vi  sarebbe  anche  una  prova  embriologica  :  Secondo 
Wiedersheim  (1889  pg.  438),  come  in  Lacerta  agilis  così  in  Che- 
Ione  midas  ed  in  Crocodilus  biporcatus  l'abbozzo  del  pube  e 
dell'ischio  nello  stadio  precartilagineo  è  costituito  da  un  baste¬ 
rna  unico,  il  quale  nella  regione  del  futuro  forame  cordiforme 
presenta  una  interruzione  solo  per  il  nervo  otturatore.  (Cfr.  an¬ 
che  18923).  Il  nervo  otturatore  quindi,  sia  nei  Chelonii  che  nei 
Coccodrilli,  sarebbe  circondato  dal  blastema  che  costituisce  il 
primo  abbozzo  del  pube;  ma  quando  più  tardi  avviene  la  con¬ 
drificazione,  poiché  essa  interessa  la  sola  porzione  del  blastema 
del  pube  situata  anteriormente  ed  esternamente  al  nervo  ottura¬ 
tore,  questo  nervo  rimane  escluso  dal  pube  e  viene  quindi  a  tro¬ 
varsi  libero  nel  forame  cordiforme. 

La  parziale  mancanza  in  alcuni  rettili  della  porzione  interna 
del  pube,  diventa  completa  negli  uccelli.  Ciò  si  può  rilevare  non 
solamente  dalla  direzione  del  pube  e  suoi  rapporti  di  posizione 
coi  muscoli  e  col  nervo  otturatore,  ma  anche  esaminando  i  primi 
abbozzi  embrionali  del  bacino  di  alcuni  uccelli  acquatici.  Dalle 
figure  di  tagli  sagittali  di  giovani  embrioni  di  Podiceps  cornatus , 
date  da  Mehnert  (1887,  fig.  1,  3),  si  vede  chiaramente  che  l'ab¬ 
bozzo  del  bacino  nei  primi  stadii  di  sviluppo  (tessuto  a  piccole 


- 


—  176  — 

cellule  prive  di  sostanza  intercellulare)  è  perforato  dal  nervo  ot¬ 
turatore;  mentre  in  stadii  successivi  (fig.  6)  il  nervo  appare  li¬ 
bero,  per  la  condrificazione  della  sola  parte  dell’abbozzo  del 
pube  situata  esternamente  al  nervo. 

Che  negli  uccelli  questa  porzione  interna  del  pube  sia  com¬ 
pletamente  assente,  è  dimostrato  specialmente  dai  rapporti  del 
pube  con  i  muscoli  della  parete  ventrale  dell'  addome.  Quando 
si  apre  l’addome  di  una  Lucertola,  noi  vediamo  sporgere  nella 
cavità  addominale  un  grosso  cuneo  (sul  quale  il  peritoneo  passa 
direttamente  dalla  parete  ventrale  dell'  addome),  con  Y  apice  di- 


Fìg.  6.  —  Testudo  graeca.  Bacino  visto  dalla  superficie  dorsale.  Indicazioni  come  nelle 
figure  precedenti. 

retto  cefalicamente,  mentre  i  muscoli  delle  pareti  addominali  si 
portano  obliquamente  sulla  sua  base  per  congiungersi  sulla  li¬ 
nea  mediana.  Questo  cuneo,  (fig.  4,  c.),  che  divide  la  cavità  ad¬ 
dominale  posteriore  in  due  fosse,  una  dorsale  e  una  ventrale,  è 
formato  dalle  branche  trasversali  dei  pubi  e  dai  muscoli  che  so¬ 
pra  di  esse  si  inseriscono.  I  rapporti  dei  muscoli  delle  pareti 
addominali  col  pube  sono  nei  rettili  intimamente  legati  alla  po¬ 
sizione  della  spina  pubica;  quanto  più  questa  è  situata  presso  la 
sinfisi  pubica,  tanto  più  il  cuneo  diminuisce;  così  nella  Lacerta , 
Gongilus,  Platydactylus  il  cuneo  è  grande,  nel  Camaleonte  è 
piccolissimo,  nel  Coccodrillo  non  esiste.  Il  cuneo  inoltre  è  poco 
appariscente  in  quei  Sauri!,  nei  quali  le  branche  dei  pubi,  che 
concorrono  alla  formazione  della  sinfisi,  non  sono  come  nella 


—  177  — 


Lacerta  dirette  in  avanti,  ma  sono  invece  trasversali,  come  per 
esempio  nell'  Uromastix.  In  tutti  i  rettili  però,  e,  ciò  che  è  de¬ 
gno  di  nota,  tra  tutti  gli  amnioti  solo  nei  rettili,  esiste  sempre 
uno  spazio  più  o  meno  esteso,  che  separa  le  pareti  addominali 
dalle  branche  trasversali  dei  pubi  e  dai  muscoli  che  ad  esse  si 
inseriscono;  ed  anche  nei  Coccodrilli,  nei  quali,  a  causa  della 
posizione  della  spina  pubica  i),  i  Retti  addominali  si  inseriscono 
sulbestremo  anteriore  dei  pubi,  esiste  pure  un  detto  spazio,  poi¬ 
ché  ciascun  Retto  dell'addome,  passando  come  ponte  sulla  ri¬ 
manente  parte  del  pube,  va  ad  inserirsi  caudalmente  suH'ischio. 

Quando  invece  si  apre  l'addome  di  un  uccello,  appare  una 
unica  cavità;  poiché  i  muscoli  della  parete  ventrale  dell'addo¬ 
me  sono  inseriti  caudalmente  sopra  il  margine  ventrale  del  ba¬ 
cino,  cioè  lungo  i  pubi.  Negli  uccelli  quindi  manca  quella  grande 
massa  muscolare,  che,  nei  Saurii  e  nei  Lacertilii  specialmente, 
forma  il  grosso  cuneo  sporgente  nella  cavità  addominale,  di  cui 
ho  fatto  cenno  innanzi;  cioè  mancano  tutti  quei  muscoli  che  si 
inseriscono  sulla  branca  interna  del  pube  (l'Estensore  del  femore, 
il  Rotatore  accessorio  del  femore  ed  il  Rotatore  diretto  del  fe¬ 
more),  i  quali  chiudono  il  forame  cordiforme,  e  che,  come  io  ho 
fatto  notare  (1906,  1907),  presentano  una  grande  tendenza  a  fra¬ 
zionarsi  in  più  capi,  che  si  incrociano  sulla  linea  mediana.  Solo 
rappresentante  di  essi  rimane  il  Flessore  del  femore,  cioè  l'Ot¬ 
turatore  con  i  suoi  muscoletti  accessorii;  ma  è  facile  supporre 
che  questo  muscolo  degli  uccelli  non  rappresenti  l'intero  Fles¬ 
sore  del  femore  dei  rettili,  ma  solamente  la  porzione  che  si 
inserisce  sulla  faccia  interna  della  spina  pubica  e  del  legamento 
spina  pubica-ischiatico  ( Platydactylas ,  Trionyx).  Il  Gregory  (1918) 
dice  che  il  pube  si  è  variamente  ridotto,  perchè  il  M.  pubo-ischio- 
femoralis  externus  ed  i  relativi  muscoli  trovano  negli  uccelli  il  loro 
attacco  principale  sull'ischio;  ed  il  pube  e  l'ischio  sono  ambedue 
piegati  verso  dietro  a  fine  di  tirare  il  femore  in  dietro  ed  in 


A)  L'estremo  distale  cartilagineo  del  pube  dei  Coccodrilli,  considerato  da 
Wiedersheim  (18924 ,  1902)  come  epipubis,  deve  essere  invece  considerato,  al¬ 
meno  in  parte,  come  una  porzione  della  spina  pubica  rimasta  cartilaginea;  poi¬ 
ché  in  tutti  gli  altri  rettili  i  Retti  addominali  si  inseriscono  sulla  spina  pubica, 
mai  sull'  epipubis. 


—  178  — 

dentro.  Ma  egli  non  solamente  non  tiene  conto  dei  rapporti  di 
posizione  del  M.  otturatore  con  le  ossa  del  bacino;  ma  dimen¬ 
tica  che  tutti  i  muscoli,  che  nei  rettili  sono  situati  dorsalmente 
ed  anteriormente  al  pube,  mancano  completamente  negli  uccelli. 

La  mancanza  negli  uccelli  di  questa  grande  massa  muscolare 
è  spiegabile  con  il  passaggio  dalla  locomozione  strisciante  dei 


Fig.  7.  —  Camaeleo  vulgaris.  Metà  sinistra  dei  bacino  vista  dalla  superficie  esterna  :  a. 
acetabolo,  Ipi.  legamento  spina  pubica-ischiatico,  s.  porzione  ossificata  di  questo  le¬ 
gamento,  sp.  spina  pubica.  Le  altre  indicazioni  come  nelle  figure  precedenti. 

rettili  a  quella  semieretta  degli  uccelli.  Nei  rettili  (fig.  8)  l’arto 
nella  locomozione  dapprima  è  alquanto  sollevato  dal  terreno  e 
poi  è  portato  in  avanti  (cefalicamente).  Si  hanno  quindi  due  mo¬ 
vimenti  di  rotazione  del  femore:  il  primo  avviene  intorno  all'as¬ 
se  maggiore  del  capo  del  femore,  che  è  parallelo  all'asse  longi¬ 
tudinale  del  corpo  dell'animale  (p  a)  ;  l'altro  intorno  ad  un  asse 
normale  al  precedente  e  parallelo  al  piano  sagittale  delPanimale. 
Il  primo  movimento  (1,  2)  è  prodotto  in  parte  dai  capi  muscolari 
dell'  Estensore  superficiale  della  tibia  che  si  inseriscono  sull'  ileo 
(M.  extensor  ilio-tibialis  n.  2  Gadow,  Extenseur  super f idei  da 
tibia  n.  102,  103  Perrin);  ma  principalmente  dalla  contrazione 
dei  capi  muscolari  del  Deduttore  del  femore  (M.  ilio-fetnoralis 
n.  5  Gadow,  Déducteur  du  fémur  n.  120  Perrin),  i  quali  sono 
poco  sviluppati,  essendo  il  movimento  di  poca  importanza,  poi- 


/ 


—  179  — 

chè  serve  solamente  a  non  fare  strisciare  l'arto  sul  terreno.  Men¬ 
tre  il  secondo  movimento  (2,  3),  il  quale  serve  veramente  a  sta¬ 
bilire  la  posizione  dell'  arto  indispensabile  per  poter  portare  in 
avanti  il  corpo  dell'animale,  è  prodotto  dalla  successiva  contra¬ 
zione  dei  muscoli  che  costituiscono  quella  grande  massa  muscolare 
in  parola.  Negli  uccelli  invece,  a  causa  della  conformazione  del 
capo  del  femore,  il  movimento  è  semplificato  ;  poiché  il  solleva¬ 
mento  dell'arto  è  sufficiente  a  portare  questo  in  avanti  (cefalica¬ 
mente),  come  avviene  anche  nei  mammiferi.  Il  femore  in  questo 
movimento  ruota  intorno  all'asse  maggiore  del  capo  del  femore. 
Questo  asse  è  perpendicolare  all'asse  longitudinale  del  corpo  del¬ 
l'animale  (p  a)  e  parallelo  al  piano  frontale.  Il  movimento  di  sol- 
levamento  dell'arto  diventa  quindi  non  solo  importante,  ma  in¬ 
dispensabile  per  la  locomozione;  e  perciò  i  muscoli  che  servono 
per  questo  movimento  (Mm.  ilio-trochanterici  n.  29,  M.  ilio-fe- 
moralis  externus  n.  30  Gadow),  i  due  capi  muscolari  dell'Estensore 
superficiale  della  tibia  che  li  coadiuvano  (Mm.  ilio-tibialis  n.  33,  34 
Gadow)  e  l’osso  sul  quale  tutti  questi  muscoli  si  inseriscono, 
cioè  la  porzione  anteriore  dell'  ileo,  acquistano  un  enorme  svi¬ 
luppo.  Il  secondo  movimento  invece  è  soppresso  e  con  esso  anche 
i  muscoli  che  a  questo  movimento  servivano,  e  tutta  quella  por¬ 
zione  del  pube  sulla  quale  questi  muscoli  prendevano  inserzione. 

Il  pube  in  tutti  gli  uccelli,  ad  eccezione  della  porzione  pros¬ 
simale,  ha  una  direzione  antero-posteriore  (caudale)  e  leggermente 
dorso-ventrale,  cioè  quasi  parallela  a  quella  dell'ileo  e  dell'ischio, 
e  con  l’estremo  distale  curvato  verso  la  linea  mediana;  mentre 
il  pube  dei  rettili  (branca  trasversale)  è  diretto  ventralmente  ed 
alquanto  in  avanti  (cefalicamente).  Ciò  che  nei  rettili  e  propria¬ 
mente  nei  Saurii  ha  la  medesima  direzione  e  gli  stessi  rapporti 
di  posizione  del  pube  degli  uccelli  è  la  spina  pubica,  che  con  la 
porzione  del  legamento  spina  pubica-ischiatico,  sulla  quale  pren¬ 
dono  inserzione  i  muscoli  della  parete  ventrale  dell’  addome, 
costituisce  orna  stretta  e  lunga  zona  (fig.  10,  mpa ),  che,  come 
il  pube  degli  uccelli,  è  diretta  caudalmente  e  con  l'estremo  po¬ 
steriore  ricurvo  verso  la  linea  mediana.  La  spina  pubica  dei 
rettili,  che,  come  la  spina  ischiatica,  è  una  formazione  che  appare 
secondariamente  nell'  embriogenesi  del  cinto  pelvico  (Mehnert 


—  180  — 


: 


1 890),  originariamente  forse  era  diretta  in  avanti  (cefalicamente)  ed 
in  fuori,  come  negli  Urodeli  e  come  è  il  caso  anche  delle  Testuggini 
di  acqua  e  dei  Coccodrilli.  Ma  presumibilmente,  per  l'ossificazione 
della  porzione  del  legamento  spina  pubica-ischiatico,  che  ad  essa  si 
inserisce,  si  presenta,  specialmente  nei  Lacertilii,  ricurva  in  basso  e 
verso  dietro  (caudalmente).  Ciò  è  molto  evidente  nel  Camaleonte 
(fig.  7),  dove  la  spina  pubica  (che  trovasi  presso  la  sinfisi  pubica)  è 
appena  accennata;  ma  per  ossificazione  della  porzione  prossimale  del 
legamento  spina  pubica-ischiatico,  che  forma  una  grossa  e  lunga  epi¬ 
fisi  (s),  essa  appare  molto  sviluppata. *)  Anche  nei  Lacertilii  si  può  no¬ 
tare  aH’estremo  della  spina  pubica  una  piccola  epifisi. 

Se  noi  supponiamo  che  negli  uccelli  la  ossificazione  si  sia  gra¬ 
datamente  estesa  sopra  tutto  il  legamento  spina  pubica-ischiatico  e 
propriamente  su  tutta  la  sua  porzione,  sulla  quale  prendono  inser¬ 
zione  i  muscoli  addominali,  noi  possiamo  facilmente  spiegarci  la 
forma  e  direzione  del  pube  degli  uccelli,  senza  ricorrere  alla  voluta 
rotazione  in  dietro  di  esso  od  alla  formazione  di  un  nuovo  compo¬ 
nente  del  bacino.  E  l'esame  embriologico  col  quale  il  Bunge  (1880) 
ed  il  Mehnert  (1887)  hanno  creduto  di  poter  avvalorare  la  antica 
ipotesi  della  rotazione  del  pube,  verrebbe  invece  ad  avvalorare  la 
ipotesi  della  progressiva  formazione  del  pube  per  ossificazione  del 
legamento  spina  pubica-ischiatico.  Difatti  la  porzione  del  pube  degli 


l)  Wiedersheim  (18924  p.  53)  considera  invece  questa  epifisi  come  porzione 
di  un  epipubis,  che  nei  giovani  Camaleonti  sarebbe  costituito  da  una  cartila¬ 
gine  a  forma  di  T,  comprendente  la  cartilagine  interposta  nella  sinfisi  pubica 
e  gli  abbozzi  cartilaginei  delle  epifisi,  in  ciascuno  dei  quali  più  tardi  si  for¬ 
merebbe  un  centro  di  ossificazione  autonomo.  Ma,  come  giustamente  aveva  fatto 
osservare  Hoffmann  (1876),  ciascuna  di  dette  epifisi  è  portata  da  un  partico¬ 
lare  processo  del  pube  ed  è  riunita  all'  ischio  mediante  un  legamento  (fig.  7). 
Ora  poiché  queste  due  ultime  formazioni,  per  i  loro  rapporti  di  posizione  col 
pube  e  con  l’ischio,  coi  muscoli  della  parete  ventrale  deH’addome,  col  Flessore 
del  femore  e  con  gli  Adduttori,  debbono  senza  alcun  dubbio  essere  conside¬ 
rate  l'una  come  spina  pubica  e  l’altra  come  legamento  spina  pubica-ischiatico, 
non  è  assolutamente  possibile  accettare  l'interpretazione  di  Wiedersheim.  La 
posizione  di  dette  epifisi  nel  giovane  Camaleonte  esaminato  da  Wiedersheim 
(18924  fig.  9),  la  loro  ritardata  ossificazione,  il  loro  centro  autonomo  di  ossifi¬ 
cazione,  sono  facilmente  spiegabili,  quando  si  tiene  conto  della  estrema  ridu¬ 
zione  della  branca  trasversale  del  pube  e  della  loro  formazione  cenogenetica  ed 
indipendente  dal  pube. 


uccelli  vicina  all’articolazione,  la  quale  porzione  è  diretta  in  fuori 
e  leggermente  in  avanti  ed  è  situata  anteriormente  (cefalicamente) 
al  nervo  otturatore,  al  suo  passaggio  attraverso  il  foro  otturato, 
dovrebbe,  ammettendo  la  mia  ipotesi,  apparire  nelle  sezioni  di 
embrioni  di  uccelli  quasi  perpendicolare  all'ileo  ed  essere  la 
prima  a  formarsi.  Mentre  la  rimanente  porzione  del  pube ,  che 
forma  con  la  prima  un  angolo  acuto  ed  è  diretta  caudalmente, 
dovrebbe  essere  l'ultima  a  comparire,  perchè  filogeneticamente 


la  locomozione  :  p  o  a  retta  parallela  all’asse  longitudinale  del  corpo,  a  estremo  anteriore, 
p  estremo  posteriore,  o  acetabolo;  t  t  terreno;  1,  2,  3  femore  e  sua  posizione  durante  la 
locomozione,  1  quando  l'arto  poggia  sul  terreno,  2  quando  l’arto  è  sollevato,  3  quando 
l’arto  è  portato  cefalicamente,  le  frecce  indicano  la  direzione  del  movimento  ;  tr  piano  tra¬ 
sversale  nel  quale  si  muove  il  segmento  1  per  portarsi  nella  posizione  del  segmento 
2,  ruotando  intorno  all’asse  p  a  ;  fr  superficie  nella  quale  si  muove  il  segmento  2  per 
portarsi  nella  posizione  delsegmento  3,  ruotando  intorno  all’asse  verticale  passante  per 
o-,  sa  piano  parasagittale  nel  quale  si  muove  il  segmento  1  per  portarsi  nella  posizione 
del  segmento  2,  girando  intorno  all’asse  trasversale  passante  per  o. 

formatasi  più  tardi;  e  nelle  sezioni  di  embrioni  più  sviluppati  la 
porzione  distale  del  pube  dovrebbe  apparire  come  ruotata  verso 
dietro.  Ora  dalle  ricerche  di  Bunge  (1880)  e  di  Mehnert  (1887), 
come  anche  da  quelle  di  Johnson  (1883) ,  risulta  che  il  primo 
abbozzo  del  pube  nelle  sezioni  appare  perpendicolare  all'ileo; 
ma  che  in  embrioni  più  avanti  nello  sviluppo  esso  si  presenta 
girato  caudalmente.  Giustamente  quindi  Johnson  (1883)  fa  notarè 
che,  poiché  nello  stadio  nel  quale  il  pube  (branca  posteriore)  si 
presenta  curvato  verso  dietro,  la  sua  metà  prossimale  conserva  la 
stessa  direzione  (perpendicolare  all'ileo)  che  aveva  negli  stadii 


—  182  — 


precedenti  Finterò  abbozzo  (branca  posteriore),  si  può  conclu¬ 
dere  che  il  cambiamento  di  forma  risulti  da  un  accrescimento, 
anziché  da  una  rotazione  in  dietro  dell’intera  cartilagine. 

Circa  i  rapporti  di  posizione  ho  già  detto  abbastanza  a  pro¬ 
posito  dei  muscoli  che  si  inseriscono  sul  bacino.  Solamente  vo¬ 
glio  far  notare  che  per  detti  rapporti  il  pube  degli  uccelli  può 
essere  distinto  in  due  porzioni  (fig.  9,  10):  una  distale,  molto 
lunga  ed  adiacente  al  legamento  pube-ischiatico,  la  quale  cor¬ 
risponde  alla  porzione  del  legamento  spina  pubica-ischiatico  sulla 
quale  si  inseriscono  i  muscoli  addominali;  l’altra  prossimale,  breve 
ed  adiacente  al  forame  otturato,  la  quale  corrisponde  alla  spina 
pubica  ed  alla  porzione  articolare  esterna  del  pube  dei  saurii. 
Ciò  appare  evidente  sopratutto  per  la  perfetta  corrispondenza 
del  forame  otturato  degli  uccelli  con  quella  apertura  del  baci¬ 
no  dei  rettili  da  me  indicata  con  lo  stesso  nome  (fig.  10,  fo). 
Infatti  il  forame  otturato  degli  uccelli  e  propriamente  il  foro  per 
il  quale  esce  dal  bacino  il  capo  distale  del  M.  otturatore  (fig.  1, 
9,  fo),  è  delimitato  anteriormente  e  ventralmente  dal  pube,  po¬ 
steriormente  dal  legamento  pube-ischiatico  e  dorsalmente  dall'i¬ 
schio.  Esso  è  situato  immediatamente  vicino  all’articolazione  fe- 
more-acetabolare  e  per  esso  passa  il  ramo  del  nervo  otturatore, 
che  va  all’Adduttore  del  femore  (adf.)  (M.  pubi-ischio-femaralis 
n.  43  Gadow).  Mentre  l’Otturatore  riceve  l'innervazione  nell'in- 
terno  del  bacino.  Ugualmente  nei  Saurii  il  forame  per  il  quale 
passa  il  capo  distale  del  Flessore  del  femore  (fig.  2,  10,  fo),  è 
delimitato  dorsalmente  dall'  acetabolo,  anteriormente  e  ventral¬ 
mente  dalla  spina  pubica  e  dal  legamento  spina  pubica-ischia¬ 
tico,  e  posteriormente  dalla  branca  articolare  dell'  ischio.  Per 
questo  forame  esce  il  ramo  del  nervo  otturatore,  che  va  all'Ad¬ 
duttore  del  femore.  Mentre  il  Flessore  del  femore,  che  è  omo¬ 
logo  all'Otturatore  degli  uccelli,  è  innervato  dal  nervo  ottura¬ 
tore  prima  di  uscire  dal  forame,  cioè  internamente  alla  spina 
pubica  ed  al  legamento  spina  pubica-ischiatico. 

Da  quanto  ho  detto  innanzi,  e  dall'esame  dei  rapporti  di 
posizione  dell'  Otturatore,  del  Flessore  del  femore,  degli  Ad¬ 
duttori  e  specialmente  dei  muscoli  della  parete  ventrale  della 
addome  col  pube  e  col  legamento  pube-ischiatico,  risulta  che  il 
pube  degli  uccelli  corrisponde  alla  porzione  articolare  del  pube 


—  183  — 


dei  rettili,  situata  esternamente  al  nervo  otturatore,  alla  spina 
pubica  ed  a  quella  porzione  del  legamento  spina  pubica-ischia- 
tico,  sulla  quale  si  inseriscono  i  muscoli  della  parete  ventrale 
dell'addome. 

Questa  conclusione  sembrerebbe  avvalorare  la  concezione  di 
Johnson;  ma  Johnson  fa  derivare  il  pube  degli  uccelli  dalla  sola 
spina  pubica  dei  rettili,  e  considera  il  processus  pectinealis  come 
un  residuo  del  vero  pube.  Ora  il  processus  pectinealis  degli  uc¬ 
celli  (pp)  non  può  corrispondere  alla  branca  trasversale  del 
pube  dei  rettili,  cioè  a  quella  porzione  del  pube,  che  sulla  linea 
mediana  si  incontra  con  la  corrispondente  del  lato  opposto,  for¬ 
mando  la  sinfisi  pubica.  Il  Baur  (1886)  giustamente  fa  notare  che 
il  pube  dei  rettili  (branca  trasversale)  è  diretta  verso  dentro,  cioè 
verso  la  linea  mediana,  mentre  il  processus  pectinealis  è  diretto 
nel  senso  opposto.  Il  Gegenbaur  ha  già  dimostrato  che  nei 
Carenati  il  processus  pectinealis  fa  parte  dell'  ileo,  e  perciò  lo 
chiama  spina  iliaca.  Ciò  è  stato  confermato  embriologicamente 
da  Mehnert  (1887).  Resta  però  il  fatto  che  nei  Ratiti  esso  può 
far  parte  anche  del  pube. 

Il  processus  pectinealis  può  avere  solo  il  valore  di  una 
apofisi  o  prominenza  del  bordo  anteriore  dell' acetabolo  e  pro¬ 
priamente  della  porzione  di  esso,  che  nei  Saurii  è  costituita  dal 
processo  acetabolare  pubico  dell’ileo  (pap)  ed  in  alcuni  casi 
anche  dalla  porzione  .acetabolare  del  pube,  che  con  esso  si  ar¬ 
ticola  (Ratiti).  Nei  rettili  lungo  questo  bordo,  e  specialmente 
sulla  porzione  pubica,  si  inserisce  Y  Estensore  superficiale  della 
tibia  (fig.  4,  10,  et)  (M.ambiens  n.°  1  Gadow,  Extenseur  super- 
ficiel  du  tibia:  Tète  interne  n.°  104  Perrin,  M.  pubo-tibialis 
n.°  14  a  Osawa,  M.  vastus  femoris  :  Caput  rectum  n .°  133  b 
Ogushi),  aderendo  molto  spesso  alla  capsula  articolare.  Questa  ade¬ 
renza  alle  volte  è  tale  (come  ho  potuto  osservare  nel  Camaleonte), 
che  sembra  che  il  suo  tendine  si  origini  dalla  capsula  stessa.  Nel- 
1’  Hatteria  e  Chelonii  la  sua  inserzione  è  spostata  verso  il  margine 
esterno  della  spina  pubica,  ed  in  alcuni  Chelonii  può  anche  spin¬ 
gersi  sul  legamento  spina  pubica-ischiatico  (Gadow  18822).  Secondo 
Osawa  (1898)  questo  muscolo  neH'Hatteria  si  inserisce  non  sola¬ 
mente  sulla  base  del  tuberculum  pubis,  cioè  della  spina  pubica,  ma 


—  184  — 


anche  sulla  capsula  deirarticolazione  femore-acetabolare.  Anche  in 
Trionyx  japonicus ,  secondo  Ogushi  (1913),  il.  muscolo  ha  la  mede¬ 
sima  inserzione,  però  mediante  un  legamento  (ligamentum  pubis 
laterale ),  che  si  stende  tra  la  base  del  processus  lateralis  del  pube 
e  la  capsula  dell’articolazione  femore-acetabolare.  Ma  in  nessun 
rettile  esso  si  inserisce  sulla  branca  trasversale  del  pube.  Anche 
negli  uccelli,  quando  esiste  ( Homalogonatae  di  Garrod  1874)  l'o- 


Fig.  9.  —  Metà  destra  del  bacino  di  un  giovane  pollo,  vista  dalla  superficie  esterna  ed 
alquanto  schematica.  Le  due  linee  a  grossi  tratti  indicano  il  luogo  di  inserzione  dell’ad¬ 
duttore  del  femore  ( adf  )  e  dei  muscoli  della  parete  ventrale  dell’addome  ( mpa )  ;  le  crocette 
indicano  l’inserzione  del  M.  ambiens,  che  è  omologo  all’estensore  della  tibia  (et)  dei 
rettili,  a  acetabolo,  ac.  apertura  crurale,  fi.  foramen  ischiadicum,  le.  legamento  cru¬ 
rale,  Ipi.  legamento  pube-ischiatico,  pp.  processus  pectinealis  e  processo  acetabolare 
pubico  dell’ileo.  Le  altre  indicazioni  come  nelle  figure  precedenti. 

mologo  di  questo  muscolo  (fig.  3,  9,  et.)  (Gracilis  n.Q  85  Se- 
lenka,  M.  ambiens  n.°  32  Gadow),  esso  si  inserisce  sulla  por¬ 
zione  preacetabolare,  nel  punto  dove  il  pube  si  articola  coll’  ileo, 
esternamente  ai  Retti  dell'addome  ;  e  propriamente  sul  processus 
pectinealis  (quando  esiste)  e  sul  margine  esterno  della  porzione 
acetabolare  ed  alle  volte  anche  postacetabolare  del  pube. 

Inoltre  nei  Saurii  ( Lacerta )  il  margine  esterno  della  spina 
pubica  è  riunito  al  processo  anteriore  dell'  ileo  (fig.  10,  le)  da  un 
legamento,  sul  quale  si  inseriscono  i  muscoli  della  parete  addo¬ 
minale;  in  modo  che  la  branca  trasversale  del  pube  viene  a  tro- 


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varsi  nell’  interno  della  cavità  addominale.  Il  legamento  aderisce 
fortemente  all'  Estensore  del  femore  (prima  porzione  del  M.  pubi- 
ischio- femoralis  inter nus  n.°  13  Gadow,  Extenseur  da  férnur 
n.°  121  Perrin),  mentre  passa  come  ponte  sulla  incisura  ante¬ 
riore  deir  ileo,  situata  tra  il  processo  anteriore  dell'  ileo  o  spina 
iliaca  (sii)  ed  il  processo  acetabolare  pubico  dell'  ileo  (pap). 
Si  ha  così  un'apertura  (foro  crurale),  per  la  quale  passano,  in¬ 
sieme  ai  capi  distali  del  Rotatore  diretto  del  femore  (M.  pubi- 


Fig.  IO.  —  Lacerta  viridis.  Metà  destra  del  bacino,  vista  dalla  superficie  esterna  ed  al¬ 
quanto  schematica.  Le  linee  a  grossi  tratti  indicano  il  luogo  di  inserzione  dell’addut¬ 
tore  del  femore  ( adf  ),  dell’estensore  della  tibia  (et)  e  dei  muscoli  della  parete  ventrale 
dell’addome  (mpa).  Ipi.  legamento  spina  pubica-ischiatico.  Le  altre  indicazioni  come 
nelle  figure  precedenti. 


ischio-femoralis  inter  nus  n.°  13  pars  III  Gadow,  Rotateur  di¬ 
rect  da  fémur  n.°  122  Perrin)  e  del  Rotatore  accessorio  del 
femore  ( M .  pubi-ischio-femoralis  internus  n.°  13  pars  II  Gadow, 
Rotateur  accessoire  du  fémur  n.°  123  Perrin),  il  nervo  ed  i  vasi 
crurali.  Un  legamento  omologo  si  trova  pure  negli  uccelli  (fig. 
9,  le.);  esso  partendo  dal  margine  esterno  della  porzione  aceta¬ 
bolare  del  pube,  e  dell'  ileo  o  del  processus  pectinealis ,  quando 
esiste,  va  ad  inserirsi  al  margine  esterno  della  porzione  anteriore 
dell'  ileo,  che  è  omologa  alla  spina  iliaca  dei  rettili.  Questo  le¬ 
gamento,  sul  quale,  come  nei  rettili,  si  inseriscono  i  muscoli  della 


—  186  - 


parete  addominale  (mpà),  concorre  alla  formazione  dell'anello 
crurale,  per  il  quale  passano  il  nervo  ed  i  vasi  crurali. 

Ora  se,  come  ammette  Johnson  il  pube  degli  uccelli  è  de¬ 
rivato  dalla  spina  pubica  dei  rettili,  il  processus  pectinealis  non 
può  essere  considerato  omologo  alla  branca  trasversale  del  pube; 
poiché  bisognerebbe  supporre  che  la  inserzione  prossimale  del- 
T  Estensore  superficiale  della  tibia  {et)  fosse  migrata  sulla 
branca  trasversale  del  pube.  Ma  in  questo  caso  l' inserzione  del- 
1'  Estensore  superficiale  della  tibia  degli  uccelli  (M.  ambiens  n.° 
32  Gadow)  dovrebbe  trovarsi  internamente  a  quella  dei  muscoli 
della  parete  addominale,  non  esternamente.  Tranne  che  non  si 
volesse  supporre  che  anche  la  linea  di  inserzione  dei  muscoli 
della  parete  addominale  insieme  al  legamento  pube-iliaco  si  fos¬ 
sero  spostati  sulla  branca  trasversale  del  pube;  ed  allora  il  pube 
degli  uccelli  non  sarebbe  più  omologo  alla  spina  pubica,  poiché 
negli  uccelli  i  muscoli  della  parete  addominale  si  inseriscono 
sul  pube. 

Conclusioni. 

1.  —  Il  forame  otturato  degli  uccelli  non  può  essere  consi¬ 
derato  omologo  al  forame  pube-ischiatico  ocordiforme  dei  rettili;  ma 
deve  invece  essere  considerato  omologo  al  foro  compreso  tra  la 
porzione  esterna  del  pube  (porzione  articolare  del  pube  situata 
esternamente  al  nervo  otturatore  e  spina  pubica),  il  legamento 
spina  pubica-ischiatico  e  la  branca  articolare  dell'ischio  dei  ret¬ 
tili;  ed  il  forame  pube-ischiatico  o  cordiforme  dei  rettili  non  ha 
alcuno  omologo  negli  uccelli. 

2.  —  La  porzione  interna  del  pube  dei  Saurii,  cioè  quella 
situata  internamente  al  nervo  otturatore  e  che  concorre  alla  for¬ 
mazione  del  forame  cordiforme  e  della  sinfisi  pubica,  mentre  nei 
Chelonii  e  Coccodrilli  manca  della  sola  porzione  prossimale,  negli 
uccelli  è  completamente  assente. 

3.  —  Il  pube  degli  uccelli  non  può  considerarsi  come  un 
nuovo  elemento  del  bacino,  nè  corrisponde  all'intero  pube  dei 
rettili  ruotato  caudalmente;  ma  esso  deve  essere  considerato  omo¬ 
logo  alla  sola  porzione  esterna  del  pube  dei  Saurii  (spina  pubica  e 
porzione  articolare  del  pube  situata  esternamente  al  nervo  ot- 


—  187  — 

turatore),  ed  a  parte  del  legamento  spina  pubica-ischiatico  os¬ 
sificatosi. 

4.  —  Il  processus  pectinealis  può  avere  solo  il  valore  di  una 
apofisi  della  regione  acetabolare  e  propriamente  della  porzione 
di  essa,  che  nei  Saurii  è  costituita  dal  processo  acetabolare  pubico 
delbileo,  ed  in  alcuni  casi  (Ratiti)  anche  della  porzione  acetabolare 
del  pube  che  con  esso  si  articola. 


Napoli ,  Istituto  di  Anatomia  Comparata  e  Fisiologia  Comparata,  1923. 


LAVORI  CITATI 


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1890.  Zittel,  K.  —  Mandbuk  der  Palaeontologie:  Mùnchen  und  Leipzig 

3  Bd. 


Finito  di  stampare  il  6  settembre  1923. 


Alcune  specie  discusse  di  Misidacei 


del  socio 

G  ♦  Golosi 


(Tornata  ordinaria  29  luglio  1923) 

Una  recente  memoria  di  Tattersall  (1922)  sui  Misidacei  dei 
mari  indiani  mi  dà  luogo  ad  alcune  osservazioni  sui  generi  Doxo¬ 
mysis  e  Lycomysis. 

Il  primo  fu  stabilito  da  Hansen  (1912)  su  una  femmina  muti¬ 
lata  che  descrisse  col  nome  di  Doxomysis  pelagica  ed  incluso  nella 
tribù  dei  Mysini :  pertanto  la  posizione  sistematica  non  basata  sui 
pleopodi  del  maschio,  era  necessariamente  malsicura.  Zimmer  (1915) 
esprime  l'opinione  che  la  specie  descritta  da  Illig  (1906)  sopra 
una  femmina  col  nome  di  Mysis  (?)  quadrispinosa  facesse  effetti¬ 
vamente  parte  del  gen.  Doxomysis :  ciò  evidentemente  per  la  pe¬ 
culiare  forma  del  telson.  In  seguito  all'esame  di  quattro  diverse 
specie  del  genere  in  discorso  potei  [Colosi  (1920)]  stabilire,  dietro 
l'esame  dei  pleopodi  maschili,  le  affinità  col  gen.  Afromysis  Zimmer 
e  collocare  Doxomysis  fra  i  Leptomysini.  Tale  posizione  sistematica 
e  tale  affinità  è  stata  riconosciuta  e  riconfermata  da  Tattersall. 

Ma  Tattersall  delle  quattro  specie  da  me  descritte  consi¬ 
dera  D.  Zimmeri  come  sinonimo  di  D.  quadrispinosa  e  C.  Tat- 
tersalli  come  sinonimo  di  D.  pelagica. 

Pur  non  escludendo  la  possibilità  di  forti  differenze  ses¬ 
suali,  credo  pertanto  poco  probabile  che  D.  Zimmeri  possa  ri¬ 
condursi  a  D.  quadrispinosa.  A  prescindere  dalla  forma  della 
fronte,  dal  solco  cervicale  (che  secondo  la  figura  di  Illig  appare 
profondissima  e  ben  delineato  in  D.  quadrispinosa ,  mentre  non 
lo  è  affatto  in  D.  Zimmeri ),  dalla  forma  e  dai  rapporti  tra  lun¬ 
ghezza  e  larghezza  del  terzo  articolo  antennulare  (rapporti  che  abi¬ 
tualmente  variano  tra  i  due  sessi  della  medesima  specie),  dallo 


sviluppo  degli  occhi  (il  cui  peduncolo  rimane  coperto  dalla  pia¬ 
stra  frontale  in  D.  Zimmeri  mentre  è  scoperta  in  D .  quadrispi - 
nosa,  dall'aspetto  della  squama  antennale  (con  margini  pochis¬ 
simo  setolosi  in  D.  quadrispinosa ,  riccamente  setolosi  fino  alla 
base  in  R.  Zimmeri ),  rimane  un  carattere  di  speciale  importanza 
fornito  dal  telson.  Questo  è  notevolmente  corto  (la  larghezza 
basale  sta  alla  lunghezza  come  5:8)  in  D.  quadrispinosa,  mentre 
la  lunghezza  è  più  che  doppia  della  lunghezza  basale  in  D.  Zim¬ 
meri  e  le  quattro  spine  terminali  di  ciascuna  sua  branca  sono 
subeguali  in  D.  Zimmeri  mentre  appaiono  molto  disuguali  in 
D.  quadrispinosa.  Sopra  altri  caratteri  è  impossibile  discutere 
data  la  scarsezza  di  dati  forniti  da  Illig. 

Potrà  dirsi  che  le  differenze  possono  dipendere  e  dalla  dif¬ 
ferenza  di  sesso  e  dalla  differenza  di  età  e  dalle  differenze  in¬ 
dividuali:  tutte  le  supposizioni  sono  lecite.  Però  finché  si  cono¬ 
scano  soltanto  un  maschio  di  D .  Zimmeri  e  una  femmina  di 
D.  quadrispinosa ,  prima  cioè  di  possedere  una  serie  di  forme  che 
possano  dimostrare  seriamente  la  sinonimia,  mi  pare  opportuno 
lasciare  distinte  le  due  specie  coi  caratteri  loro  assegnati  da  Illig 
e  da  me. 

Doxomysis  pelagica  venne  descritta  da  Hansen  (1912)  su  una 
femmina  molto  danneggiata,  però  benché  gli  occhi  si  trovassero 
in  cattive  condizioni  difficilmente  ad  un  osservatore  così  acuto  e 
preciso  quale  è  Hansen  sarebbero  fuggite  le  peculiari  spinula- 
zioni  dei  peduncoli  oculari  che  invece  sono  evidentissime  nel 
campione  da  me  descritto  col  nome  di  D.  Tattersalli.  Ad  ogni 
modo  è  difficile  potersi  pronunziare  in  proposito  prima  che  di 
queste  due  forme  discusse  non  si  conoscano  i  maschi:  la  cono¬ 
scenza  di  questi  potrà  decidere  la  questione  se  D.  Tattersalli  sia 
sinonimo  di  D.  pelagica  perchè  la  somiglianza  tra  femmine  di 
specie  affini  è  spesso  grandissima. 

E  veniamo  al  genere  Lycomysis.  Spetta  a  Zimmer  (1915)  la 
priorità  di  averlo  incluso  nella  tribù  dei  Mysini,  poiché  Hansen 
(1910)  dopo  l'esame  di  tre  maschi  giovani  di  L.  spinicauda  lo 
aveva  prudentemente  giudicato  di  incerta  sede.  Indipendente¬ 
mente  da  Zimmer,  ma  posteriormente  a  lui,  venivo  [Colosi  (1916)] 
alla  medesima  conclusione  studiando  un  maschio  adulto  ma  molto 
danneggiato. 


—  193  — 


Hansen  aveva  stabilito  L.  spinicauda  su  campioni  catturati 
a  sud  di  Celebes;  io  avevo  ritrovato  la  sua  specie  a  Capo  Ca- 
mao,  Cocincina;  Zimmer  aveva  descritto  L.  pusilla  nella  collezione 
Duncher  del  viaggio  da  Ceylon  a  Dampierstrasse. 

Tattersall  (1922)  sopra  un  maschio  delle  isole  Andainan 
afferma  ora  l'identità  di  L.  spinicauda  di  Hansen  e  Colosi  e  di 
L.  pusilla  di  Zimmer. 

Ora  l'unico  pleopodo  del  quarto  paio  rimasto  al  mio  esem¬ 
plare  terminava  con  due  setole  di  cui  una  rotta  alla  base,  l'altra 
a  qualche  distanza  da  questa;  non  potevo  nulla  aggiungere  circa 
la  lunghezza  e  l'aspetto  di  esse.  In  quanto  al  palpo  mandibolare 
Tattersall  opina  che  la  differenza  da  me  sostenuta  circa  la  dif¬ 
ferenza  fra  quello  di  L.  spinicauda  e  L.  pusilla  dipende  dalla  diversa 
inclinazione  in  cui  lo  avevamo  posto  io  e  Zimmer  quando  lo  di¬ 
segnavano.  A  me  veramente  sembra  poco  probabile  che  Zimmer 
sia  proprio  andato  a  scegliere  una  posizione  obliqua;  ma  qualora 
ciò  fosse  avvenuto,  i  caratteri  differenziali  del  palpo  mandibolare 
delle  due  specie  verrebbero  ad  essere  accresciuti  e  non  dimi¬ 
nuiti,  poiché  la  costola  dentata  di  L.  pusilla  sarebbe  straordi¬ 
nariamente  più  larga  rispetto  a  quella  di  L.  spinicauda .  Quindi, 
ammessa  e  non  concessa  la  supposizione  di  Tattersall,  L.  spi¬ 
nicauda  e  L.  pusilla  sarebbero  ben  distinguibili  proprio  per  la 
lamina  dentata  del  palpo  mandibolare. 

In  quanto  ai  pleopodi  del  primo,  secondo,  terzo  e  quinto 
paio  posso  assicurare  che  il  lobo  laterale  dell'endopodite  era  tut- 
t'altro  che  bene  sviluppato  e  che  essi  risultavano  formati  di  un 
endopodite  un  pò  più  corto  dell'esopodite,  anch'esso  breve.  Il 
mio  reperto  concordava  con  quello  di  Hansen;  dopo  che  venni 
a  conoscenza  del  lavoro  di  Zimmer  e  della  sua  descrizione  di 
L.  pusilla  riesaminai  i  campioni  e  misi  in  evidenza  il  differente 
contegno  dei  pleopodi  nelle  due  specie. 

Circa  poi  la  necessaria  esclusione  di  Lycomysis  dalla  tribù 
dei  Mysini  in  base  alla  coalescenza  dei  rami  del  primo  e  secondo 
paio  di  pleopodi  col  loro  peduncolo,  fo  notare  che  nelle  tribù  dei 
Mysini  abbiamo  una  tendenza  più  o  meno  accentuata  e  più  o 
meno  estesa  alla  riduzione  dei  pleopodi  del  primo,  secondo,  terzo 
e  quinto  paio;  meno  accentuata  per  il  terzo,  maggiormente  per 
il  quinto,  massimamente  per  il  primo  e  secondo,  ma  la  non  eoa- 


—  194  — 


lescenza  dei  due  rami  rudimentali  col  peduncolo  non  deve  im¬ 
plicare  la  esclusione  dai  Mysini. 

Può  darsi  che  le  forme  comprese  da  Tattersall  sotto  il  no¬ 
me  di  Lycomysis  spinicauda  appartengano  alla  stessa  specie  e 
dinotino  forti  variazioni  individuali  (anche  troppo  forti:  p.  es. 
nell'esemplare  di  Tattersall  Tultimo  articolo  dell'esopodite  del 
quarto  pleopodo  maschile  è  lungo  un  terzo  più  del  penul¬ 
timo,  negli  esemplari  di  Zimmer  è  lungo  più  del  doppio  di  que¬ 
sto,  nel  mio  esemplare  una  volta  e  mezzo),  io  credo  che  non  si 
possa  dubitare  della  bontà  specifica  di  L.  spinicauda  e  di  L. 
pusilla.  La  conclusione  di  Tattersall  è  pertanto  prematura. 

In  altro  lavoro  Tattersall  (1923)  afferma  la  sinonimia  di 
Euchaetomera  Vogtii  (Chun)  E.  titubata  Illig,  E.  Sennae  Colosi 
e  E.  typica  Sars,  comprendendo  tutte  le  forme  descritte  sotto 
quest'ultimo  nome.  Tale  sinonimia  basata  sopra  una  numerosa 
serie  di  individui  in  varii  stati  di  sviluppo  pare  accettabile. 

Certo  è  molto  lodevole  ogni  tentativo  di  sintetizzare  le  co¬ 
noscenze  sul  difficile  gruppo  dei  Misidacei  ed  è  bene  che  un 
insigne  specialista  quale  Tattersall  si  ponga  alla  coordinazione 
delle  notizie  speciografiche.  Pertanto  le  nozioni  scarsissime  che 
si  hanno  intorno  a  gran  numero  di  forme,  molte  delle  quali 
descritte  su  singoli  esemplari,  spesso  femmine,  spesso  immaturi, 
spesso  molto  danneggiati,  devono  invitarci  a  non  abbandonare 
del  tutto  la  via  della  frammentazione  prima  che  sia  possibile 
unificare  a  stabilire  delle  serie  di  stadii  e  di  variabilità,  e  sug¬ 
gerirci  che  il  gruppo  dei  Misidacei  per  le  sue  condizioni  spe¬ 
ciografiche  si  trova  in  un  periodo  tale,  che  è  bene  seguire  il 
detto:  "  caute  adfirma ,  raro  nega ,  distueing  frequenter 


BIBLIOGRAFIA. 


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1910.  Hansen,  H.  J.  — -1.  The  Schizopoda  of  thè  “  Siboga  „  Expedition. 
Siboga  Expeditie,  XXXVII. 

1912.  —  —  2.  Reports  on  thè  Scientific  Results  of  thè  Expedition  to 
thè  Pacific  by  thè  U.  S.  Eish  Commission  Steam  “  Albatross,,  , 
Schizopoda.  Mem.  Mus.  Comp.  Zool.  Harward  Coll.,  XXXV. 

1906.  Illig,  G.  —  Bericht  iiber  die  neuen  Schizopodengattungen  und  Ar- 
ten  der  deutschen  Tiefsee  Expedition ,  Mysiden.  Zool.  Anz.,  XXX. 

1922.  Tattersall,  W.  M.  —  1.  Indian  Mysidacea .  Ree.  Ind.  Mus.  XXIV. 

1923.  —  —  2.  Britisch  Antartic  "  Terra  Nova  „  Expedition,  1910, 
Nat  Hist.  Rep.,  Mysidacea. 

1915.  Zimmer,  C.  —  1.  Die  Systematik  der  Tribus  Mysini  H.  J.  FIan- 
sen.  Zool.  Anz.,  XLVI. 

1915.  —  —  2.  Schizopoden  des  Hamburger  Naturhistorischen  (Zoo- 

logischen)  Museums.  Mitt.  Naturh.  (Zool.)  Mus.,  XXXII. 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


Sulla  geonemia  delle  specie  del  genere 
Chrysochraon ,  Fisch.  ( Orthoptera  -  Locu- 
stidae) 

del  socio 

Dott*  Mano  Salfi 


(Tornata  ordinaria  8  luglio  1923) 

Delle  specie  finora  note  del  gen.  Chrysochraon ,  Fisch  due, 
come  è  noto,  fanno  parte  della  fauna  d'Europa:  il  Chr.  dispar , 
Germ.  e  il  Chr.  brachypterus ,  Ocsk.  *)• 

Esse  sono  diffuse  nel  centro  e  nell'Est  d'Europa,  dai  Pirenei 
agli  Urali,  spingendosi  poi  anche  nell'Asia  settentrionale. 

La  catena  alpina,  per  quanto  è  noto  finora,  fa  poi  parte 
della  linea  di  confine  meridionale  dell'area  occupata  dalle  due 
specie  in  Europa. 

Lo  Chopard  (1922) *  2 3)  indica  infatti  la  presenza  di  Chr.  bra¬ 
chypterus ,  Ocsk.  nelle  basse  Alpi  e  la  Mei  (1903)  3)  accenna  al 
rinvenimento  della  stessa  specie  nella  zona  del  Cadore. 

Intanto,  avendo  iniziato  da  qualche  tempo  ricerche  intorno 
agli  Ortotteri  della  fauna  italiana,  ho  avuto  occasione  di  rinve¬ 
nire,  nelle  raccolte  fatte  in  Calabria,  nell'  Altopiano  della  Sila 
(1500  m  s.m.)  le  due  forme  europee  di  Chrysochraon ,  il  dispar 
e  il  brachypterus. 

Il  limite  meridionale  di  diffusione  in  Europa  viene  ad  essere 
così  di  molto  ampliato. 


0  Brunner  von  Wattenwyl,  C.  —  Prodromus  der  Europàischen  Orthop - 
teren.  Leipzig,  Engelmann,  p.  97-99,  1882. 

2)  Chopard,  L.  —  Orthoptères  et  Dermaptères.  Paris,  Le  Chevalier,  p.  143, 
1922. 

3)  Mei,  L.  —  Locustidi  ed  Acrididi  del  Cadore.  Boll.  Musei  Zool.  Anat. 
Comp.  Torino.  Voi.  t8,  n.  457,  1903. 


Probabilmente  assidue  ricerche  nelle  zone  più  elevate  del- 
l'Appennino  vi  faranno  rinvenire  anche  le  specie  di  cui  ora  se¬ 
gnalo  resistenza  in  una  delle  regioni  più  meridionali  di  esso  : 
l'Altopiano  silano. 

Le  specie  del  gen.  Chrysochraon ,  Fisch.  sono  poi  distribuite 
in  due  zone  geografiche  distinte:  una  di  vasta  estensione,  com¬ 
prendente  il  maggior  numero  di  specie,  l'altra,  poco  estesa,  con 
due  specie  soltanto  fin'oggi  note. 

La  prima  comprende  quasi  tutta  la  regione  paleartica,  l'al¬ 
tra  le  regioni  elevate  della  zona  dei  grandi  laghi  dell'  Africa 
orientale. 

Tra  le  specie  appartenenti  alla  prima  delle  suindicate  re¬ 
gioni  le  due  forme  Chr.  dispar ,  Germ.  e  Chr.  brachyptems ,  Ocsk. 
hanno  la  massima  diffusione. 

Nel  Turkestan  si  riscontra  però  il  Chr .  clavatus ,  Ostr.  {)  che, 
secondo  lo  stesso  Ostroumoff  potrebbe  considerarsi  come  una 
forma  vicariante  del  Chr.  dispar ,  Germ. 

Della  Siberia  e  della  Russia  settentrionale  e  il  Chr.  Pop  piusi, 
Miram. 1  2 3). 

Pel  Giappone  sono  note  due  specie:  il  Chr.  japonicus ,  Bol.  3) 
descritto  però  su  di  un  solo  esemplare  e  il  Chr.  genicularibus , 
Shiraki.  4 5). 

Molto  affine  alle  specie  di  Chrysochraon  e  la  Podismopsis 
Altaica ,  Zub.  5)  propria  dei  Monti  Aitai. 

Nella  regione  paleartica  si  hanno  così  due  forme  speci¬ 
fiche  occupanti  il  massimo  dell'area  di  distribuzione  geografica 
e  molte  altre  forme  specifiche,  distribuite  in  aree  ristrette  e  de- 


1)  Ostroumoff,  A.  —  Fine  neue  Art  aus  der  Familie  "  Acridioidea  „  Z. 
Anz.  Bd.  4,  p.  597,  1881. 

2 )  Miram,  E.  —  Zur  Orthopteren  fauna  Russlands.  Helsingfors  Ofvers  F. 
Vet.  Soc.  Voi.  49,  p.  3,  1907. 

3)  Bolivar,  I.  —  Contr.  à  Vétude  des  Acridiens,  —  Espèces  de  la  Faune 
indo  et  austro  malaisienne  du  Museo  Civico  di  St.  Nat.  di  Genova.  Ann. 
Museo  Civico  Voi.  39,  p.  82,  1898. 

4)  Shiraki,  T.  —  Acridiiden  Japans.  Tokyo.  90  p.,  2  Tav.  1910. 

5)  Zubowsky,  N.  —  Beitràg  zur  Kenntniss  der  Sibirischen  Acridiodeen. 
Horae  Societatis  Entomologicae  Rossicae.  Tomo  34,  p.  2,  1900. 


—  198  — 

limitate,  spesso  viventi  insieme  con  quelle.  Le  prime  sono  da 
considerarsi  con  tutta  probabilità  quali  specie  madri. 

Il  Chr.  levipes ,  Karsch  J)  e  il  Chr.  kilimandjaricus ,  Sjost.  2) 
sono  le  due  forme  proprie  della  zona  montuosa  dell'Africa 
orientale. 

Le  forme  specifiche  del  genere  sono  distribuite  disconti¬ 
nuamente,  raggruppate  in  zone  geograficamente  separate,  su  di 
un  area  di  assai  vasta  estensione,  comprendente  circa  tutto  l'an¬ 
tico  continente. 

È  questo  ancora  un  caso,  tra  i  molti  già  noti,  che  la  teoria 
dei  centri  di  diffusione  non  riesce  a  spiegare  sufficientemente  e 
che,  viceversa,  trova  la  sua  perfetta  interpretazione  nella  teoria 
ologenetica  sull'origine  delle  forme  specifiche  3). 

D'altra  parte  resistenza  di  forme  specifiche  d'uno  stesso  ge¬ 
nere  in  zone,  sia  pure  separate,  di  una  area  vasta  è  sicuro  indi¬ 
zio  della  antichità  e  primitività  del  genere  stesso. 

Tra  i  generi  di  Traxalinae  (Locustidae)  di  larga  diffusione 
geografica,  per  altro,  il  gen.  Chrysochraon  mostra,  nelle  forme 
specifiche  che  lo  compongono,  caratteri  relativamente  primitivi. 


Finito  di  stampare  il  20  settembre  1923. 


9  Karsch,  F.  —  Ne  ne  Orthopteren  aus  dem  tropischeti  A Jrika.  Stettin 
Ent.  Zeit.  Voi.  57,  p.  255,  1897. 

2)  SjòSTEDT,  Y.  —  Acridioidea.  Sjòsteds  Kilimandjaro  -  Meru  Exp.  Stockolm 
p.  149-199,  Tav.  7,  1908. 

3)  ROSA  D.  —  Ologenesi.  Firenze,  Bemporad,  1919. 


Documenti  istologici  per  una  ipotetica  te 
rapia  degli  epiteliomi  cutanei. 

Nota 

del  socio 
Claudio  Gargano 


(Tornata  del  31  dicembre  1922) 


In  una  prima  memoria  sull'azione  del  radio  sugli  epiteliomi  *) 
[Gargano  (l.°;  1922)]  venni  a  conclusioni  abbastanza  diverse 
da  quelle  comunemente  accettate  (Dominici  e  Rubens-Duval) 
circa  la  regressione  della  cellula  blastomatosa.  Notai  cioè,  che  se 
pur  si  aveva  in  primo  tempo  istolisi  dell'elemento  neoplastico; 
questa  istolisi  si  verificava  sempre  con  assenza  di  reazione  leu¬ 
cocitaria  e  connettivale. 

Secondo  il  risultato  delle  mie  osservazioni  1'  assenza  della 
reazione  connettivale  e  la  insufficiente  fagocitosi  erano  i  due 
principali  fattori,  che  portavano  ad  un  arresto  del  processo  di 
guarigione.  Constatai  altresì  che  le  radiazioni  del  radio  avevano 
uno  scarso  potere  di  attraversare  gli  strati  epidermoidali  rige¬ 
nerati  in  guisa  che  le  cellule  neoplastiche  profonde,  invece  di 
continuare  a  subire  una  ulteriore  istolisi ,  ad  un  certo  periodo 
avevano  un  rigoglioso  sviluppo,  che  era  la  causa  del  verificarsi 
una  nuova  ulcerazione  neoplastica.  Infine  potetti  convincermi  che 
le  cellule  epiteliali  neoplastiche,  svoltesi  durante  il  periodo,  nel 
quale  il  tessuto  era  sotto  l' influenza  delle  radiazioni  del  radio, 
sembravano  essere  ulteriormente  poco  influenzate  dalle  radia¬ 
zioni  stesse. 


l)  1922.  Gargano,  C.  —  1.  Azione  del  radio  sugli  epiteliomi:  Boll.  Soc. 
Nat.  Napoli,  Voi.  34,  p.  180. 


—  200  — 

Ed  in  una  nota  successiva  *)  a  proposito  di  un  epitelioma 
del  collo  dell'utero,  ottenni  un  reperto  molto  simile  [Gargano 
(2.°;  1922)],  cioè  in  mezzo  ad  un  tessuto  neoplastico  disgregato 
per  opera  dei  raggi  del  radio,  si  appalesavano  integri  dei  nidi 
cellulari,  di  cellule  sferoidali  o  poliedriche,  grandi,  a  contorni 
bene  definiti,  con  citoplasma  reticolare  e  con  grande  nucleo 
scarso  di  sostanza  cromatica.  Interpetrai  la  presenza  di  tali  nidi 
epiteliomatosi  (floridi)  come  la  causa  di  nuovi  possibili  ripro¬ 
duzioni  del  blastoma. 

Partendo  quindi  dal  concetto  che  l'assenza  della  reazione 
connettivale  e  della  reazione  leucocitaria  e  la  poca  permeabilità 
dei  tessuti  rigenerati  alle  radiazioni,  fossero  le  cause  che  impe¬ 
dissero  al  radium  di  arrecare  in  taluni  casi  (?)  la  guarigione  de¬ 
finitiva  del  tumore,  era  lecito  pensare  di  associare  alla  radiumte¬ 
rapia  altri  sussidi  terapeutici,  che  da  un  lato  risvegliassero  la 
flogosi  organizzante,  e  che  dall'altro  rendessero  più  permeabili 
i  tessuti  rigenerati  alle  cerniate  radiazioni  ,  tanto  più  che,  allo 
stato  attuale  della  scienza,  solo  le  cure  fisiche  pare  dieno  da 
sole  od  associate  all'intervento  chirurgico  dei  risultati  brillanti. 

Osservando  al  microscopio  preparati  di  tumori  epiteliali  trat¬ 
tati  con  mezzi  fisici  si  ha  sempre  un  reperto  identico  per  cia¬ 
scun  mezzo  fisico  adoperato,  reperto  che  è  pertanto  sostanzial¬ 
mente  diverso  a  seconda  l'agente  terapeutico  impiegato.  Sem¬ 
bra  quasi,  che  se  all'associazione  di  tali  cure,  do¬ 
vesse  istologicame  n  te  verificarsi  un  insieme  d'al¬ 
terazioni  nel  blastoma  corrispondenti  alla  somma 
delle  alterazioni  risvegliate  da  ciascuno  degli 
agenti  fisici  adoperati,  forse  il  problema  della 
cura  del  cancro  potrebbe  dirsi,  se  non  risoluto ^ 
per  lo  meno  incamminato  verso  la  risoluzione. 

Ho  rivolto  le  mie  indagini  ad  epiteliomi  malpighiani  trattati 
con  radium ,  con  la  folgorazione  e  con  la  iperemia  venosa 
alla  Bier. 


l)  1922.  Gargano,  C.  —  2.  Sulla  presenza  di  nidi  cellulari  epiteliali  non 
Jluenzati  dal  radio  nel  cancro  uterino  :  Pathologica  Genova,  Voi.  14,  N.  335. 


201 


Radiumterapia.  —  Epitelioma  malpighiano;  biopsia  ese¬ 
guita  dopo  30  giorni  da  un'  applicazione  globale  di  radium. 


Fig.  1.  —  Epitelioma  malpighiano  della  regione  temporo-massaterina.  Biopsia  eseguita  pri- 

2 

ma  della  radiumterapia.  Colorazione  :  Ematossilina  ferrica.  Zeiss  . 

Le  alterazioni  indotte  nelle  cellule  neoplastiche  epiteliali  so¬ 
no  complesse,  e,  pur  essendo  difficile  schematizzarle,  si  susse¬ 
guono  con  una  relativa  regolarità.  Esse  (figg.  2  e  3)  sono  talvolta 
esclusivamente  citoplasmatiche,  tal  altra  nucleari,  e  spesso  interes¬ 
sano  sia  il  citoplasma  che  il  nucleo  deH'elemento.  Nello  stroma 
connettivale  del  neoplasma  si  hanno  lesioni  abbastanza  trascurabili. 

Una  delle  alterazioni  molto  comuni  è  quella,  che  chiamo 
sinciziale,  nella  quale  le  cellule  perdono  i  contorni,  il  cito- 


plasma  diviene  omogeneo  e  si  fonde  con  quello  delle  cellule  vi¬ 
cine,  nel  mentre  che  i  nuclei  si  mantengono  integri  nella  loro 
forma  e  nelle  loro  reazioni  cromatiche.  Talvolta  nelle  masse  sin¬ 
ciziali  i  nuclei  sono  forniti  di  aloni  chiari  perinucleari;  tal'  altra 
invece  del  sincizio  il  citoplasma  subisce  un  ispessimento  alla  pe¬ 
riferia  deH'elemento,  da  simulare  una  capsula,  nella  quale  il  ci- 


Fig.  2.  —  Epitelioma  malpighiano  sottoposto  a  radiumterapia.  Distruzione  progressiva  della 
cellula  neoplastica  epiteliomatosa  senza  concomitante  neoproduzione  connettivale  ed  infil¬ 
trazione  leucocitaria.  Graduale  distruzione  di  una  perla  epiteliale.  Colorazione:  Ematos- 
silina  ferrica.  Zeiss  . 

toplasma  va  incontro  prima  ad  un  processo  di  chiarificazione  e 
poi  d’istolisi.  Restano  allora  liberi  i  nuclei,  in  queste  cellule  ri¬ 
dotte  alla  sola  parete  cellulare,  che,  quando  si  rompe,  porta  alla 


—  203  — 


genesi  di  cavità  di  degenerazione  ed  alla  messa  in  libertà  dei 
nuclei,  ai  quali  spesso  si  mantengono  aderenti  dei  frustoli  di 


Fig.  3.  —  Epitelioma  malpighiano  sottoposto  a  radiumterapia.  Distruzione  progressiva  della 
cellula  neoplastica  epiteliomatosa  senza  concomitante  neoproduzione  connettivale  ed  infil- 

3 

trazione  leucocitaria.  Colorazione  :  Ematossilina  ferrica.  Zeiss  , 


protoplasma,  nuclei  che  alla  loro  volta  degenerano  per  un  pro¬ 
cesso  di  lisi,  o  per  un  processo  picnotico.  Il  processo  picnotico 
dà  origine  a  numerosi  granuli,  a  blocchi  di  sostanza  cromatofila, 
che  per  un  certo  tempo  mantengono  integre  le  loro  reazioni 
cromatiche. 

In  altre  zone  (dove  evidentemente  il  processo  di  degradazione 
della  cellula  neoplastica  è  più  avanzato)  si  constatano  dei  pezzi 


—  204  — 


di  tessuto  amorfo,  dove  non  è  possibile,  anche  con  forti  ingran¬ 
dimenti,  riconoscere  una  struttura  citoplasmatica:  essi  si  colorano 
leggermente  in  rosa  con  l'eosina. 

Le  cavità  di  degenerazione  sono  numerose  ed  hanno  forma 
varia.  Il  connettivo  subisce  pure  una  fase  di  spezzettamento  senza 
una  contemporanea  reazione  fibroblastica  e  senza  una  infiltra¬ 
zione  leucocitaria. 

Folgorazione.  —  Epitelioma  malpighiano;  biopsia  ese¬ 
guita  quindici  giorni  dopo  una  seduta  di  scintille  d’alta  frequenza. 

Il  reperto  istologico  in  questo  caso  è  molto  dissimile  da 
quello  innanzi  accennato.  Alla  superficie,  là  dove  le  scintille  hanno 
agito  più  intensamente  il  tessuto  blastomatoso  è  completamente 


Fig.  4.  —  Epitelioma  malpighiano  sottoposto  a  folgorazione  (superficie).  Distruzione  com¬ 
pleta  della  cellula  neoplastica  epiteliomatosa  e  concomitante  neoformazione  connettivale. 

3 

Colorazione:  Emallume -  eosina.  Zeiss 

AA 

distrutto  (fig.  4)  e  sostituito  da  un  connettivo  giovane  di  nuova 
formazione.  I  fasci  connettivali  costituenti  questo  tessuto  si  intrec¬ 
ciano  in  modo  vario,  lasciando  in  molti  punti  apparire  delle  cavità. 


—  205  — 


Sia  nelle  cavità,  che  nei  fasci  connettivali  si  hanno  numerosi  in¬ 
farti  emorragici.  Sembra  evidente  che  i  fasci  connettivali  in  parola, 
per  l'aspetto  morfologico  degli  elementi,  debbano  interpetrarsi 


Fig.  5.  —  Epitelioma  malpighiano  sottoposto  a  folgorazione  (parte  profonda).  Tessuto  con¬ 
nettivo  neoformato  con  residuali  noduli  epiteliomatosi  floridi.  Colorazione  :  Emallume  - 

eosina.  Zeiss  . 

AA 

come  un  connettivo  giovine,  originatosi  dai  linfociti  e  dalle  cel¬ 
lule  mobili  del  connettivo  interstiziale  del  blastoma. 

Alla  profondità  (fig.  5)  la  disposizione  del  connettivo  neofor¬ 
mato  è  quasi  identica  a  quella  della  superficie:  si  ha  solo  come  dif¬ 
ferenza,  che  i  fasci  congiuntivi  di  tratto  in  tratto  circoscrivono 
delle  isole,  nelle  quali  si  trovano  delle  cellule  blastomatose 
epiteliali. 

Gli  elementi  neoplastici  sembrano  apparentemente  molto  al¬ 
terati,  ma  ad  un  esame  più  profondo  si  nota  che  l'alterazione 
riguarda  più  che  il  nucleo,  il  citoplasma:  il  citoplasma  infatti  non 
ha  più  la  sua  spiccata  acidofilia;  sono  spariti  i  limiti  fra  cellula 
e  cellula  e  sono  apparse  numerose  granulazioni  citoplasmatiche 
cromatofile.  Spesso  si  hanno  anche  spezzettamenti  protopla¬ 
smatici.  I  nuclei,  in  tanta  degradazione  cellulare,  sono  normali 


—  206  — 


Fig.  6.  —  Epitelioma  malpighiano  sottoposto  ad  iperemia  venosa  alla  Bier.  Notevole  infiltra- 
zione  leucocitaria  e  parvicellulare.  Zeiss  . 

vo  riguardanti  gli  zaffi  epiteliomatosi  ;  le  alterazioni  interessano 
soltanto  lo  stroma  del  neoplasma,  si  ha  cioè  dilatazione  vasale; 
principalmente  dei  vasi  venosi,  stasi  sanguigna  e  cospicua  dia- 
pedesi  attraverso  le  pareti  di  essi.  Nei  connettivo,  circondante 
gli  zaffi  epiteliali,  è  notevole  la  infiltrazione  parvicellulare.  Rias¬ 
sumendo  si  hanno  tutte  le  note  di  una  flogosi  cronica. 

Tenendo  presente  il  reperto  istologico  di  questi  tre  processi 
terapeutici,  apparirebbe,  da  un  punto  di  vista  del  tut¬ 
to  dottrinale,  che  essi  possano  in t egra r s  i,  dando 
la  completa  regressione  della  cellula  blastoma- 


per  forma,  per  reazionitintoriali  e  per  dispa  vizi  rie  della  cro¬ 
matina. 


Iperemia  venosa.  —  Epitelioma  malpighiano;  'biopsia 
eseguita  quattro  giorni  dopo  una  seduta  di  iperemia  venosa  della 
durata  di  due  ore. 

All'esame  istologico  (fig.  6)  non  si  hanno  lesioni  degne  di  rilie- 


—  207  — 


tosa  epiteliale.  Volendo  pertanto  dal  campo  teorico  passare 
a  quello  pratico,  sarebbe  forse  opportuno  iniziare  la  terapia  con 
la  folgorazione,  far  seguire  le  irradiazioni  globali  del  radio,  e 
completare  la  cura  con  la  iperemia  venosa,  associando  anche  dei 
razionali  interventi  chirurgici  1). 

Clinica  chirurgica  della  R.  Università  di  Napoli. 


Finito  di  stampare  il  20  settembre  1923. 


h  Avendo  comunicato  le  mie  osservazioni  all’  Istituto  Italiano  del  Radio, 
il  Direttore  della  Sede  di  Napoli,  D.  Alfredo  Moscatello,  plaudendo  a  tale  ini¬ 
ziativa,  istituirà  esperimenti  di  cure  di  epiteliomi  con  i  cennati  metodi  fisici. 


Alterazioni  indotte  dal  radio  sulla  tiroide 
normale. 

Memoria 

del  socio 

Claudio  Gargano 


(Tornata  dell' 8  luglio  1923) 

In  poco  più  di  un  ventennio  (1898)  dalla  scoperta  del  ra¬ 
dio,  si  è  avuta  una  intera  letteratura  sulle  azioni  indotte  dalle 
radiazioni  di  questo  metallo,  in  ispecie  sui  tessuti  blastomatosi. 
E  per  vero  ai  grandi  entusiasmi  dei  primi  assertori  della  nuova 
terapia  fisica  sono  seguiti  degli  sconforti  ingiustificati,  in  guisa 
che  il  medico,  avendo  anche  minore  fiducia  negli  esperimenti 
sieroterapici,  affida  spesso  i  propri  ammalati  al  radiumterapista, 
quando  essi  non  possono  trovare  conforto  nemmeno  in  un  ra¬ 
zionale  intervento  chirurgico  !... 

Per  ragioni  ovvie  dell’alto  prezzo  dei  minerali  della  famiglia 
del  radio,  una  piccola  scorta  di  essi  si  trova  confinata  in  Labo¬ 
ratori  di  fisica  ed  in  istituti  commerciali  per  la  cura  di  affezioni 
patologiche  (specialmente  tumori  maligni):  qualche  Clinica  ne  ha 
piccolissime  dosi;  e,  che  io  mi  sappia,  solo  rarissimi  Istituti  di 
Biologia  generale  ne  sono  forniti. 

Una  tale  distribuzione  geografica  di  un  così  prezioso  agen¬ 
te,  per  necessità  di  cose,  deve  portare  come  conseguenza,  che 
le  pubblicazioni  suH'argomento  risentino  la  deficienza  iniziale 
del  metodo:  infatti  i  fisici  poco  si  danno  pensiero  di  ciò  che  i 
biologi  credono  poter  ricavare  dall'azione  del  radio  sull’orga- 
nismo,  e  gli  istituti  specializzati  non  sono  forniti  dei  mezzi  e  del 
personale  atti  ad  integrare  un  così  difficile  genere  di  ricerche. 

Tutti  gli  sperimentatori,  accettando  come  dogma  di  fede, 


—  209  — 


i  risultati  enunciati  da  Wassermann,  che  cioè  i  tessuti  ricchi  di 
elementi  in  riproduzione  sieno  quelli  più  influenzati  dalle  radia¬ 
zioni  del  radio,  e  che  razione  principale  si  risolva  nell'annulla- 
mento  o  nella  diminuzione  della  facoltà  riproduttiva,  si  sono 
creduti  autorizzati  ad  applicare  il  metodo  fisico  in  parola  ai  tes¬ 
suti  blastomatosi,  le  cui  cellule  effettivamente  mostrano  più  dei 
tessuti  normali  molto  accentuato  il  potere  riproduttivo. 

E  si  sono  avuti  così  gli  interessanti  studi  di  Dominici,  di 
Rubens-Duval,  Barcat,  ecc.  sul  modo  di  regressione  della 
cellula  neoplastica  e  quelli  non  meno  interessanti  di  Ulesko- 
Stroganov  e  di  Letulle  sulla  “  necrosi  fibrinoide,,  indotta  nei 
vasi  sanguigni  ;  ma  purtroppo  poche  sono  le  ricerche  del  tipo 
di  quelle  istituite  da  Tchahotine  sul  meccanismo  di  azione  dei 
raggi  ultravioletti. 

Gli  esperimenti  di  Bauer  tenderebbero  a  scuotere  la  fié 
ducia  cieca,  che  si  debba  riporre  nei  postulati  di  Heinaz,  di 
Wassermann,  di  Krause  e  di  Heineche  ;  infatti  uova  fe¬ 
condate  di  Bufo  viridis  e  di  Trifori  alpestris ,  sottoposte 
alle  radiazioni  del  radio  non  hanno  dimostrato  un  evidente  ri¬ 
tardo  nel  loro  sviluppo,  pur  dovendosi  ammettere  che  un  uovo 
fecondato  rappresenti  una  cellula  o  un  insieme  cellulare,  che 
goda  di  attiva  facoltà  riproduttiva!..  Nè  al  certo  le  ricerche  di 
Kolde  e  Martens  e  quelle  di  Pappenheim  e  Plensch  arrecano 
un  notevole  contributo  all'argomento:  questi  AA.,  ripetendo  la 
tecnica  di  Wertheim,  di  Schulzer,  di  Bichel,  di  Brill,  di 
Zehner  e  di  Weinbreuner  hanno  compiuto  osservazioni  sul 
comportamento  del  sangue  col  mesotorio  in  inferme  portatrici 
di  cancro  dell'utero.  Si  avrebbe  nei  primi  giorni,  dall'applica¬ 
zione  delle  radiazioni  del  mesotorio,  diminuzione  nel  numero 
degli  eritrociti  e  diminuzione  nel  tasso  emoglobinico,  però  questo 
sarebbe  un  fatto  transitorio,  giacché  al  quarto  giorno  si  verifi¬ 
cherebbe  un  ritorno  al  normale.  Per  quanto  riguarda  i  globuli 
bianchi  il  reperto  è  inconstante.  Associati  alle  alterazioni  ema¬ 
tiche  si  avrebbero  del  pari  disturbi  generali,  caratterizzati  da 
febbre,  stanchezza  generale,  nausea,  anoressia,  di  una  durata 
maggiore  di  quelli  ematici  (due  o  tre  settimane). 

Per  gli  AA.  una  simile  sindrome  fenomenica  si  interpreta 
ammettendo,  che  la  cellula  sottoposta  alle  irradiazioni  del  me- 


—  210  — 


sotorio,  perdendo  la  sua  facoltà  riproduttiva,  andrebbe  incontro 
a  fenomeni  degenerativi  citoplasmatici  e  nucleari,  il  cui  epilogo 
sarebbe  lo  sviluppo  di  colina  dalla  lecitina  del  nucleo,  co¬ 
lina,  che  è  una  sostanza  velenosa  del  citoplasma. 

Notevoli  studi  sull'azione  della  colina  sono  quelli  di 
Franck,  per  il  quale  la  colina  esercita  una  [influenza  elettiva  sui 
nervi  autonomi,  così  come  l'adrenalina  la  esercita  sui  simpatici, 
in  guisa  che  i  nervi  simpatici  sarebbero  antagonisti  dei  nervi 
autonomi  nel  ricambio  dello  zucchero.  Con  l'iniezione  nelle  vene 
di  colina  ed  adrenalina,  l'A.  non  ha  constatato  influenza  della 
colina  sulla  glicosuria  adrenalinica,  non  esistendo  nel  fegato  nervi 
autonomi  antagonisti. 

Preparati  radioattivi  inducono  alterazioni  circolatorie  ed 
ematologiche  somministrati  altresì  per  la  via  ipodermica,  infatti 
le  iniezioni  di  torio  X  nel  coniglio  influenzano  sinistramente  le 
pareti  vasali,  in  ispecie  quelle  dei  polmoni  e  del  fegato,  appa¬ 
rendo  il  torio  X  un  veleno  elettivo  degli  endoteli  :  il  che  sa¬ 
rebbe  pure  confermato  dalle  ricerche  di  Salle  e  Domarus,  che 
avrebbero  riscontrato  in  pari  tempo  nei  primissimi  periodi  della 
somministrazione  un  aumento  delle  sostanze  cromaffini,  ma  non 
della  funzione  adrenalinica,  e  del  tutto  recentemente  trovereb¬ 
bero  conforto  negli  esperimenti  di  Hausmann,  che  iti  vitro 
avrebbe  perfino  ottenuto  emulsioni  di  eritrociti  sospesi  in  pia¬ 
stre  di  agar,  se  esposti  alle  radiazioni  di  radium  per  la  durata 
di  24-36  ore. 

Il  meccanismo  di  azione  del  torio  X  (Mello)  non  potrebbe 
essere  paragonabile  a  quello  indotto  dai  raggi  Roentgen:  il 
torio  X  eserciterebbe  una  minima  azione  sul  tessuto  linfoide, 
mentre  il  mieloide  sarebbe  alterato  precocemente  ed  intensa¬ 
mente.  Di  opinione  invece  contraria  sarebbe  Glaubermann, 
che  con  l'iniezione  nel  coniglio  di  siero  omologo  sottoposto  alle 
radiazioni  X  avrebbe  ottenuto  una  leucocitosi  transitoria  ed  una 
leucopenia,  che  raggiunge  il  suo  acme  dopo  due  ore. 

Come  si  è  accennato,  non  pare  possano  le  ricerche  sull'a¬ 
zione  del  radio  e  dei  preparati  radioattivi  sul  ricambio  materiale 
o  sui  tessuti  normali,  portare  a  delle  conclusioni  certe  o  gene¬ 
ralmente  ammesse  ;  sembrerebbe  che  le  radiazioni  in  parola  non 


cagionino  che  dei  disturbi  o  delle  alterazioni  transitorie  e  che 
l'organismo  dopo  pochi  giorni  ritorni  al  suo  normale  equilibrio. 

Invece  sui  tessuti  patologici  e  specialmente  in  quelli  bia¬ 
simatosi,  il  meccanismo  di  azione  è  più  conosciuto  o  meglio 
determinato,  infatti  volendo  attingere  alla  classica  memoria  di 
Dominici  pare  assodato  che  “  l'azione  delle  radiazioni  sia  doppia: 
distruttiva  rispetto  ad  alcuni  elementi  ed  evolutiva  rispetto  ad 
altri  :  la  distruzione  delle  cellule  neoplastiche  è  diretta  o  indi¬ 
retta,  la  diretta  consiste  nella  istolisi  di  queste  cellule  senza  mo¬ 
dificazioni  istologiche  precedenti,  la  indiretta  è  preceduta  dai 
fenomeni  seguenti:  1°  ipertrofia  del  corpo  e  del  nucleo  ;  2°  gem¬ 
mazione  del  nucleo;  3°  tendenza  alla  formazione  di  corpi  pseu¬ 
doparassitari,  il  cui  volume  è  più  grande  di  quello  che  si  ri¬ 
scontrano  nei  tumori  non  irradiati  ;  4°  in  alcuni  epiteliomi 
malpighiani,  trasformazione  cornea  del  protoplasma  cellulare. 

L'azione  evolutiva  che  apparisce  di  già,  sebbene  anormale 
e  seguita  da  istolisi,  nel  fenomeno  della  distruzione  indiretta, 
interviene  solo  nella  trasformazione  di  alcuni  altri  elementi  meno 
avanzati  nella  loro  evoluzione  neoplastica:  essa  si  esprime  con 
regolazione  dell'evoluzione  topografica  e  morfologica  delle  cel¬ 
lule  epiteliomatose. 

La  regolazione  dell'evoluzione  topografica  si  traduce  con  lo 
sparire  la  disorientazione  cellulare  di  Fabre-Domergue  :  le  cel¬ 
lule  epiteliali  cessano  di  migrare  nella  profondità  dei  tessuti  per 
obbedire  all'exotropismo  regolare,  che  le  dirige  verso  la  super¬ 
ficie  del  corpo.  La  regolazione  dell'evoluzione  morfologica  si  fa 
in  due  maniere:  nel  caso  di  epitelioma  embrionario  puro  le  cel¬ 
lule  si  moltiplicano  mentre  gli  elementi  indifferenziati  ripassano 
allo  stato  di  cellule  cornee  secondo  il  modo  regolare:  nel  caso 
in  cui  l’epitelioma  è  atipico,  una  parte  delle  cellule  deformate 
dal  processo  del  tumóre,  ritornano  allo  stato  embrionario  puro, 
poi  subiscono  ulteriormente  la  trasformazione  cornea. 

E  il  citato  A.  aggiunge  “  a  queste  influenze  istolitiche  o 
regolatrici  sopra  gli  elementi  epiteliomatosi,  si  aggiunge  la  sti¬ 
molazione  del  tessuto  connettivo  sano,  che,  incitato....  a  riprendere 
lo  stato  embrionario,  colma  rapidamente  i  vuoti  lasciati  dal  tumore 
scomparso  ed  assicura  una  riparazione  rapida  e  perfetta  „. 

Le  osservazioni  di  radiumterapia  di  epitelioma  da  me  [Gar- 


—  212  — 


qano  (1922,  1°  e  2°,  1923)]  l)  eseguite  nella  Clinica  chirurgica 
della  R.  Università  di  Napoli,  tenderebbero  a  dimostrare,  che 
per  lo  meno  l'assolutissimo  enunciato  da  Dominici  sia  esagerato, 
non  ottenendosi  in  nessuno  dei  casi  osservati,  con  la  distruzione 
della  cellula  blastomatosa  epiteliale,  lo  sviluppo  di  tessuto  con¬ 
nettivo  cicatriziale. 

Si  è  notato,  con  numerose  biopsie,  eseguite  prima  e  du¬ 
rante  tale  terapia  che  la  regressione  della  cellula  blastomatosa 
è  complessa  e  non  è  riportabile  ad  unico  tipo  d'istolisi  ed  è 
certamente  dissimile  da  ciò  che  nei  trattati  è  riportato.  Le  mag¬ 
giori  alterazioni  si  verificano  nei  primi  giorni  della  cura,  giac¬ 
ché  col  rigenerarsi  sull'ulcera  neoplastica,  degli  strati  epider- 
moidali,  gli  eventuali  nidi  epiteliali  sottostanti  non  sembra  sieno 
più  influenzati  dalle  radiazioni  stesse,  e  divengono  il  punto  di 
partenza  di  nuovi  zaffi  epiteliali,  di  una  recidiva  del  neoplasma. 
Con  lo  svolgersi  poi  delle  nuove  masse  blastomatose  la  cute  ri¬ 
formata  si  ulcera. 

Durante  il  processo  istolitico  della  cellula  epiteliomatosa  non 
si  verifica  una  reazione  leucocitaria,  nè  connettivale. 

L'assenza  della  reazione  connettivale  e  la  insufficiente  fa¬ 
gocitosi  sono,  stando  ai  reperti  avuti,  i  due  principali  fattori, 
che  portano  ad  un  arresto  nel  processo  di  guarigione.  Le  ra¬ 
diazioni  del  radio  pare  poi,  che  abbiano  uno  scarso  potere  di 
attraversare  gli  strati  epidermoidali  rigenerati,  in  guisa  che  le 
cellule  neoplastiche  profonde,  invece  di  continuare  a  subire  una 
ulteriore  istolisi,  ad  un  certo  periodo  hanno  un  rigoglioso  svi¬ 
luppo.  E  così  si  spiegherebbe  perchè  la  cute  rigenerata  finisca 
per  cadere  in  necrosi,  e  perchè  si  abbia  di  nuovo  una  ulcera¬ 
zione  neoplastica.  Le  cellule  epiteliali  neoplastiche,  che  si  sono 
andate  svolgendo  durante  il  periodo  nel  quale  il  tessuto  è  sotto 
l'influenza  delle  radiazioni  del  radio,  sembra  sieno  poco  influen¬ 
zate  dalle  radiazioni  stesse. 


*)  1922.  —  Gargano,  C.  1.  Azione  del  radio  sugli  epiteliomi'.  Boll.  Soc. 
Nat.  Napoli,  Voi.  34,  p.  180-181. 

1922.  —  —  2.  Sulla  presenza  di  nidi  cellulari  epiteliali  non  influenzati 
dal  radio  uel  cancro  uterino:  Pathologica,  Genova,  Voi.  14,  N.  335. 

1923.  -  —  Documenti  istologici  per  una  ipotetica  terapia  degli  epite¬ 
liomi  cutanei:  Giorn.  Ital.  Mal.  Ven.  Milano,  N.  3. 


—  213  — 


r 


Ricerche  personali. 

Profittando  della  liberalità  dell'Istituto  italiano  del  Radio,  ho 
potuto  istituire  delle  ricerche  sull'influenza  esercitata  dalle  radia¬ 
zioni  del  radio  sul  tessuto  tiroideo  normale,  servendomi  come 
animali  di  esperimento  di  cani. 

La  tiroide,  fra  le  glandole  endocrine  è  la  più  notevole,  sia 
per  il  suo  peso  maggiore,  sia  per  la  grande  sfera  di  azione,  in 
guisa  che  non  può  sfuggire  come  un  tale  genere  di  indagini 
chiarisca  non  poco  la  fisiologia  e  la  patologia  di  essa.  La  tiroide  è 
rivestita  da  una  capsula  fibrosa,  fornitale  dall'aponevrosi  cervicale 
media,  che  invia  nel  suo  interno  dei  setti,  che  la  dividono  in  lobi  e 
lobuli,  nei  quali  sono  contenute  le  vescicole  tiroidee,  che  sono 
di  grandezza  variabile  ed  in  vario  stato  di  evoluzione.  In  questo 
stroma  connettivale  si  trovano  anche  degli  accumuli  di  tessuto 
linfoide,  ai  quali  si  è  dato  grande  importanza  in  non  poche  for¬ 
me  morbose. 

Una  vescicola  tiroidea  risulta  fondamentalmente  costituita  da 
un  unico  strato  epiteliale  di  piccole  cellule  cubiche,  fornite  di 
un  grosso  nucleo  sferoidale,  cellule  che  si  trovano  a  contatto  con 
la  loro  base  con  ampi  capillari  sanguigni,  laddove  il  polo  del- 
l'elemento,  che  guarda  il  lume  della  vescicola,  è  invece  in  con¬ 
tatto  con  la  sostanza  colloidea. 

La  presenza  nelle  cellule  tiroidee  di  una  serie  di  granula¬ 
zioni  speciali  ha  fatto  ritenere  agli  AA.  che  vi  fosse  una  varietà 
funzionale  perfino  fra  i  vari  elementi  costituenti  una  determinata 
vescicola,  il  che  pare  non  possa  ammettersi  essendo  più  proba¬ 
bile  pensare  che  la  cellula  tiroidea  presenti  granulazioni  diverse 
secondo  il  suo  stato  di  funzioni  o  secondo  determinati  stati  fi¬ 
siologici  o  patologici  dell'intera  glandola. 

Le  granulazioni  che  fanno  assumere  alla  cellula  tiroidea  un 
aspetto  diverso,  possono  essere  di  varia  natura  e  cioè  granula¬ 
zioni  fuxinofile,  granulazioni  colloidi  e  granulazioni  lipoidi.  Le 
prime  (le  fuxinofile)  sono  granuli  sottili  colorabili  intensamente 
con  i  colori  acidi  e  che  hanno  una  spiccata  affinità  per  la  fuxina 
acida:  le  granulazioni  colloidi  appaiono  come  delle  gocciolette 
diffuse  nel  citoplasma,  ed  hanno  la  medesima  colorazione  della 


—  214  — 


sostanza  colloide,  che  riempie  il  lume  della  vescicola;  le  granu¬ 
lazioni  lipoidi  infine,  dette  anche  sudanofile,  presentansi  come 
granuli  sottilissimi  molto  rifrangenti,  che  nelle  fissazioni  osmiche 
si  tingono  intensamente  in  nero  ed  in  rosso  nelle  colorazioni  al 
Sudan  III.  Anzi  sembra  che  tali  granuli  manchino  (?)  nelle  tiroidi 
fetali,  per  aumentare  gradatamente,  allorché  la  glandola  diviene 
più  adulta,  mostrandosi  poi  abbondantissime  nella  vecchiaia. 

Alcune  cellule  sarebbero  fornite  di  citoplasma  chiaro,  sbia¬ 
dito,  e  privo  di  qualsiasi  genere  di  granulazioni.  Nel  citoplasma 
infine  di  tutti  gli  elementi  tiroidei  è  stato  descritto  un  ergasto- 
plasma  con  mitocondri. 

Da  ricerche  molto  accurate  di  microchimica  sembrerebbe 
dimostrato  che  i  granuli  fuxinofili  e  quelli  lipoidi  nulla  abbiamo 
a  che  fare  con  la  secrezione  colloide,  che  è  una  sostanza  spe¬ 
ciale,  che  elaborata  dalle  cellule  tiroidee,  si  accumula  nel  lume 
deir  acino,  sostanza  amorfa,  omogenea,  insolubile  in  acqua,  in 
alcool  ed  in  etere  e  poco  solubile  negli  acidi  deboli. 

Tale  sostanza,  oltre  a  mostrare  talvolta  una  morfologia  varia, 
assume,  in  determinati  momenti,  colorazioni  anche  varie,  colo¬ 
razioni  che  naturalmente  corrisponder  debbono  ad  una  com¬ 
posizione  chimica  differente,  e  così,  oltre  la  colloide  normale,  si 
ha  una  colloide  cromofila,  una  colloide  sudanofila,  una  colloide 
con  granuli  sudanofili,  ecc. 

Spesso  neirinterno  delle  vescicole  tiroidee,  frammiste  alla 
sostanza  colloide  si  rinvengono  cellule  epiteliali  tiroidee  libere, 
alcune  normali  per  morfologia,  altre  variamente  alterate.  Sebbene 
tale  desquamazione  sia  un  fatto  fisiologico,  pure  si  è  voluto  dagli 
autori  ritenerlo  come  esponente  di  iperattività  della  glandola,  co¬ 
me  nel  morbo  di  Basedow. 

Acini  tiroidei,  a  tipo  fetale,  si  trovano  anche  in  tiroidi 
adulte  fra  le  vescicole  secernenti  la  sostanza  colloide:  le  cellule 
costituenti  queste  vescicole  tiroidee  fetali,  sono  cilindriche,  al¬ 
lungate  e,  pur  non  secernendo  sostanza  colloide,  possono  pre¬ 
sentare  nel  loro  citoplasma,  le  medesime  granulazioni  fuxinofile 
e  lipoidi  delle  vescicole  tiroidee  adulte. 

La  presenza  più  o  meno  cospicua  di  sostanza  colloide,  non 
deve  essere  interpetrata  come  sicuro  segno  di  iperattività  o  di  ipoat¬ 
tività  tiroidea,  giacché  vi  sono  stati  di  iperattività  tiroidea  con 


—  215  — 


relativa  insufficienza  di  sostanza  colloide,  e  stati  invece  di  ipo¬ 
attività  con  abbondante  copia  di  sostanza  colloide.  Anche  vo¬ 
lendo  stare  nel  puro  campo  morfologico,  si  può  dire  che  si  sia 
di  fronte  ad  uno  stato  di  ipofunzione  quando,  pur  essendo  ab¬ 
bondante  la  colloide,  le  cellule  della  vescicola  tiroidea  si  mo¬ 
strino  appiattite,  alterate  ed  atrofizzate. 

Molto  opportunamente  Pende  fa  osservare  11  che  non  è  l'ac¬ 
cumulo  di  secreto  dentro  le  vescicole  tiroidee  il  fatto  più  im¬ 
portante  agli  scopi  fisiologici,  ma  la  misura  in  cui  avviene  la 
mobilizzazione  del  secreto  medesimo  ed  il  suo  passaggio  in  cir¬ 
colo,  e  questa  mobilizzazione  può  essere  ostacolata  in  condizioni 
fisiologiche  o  patologiche  speciali,  cosicché  il  secreto  può  non 
essere  utilizzato  dall'organismo,  ristagnando,  distendendo  le  pa¬ 
reti  vescicolari,  atrofizzando  l'epitelio  delle  pareti  stesse,  e  su¬ 
bendo  modificazioni  fisico-chimiche,  come  qualsiasi  secreto  rista¬ 
gnante  a  lungo  nei  dotti  glandolai  „. 

Al  certo  non  si  può  non  tenere  in  considerazione  il  fatto 
che  l'unica  glandola  endocrina,  che  possegga  nell'interno  degli 
acini  un  secreto,  sia  proprio  la  glandola  tiroide  con  la  sua  so¬ 
stanza  colloide,  per  il  che  non  è  lecito  escludere  che  questa  so¬ 
stanza  abbia  bisogno  di  metabolizzarsi  e  di  attivarsi  con  gli  al¬ 
tri  secreti  glandolari  prima  di  andare  in  circolazione.  La  vita  fe¬ 
tale  ed  alcuni  stati  patologici,  nei  quali  manca  la  colloide,  possono 
confermare  tale  veduta,  perchè  in  questi  casi  si  continuano  a  ri¬ 
scontrare  nell'epitelio  tiroideo  le  granulazioni  fuxinofile  e  le  gra¬ 
nulazioni  lipoidi. 

Si  è  adoperato  sia  il  metodo  delle  radiazioni  globali  del 
radio  (raggi  a,  (3  e  y),  che  quello  ultrapenetrante  di  Dominici, 
tenendo  gli  apparecchi  radiferi  applicati  sul  collo  del  cane  legato 
su  di  un  tavolo  operatorio.  Ogni  applicazione  è  stata  di  5-6  ore, 
applicazioni  che  si  sono  ripetute  settimanalmente.  La  tiroide  nel 
primo  cane  è  stata  asportata  dopo  un  mese  dalla  prima  appli¬ 
cazione  e  nel  secondo  dopo  due  mesi. 

La  glandola  in  parola  ,  divisa  a  pezzi ,  si  è  variamente  fis¬ 
sata,  per  eseguire  le  varie  colorazioni  consigliate  allo  scopo  di 
mettere  in  evidenza  le  numerose  granulazioni  e  formazioni  cito¬ 
plasmatiche  delle  cellule  tiroidee. 


—  216  — 


Quello  che  colpisce  ad  un  piccolo  ingrandimento,  parago¬ 
nando  il  preparato  con  uno  di  tiroide  normale,  ugualmente  fis¬ 
sato  e  colorato,  si  è  la  riduzione  globale  del  tessuto  tiroideo, 
fenomeno  che  nel  secondo  cane  appare  più  evidente  :  la  ridu¬ 
zione  interessa  il  tessuto  connettivo  interstiziale,  le  vescicole  ti¬ 
roidee  e  gli  accumuli  linfatici  intervescicolari. 

Lo  stroma  connettivale  della  glandola  è  infatti  quasi  com¬ 
pletamente  distrutto,  non  residuando  che  pochi  e  rari  fascetti 


Fig.  1. — Tiroide  di  cane  dopo  un  mese  dall’irradiazione  di  radio.  Distruzione  del  paren- 

3 

chima  glandolare  tiroideo.  Colorazione:  Emallume  -  eosina.  Zeiss 

congiuntivi,  che  solo  in  alcuni  punti  dividono  gli  acini  tiroidei 
meno  alterati  dalle  radiazioni  del  radio  :  non  si  ha  mai  neopro¬ 
duzione  di  elementi  nuovi  formati,  nè  infiltrazione  parvicellulare. 
La  distruzione  congiuntiva  associata  alla  distruzione  del  paren¬ 
chima  glandolare  non  è  il  momento  etiologico  e  patogenetico  di 
una  reazione  infiammatoria.  Degli  accumuli  linfoidi  (normalmente 
siti  in  questo  stroma)  non  se  ne  trovano  che  dei  reliquati, 
avendo  il  processo  di  degradazione  interessato  altresì  le  forma¬ 
zioni  in  parola,  inducendo  la  loro  graduale  distruzione. 

Le  maggiori  lesioni  sono  pertanto  quelle  del  tessuto  tiroideo. 


—  217 


Nelle  sezioni  microtomiche,  le  vescicole  tiroidee  (fig.  1)  non  appa¬ 
iono  più  circolari,  sono  spezzettate,  e,  per  usura  di  pareti  limitrofe, 
si  originano  cavità  multiple  di  degenerazione,  nelle  quali,  oltre 
blocchi  di  sostanza  colloide,  si  trovano  frammenti  cellulari. 

La  cellula  tiroidea  va  incontro  ad  alterazioni  sia  della  mor¬ 
fologia,  che  della  struttura,  alterazioni  che  debbono  evidente¬ 
mente  indurre  cambiamenti  nella  complessa  funzione  della  glan¬ 
dola.  Pur  mantenendo  un  aspetto  cubico,  non  sono  distinguibili 
i  limiti  fra  cellula  e  cellula:  l’elemento  è  impiccolito  nella  sua 
totalità.  Forme  multiple  di  picnosi  nucleare  e  di  nucleolisi. 


Fig.  2.  —  Tiroide  di  cane  dopo  un  mese  dell’  irradiazione  di  radio.  Si  nota  con  la  colo¬ 
razione  all’ematossilina  ferrica,  che  il  radio  oltre  a  distruggere  il  tessuto  tiroideo 

3 

induce  anche  dei  cambiamenti  chimici  nella  secrezione  colloide.  Zeiss 

AA 

Le  varie  reazioni  cromatiche  permettono  di  stabilire  che  il 
citoplasma  di  queste  cellule,  perdendo  il  condrioma  e  le  caratte¬ 
ristiche  granulazioni  fuxinofile,  lipoidi  e  colloidi,  appaia  omo¬ 
geneo.  Nelle  vescicole  meglio  conservate  le  anzidette  formazioni 
citoplasmatiche  sono  ancora  evidenti.  In  quanto  poi  alla  sostanza 
colloide,  essa  è  a  forma  di  blocchi,  ha  struttura  amorfa,  e,  nelle 
colorazioni  airemallume-eosina,  prende  intensamente  il  rosso  del- 


—  218  — 


l'eosina.  La  tinzione  all'ematossilina  ferrica  di  Heidenhain  (fig.  2) 
invece  dimostra  che  la  colloide  in  questo  stato,  risponde  a  due 
reazioni  chimiche  differenti,  che  evidentemente  corrisponder 
debbono  o  a  fasi  diverse  dell'evoluzione  di  una  medesima  so¬ 
stanza  o  a  sostanze  chimiche  diverse:  alcuni  blocchi  si  colorano 
in  giallo  scuro,  altri  in  nero  intenso. 

Credo  che  il  nero  intenso  sia  la  fase  ultima  dell'evoluzione 
della  colloide  tiroidea  degenerata,  perchè  in  tal  guisa  e  dovunque 
appare  così  colorata  nella  tiroide  del  2°  cane,  nella  quale  sono 
più  avanzati  i  processi  degenerativi.  La  colloide  è  infatti  retratta 
e  non  riempie  mai  la  vescicola  tiroidea,  laddove  nella  tiroide 
normale  di  animali  del  medesimo  peso  e  della  stessa  età,  con 
fissazione  e  colorazione  identica,  non  si  ha  il  reperto  innanzi 
accennato. 

Non  può  sorgere  il  dubbio  che  l'assenza  completa  in  molte 
vescicole  tiroidee  di  sostanza  colloide  sia  da  interpetrarsi  come 
dovuta  ad  aderenza  alla  sezione  precedente  o  seguente,  per  il 
fatto,  che  con  sezioni  microtomiche  in  serie,  individuando  bene 
il  punto  del  preparato,  si  ha  la  prova  incontrovertibile  dell'as¬ 
serto.  Nei  blocchi  colloidei  non  si  appalesano  granulazioni  fu- 
xitiofile,  sudanofile,  ecc. 

Nelle  cellule  nelle  quali  le  alterazioni  degenerative  del  nu¬ 
cleo  sono  cospicue,  colorando  il  preparato  con  rosso  neutro,  il 
citoplasma  si  tinge  in  giallo  arancio,  o  in  rosso  che  vira  al  giallo 
arancio,  ciò  è  dovuto  allo  sviluppo  di  colina  per  trasformazione 
dei  lecitidi  del  nucleo  :  infatti  trattando  cellule  tiroidee  normali 
con  soluzione  di  colina  e  colorandole  successivamente  con  rosso 
neutro,  si  verifica  la  medesima  colorazione.  Allo  sviluppo  di 
colina,  che  è  un  veleno  citoplasmatico,  si  debbono  addebitare 
tutte  le  degenerazioni  del  citoplasma  della  cellula  tiroidea  in¬ 
fluenzata  dal  radio. 

Le  irradiazioni  protratte  di  radio  inducono  poi  lesioni  di 
maggiore  rilievo,  le  quali  si  appalesano  nella  distruzione  completa 
della  cellula  tiroidea  (fig.  3),  ed,  a  similitudine  di  quanto  è  stato 
da  me  osservato  negli  epiteliomi  sottoposti  alla  curieterapia, 
restano  ancora  dei  nuclei  liberi  abbastanza  bene  conservati,  con 
brandelli  citoplasmatici  aderenti  ad  essi.  I  blocchi  di  sostanza 
colloide  sono  sempre  e  tutti  colorati  intensamente  in  nero  dal- 


—  219  - 


l'ematossilina  ferrica.  Il  trattamento  al  rosso  neutro,  dà,  nelle 
cellule  ancora  esistenti,  la  colorazione  giallo  arancio  dovuta  allo 
sviluppo  di  colina. 


Dai  reperti  ottenuti,  che  sembrano  integrarsi,  non  è  agevole 
in  modo  assoluto  chiarire  quali  sieno  i  cambiamenti  funzionali 
della  glandola  tiroide  irradiata  dal  radio  :  sebbene  anche  la  sem¬ 
plice  morfologia  delle  vescicole  tiroidee  e  della  sostanza  colloide 
in  esse  contenuta  faccia  propendere  per  una  ipofunzione  glan¬ 
dolare. 

Gli  animali,  in  specie  il  secondo,  presentavano  dei  segni  di 


Fig.  3.  —  Tiroide  di  cane  dopo  due  mesi  dell’  irradiazione  di  radio.  Il  processo  di  distru¬ 
zione  degli  elementi  tiroidei  è  già  avanzato.  Assenza  di  reazione  connettivale  e 

g 

leucocitaria.  Colorazione  :  Ematossilina  ferrica.  Zeiss 

marasma  prima  di  essere  sacrificati,  e  non  è  improbabile  che 
questi  fossero  in  rapporto  all'alterata  funzione  del  maggiore  ap¬ 
parecchio  endocrino  dell'organismo. 

Per  quanto  riguarda  la  morfologia  delle  alterazioni  tiroidee, 
si  può  dire,  che,  con  la  distruzione  dell'elemento  glandolare  e 
dello  stroma  congiuntivo,  non  si  abbiano  concomitanti  processi 


—  220  — 


di  neoproduzione  connettivale  nè  di  leucocitosi  :  alla  distruzione 
graduale  della  glandola,  non  si  sostituisce  un  tessuto  connettivo, 
che  assolver  possa  la  fase  cicatriziale. 

Clinica  Chirurgica  della  R.  Università  di  Napoli. 


Finito  di  stampare  il  20  settembre  1923. 


Considerazioni  sulla  morfologia  delle  cel¬ 
lule  coltivate  in  vitro  rispetto  a  quella 
di  elementi  normalmente  liberi  in  tessuti 
patologici. 

Memoria 
del  socio 

Claudio  Gargano 


(Tornata  dell’  8  luglio  1923) 

Nella  Clinica  chirurgica  della  R.  Università  di  Napoli  ho 
quest’  anno  compiuto  numerosi  esperimenti  di  coltivazioni  in  vi¬ 
tro  di  tessuti,  servendomi  come  materiale  di  insemensamento  di 
tessuti  umani  normali  e  patologici,  e  di  tessuti  di  animali  vari. 
Per  i  tessuti  embrionali  (secondo  la  tecnica  comunemente  ac¬ 
cettata)  ho  prelevato  brandelli  di  embrioni  di  pollo  dal  5°  al  6° 
giorno. 

Senza  volere  entrare  in  dettagli  di  tecnica,  ciò  che  a  me  im¬ 
porta  di  dimostrare  si  è  che  le  culture  si  sono  verificate  esclu¬ 
sivamente  nei  mezzi  al  plasma,  e  che  fra  questi  mezzi  al  plasma, 
gli  autoplasmi  si  sono  appalesati  i  più  commendevoli  rispetto 
agli  omoplasmi  ed  agli  eteroplasmi,  avvertendo  altresì  che  non  è 
sempre  possibile  servirsi  degli  autoplasmi,  come  è  il  caso  per  i 
tessuti  embrionali  di  pollo. 

I  mezzi  minerali,  (liquido  di  Ringer  originale  e  modificato 
con  T  addizione  di  urea,  liquido  di  Locke  ugualmente  originale 
od  addizionato  ad  urea,  ecc.)  sono  apparsi  dei  buoni  liquidi  con¬ 
servativi  e  spesso  necessari  per  le  varie  manipolazioni  alle  quali 
il  pezzo  da  insemensare  deve  andare  incontro  prima  che  sia  im¬ 
merso  nei  terreni  al  plasma. 

I  tessuti  blastomatosi,  sebbene,  da  un  punto  di  vista  teore- 


—  222 


fico,  sembrassero  un  eccellente  materiale  per  la  coltivazione  in 
vitro ,  pure  nella  pratica  non  hanno  dato  quei  risultati,  che  si 
sarebbe  sperato;  questo  processo  di  fisio-patologia  sperimentale 
non  ha  quindi  per  nulla  chiarito  i  grandi  problemi,  che  si  agitano 
sulla  etiologia  e  sullo  sviluppo  della  cellula  neoplastica. 

1  tessuti  embrionali  poi  ,  che,  per  il  loro  rapido  accresci¬ 
mento  sembra  forniscano  dati  importanti  per  risolvere  leggi  di 
biologia  generale,  si  sono  anche  essi  dimostrati  un  mediocre 
materiale  per  il  fatto,  che  se  l'embrione  è  già  in  avanzato  grado 
di  sviluppo,  allora  i  risultati  sono  su  per  giù  identici  a  quelli 
dei  tessuti  adulti:  se  inyece  i  brandelli  provengono  da  embrioni 
nelle  prime  giornate  dello  sviluppo,  allora  non  è  facile  assodare 
la  natura  delle  cellule  insemensate  e  gli  AA.  con  un  termine  vago 
parlano  impropriamente  di  cellule  mesenchimali  (!) 

Quale  che  sia  il  tipo  animale  ,  che  ha  fornito  il  pezzo  da 
coltivare,  quale  che  sia  lo  stato  di  sviluppo  del  tessuto  in  pa¬ 
rola,  se  cioè  provenga  da  un  organo  adulto  od  embrionale,  i  ri¬ 
sultati  sono  abbastanza  identici:  si  hanno  nel  centro  del  pezzo 
una  serie  di  strati  cellulari ,  che,  per  necessità  imprescindibili 
dell'  habitat ,  sono  poco  nutriti,  strati  che  formano  la  cosidetta 
zona  asfittica,  la  quale  andrà  incontro  fatalmente  a  processi 
degenerativi.  Seguono  poi  all'  esterno  pochi  strati  cellulari  su¬ 
perficiali,  i  quali  si  trovano  nelle  condizioni  più  floride  per  pro¬ 
liferare,  perchè  nutriti  meglio  dal  plasma:  questi  strati  costitui¬ 
scono  la  zona  fertile;  dalla  zona  fertile  gli  elementi  debbono 
distaccarsi  per  disporsi  sulla  superficie  del  plasma,  debbono 
cioè  invadere  il  plasma.  Il  distacco  delle  cellule  dalla 
zona  fertile  è  evidente  che  avvenga  per  condizioni  peculiari  ine¬ 
renti  all'  habitat ,  le  quali  esplicar  si  debbono  in  processi  enzi¬ 
matici,  che  inducano  una  dissociazione  degli  elementi  fra  loro. 

Le  azioni  enzimatiche  dissociative  sono  da  paragonarsi  a 
quelle  descritte  da  Bottazzi  con  la  sottrazione  del  calcio  sulle 
cellule  epiteliali.  Orbene  gli  elementi  così  dissociati,  così  distac¬ 
cati  dalla  zona  fertile,  per  un  processo  di  divisione  indiretta,  o 
di  divisione  diretta,  finiscono  per  moltiplicarsi  e  per  allontanarsi 
sempre  più  sul  mezzo  nutritivo  :  la  facoltà  di  distacco  e  di  inva¬ 
sione  degli  elementi  anzidetti  ha  fatto  dare  a  questa  zona  il  nome 
di  zona  di  invasione. 


—  223  — 


I  vari  sistemi  consigliati  per  eliminare  dal  mezzo  nutritivo 
i  prodotti  metabolici  e  catabolici  delle  cellule  ivi  proliferate,  co¬ 
stituiscono  il  tipo  di  culture  secondarie,  terziarie,  ecc.  La  forma 
pertanto  degli  elementi  nelle  culture  primarie,  nelle  culture  se¬ 
condarie,  nelle  terziarie,  ecc.,  non  è  gran  fatto  dissimile:  le  cel¬ 
lule  coltivate  in  vitro  hanno  una  morfologia  abba¬ 
stanza  simile,  quale  che  sia  l'animale  che  le  ha 
fornito  e  quale  che  sia  il  pezzo  di  organo  in  se¬ 
me  n  s  a  t  o .  Si  ha  cioè  lo  sviluppo  di  cellule  più 
o  meno  appiattite  con  citoplasma  granuloso  ed 
un  grosso  nucleo  povero  di  sostanza  cro¬ 
matica. 

Per  quanto  possa  supporsi  o  debba  ammettersi,  che  una 
cellula,  per  coltivarsi  in  vitro ,  si  distacchi  dagli  elementi  vici¬ 
niori  e  quasi  si  riporti  al  tipo  di  un  organismo  unicellulare,  di 
un  protozoo,  pure  è  difficile  spiegarsi,  che  in  così  breve  spazio 
di  tempo  abbia  stabilizzato  dei  caratteri  così  remoti  della  sua  fi¬ 
logenesi,  da  permetterle  una  vita  autonoma  come  quella,  che 
possa  godere  un  protozoo. 

La  constatazione  che  in  una  cultura,  anche  primitiva,  di  ti¬ 
roide,  di  fegato,  di  connettivo,  ecc.,  le  cellule  sviluppatesi  sieno 
tutte  della  medesima  forma  e  non  lascino  per  nulla  scorgere  il 
tipo  cellulare,  dal  quale  provengono,  si  presta  a  parecchie  ipo¬ 
tesi,  sebbene  i  vari  ricercatori  non  si  sieno  dati  gran  pensiero, 
di  spiegare  la  cosa,  se  cioè  la  forma  sferoidale  non  debba  per 
caso  attribuirsi  a  fenomeni  degenerativi  iniziatisi  negli  elementi 
della  zona  fertile. 

E  stando  per  ora  nel  semplice  campo  di  una  discus¬ 
sione  critica  desunta  dalla  Bibliografia  ap¬ 
pare  che  per  molti  le  culture  in  vitro  sieno  effettivamente  de¬ 
stinate  ad  una  morte  più  o  meno  rapida,  il  che  darebbe  ragione 
della  forma  speciale  assunta  dagli  elementi  sviluppati,  forma  che 
è  di  solito  assunta  dalle  cellule  nelle  fasi  degenerative. 

Per  gli  autori,  che  invece  sostengono  la  possibilità  di  potere 
indefinitamente  tenere  in  vita  le  cellule  coltivate  in  vitro)  mercè 
culture  secondarie,  terziarie,  ecc.,  questa  peculiare  forma  e  strut¬ 
tura  cellulare  non  può  essere  spiegata  come  una  fase  degene- 


—  224  — 


rativa,  ma  deve  considerarsi,  forse,  dovuta  all  ' habitat ,  cioè 
funzione  del  nuovo  genere  di  vita. 

Dai  dettagli  innumeri  di  tecnica,  consigliati  dai  maggiori 
assertori  del  metodo,  quali  Carrel  e  Burrows  Montrose,  e  da 
altri  ricercatori,  si  rileva  un  dato  di  fatto  di  estrema  importanza, 
che  cioè  non  si  sia  ancora  raggiunta  la  possibilità  di  fornire  ai 
pezzi  insemensati  un  habitat  simile  a  quello  lasciato.  La  cultura 
in  vitro  non  riproduce,  almeno  in  teoria,  delle  condizioni  di 
ambiente  simili  a  ciò,  che  può  riscontrarsi  negli  autoinnesti  in 
sito  :  fra  cultura  di  tessuti  in  vitro  ed  innesti  di  tessuti  (che  pur 
sembrano  esperimenti  così  affini),  la  differenza  consiste  appunto 
in  ciò,  che  negli  innesti  un  gruppo  cellulare  può  ben  trovare 
nel  portainnesto  o  soggetto  un  habitat  tale  da  assicurarne  la 
nutrizione  e  da  permetterne  l'ulteriore  vita  e  sviluppo.  E  che 
questo  non  sia  un  supposto  del  tutto  dottrinale  lo  si  desume 
in  modo  incontrovertibile  oltre  che  su  dati  di  biologia  generale, 

ti 

anche  da  constatazioni  di  patologia.  Le  cellule  neoplastìche  in¬ 
fatti,  abbandonando  la  loro  primiera  sede  di  produzione,  per  la 
via  linfatica  o  per  quella  sanguigna,  vanno  a  trapiantarsi  in 
organi  lontani,  riproducendo  un  tumore  simile  per  tutti  i  carat¬ 
teri  al  primiero. 

Per  aversi  l'innesto  è  necessario  che  inter¬ 
vengano  due  condizioni  indispensabili  che  cioè 
il  pezzo  da  innestare  si  continui  a  mantenere 
vivente,  e  che  i  tessuti  messi  a  contatto  non  sia¬ 
no  di  specie  istologiche  o  biologiche  incompa¬ 
tibili,  così  per  esempio  sembra  che  non  possa  aversi  mai  lo 
innesto  di  pelle  sul  tessuto  muscolare,  ecc. 

Appare  anche  necessario  che  per  ottenersi  l'innesto  il  pezzo 
abbia  una  orientazione  determinata:  infatti  Vochting  (1884)  ha 
constatato  che  se  si  taglia  in  una  barbabietola  una  piramide  a 
base  rettangolare  e  si  ripone  il  pezzo  nella  cavità  formatasi,  si 
ha  un  saldatnento  perfetto,  ma  se  invece  lo  si  pone,  facendo 
subire  alla  piramide  un  giro  di  180°  intorno  al  suo  asse,  si  for¬ 
mano  dei  germogli  cicatriziali  e  mai  saldatura,  sebbene  la  coat- 
tazione  del  pezzo  sia  ugualmente  perfetta  come  nel  primo  caso. 

Ed  infine  sembra  indispensabile,  almeno  nella  serie  animale, 


—  225  — 


che  innesto  e  oggetto  appartengano  alla  mede¬ 
sima  specie,  cioè  che  gli  innesti  sieno  omolo¬ 
ghi,  omologia  dimostrata  dagli  esperimenti  di  Schòne  (1908; 
1912).  Il  citato  A.  ha  osservato  che  larghi  lembi  cutanei  di  topi, 
di  ratti  o  di  conigli  attecchivano  sempre  se  erano  portati  sullo 
stesso  animale,  quindi  negli  innesti  autoplastici  :  negli  omologhi 
si  aveva  l'attecchimento  solo  in  un  numero  limitato  di  casi:  negli 
eterologhi  l'innesto  era  sempre  negativo.  E  che  non  potesse  ad¬ 
debitarsi  il  non  attecchimento  a  mancanza  di  nutrizione  dell'in¬ 
nesto,  lo  si  desume  dal  fatto  che  i  lembi  si  necrosavano  non 
nei  primi  giorni  del  trapianto,  ma  dopo  molti  giorni  (7.-8),  e 
che  anzi,  se  questi  lembi — trasportati  su  di  un  animale  della 
stessa  specie  o  di  specie  diversa  —  dopo  3  o  4  giorni  venivano 
novellamente  portati  sopra  l'animale,  che  li  aveva  fornito,  l'at¬ 
tecchimento  era  costante. 

D'altra  parte  numerosi  esperimenti  tendono  a  dimostrare, 
che  notevole  sia  l' influenza  del  portainnesto  o  soggetto  sulla 
vita  e  sui  caratteri  del  pezzo  innestato,  e  che  invece  eccezionale 
debba  ammettersi  l'influenza  dell'innesto  sul  portainnesto. 

Se  di  questi  principi  di  Biologia  generale,  riguardanti  gli 
innesti,  si  fosse  dai  coltivatori  di  tessuti  in  vitro  tenuto  maggior 
conto,  io  credo  si  sarebbe  cercato  di  realizzare  dei  mezzi ,  che 
meglio  avessero  riprodotto  l 'habitat  lasciato,  e  d'altra  parte  gli 
AA.  non  si  sarebbero  ostinati  a  volere  ottenere  o  a  credere  di 
ottenere  culture  di  cellule  così  differenziate  come  quelle  epatiche, 
tiroidee,  nervose,  ecc. 

Ed  allora  sui  semplici  dati  fornitici  dalla  bibliografia  del¬ 
l'argomento  e  sui  dati  dell'istologia  patologica,  appare  in  modo 
incontrovertibile,  che  le  cellule  che  meglio  si  colti¬ 
vano  fuori  del  loro  primiero  punto  di  origine 
sieno  gli  elementi  neo  plastici  o  non  neo¬ 
plastici  trapiantatisi  per  metastasi  in  una 
glandola  linfatica  o  in  un  organo  qualsiasi. 
Per  quanto  non  debba  escludersi  la  possibilità  che  l'organismo 
cerchi  di  opporsi  allo  sviluppo  di  questo  gruppo  cellulare,  pure 
è  evidente,  che  le  cellule  in  parola  trovino  un  habitat  suffi¬ 
cientemente  consono  per  la  loro  ulteriore  vita  e  sviluppo. 


—  226  — 


Per  vero  anche  altri  elementi  cellulari  possono  distaccarsi 
dalla  loro  sede  di  origine  e  trovare  condizioni  buone  o  discrete 
di  esistenza;  è  questo  il  caso  delle  cellule  neoplastiche,  che  con¬ 
tinuano  a  vivere  per  un  certo  tempo  nelle  cavità  di  degenera¬ 
zioni  dei  neoplasmi. 

Petit  e  Germain  (1913),  a  proposito  di  alcuni  casi  interes¬ 
santi  di  fibroadenomi  massivi  o  cistici  della  mammella  nel  cane 
e  nella  gatta,  osservano,  che  nella  cavità  delle  cisti  si  trovino 
accumulate  numerose  cellule  desquamate,  di  cui  alcune  in  de¬ 
generazione,  mentre  altre  sembrano  viventi  ancora,  presentando, 
sebbene  sieno  separate  dalla  parete  nutritiva,  delle  figure  cario- 
cinetiche  ed  anche  delle  placche  equatoriali  indiscutibili.  Notano 
altresì  che  tali  cellule  rassomigliano  all'epitelio,  dal  quale  pro¬ 
vengono  senza  contestazione;  sono  arrotondite  e  qualche  volta 
aggruppate  in  ammassi  ;  la  maggior  parte  hanno  la  forma  ed  il 
volume  delle  cellule  connettive  embrionarie,  ma  il  loro  nucleo 
rileva  sempre  la  loro  origine  epiteliale,  del  resto  indiscutibile. 
E  tenendo  presenti  le  ricerche  di  Carrel,  affermano  essere 
queste  delle  prove  di  cultura  reale  di  cellule  epiteliali  desqua¬ 
mate,  che  aiuterebbero  a  comprendere  la  possibilità  di  coltivarle 
fuori  delborganismo,  a  condizione,  che  sieno  poste 
in  un  plasma  proprio  alla  loro  nutrizione. 

Anche  io  [Gargano  (1922,  2°)]  ho  potuto  constatare  l'esat¬ 
tezza  dell'affermazione  di  Petit  e  Germain  nelle  cavità  di  dege¬ 
nerazione  degli  epiteliomi  :  ho  notato  come  queste  cavità  si  pos 
sano  svolgere  in  qualsiasi  punto  degli  zaffi  epiteliali,  ma  che  in 
generale  ciò  avviene  più  di  frequente  nello  strato  degli  elementi 
poliedrici.  Le  cavità,  pare,  si  sviluppino  come  un  processo  di  de¬ 
viazione  di  una  cinesi  normale:  una  cellula  o  un  gruppo  limitato  di 
cellule  aumentano  di  volume,  il  loro  citoplasma  diviene  più  chiaro, 
il  nucleo  è  ricacciato  alla  periferia  e  degenera  per  un  processo  di 
lisi.  La  successiva  istolisi  dei  granuli  nucleari  e  del  citoplasma 
cellulare  porta  alla  formazione  di  cavità,  che  si  trovano  riempite 
di  una  sostanza  piasmatica  liquida.  Le  cellule  alla  periferia  della 
cavità,  essendo  a  contatto  con  gran  parte  della  loro  superficie 
con  un  habitat  diverso,  che  ha  costanti  fisico -chimiche  tanto 
differenti,  cambiano  la  fase  viscida  del  loro  citoplasma  in  una 
fase  meno  viscida  :  conseguenza  di  ciò  sarà  oltre  l'aumento  del 


227  — 


loro  volume  e  la  loro  trasformazione  in  elementi  appiattiti,  anche 
il  distacco  dalle  cellule  vicine.  Le  cellule,  immerse  nella  cavità, 
ho  notato  che  vanno  incontro  a  cariocinesi  atipiche,  a  forma¬ 
zione  atipica  di  corpi  di  Plimmer,  ad  inclusioni  di  cellule  in 
altre  cellule  ed  infine  a  degenerazione. 

Orbene  Yhabitat  degli  innesti,  delle  cellule  metastatiche,  e 
quello  delle  cellule,  che  vanno  evolvendosi  nelle  cavità  di  de¬ 
generazione,  non  può  per  nulla  paragonarsi  ai  vari  mezzi ,  che 
si  adoperano  per  le  culture  in  vitro  dei  tessuti.  E  se  l'attecchi- 
mento  degli  autoinnesti  in  sito  può  perfino  essere  ostacolato  dal 
semplice  fatto  del  cambiamento  di  polarità  dell'innesto  rispetto 
al  portainnesto,  appare  evidente  —  da  un  semplice  punto  di  vista 
teorico  —  quanta  difficoltà  si  appalesi  per  eliminare  tutte  le  cause, 
che  ostacolar  possono  la  vita  delle  cellule  coltivate  in  vitro . 

L'interpetrazione  delle  figure  cariocinetiche  negli  ele¬ 
menti  sviluppatisi  fuori  dellaloro  primiera 
sede  di  origine,  non  è  al  certo  dubbia  per  quanto  ri¬ 
guarda  le  cellule  neoplastiche  o  non  neoplastiche,  che  si  sono 
trapiantate  per  metastasi,  ed  anche  per  quelle  neoplastiche  che 
si  sono  andate  evolvendo  nelle  cavità  di  degenerazione  dei  tu¬ 
mori,  per  esempio  degli  epiteliomi,  con  l'avvertenza  che 
la  cinesi  di  queste  cellule  libere  non  porta 
allo  sviluppo  di  un  blastoma,  ma  alla  ge¬ 
nesi  di  cellule,  che  in  un  avvenire  più  o 
meno  prossimo  sono  destinate  alla  dege¬ 
nerazione. 

Non  è  qui  il  caso  di  assodare  se  le  cariocinesi  delle  cel¬ 
lule  metastatiche  neoplastiche  o  non  neoplastiche  si  svolga  con 
il  medesimo  ciclo  delle  cellule  site  nelle  cavità  di  degenerazione, 
o  se  il  ciclo  cinetico  di  questi  ultimi  elementi  si  avvicini  di  più 
o  di  meno  a  quello  delle  cellule  normali  :  certa  cosa  è  che  non 
può  mettersi  in  dubbio  tale  manifestazione  cellulare,  che  deve 
interpetrarsi  come  una  vita  della  cellula. 

La  cinesi  delle  cellule  coltivate  in  vitro  è  notevolmente  di¬ 
versa  per  ciclo  e  per  manifestazioni  e  porta  alla  genesi  di  cel¬ 
lule  molto,  ma  molto  dissimili  da  quelle  originarie,  le  quali,  anche 
nelle  migliori  evenienze  (culture  primarie,  secondarie,  ecc.),  vanno 
incontro  ad  una  morte  abbastanza  rapida,  non  esclusa  anche  la 


—  228  — 


ipotesi  che  molte  mitosi  rappresentar  possano  l'esponente  delle 
nuove  condizioni  di  vita,  e  non  reali  manifestazioni  moltiplicative 
della  cellula  insemensata. 

Tutti  poi  indifferentemente  parlano  di  culture  osservate  a 
fresco,  ovvero  fissate,  il  che  fa  per  lo  meno  presupporre  che 
gli  AA.  non  tengano  gran  conto  della  struttura  del  citoplasma  in 
genere  e  del  citoplasma  di  elementi,  che  si  vanno  sviluppando 
in  un  mezzo  così  dissimile  da  quello,  nel  quale  dovrebbero  vivere 
e  riprodursi. 

Il  citoplasma  delle  cellule  viventi  sia  alla  luce  diretta,  che 
col  rischiaramento  laterale  su  fondo  scuro,  appare  omogeneo, 
otticamente  trasparente,  ed  in  esso  sono  distinguibili  il  nucleo, 
il  condrioma  e  le  inclusioni  citoplasmatiche  per  il  fatto,  che 
queste  parti  cellulari,  essendo  colloidi  in  una  fase  più  viscida 
del  citoplasma  che  li  circonda,  hanno  un  indice  di  rifrazione 
più  alto.  I  vari  colloidi  cellulari  poi  per  condizioni  fisiologiche 
cambiano  la  loro  fase,  potendo  divenire  più  o  meno  viscidi  ed 
in  stati  patologici  addirittura  torbidi. 

Il  condrioma  cellulare,  che  è  visibilissimo  nelle  cellule  vi¬ 
venti,  per  l'elevato  indice  di  rifrazione  rispetto  a  quello  del  ci¬ 
toplasma  circostante,  si  rende  meno  appariscente  negli  stati  de¬ 
generativi  della  cellula,  per  sparire  anche  del  tutto,  e  dato  che 
gli  si  attribuisce  grande  importanza  nelle  funzioni  secretici  degli 
elementi  glandolari,  è  evidente  che  il  condrioma  non  dovrebbe 
ritrovarsi  nella  contingenza  di  una  cellula  glandolare,  che  cam¬ 
biando  siffattamente  la  sua  morfologia,  non  sembri  più  atta  ad 
una  funzione  secretrice  qualsiasi. 

La  struttura  del  condrioma,  ricco  in  sostanze  lipoidi,  che 
hanno  una  grande  affinità  per  i  sali  di  cromo,  ci  dà  la  spiega¬ 
zione  del  perchè  non  sarebbe  sempre  riconoscibile  negli  elementi 
coltivati  in  vitro.  La  fissazione  infatti  in  quasi  tutti  i  casi  si  tra¬ 
duce  in  una  coagulazione,  la  quale  è  differente  a  secondo  il  reat¬ 
tivo  impiegato,  assumendo  quindi  il  protoplasma  un  aspetto  dis¬ 
simile,  che  ha  fatto  dai  citologi  sostenere  in  varie  epoche  teorie 
molteplici  sulla  sua  struttura.  E  se  si  tiene  presente  che  anche 
un  medesimo  tipo  cellulare  con  medesimi  reattivi  può  dare  una 
visione  microscopica  diversa  per  variazioni  del  suo  stato  fisico, 


—  229  — 


Fig.  ) .  —  Cultura  di  24h  di  tessuto  tiroideo  di  coniglio  [Gargano  (microfotografia)]. 

citoplasma  molto  trasparente,  omogeneo ,  privo  di  un  apparec¬ 
chio  mitocondriale  e  di  inclusioni  citoplasmatiche:  le  reazioni 
chimiche  di  questo  protoplasma  non  sono  molto  definite  ,  esso 
non  mostra  nè  una  spiccata  basofilia,  nè  una  spiccata  acidofilia. 
Il  nucleo,  grande  e  poco  carico  di  sostanza  cromatica,  non  sem¬ 
bra  affatto  un  nucleo  di  una  cellula  epiteliale.  L'elemento  in  foto 
ha  molte  somiglianze  morfologiche  con  le  cellule  fuxinofile  o 
corpuscoli  di  Russel  rinvenuti  negli  epiteliomi  ed  in  altre  af- 


è  agevole  comprendere  ciò  che  verificar  si  deve  nelle  cellule  svi¬ 
luppate  in  vitro. 


Elementi  coltivati  "  in  vitro,,. —  Prendendo  in  esame 
due  tipi  di  cellule  coltivate  in  vitro  per  esempio  quelle  prove¬ 
nienti  daH'insemensamento  di  tessuto  tiroideo  e  di  un  brandello  di 
cuore  di  pulcino  si  possono  fare  non  poche  considerazioni. 

Un  brandello  di  tiroide  di  coniglio  insemensato  anche  in  un 
autoplasma  (fig.  1),  darà  sviluppo  ad  elementi  sferoidali  piccoli  con 


230  — 


fazioni  morbose,  ma  non  ha  pertanto  nessuno  dei  caratteri  che 
riscontrar  si  possono  in  una  cellula  embrionaria  neoplastica  sia 
epiteliale  che  connettivale,  con  una  cellula  carcinomatosa  o  sar- 
comatosa.  Evidentemente  tale  forma  e  struttura  sono  dovute  ad 
influenza  dell' habitat,  che  è  così  diverso  da  quello  lasciato,  e  che 
col  trascorrere  del  tempo  tende  a  divenire  sempre  più  dissimile. 
Ho  notato  infatti  che  in  rnoltj  casi  questi  elementi  sembrano 
cellule  endoteliali,  mentre  in  altri  differiscono  non  poco  da  esse, 
ed  allora,  basandosi  sul  solo  criterio  morfologico  più  che  su  quello 
strutturale  o  biochimico,  è  preferibile  ritenere  che  alcune  sieno 
elementi  endoteliali,  mentre  altre  rappresentino  cellule  del  paren¬ 
chima  della  glandola,  della  quale  si  sono  trapiantati  i  frammenti. 

Insemensando  con  la  medesima  tecnica  un  brandello  di  cuore 
di  pulcino  (fig.  2)  si  nota  che  il  movimento  ritmico  continua  per 


Fig.  2.  —  Cultura  di  24*1  di  tessuto  muscolare  cardiaco  di  coniglio"  [Gargano  (microfotogr.)]. 

un  tempo  variabile,  che  non  è  tanto  in  rapporto  col  mezzo  (sia 
questo  minerale  od  al  plasma)  quanto  con  la  grandezza  sua  e 


—  231  — 


£ 


con  tanti  altri  fattori,  che  non  è  facile  precisare.  Nelle  culture 
positive  si  ha  intorno  al  blocco  lo  sviluppo  della  zona  di  inva¬ 
sione,  che  porta  alla  genesi  di  elementi  appiattiti,  con  nucleo 
lenticolare  al  centro. 

Lo  svolgersi  di  questi  elementi  perturba  la  contrazione:  essi 
non  sembrano  per  nulla  elementi  muscolari,  almeno  non  ne  hanno 


Fig.  3.  —  Cultura  di  24^  di  tessuto  embrionale  (?)  di  pollo  al  5°  giorno  [Tortora  (microfot.)]. 

nè  la  morfologia,  nè  le  manifestazioni  vitali  e  sempre  manca  in 
essi  il  fenomeno  della  birifrangenza,  che  invece  è  costante,  in 
tutte  le  strutture  contrattili.  Per  vero  qualche  volta  si  hanno  cel¬ 
lule  con  prolungamenti,  che  raggiungono  quelli  delle  cellule  vi¬ 
cine  e  che  si  fondono  con  essi:  in  queste  condizioni  è  evidente 
che  non  possa  affermarsi  con  sicurezza  se  gli  elementi  in  parola 
sieno  fibrocellule  muscolari  o  elementi  generatisi  da  cellule  en- 
doteliali  delle  lacune  linfatiche,  ma  ciò  che  sembra  certo  si  è, 
che  essi  non  hanno  la  struttura  per  poter  presentare  fenomeni 
di  contrattilità ,  perchè  per  aversi  la  contrazione 
della  fibra  muscolare  si  deve  verificare  il 
fatto  che  la  fibrilla,  s  i  p  a  r  1  i  d  i  e  1  e  m  en  ti  stria  ti 
olisci,  avendo  una  forma  allungata  e  termi- 


—  232  — 


nata  a  punta  da  ambo  i  lati,  possa  accor¬ 
ciarsi  nel  suo  diametro  maggiore,  se  una 
tensione  sia  esercitata  uniformemente  su 
tutta  la  superficie. 

Le  figure  cariocinetiche  riscontrate  nelle  cellule  coltivate  in 
vitro ,  come  si  è  detto,  non  possono  paragonarsi  alle  cinesi  di 
elementi  normali  e  patologici  sia  epiteliali  che  connettivali,  aven¬ 
dosi  come  epilogo  della  mitosi  cellule  sempre  più  dissimili  dalle 
generatrici.  Cercando  poi  di  mantenere  in  vita  con  insemensa- 
menti  secondari,  terziari,  ecc.  le  culture,  si  ha  che  gli  elementi 
svoltisi  non  presentano  più  Y  attività  riproduttiva  e  per  di  più 
sono  destinati  a  degenerare  ed  a  morire  in  un  tempo  variabile 
dagli  8  ai  10  giorni. 

Del  tutto  recentemente  Tortora  (1923)  nella  Clinica  Chi¬ 
rurgica  della  R.  Università  di  Napoli  in  una  notevole  memoria 


Fig.  4.  —  Cultura  di  24^  di  tessuto  connettivo  normale  di  uomo  [Tortora  (microfotografia)]. 

in  corso  di  pubblicazione  pare  non  sia  stato  molto  più  fortu¬ 
nato  di  me  nell'ottenere  in  vitro  elementi  (figg.  3  e  4),  che  pos¬ 
sano  con  sicurezza  far  riconoscere  la  loro  genesi  epiteliale  o 
connettivale. 


—  233  — 


§gr  E  volendo  altresì  eseguire  un  lavoro  di  revisione  delle  fi¬ 
gure  .annesse  alle  memorie  degli  osservatori,  che  mi  hanno  pre¬ 
ceduto  in  così  arduo  cimento,  si  resta  molto  perplessi  ad  accet¬ 
tare  l'interpretazione  data  da  questi  ricercatori  sul  tipo  di  tes¬ 
suto  svoltosi  nelle  culture  (figg.  5-15), 


Fig.  5.  —  Cultura  di  48^  di  pelle  di  embrione  di  pollo  [Carrel  e  Burrows  Montrose  (microf.)]. 

Elementi  metastatici  neoplastici.  —  Nelle  me¬ 
tastasi  sia  per  tumori  epiteliali  (figg.  16  e  17)  che  connettivali 
(fig.  18)  è  agevole  riscontrare  trapiantati  elementi  blastomatosi  li¬ 
beri  nella  glandola  o  nell'organo  enficiato;  essi  assumono  effettiva¬ 
mente  una  forma  sferoidale,  perdono  i  prolungamenti,  ma  sono 
sempre  cellule  che  lasciano  riconoscere  la  loro  origine.  Non  po¬ 
trà  mai  confondersi  una  cellula  metastatica  di  un  carcinoma  con 
quella  di  un  sarcoma.  Gli  elementi  in  parola  si  riproducono  in¬ 
cessantemente  come  il  tumore  primario,  anzi  forse  più  incessan¬ 
temente  del  tumore  primario,  in  guisa  che  in  qualche  evenienza 
la  metastasi  può  raggiungere  un  volume  superiore  a  quello  del 
neoplasma  dal  quale  ha  avuto  origine. 


Elementi  metastatici  non  neoplastici.  —  Ho 
preso  in  esame  alcune  metastasi  polmonali  in  ratto  (fig.  19)  verifica- 
tesi  in  seguito  all'  inoculazione  di  poltiglia  placentare  nel  peritoneo 
[(Romano  1921)].  Il  tessuto  polmonare  non  è  più  riconoscibile  ; 
si  nota  nel  preparato  una  struttura  trabecolare,  che  ricorda  quella 
delle  vescicole  polmonari,  con  1'  avvertenza  che  le  trabecole  ri¬ 
sultano  costituite  di  tessuto  placentare,  dal  quale  si  distaccano 


Fig.  6. —  Cultura  di  peritoneo  di  feto  di  gatto  |Ingebrigtsen  (microfotografia)]. 


nell’  interno,  delle  cellule  libere  sferoidali  con  nucleo  grande  ve¬ 
scicolare,  carico  di  sostanza  cromatica  e  con  citoplasma  forte¬ 
mente  acidofilo.  Gli  elementi  placentari  liberi  rassomigliano  per 
molti  caratteri  alle  cellule  coltivate  in  vitro ,  provenienti  per  e- 
sempio  dalla  cultura  di  tessuti  embrionali  di  pollo,  ma  presen- 


Fig.  7.  —  Cultura  di  peritoneo  di  feto  di  gatto,  maggiore  ingrandim.  [Ingebrigtsen  (microfot.)]. 


Fig.  8.  —  Cultura  di  rene  di  topo  [Drew 
(microfotografia)]. 


Fig.  9.  —  Cultura  di  rene  di  topo  [Drew 
(microfotografiaj) . 


•  -  •  ••  7* 


—  236  — 


Fig.  10.  —  Cultura  di  carcinoma  di  20*1 
[Drew  (microfotografia)]. 


Fig.  11.  — Cultura  di  rene  adulto  [Drew 
(microfotografia)]. 


Fig.  12.  —  Cultura  di  miocardio  dPpulcino  al  12°  giorno  [Levi  (disegno)]. 


■ 


Fig.  13.  —  Cultura  di  tronco  (?)  di  embrione  di  pollo  [Levi  (disegno)]. 


Fig.  14.  —  Cultura  di  parete  di  stomaco  di  pulcino  [Levi  (disegno)]. 


Fig.  15.  —  Cultura  di  cuore  di  pulcino  di  4  giorni  [Levi  (disegno)]. 


tano  una  caratteristica  importante  ed  è  di  una  incessante  ripro¬ 
duzione.  Non  entrerò  nella  difficile  disamina  se  una  metastasi  di 
tal  natura  si  possa  paragonare  ad  un  blastoma,  ad  un  corioepi- 


F/'  Fig.  16.  —  Nidi  epiteliali  metastatici  in  glandola  linfatica  ascellare  [Gargano  (disegno)] . 

telioma  ;  certa  cosa  è  che  le  cellule  in  parola  hanno  tutta  la  ca¬ 
ratteristica  di  un  tessuto  vivo,  vitale,  rigoglioso,  che  non  sembra 
destinato  ad  una  rapida  degenerazione. 

Elementi  liberi  in  cavità  di  degenerazio¬ 
ne  degli  epiteliomi.  —  Come  hanno  notato  Petit  e  Ger- 
main  (1913)  e  come  ho  potuto  osservare  anche  io  [(Gargano 
(1922)],  è  facile  riscontrare  negli  epiteliomi  delle  cavità  di  dege¬ 
nerazione  (fig.  20  e  21),  che  sembra  abbiano  il  loro  inizio  in 


Fig.  18.  —  Metastasi  sarcomatosa. 

Elementi  magnifuso  cellulari  in  attiva  proliferazione  [Gargano  (disegno)]. 


Fig.  19.  —  Metastasi  di  tessuto  placentare  in  polmone  di  ratto  [Gargano  (disegno)]. 


—  242  — 


Figg.  20-21. — Epitelioma  di  cane. 

Zaffi  epiteliali  con  cavità  di  degenerazione  [Gargano  (disegno)]. 


processi  cinetici  aberranti  della  cellula  blastomatosa.  Per  pro¬ 
babile  sviluppo  di  enzimi  le  cellule  alla  periferia  di  queste  cavità 
vanno  continuamente  distaccandosi,  restando  libere  nelle  cavità: 
ivi  subiscono  processi  moltiplicativi,  ma  pur  anco  regressivi. 

Paragonando  la  morfologia  degli  elementi  liberi  nelle  cavità 
di  degenerazione  con  quelli  epiteliomatosi  degli  zaffi  pieni,  al 
certo  quelli  hanno  un  aspetto  meno  poliedrico,  quasi  sferoidale, 
hanno  caratteri  più  consoni  alla  nuova  vita,  ma  non  perdono 
mai  gli  attributi  di  cellule  epiteliomatose.  Ho  potuto  constatare 
che  la  cellula  libera  nella  cavità  di  degenerazione ,  riportata  ad 
un  tipo  primordiale  di  elemento  sferoidale  appiattito,  aumenta 
di  volume.  Tale  aumento  è  quello  che  contribuisce  a  spingerla 
alla  cinesi  o  alla  produzione  di  corpi  di  Plimmer,  che  considero 
come  una  deviazione  dal  normale  movimento  mitotico.  Si  hanno 
stadi  più  o  meno  normali  od  aberranti  di  sinapsi  con  l'appari¬ 
zione  di  uno  o  di  due  centrosomi ,  abbiamo  corpi  di  Plimmer, 
originati  da  tre  nuclei,  dissoluzioni  del  corpo  di  Plimmer,  e  del 
nucleo,  si  ha  l'apparizione  di  tre  fusi  direzionali,  di  cellule  binu¬ 
cleate  ed  infine  l'inclusione  di  una  cellula  in  un'altra. 

Conclusioni. 

Dalla  revisione  dei  numerosi  preparati  di  tessuti  coltivati  in 
vitro,  di  metastasi  neoplastiche  e  non  neoplastiche  e  di  cellule 
evolventisi  in  cavità  di  degenerazione  di  blastomi,  si  può  dedurre 
che  gli  elementi  coltivati  in  vitro  (a  differenza  delle  cellule  me¬ 
tastatiche  e  libere  dei  blastomi)  non  rassomigliano  per  nulla  a 
quelli  che  li  avrebbero  dovuto  originare,  apparendo  cellule  sui 
generis,  le  quali,  sembra,  si  sieno  sforzate  di  assumere  dei  ca¬ 
ratteri  più  consoni  al  nuovo  habitat,  ma  che  non  hanno  potuto 
stabilizzare  tali  caratteri,  in  guisa  da  essere  candidate  a  degene¬ 
razione  ed  a  morte. 


Clinica  Chirurgica  della  R.  Università  di  Napoli. 


LAVORI  CITATI  (i 


1913.  Gargano,  C.  —  1.  Innesti  di  tessuti .  Generalità :  Giorn.  Intern. 
Se.  Med.  Napoli,  Voi.  35,  p.  884. 

1922.  —  —  2.  Inclusioni  di  cellule  negli  epiteliomi:  Boll.  Soc.  Nat. 
Napoli,  Voi.  34,  p.  169,  T.  4-8. 

1922.  —  —  3.  Esperimenti  di  cultura  “  in  vitro  „  di  tessuti  di  Se- 
laci :  Ibid.  p.  210. 

1923.  —  —  4 .La  cultura  dei  tessuti  dei  Setacei  “  in  vitro  „  :  Pubbl. 
Staz.  Z.  Napoli,  Voi.  4,  p.  13. 

1923.  —  —  5.  Coltivazione  "in  vitro,,  di  epiteliomi  umani :  Ann. 
Ital.  Chir.  Napoli,  Voi.  2,  p.  184. 

1913.  Petit,  G.  -  Germain,  R.  —  Cing  observations  d’ épithéliome  villeux 
ou  dentritique  (épithéliomes  pipillaires,  papillo-épithéliomes )  de 
la  mamelle,  chez  la  Chienne  et  la  Chatte :  Bull.  Ass.  Frang.  pour 
l’Étude  du  Cancer,  Paris,  Tome  6,  p.  17. 

1920.  Romano,  G.  —  1.  Trapianti  placentari :  Riforma  Med.  Napoli,  An¬ 
no  36,  N.  13. 

1921.  —  —  2.  —  —  :  Folia  Gynaecologica,  Voi.  14,  N.  14. 
1912.  Schòne,  G.  —  Ueber  Transplantations  immunitàt :  Mùnchener 

Med.  Wochenschr.,  61  Bd.,  p.  457. 

1884.  Wòchting,  O.  H.  —  Ueber  transplantion  am  Pflanzen-Korper  : 
Nachrichten  von  der  Kònigl.  Gesellsch.  der  Wissensch.  und  der 
Georg  -  Augusts  -  Universitàt  zu  Gòttingen,  p.  389. 


Finito  di  stampare  il  10  ottobre  1923. 


0  Le  notizie  bibliografiche  riguardanti  le  culture  dei  tessuti  in  vitro  si 
trovano  nella  memoria  N.  4  e  5  di  Gargano. 


Studi  sulla  bioluminescenza  batterica. 

7*  Azione  dei  sali  di  potassio* 

Ricerche 
del  socio 

Prof*  Giuseppe  Zirpolo 


(Tornata  del  29  aprile  1923) 

In  una  mia  precedente  Nota  mi  sono  occupato  delibazione 
dei  sali  radioattivi  sulla  bioluminescenza  batterica. 

Ho  voluto  in  seguito  fare  delle  esperienze  anche  con  i  sali 
di  potassio,  tenuto  conto  della  radioattività  di  questo  metallo  e  dei 
risultati  davvero  interessanti  ottenuti  dallo  Zwaardemaker  e  da 
tutta  una  schiera  di  fisiologi  che  si  sono  occupati  dell’argomento. 

Espongo  in  questa  breve  nota  i  risultati  ottenuti,  per  ora, 
col  nitrato  di  potassio  e  posso  dire  che  essi  confermano  quanto 
oggi  si  conosce  sul  potassio  e  sulla  sua  radioattività. 

Materiale  di  studio  e  tecnica. 

Mi  son  servito  al  solito  di  brodo  di  seppia  sterilizzato  di 
cui  ho  già  dato  ampie  notizie  nei  miei  precedenti  lavori. 

Ho  voluto  ancora  studiare  il  Bacillus  pieratitonii  Zirpolo 
per  avere  unicità  di  materiale  di  studio  nelle  ricerche  sulla  bio¬ 
luminescenza. 

Nei  varii  tubi  venne  introdotta  eguale  quantità  di  brodo  in 
cui  furono  fatte  diluizioni  precise  di  nitrato  di  potassio  in  con¬ 
centrazione  da  1:5  a  1:  20  000  000,  e  poi  tutto  fu  sterilizzato 
in  modo  da  non  alterare  la  natura  del  liquido. 

Le  osservazioni  vennero  fatte  seralmente.  Nei  primi  giorni 
ogni  sera  e  poi  ad  intervallo  di  varii  giorni. 


—  246  — 


Qui  riferisco  le  esperienze  eseguite  nel  marzo-aprile  del  1921. 
Tutte  le  altre  vengono  assorbite  da  queste,  delle  quali  poi  non 
sarebbero  che  una  ripetizione.  Per  ogni  serie  di  tubi  ne  veniva 
posto  uno  di  controllo. 

Azione  del  nitrato  di  potassio* 

La  sera  del  5  marzo  venne  fatta  la  semina  dei  bacilli  fo¬ 
sforescenti  nei  tubi  preparati  con  diluizioni  di  nitrato  di  potassio 
da  1:5  a  1:20  000  000.  La  sera  seguente  comparve  la  luce  in  tutti 
i  tubi,  eccetto  in  quello  con  diluizione  1:5. 

Nelle  sere  successive  nei  tubi  la  luce  andò  sempre  più  in¬ 
tensificandosi  fino  al  20  marzo. 

Il  21  marzo  i  tubi  con  diluizione  1:10  e  1:20  si  oscurarono, 
mentre  tutti  gli  altri  rimasero  luminosi  e  così  nelle  sere  seguenti 
sebbene  la  loro  luce  incominciasse  a  sbiadirsi  lentamente,  più 
presto  nei  tubi  con  diluizione  1:50;  1:100;  1:200;  1:500;  1:1000; 
1:2000,  più  tardi  in  tutti  quanti  gli  altri. 

Verso  la  fine  del  mese  di  aprile  la  luce  scomparve  in  quasi 
tutti  i  tubi,  rimanendo  appena  impercettibile  in  quelli  in  cui  la 
diluizione  raggiungeva  le  cifre  più  alte,  ma  nei  tubi  di  controllo 
era  già  scomparsa  completamente. 

Dalle  precedenti  ricerche  si  deduce  che  il  nitrato  di  po¬ 
tassio  è  tossico  per  il  Bacillus  pierantonii  Zirpolo  nella  dilui¬ 
zione  1:5,  tutte  quante  le  altre  diluizioni  da  1:10  a  1:20000000 
fanno  aumentare  l’intensità  e  la  durata  della  luminosità. 

Il  comportamento,  inoltre,  del  nitrato  di  potassio  è  analogo, 
entro  determinati  limiti,  a  quello  dei  sali  radioattivi. 

Napoli ,  Stazione  Zoologica,  marzo  1923. 


BIBLIOGRAFIA 


1918.  Zirpolo,  G.  —  I  batteri  fotogeni  degli  organi  laminosi  di  Sepiola 
intermedia  Naef.  (Bacillas  pierantonii  n.  sp.)  Boll.  Soc.  Nat.  Na¬ 
poli  Voi.  30,  p.  206,  Tav.  6. 

1919.  —  —  /  batteri  fosforescenti  e  le  recenti  ricerche  sulla  biofoto¬ 
genesi:  Natura,  Riv.  Se.  Nat.  Voi.  10,  p.  60,  Milano. 

1920.1  —  —  Studii  sulla  bioluminescenza  batterica.  1.  Azione  de¬ 

gl'ipnotici.  Riv.  Biol.  Roma.  Voi.  2,  p.  52. 

1920.2  —  —  Idem.  2.  Azione  dei  sali  di  magnesio.  Boll.  Soc.  Nat. 

Napoli  Voi.  32,  p.  112. 

1920.3  —  —  Idem.  3.  Azione  dei  raggi  emanati  dal  bromuro  di  ra¬ 

dio.  Ibid.  Voi.  23,  p.  76. 

1921.  —  —  Idem.  4.  Azione  dei  sali  radioattivi.  Natura,  Riv.  Se. 

Nat.  Milano,  Voi.  12,  p.*139. 

1922.1  —  —  Idem.  5.  Azione  del  nitrato  di  cerio.  Boll.  Soc.  Nat. 

Napoli,  Voi.  34,  p.  46. 

1922.2  —  —  Idem.  6.  Azione  dei  sali  di  chinina,  caffeina,  cocaina 

e  stricnina.  Natura,  Riv.  Se.  Nat.  Voi.  13,  p.  70,  Milano,  1922. 

1921.1  Zwaardemaker,  H.  —  The  replacement  of  Potassium  by  Uranium 

in  perfusion  of  heart.  Journ.  Phys.  Voi.  53,  p.  3. 

1921.2  —  —  et  Feenstra,  T.  P.  —  Substitution  du  potassium  par  Té- 

manation  de  radium ,  datis  le  liquide  de  Sidney  Ringer.  C.  R. 
Soc.  Biol.  T.  84,  p.  704. 


Finito  di  stampare  il  30  novembie  1923. 


Una  specie  fossile  di  Gerionide  (Decapodi 
brachiuri) 

del  socio 

Giuseppe  Colosi 


(Tornata  del  12  agosto  1923) 


Devo  alla  gentile  benevolenza  del  Prof.  C.  F.  Parona,  Di¬ 
rettore  dell'Istituto  di  Geologia  della  R.  Università  di  Torino,  se 
ho  potuto  esaminare  un'interessante  forma  fossile  appartenente 
al  gruppo  dei  Gerionidi  ed  unico  rappresentante  fossile  di  tale 
gruppo,  a  meno  che  analoghe  forme  non  siano  state  preceden¬ 
temente  attribuite  ad  altre  famiglie,  il  che  non  ho  avuto  campo 
di  accertare,  mentre  d'altra  parte  i  loro  caratteri  di  affinità  con 
i  Geryon  attuali  sono  tali  che  ogni  altra  posizione  sistematica 
mi  sembra  senz'altro  da  scartare. 

I  vari  campioni  sono  stati  trovati  in  buono  stato  di  conser¬ 
vazione  entro  concrezioni  calcaree  in  forma  di  ciottoli  roton¬ 
deggianti  od  elissoidali,  qualche  volta  uniti  a  due  ed  assumenti 
aspetto  di  manubrio,  inclusi  in  marne  di  origine  probabilmente 
neogenica  che  costituiscono  una  caratteristica  formazione  a  capo 
S.  Pablo  nella  Terra  del  Fuoco  ove  furono  raccolti  dal  Rev.  P. 
De  Agostini. 

Con  squisita  gentilezza  il  Rev.  P.  A.  Tonelli  mi  permise 
l'esame  di  numerosi  altri  campioni  da  lui  raccolti  alla  Terra  del 
fuoco,  a  Cerro  della  Lena  presso  la  Missione  Candelaria  e  due 
campioni  raccolti  a  Capo  Sunday,  non  lontano  dalla  Missione, 
tutti  conservati  nel  Museo  dell'Istituto  Salesiano  di  Torino  :  an¬ 
che  questi  erano  inclusi  entro  concrezioni  e  facevano  parte  di 
un  conglomerato  alternato  con  arenarie  con  fossili  propri  e  fos¬ 
sili  rimaneggiati  :  anche  P.  Tonelli  attribuiva  il  conglomerato 


—  249  — 


all'atto  terziario  e  ad  origine  costiera.  Dei  crostacei  di  Cerro 
della  Lena  la  maggior  parte  appartengono  alla  stessa  specie  se¬ 
gnalata  a  S.  Pablo;  due  altre  specie  sono  tali  che  il  loro  stato 
di  conservazione  non  ne  permette  lo  studio  :  uno  è  un  oxirinco 
l'altro  sembra  un  galateide.  I  due  campioni  di  Capo  Sunday  sono 
della  medesima  specie  di  quelli  di  Capo  S.  Pablo. 

La  specie  studiata  presenta,  come  dicevo,  le  maggiori  affi¬ 
nità  con  le  specie  del  gen.  Geryon ,  le  cui  affinità  e  la  cui  posi¬ 
zione  sistematica  sono  state  molto  discusse.  Esso  è  stato  ascritto 
prima  ai  Catometopa)  poi  ai  Cyclometopa.  Miers  (1886)  lo  pose  fra 
i  Carcinoplacini  ed  Ortmann  (1901)  seguendo  lo  stesso  criterio 
lo  poneva  pure  nei  Catometopa  fra  i  Carcinoplacidae.  Milne- 
Edwards  e  Bouvier  (1894  e  1899)  lo  situavano  con  maggior  ra¬ 
gione  tra  i  Cyclometopa;  ma  mentre  da  una  parte  ne  vedevano 
le  affinità  col  gen.  Galene ,  d'altra  parte  lo  ravvicinavano  a  Car¬ 
dilo  plax  e  a  Pseudorhombila  che  sono  dei  Catometopi  netti.  Gli 
stessi  autori  infine  (1901)  lo  ascrissero  alla  famiglia  dei  Galeni- 
dae.  Alcock  (1899)  lo  incluse  nella  famiglia  dei  Xantidae  e  nella 
sottofamiglia  dei  Galeninae.  Spetta  a  Doflein  (1904)  il  merito 
di  averne  riconosciuto  le  affinità  coi  Potamonidi  tanto  da  inclu¬ 
derlo  nella  stessa  famiglia  dei  Potamonidae  (ciò  a  cui  però  non 
si  può  consentire  da  tutti). 

Anche  per  molto  tempo  i  Potamonidi  erano  stati  riferiti  ai 
Catometopa ,  finché  Dana  non  fece  osservare  che  essi  presenta¬ 
vano  caratteri  che  dovevano  farli  ascrivere  ai  Cyclometopa'.  il  suo 
criterio  fu  poi  seguito. 

Circa  poi  le  maggiori  affinità  dei  Potamonidi,  Alcock  li 
ravvicina  sopratutto  agli  Oziinae  e  agli  Eriphiinae.  Ma  veramente 
pare  che  essi  siano  da  raccostarsi  più  che  altro  alle  forme  del 
gen.  Geryon ,  col  quale  però  è  conveniente  istituire  una  famiglia 
dei  Geryonidae  ben  distinta  benché  vicinissima  a  quella  dei  Po¬ 
tamonidae ,  Tra  i  Potamonidae  vi  è  un  genere  di  cui  rilevai 
(1920)  la  primitività  e  che  perciò  contrapposi  a  tutti  gli  altri  ge¬ 
neri  della  famiglia:  esso  comprende  la  sola  Platythelphusa  armata 
Milne-Edwards  rappresentante  della  sottofamiglia  dei  Propota- 
monida.  Ebbene,  Platythelphusa  fra  tutti  i  potamonidi,  è  quello 
che  più  si  avvicina  ai  Geryonidae  per  la  collocazione  delle  an. 
tenne  e  per  la  conformazione  delle  orbite. 


—  250  — 


Dei  Geryomidae  attualmente  viventi  si  conoscono  sei  specie 
tutte  appartenenti  al  gen.  Geryon.  Esse  sono:  G.  longipes  Mil- 
ne  Edwards  del  Mediterraneo  e  del  Golfo  di  Biscaglia,  G.  af¬ 
fiate  Milne  Edwards  e  Bouvier  delle  Azorre,  delle  coste  atlan¬ 
tiche  dell'Africa  meridionale  presso  il  tropico  del  Capricorno  e 
delle  coste  della  Somalia  e  dell'India  meridionale,  G.  quitique- 
dens  S.  Smith  del  Nord-Atlantico  occidentale,  H.  tridens  Kro- 
yer  del  Nord- Atlantico  orientale,  G.  trispinosus  (Herbst)  De 
Man  delle  Indie  e  del  Giappone  e  G.  paulensis  Doflein  di 
Nuova  Amsterdam  nell'Oceano  Indiano.  G .  incertus  Miers,  sta¬ 
bilito  sopra  un  esemplare  molto  giovane  e  in  cattivo  stato  di 
conservazione  proveniente  dalle  Bermude,  secondo  l’opinione  di 
Milne-Edwards  e  Bouvier,  seguita  da  Doflein,  è  probabilmente 
da  escludere  dal  gen.  Geryon.  Giova  ricordare  che  la  compara¬ 
zione  tra  le  diverse  specie  descritte  aveva  portato  Doflein  alla 
conclusione  che  ci  si  trovasse  presenti  ad  una  sola  specie  co¬ 
smopolita  e  propria  di  grandi  profondità;  ad  ogni  modo  egli  per 
prudenza  mantiene  le  specie  descritte  le  quali  per  ora  presen¬ 
tano  caratteri  distintivi  notevoli,  caratteri  forse  anche  dovuti  ad 
influenze  ambientali  o  a  differenze  di  stadio  di  sviluppo  ma  che 
solo  in  seguito  a  nuovi  e  numerosi  reperti  potranno  essere  ri¬ 
conosciuti  come  non  specifici. 

Il  fossile  da  me  studiato  si  scosta  da  tutte  le  forme  attuali 
di  Geryon  per  un  carattere  molto  appariscente:  le  orbite  ocu¬ 
lari  sono  molto  larghe  tanto  che  la  distanza  fra  la  spina  fron¬ 
tale  esterna  e  la  spina  extraorbitale  è  circa  doppia  della  distanza 
tra  le  due  spine  frontali  esterne.  Tale  carattere  giustifica  la  crea¬ 
zione  di  un  nuovo  genere  Archaeogeryon  ben  distinto  dal  gen. 
Geryon ,  in  cui  la  distanza  tra  la  spina  frontale  esterna  e  la  spi¬ 
na  extraorbitale  è,  al  più,  uguale  alla  distanza  fra  le  due  spine 
frontali  esterne. 

Le  forme  attuali  del  gen.  Geryon  sono  state  rinvenute  in 
vicinanza  dei  continenti,  ma  sempre  a  grandi  profondità  che  può 
superare  i  2000  m.;  eccezionalmente  si  è  avuto,  per  G.  trispi¬ 
nosus ,  qualche  reperto  a  mediocre  profondità. 

La  specie  di  Archaeogeryon  da  me  studiata  doveva  essere 
invece  strettamente  costiera.  Ciò  mi  fu  fatto  osservare  dal  Prof. 
Parona  il  quale  esaminò  sia  la  natura  della  roccia  di  Capo  S. 


Pablo  sia  parecchi  molluschi  in  essa  contenuti  ed  appartenenti 
ai  generi  Volata  (con  forme  proprie  delle  spiagge  sabbiose), 
Tadicla ,  Turritella  (che  giunge  fino  a  127  metri  di  profondità) 
Solarium  ed  altri,  meno  perfettamente  conservati,  e  attribuibili 
ai  gen.  Aporr hais  ( Chenopos ),  Cassidaria  e  Lucina. 

Vhabitat  batimetrico  dei  due  generi  è  quindi  ben  diverso. 
Nel  gruppo  affine  dei  Potamonidae  abbiamo  forme  prevalente¬ 
mente  d'acqua  dolce,  ma  che  possono  vivere  anche  sulla  terra; 
talune  forme  sono  acclimatate  alle  acque  salate  e  salmastre;  Pla- 
tythelphusa  è  stata  trovata  da  60  a  500  piedi  di  profondità  nel 
lago  Tanganica,  ma  vive  bene  anche  al  di  fuori  dell'acqua  e  ad 
una  certa  distanza  da  essa. 

Archaeogeryon  fuegianus  n.  sp. 

Cefalotorace  grande,  raggiungente  perfino  cm.  10  di  lun¬ 
ghezza  e  circa  cm.  13  di  larghezza,  un  poco  ristretto  posterior¬ 
mente.  Scudo  dorsale  uniformemente  granuloso,  con  superficie 
appiattita  ma  ineguale  per  cospicue  creste  ed  emergenze,  spinoso 
lungo  i  margini  anteriori  e  latero-anteriori.  Fronte  con  quattro 
spine  subeguali  in  lunghezza,  le  due  mediane  ravvicinate,  le  due 
esterne  un  pò  più  distanti  dalla  mediana  e  più  larghe  alla  base. 
Orbite  larghissime;  margine  superiore  sinuoso  finemente  e  fit¬ 
tamente  denticolato,  margine  inferiore  con  denti  più  radi  ma  più 
regolari  sottili  ed  acuti  e  con  un  lobo  lamellare  angoloso,  ap¬ 
puntito,  sporgente  all'innanzi,  più  prossimo  alla  spina  frontale 
esterna  che  alla  spina  extraorbitale.  I  margini  laterali  dello  scudo 
sono  armati  in  modo  estremamente  simile  a  quanto  si  osserva 
in  Geryon  paulensis :  dietro  ogni  spina  extraorbitale  lamellare  ed 
appuntita  vi  è  un  tubercolo  conico,  a  cui  segue  una  grossa  spina 
conica  e  acuta,  e  poi  un  nuovo  tubercolo  ed  infine  una  robustis¬ 
sima  spina.  L'estremità  della  spina  extraorbitale  raggiunge  la  base 
della  spina  frontale.  Dietro  la  fronte  si  notano  un  paio  di  pic¬ 
coli  lobi  epigastrici  ottusi  e  smussati.  Forca  dei  solchi  mesoga- 
strici  mediocremente  delineata,  solchi  posteriormente  evanescenti; 
ai  due  lati  della  forca  una  cresta  trasversa  sinuosa  che  divide  la 
regione  protogastrica  dalla  metagastrica;  al  disotto  di  ciascuna 
cresta  un  piccolo  tubercolo  rotondo  a  cui  segue  posteriormente 
ed  un  pò  all'indentro,  sempre  nella  regione  metagastrica,  una 


—  252  — 


forte  punteggiatura.  Un  cospicuo  tubercolo  ottuso  angoloso  ac¬ 
canto  e  posteriormente  alla  prima  grande  spina  del  margine  la¬ 
terale.  La  regione  epatica  è  ben  distinta  dalla  branchiale  da  una 
cospicua  cresta  che  va  dagli  angoli  posteriori  esterni  della  re¬ 
gione  mesogastrica  fino  alla  base  posteriore  dell’ultima  grande 
spina  del  margine  dello  scudo;  tale  cresta  protunde  con  due  lar¬ 
ghe  protuberanze  di  cui  l'esterna  è  più  robusta,  sollevata  e  ango. 

Iosa.  Due  lobi  diretti  trasversalmente  e  arrotondati  separano  la 


regione  gastrica  dalla  mesogastrica.  Lateralmente  dalla  regione 
gastrica  partono,  dirette  all'  indietro  e  verso  la  linea  mediana, 
due  serie  divergenti  di  forti  punteggiature;  le  anteriori  formano 
un  arco  continuo  entro  la  regione  gastrica,  le  posteriori  si  inol¬ 
trano  nella  regione  urogastrica  rimanendo  con  la  loro  estremità 
posteriore  ben  discoste  l’una  dall'altra.  La  regione  cardiaca  an¬ 
teriore  è  separata  dalla  posteriore  mediante  una  cresta  trasver¬ 
sale,  smussata,  medialmente  attenuata.  Una  forte  incisura  separa 
le  regioni  gastrica,  urogastrica  e  cardiaca  dalla  regione  bran¬ 
chiale.  Una  forte  cresta  ondulata  longitudinale  percorre  la  parte 
centrale  di  ciascuna  regione  branchiale.  Posteriormente  lo  scudo 
è  carenato  ai  due  lati  (Fig.  1). 

Occhi  con  peduncoli  lunghi,  cilindrici. 

Terzo  ischiognato  circa  due  volte  più  lungo  che  largo,  con 
solco  longitudinale  più  prossimo  al  margine  interno  che  all'e¬ 
sterno  e  parallelo  ad  essi;  merognato  più  stretto  dell'ischiognato, 
tanto  lungo  che  largo,  sporgente  all'esterno  oltre  il  livello  del 


margine  esterno  dell'ischio,  con  margine  superiore  ed  esterno 
arrotondato;  corpo  dell'esopodite  oltrepassante  il  livello  anteriore 
del  merognato. 

Chelipedi  con  robusta  spina  carpale  sul  margine  anteriore 
interno  ed  una  cresta  angolosa  granuloso-tubercolata,  simile  a 
quella  di  Geryon  paulensis  sulla  superficie  superiore  interna  e 
con  tubercoli  aspri  ed  irregolari  sulla  porzione  superiore  esterna; 
dita  larghe,  piatte,  grossamente  dentate.  Ischio  con  robusta  spina 
distale  superiore  (Figg.  2,  3). 

Regione  sternale  del  cefalotorace  con  profondo  solco  rettilineo 
o  un  po'  sinuoso  tra  1'  inserzione  dei  due  gnatopodi  del  terzo 
paio,  con  profondi  avvallamenti  che  nel  maschio  cominciano 
molto  anteriormente  ed  al  livello  anteriore  dell'inserzione  dei  che- 
dpedi  (Fig.  4),  nelle  femmine  proprio  al  livello  anteriore  del— 


Y  inserzione  di  questi  (Fig.  5);  i  due  avvallamenti  laterali  si  in¬ 
contrano  posteriormente  formando  angolo,  in  una  scanalatura 
mediana  fortemente  insenata  con  cui  s'inizia  la  depressione  su¬ 
baddominale  del  cefalotorace. 

Addome  del  maschio  con  settimo,  sesto  e  quinto  segmento 
di  ugual  lunghezza;  il  margine  basale  dell'ultimo  segmento  è  no¬ 
tevolmente  più  stretto  del  margine  distale  del  penultimo.  Addo¬ 
me  della  femmina  molto  largo. 

Il  più  grosso  campione  esaminato  proviene  da  Cerro  della 
Lena  ed  era  incluso  nelle  arenarie.  Il  cattivo  stato  di  conserva¬ 
zione  non  mi  permettono  altro  che  una  misura  approssimativa  della 


—  254  — 


lunghezza  e  della  larghezza:  esso  è  lungo  circa  cm.  10  e  largo 
circa  cm.  13. 

Un  grosso  esemplare  maschio  di  Cerro  della  Lena,  la  cui  lar¬ 
ghezza  e  lunghezza  non  erano  misurabili,  presentava  l'addome  ben 
conservato:  esso  era  lungo  circa  mm.  28;  il  settimo  segmento  era 
lungo  mm.  5,  7,  il  resto  medialmente  mm.  5,  7  e  marginalmente 
mm.  6,  7,  il  quinto  mm.  6,  il  quarto  mm.  5,  8,  il  terzo  mm.  3,  7. 

Un  esemplare  di  Cerro  della  Lena  lungo  mm.  20  e  largo 
mm.  27  presentava  solo  quattro  spine  al  margine  laterale  dello 
scudo  di  cui  solo  la  prima  (extraorbitale)  e  l'ultima  ben  pronun¬ 
ziate;  le  creste  e  i  tubercoli  erano  molto  pronunziati. 

Dei  due  esemplari  di  Capo  Sunday,  di  color  nero  carbone,  uno 
era  lungo  mm.  44,  5  e  largo  mm.  5,8;  l'altro  era  largo  mm.  20,  5. 

Maggiori  dettagli  nella  misurazione  posso  dare  di  altri  e- 
semplari. 

Un  maschio  di  Cerro  della  Lena  è  lungo  circa  mm.  46  e 
largo  circa  mm.  57  ;  la  distanza  tra  il  vertice  anteriore  dello 
sterno  e  l’estremità  dell'addome  è  di  mm.  17;  la  larghezza  dello 
sterno  al  livello  dell'inserzione  posteriore  dei  chelipedi  è  di  mm. 
24;  il  meropodite  dei  terzi  endognati  è  lungo  mm.  10  e  largo 
mm.  6,  il  carpopodite  è  lungo  mm.  5,  5  e  largo  altrettanto,  la 
base  dell'esognato  è  di  mm.  11  di  lunghezza. 

Un  altro  esemplare  di  Cerro  della  Lena  è  lungo  mm.  43 
e  largo  mm.  52;  la  distanza  fra  le  due  spine  frontali  esterne  è 
di  mm.  10  e  tra  ciascuna  spina  frontale  esterna  e  la  spina  extraor¬ 
bitale  di  mm.  17;  presso  i  margini  superiori  delle  orbite  esistono 
numerosissimi  piccoli  tubercoli  appressati;  le  spine  frontali  si 
presentano  notevolmente  divaricate. 

Un  maschio  di  Capo  S.  Pablo  è  lungo  mm.  59  e  largo,  tra 
la  base  dell'ultimo  paio  di  spine  marginali,  mm.  65;  la  distanza  fra 
le  estremità  delle  spine  frontali  esterne  è  di  mm.  11;  il  settimo, 
il  sesto  e  il  quinto  segmento  addominale  sono  lunghi  mm.  6,  5 
ciascuno;  la  larghezza  basale  dell'ultimo  è  di  mm.  9,  5,  la  lar¬ 
ghezza  distale  del  penultimo  mm.  Ile  la  basale  15;  la  larghezza 
distale  del  terzultimo  é  di  mm.  15;  l'ischiopodite  del  terzo  en- 
dognato  è  di  mm.  12;  il  meropodite  del  chelipede  destro  è  lun¬ 
go  mm.  24;  la  palma  del  propodite  del  chelipede  destro  è  lunga 
mm.  26  e  larga  circa  mm.  18,  5. 


—  255  — 


Un  esemplare,  pure  di  Capo  S.  Pablo,  è  lungo  mm.  52  e 
largo  mm.  48,  5;  la  distanza  fra  Y  estremità  delle  due  spine 
extraorbitali  è  di  mm.  47;  quella  fra  le  due  spine  frontali  ester¬ 
ne  di  mm.  10,5  fra  le  due  interne  mm.  3  fra  una  spina  frontale 
interna  e  l'esterna  corrispondente  è  di  mm.  4. 

Un  esemplare  di  S.  Pablo  largo  mm.  50,  5  e  con  distanza 
fra  le  due  spine  extraorbitali  di  mm.  44,  5  ha  il  meropodite  del 
primo  paio  di  zampe  ambulatone  lungo  mm.  27,  quello  del  se¬ 
condo  paio  lungo  mm.  33,  quello  del  terzo  paio  mm.  35  e  quello 
dell'ultimo  paio  mm.  35.  Come  si  vede  le  zampe  ambulatorie 
dovevano  essere  notevolmente  lunghe,  similmente  a  quanto  si 
osserva  nei  Gerionidi  attuali. 

Il  propodite  di  un  chelipede  destro  è  lungo  mm.  55,  di  cui 
mm.  29,5  spettano  alla  palma,  e  mm.  25,  5  al  dito  immobile; 
il  dattilo  misurato  nel  suo  margine  superiore  doveva  essere 
lungo  non  meno  di  mm.  30. 

Purtroppo  nessun  particolare  posso  aggiungere  circa  le  an¬ 
tennule  e  le  antenne  di  cui  però  in  una  figura  si  vedono  chia¬ 
ramente  i  luoghi  di  inserzione. 

Torino,  Palazzo  Carignano,  maggio  1923. 


Finito  di  stampare  il  30  novembre  1923. 


Su  di  una  “  emanazione  „  “  forza  vitale 
effluente  ,,  finoggi  non  dimostrata. 

Nota  preventiva 
del  socio 

Frank  A*  Perret 


(Tornata  del  12  agosto  1923) 


Fin  dai  più  remoti  tempi  si  è  accennato  alla  probabile  esi¬ 
stenza  di  misteriose  emanazioni  umane,  dotate  perfino  di  potere 
magico.  In  seguito,  quando  alFesaltazione  mistica  si  sostituì  l'os- 
servazione  sperimentale,  si  ebbero,  di  quando  in  quando,  notizie 
di  strane  energie,  radiazioni  biologiche,  emanazioni  sviluppate 
dalborganismo  vivente;  ma  se  ne  parlò  generalmente  in  modo 
vago,  senza  che  le  proprietà  attribuite  a  quegli  efflussi  potessero 
essere  confermate  con  esperimenti  semplici,  inoppugnabili. 

Senza  voler  qui  addentrarci  in  una  critica  dei  così  detti  raggi 
"  N  „  o  “  V  ,„  “  forze  odiche  „  ecc.  ecc.,  una  cosa  sembra  ormai 
indiscutibile,  ed  è  che,  alTinfuori  degli  scopritori,  nessun  altro 
ha  potuto  dire  con  convinzione:  "  Ho  visto,,. 

Benvero  Te manazione  di  cui  oggi  si  espongono  le  caratte¬ 
ristiche,  in  questa  breve  nota,  dopo  anni  di  indagini,  ha  potuto 
forse  essere  per  il  passato  intravista,  per  quanto  appaia  nelle  sue 
proprietà  diversa  da  quelle  di  cui  finora  si  è  avuto  notizia;  ma 
quel  che  alle  attuali  esperienze  conferisce  massima  importanza  è 
il  fatto  di  aver  escogitato  mezzi  semplici,  a  disposizione  di  tutti, 
con  i  quali  si  ha  la  prova  visibile  deiremanazione  ed  anche  la 
registrazione  di  essa  in  nitidi  diagrammi. 

In  che  cosa  consiste  questa  emanazione? 

Pare  si  tratti  di  una  vera  e  propria  "  sostanza  „,  piuttosto 


—  257  — 


che  di  una  semplice  radiazione.  A  tale  concetto  si  è  indotti  spe¬ 
cialmente  dalla  proprietà  —  di  cui  si  parlerà  in  seguito  —  di  im¬ 
pregnare  di  sè  i  corpi  che  attraversa. 

Questa  emanazione  è  sprigionata,  in  varia  misura  ed  in  mo¬ 
do  non  costante,  spesso  disuguale  e  fluttuante,  da  tutto  il  corpo, 
specialmente  poi  dalle  mani  e  in  modo  più  spiccato  dalle  estre¬ 
mità  delle  dita. 

Essa  varia  secondo  gli  individui  ed  i  momenti  in  cui  viene 
misurata,  secondo  lo  stato  di  sanità  o  di  malattia,  in  seguito  ad 
uso  di  sostanze  eccitanti  o  deprimenti,  ecc.  ecc. 

Sembra  che  sulla  emissione  di  essa  influiscano  certi  movi¬ 
menti  muscolari,  lo  stato  emotivo  e  svariati  oscuri  fattori,  sui 
quali  occorre  ulteriormente  indagare. 

Sembra  ancora  che  sulla  forza  di  efflusso  influiscano  certe 
condizioni  astronomiche  e  meteorologiche,  quali  le  fasi  della  luna, 
la  pressione  barometrica,  il  grado  di  umidità  atmosferica  ecc. 

Le  sue  proprietà  fisiche  finora  note  sono  delle  più  straor¬ 
dinarie  e  tali  da  differenziarla  nettamente  dalle  altre  forze  e  ra¬ 
diazioni:  questa  emanazione  penetra  ed  attraversa  qualunque  so¬ 
stanza,  sia  organica  sia  inorganica,  buona  o  cattiva  conduttrice 
delTelettricità  e  del  calore.  Non  si  tratta  quindi  di  forza  elettri¬ 
ca,  o  magnetica,  o  termica. 

Essa  produce  i  suoi  effetti  meccanici  attraverso  tutti  i  corpi 
interposti,  si  tratti  di  legno,  metallo,  carta,  stearina,  gelatina,  re¬ 
sina,  gomma,  vetro  (trasparente  od  opaco).  Attraversa  quindi  an¬ 
che  lamine  spessissime  di  piombo  ed  il  cartone  bagnato,  ciò  che 
non  si  verifica  per  i  così  detti  raggi  “  N  „. 

Non  impressiona  le  comuni  lastre  fotografiche. 

Non  subisce  modificazioni  apparenti  per  effetto  del  calore  o 
deirumidità  della  mano. 

L'efflusso  dell'emanazione  dà: 

1.  Effetti  meccanici  di  spinta  e  rotazione  di  apparecchi  sem¬ 
plici,  anche  di  non  lieve  peso  e  resistenza:  un  ago,  calamitato, 
o  no,  in  bilico,  una  losanga  di  cartone,  di  legno,  di  metallo  ecc. 
ecc.,  un  cono  od  un  cilindro  di  carta,  di  mica  ecc.,  pivotati  su  di 
un  ago,  sono  messi  in  moto  da  questa  emanazione.  (Fig.  1  e  2). 

2.  Incurvamento  ed  oscillazioni  sensibili  della  fiamma  di  una 
candela.  Questo  fenomeno  apparisce  chiaramente  anche  mediante 


—  258  — 

conducibilità  di  lamine  metalliche:  è  come  un  soffio  che  esce  con 
discreta  forza. 

Interessante  e  nuova  è  la  proprietà  di  questa  emanazione  di 
poter  impregnare  i  corpi  organici  ed  inorganici  e  di  agire,  svi¬ 
luppandosi  da  essi,  dopo  tolto  ogni  contatto  con  la  mano,  come 
se  questa  fosse  ancora  vicina  :  le  fluttuazioni  hanno  il  medesimo 
carattere  di  quelle  emananti  dall'  organismo.  Si  sono  potuti  re¬ 
gistrare  graficamente  anche  questi  residui  di  emanazione  dai  corpi 
impregnati.  Lamine  metalliche  fortemente  riscaldate  non  modi¬ 
ficano  in  modo  apprezzabile  questa  proprietà. 

Un  guanto,  anche  di  gomma,  calzato  per  qualche  minuto, 
agisce  sugli  apparecchi  sensibilmente,  anche  dopo  tolta  la  mano. 


pi  3 metile  olio 


Cilindro  g' l’t'Vole  interna 


Cilindro  esterno  \ 

»ii  àppi  ics  I?  nano 


a4  C'Ito 


Valendomi  della  proprietà  meccanica  di  spinta  di  questa  ema¬ 
nazione,  ho  pensato  dapprima  a  misurare  la  forza  di  efflusso, 
misurando  in  gradi  di  arco  la  deviazione  impressa  ad  un  ago  ca¬ 
lamitato  in  bilico;  indi  ho  ideato  e  costruito,  con  mezzi  primi¬ 
tivi,  un  primo  apparecchio  registratore. 


—  259  — 


Su  di  un'armatura  fissa  esterna  è  poggiata  la  mano;  tale  ar¬ 
matura  può  essere  di  cartone  o  di  altra  sostanza.  L'armatura 
mobile,  interna  è  costituita  da  un  volante  imperniato  su  di  un 
ago  verticale.  Dovendo  stabilire  lo  zero  della  scala,  mi  sono  ser¬ 
vito  dell'ago  magnetico,  anche  come  resistenza  regolabile  per 
modo  che  in  istato  di  riposo  il  volantino  prende  la  direzione 
del  meridiano  terrestre. 


Fig.  2. 


L'emanazione,  uscendo,  tende  a  far  rotare  l'armatura,  in  op¬ 
posizione  allo  sforzo  magnetico,  ed  il  grado  di  rotazione  cor¬ 
risponde,  in  un  dato  momento,  alla  forza  dell'emanazione. 

Un  ristretto  fascio  di  luce  verticale  viene  riflesso  da  uno 
specchietto,  montato  sul  bilancino,  su  di  una  fessura  longitudi¬ 
nale,  dietro  la  quale  gira,  con  opportuna  velocità,  un  cilindro 
portante  un  foglio  di  carta  sensibile.  Si  ottiene,  così,  un  punto 
luminoso  che  impressiona  fotograficamente  detta  carta,  nello 
spostarsi  secondo  il  grado  di  forza  della  emanazione,  tracciando 
il  grafico.  (Fig.  4). 

Tutto  l'apparecchio  è  protetto  da  eventuali  perturbazioni  di 
ambiente.  (Fig.  3). 


260  — 


Evidentemente  è  possibile  escogitare  altri  sistemi  di  regi¬ 
strazione  anche  più  sensibili,  ciò  che  potrà  formare  oggetto  di 
ulteriori  studi. 

I  diagrammi  dimostrano  la  grande  variabilità  dell'emanazio- 
ne  sotto  l'influenza  dell'ingestione,  o  iniezioni  di  sostanze  ecci¬ 
tanti  o  deprimenti,  e  ciò  dopo  brevissimo  tempo  dalla  immis¬ 
sione  in  circolo. 

In  questi  ultimi  tempi,  in  seguito  alle  obbiezioni  sollevate 
da  alcuni  illustri  contraddittori  al  primo  annunzio  di  questa  sco¬ 
perta,  che  potesse  trattarsi  puramente  e  semplicemente  dell'  in¬ 
fluenza  di  correnti  d'aria  vorticose  prodotti  dal  calore  della  mano, 
sebbene  esperimenti  inoppugnabili  dimostrassero  assurda  tale  sup¬ 
posizione,  ho  costruito  dei  dispositivi  parimenti  semplicissimi 
che  non  lasciano  alcun  dubbio  al  riguardo. 


A  —  Sorgente  luminosa  c /  lamp.  elettr.  ad  1  filamento. 
B  —  Cilindro  portante  all’  interno  la  carta  sensibile  av¬ 
volta  su  altro  cilindro,  girevole. 

C  —  Apparecchio  girevole  c/  ago  calamitato  spostato 
dall’emanazione. 

D  —  Specchietto  su  cui  riflette  il  raggio  luminoso. 


E  —  Fascia  di  cartone  per  appoggio  della  mano. 

F  —  Calamita  spostabile  per  regolare  la  forza  dell’agcl  I 
G  —  Raggio  luminoso  che  si  rifrange  in  D. 

H  —  Apparecchio  d’orologeria  regolabile. 

I  —  Fessura  longitudinale  del  cilindro  esterno. 


Si  è  preparato  un  cilindro  di  cartone,  dell'altezza  di  4  a  5 
cm.  e  del  diametro  di  10  cm.,  pivotato  su  di  un  ago  con  cop¬ 
petta  di  agata  e  sostenente  due  piccole  lampade  con  fiamme  op¬ 
poste,  in  corrispondenza  dei  punti  estremi  del  diametro.  (Fig.  1). 

L'apparecchio,  che  deve  essere  protetto  da  eventuali  cor- 


—  261  — 


renti  d'aria  dell'ambiente,  resta  immobile  fino  a  che  non  vi  si 
accosta  la  mano,  e  sotto  1'  influsso  dell'emanazione  si  mette  in 
moto  abbastanza  rapidamente.  Con  la  mano  destra  roterà  in  sen¬ 
so  inverso  a  quello  delle  sfere  di  un  orologio;  togliendo  la  ma¬ 
no  destra  ed  applicando  la  sinistra,  roterà  in  senso  contrario. 


I 


Fig.  4. 


Un  altro  apparecchio  dimostrativo  è  il  seguente:  si  ha,  al 
centro,  un  cilindro  di  cartone  girevole;  all'esterno  un  altro  fisso, 
che  lo  circonda;  entro  lo  spazio,  di  circa  3  cm.  che  trovasi  fra 
i  due  cilindri  si  poggiano  uno,  due,  o  più  lumicini,  in  modo  che 
le  fiammelle  non  superino  il  margine  superiore  del  cilindro  e- 
sterno.  Applicando  a  questo  apparecchio  la  mano  destra  o  la 
sinistra  si  ha  la  rotazione  a  sinistra  o  a  destra  del  cilindro  in¬ 
terno.  Ciò  prova  tre  fatti  importanti: 

1. °- l'emanazione  attraversa  il  cartone  esterno  fisso; 

2. °  -  il  calore  della  mano  non  può  avere  assolutamente  alcuna 
influenza  sul  moto  del  cilindro,  in  quanto  che  le  fiamme  inter¬ 
medie  hanno  un  potere  calorifico  ben  più  importante  e  purtut- 
tavia  il  cilindro  interno  di  cartone  non  si  mette  a  girare  fino  a 
che  la  mano  non  è  accostata  al  cilindro  esterno; 

3. °  -  non  possono  formarsi  vortici  d'aria  fra  un  cilindro  e 


—  262  — 


Faltro,  in  quanto  che  il  cilindro  esterno  è  perfettamente  ade¬ 
rente  al  piano  del  tavolo  su  cui  poggia. 

Infine,  si  è  potuto,  ma  non  sempre,  ottenere  la  rotazione  del 
cilindro  sostenente  le  due  piccole  lampade,  descritto  più  sopra, 
mediante  la  trasmissione  a  notevole  distanza  delTemanazione 
della  mano  calzata  da  apposito  guanto  munito  di  sottili  fili  di 
trasmissione. 

Queste  sono  le  esperienze  eseguite  finora  e  che  occorre 
sviluppare. 

In  quanto  alle  origini,  alle  altre  proprietà  fisiche  o  fisiolo¬ 
giche  di  questa  emanazione,  resta  enormemente  ancora  da  inda¬ 
gare,  ed  in  ciò  è  aperto  largo  campo  a  tutti  gli  studiosi. 

I  problemi  più  suggestivi  che  si  presentano  allo  spirito  sono 
i  seguenti: 

Rappresenta  questa  emanazione  una  forza  o  una  debolezza 
delborganismo? 

Che  significano  e  donde  originano  le  sue  fluttuazioni  ? 

Ha  questa  emanazione  potere  curativo? 

Ha  rapporti  con  la  così  detta  forza  medianica? 

Vi  è  in  essa  qualche  cosa  della  forza  psichica? 

Ha  essa  delle  proprietà  chimiche  che  ne  possano  spiegare 
le  origini  e  la  eventuale  composizione? 

Napoli,  12  agosto  1923. 


Finito  di  stampare  il  30  novembre  1923. 


Sull’azione  delle  basse  temperature  sullo  svi¬ 
luppo  del  Zoobotryon  pellucidum  Ehrbg. 


Nota 
del  socio 

Prof*  Giuseppe  Zirpolo* 


(Tornata  dell’8  luglio  1923) 


Nei  varii  anni  di  ricerche  compiute  alla  Stazione  Zoologica 
allo  scopo  di  conoscere  la  ecologia  del  Zoobotryon  ebbi  occa¬ 
sione  di  osservare  come  abbassandosi  la  temperatura  dell'ambiente 
esterno  i  rami  di  Zoobotryon  arrestassero  il  loro  sviluppo.  Que¬ 
sto  fatto  potetti  facilmente  constatarlo  per  la  ragione  che  i  rami 
coloniali  di  questo  briozoo  hanno  un  accrescimento  rapidissimo. 
Da  un  giorno  all’altro  si  ha  uno  sviluppo  di  varii  millimetri  di 
lunghezza,  il  che  è  raro  poterlo  verificare  sempre  in  altre  forme 
animali. 

Riconnettendo  questa  osservazione  ad  un  dato  di  fatto  con¬ 
statato  nella  biologia  del  Zoobotryon ,  cioè  allo  stato  di  vita  la¬ 
tente  che  passa  questo  briozoo  durante  l’inverno  per  poi  nella 
primavera  dare  origine  a  numerosi  germogli,  ho  voluto  eseguire 
delle  esperienze  allo  scopo  di  ottenere  la  prova  per  poter  con¬ 
cludere  circa  razione  del  freddo  come  causa  principale  della  vita 
latente  del  Zoobotryon  durante  il  periodo  invernale. 

A  tal  uopo  ho  preso  dei  rami  speciali,  ricchi  di  sostanza 
blastogena,  e  li  ho  tenuti  in  ghiaccierà  alla  t.a  di  circa  10°  C. 

Ebbene  finché  i  rami  sono  stati  neH'interno  di  questa  non  è 
stato  possibile  osservare  nessuno  sviluppo  di  rami,  ma  quando 
ne  sono  stati  trasportati  fuori  alla  t.a  ambiente,  allora  si  è  iniziato 


—  264 


lo  sviluppo.  Non  si  è  avuta  la  formazione  di  novelli  rami  subi¬ 
to ,  ma,  a  secondo  la  durata  della  permanenza  dei  rami  nella 
ghiaccierà  di  uno  ,  due  ,  tre  o  quattro  giorni  si  è  avuto  un  ri¬ 
tardo  relativo  nello  sviluppo  ulteriore  dei  rami. 

Evidentemente  Y  essere  passati  i  rami  dalla  t.a  ambiente  ad 
una  t.a  così  bassa  per  essi  ha  prodotto  un'azione  poco  favore¬ 
vole  ed  è  stata  tanto  più  intensa  quanto  più  lunga  è  stata  la 
permanenza  dei  rami  sotto  l'azione  del  freddo. 

Concludendo  quindi  le  basse  temperature  agiscono  sullo 
sviluppo  dei  rami  coloniali  del  Zoobotryon  e  fra  le  cause  per 
cui  noi  non  troviamo,  durante  l'inverno,  delle  colonie  di  questo 
briozoo  v'è  non  fra  le  ultime  il  freddo  che  genera  una  stasi  nei 
processi  metabolici  dell'organismo  animale,  arrestando  la  sua  at¬ 
tività  e  facendogli  vivere  una  specie  di  vita  latente. 

Napoli,  Stazione  Zoologica ,  giugno  1923. 


Finito  di  stanpare  il  15  dicembre  1923. 


Di  una  specie  italiana  di  Typhlocarìs  (T. 
salentina  n.  sp.)  con  osservazioni  morfo¬ 
logiche  e  biologiche  sul  genere. 

Nota  preliminare 
del  socio 

E.  Caroli. 


(Tornata  del  29  aprile  1923) 


Nel  settembre  dello  scorso  anno,  il  Prof.  Bottazzi  della 
nostra  Università  raccolse  in  una  grotta  presso  Castro,  in  Terra 
d' Otranto ,  alcuni  esemplari  di  un  Crostaceo  decapode ,  che 
cortesemente  volle  mandarmi  in  esame.  Con  sorpresa  riconobbi 
che  essi  appartenevano  al  genere  Typhlocaris ,  raro  Carideo  ca¬ 
vernicolo,  cieco,  della  famiglia  dei  Palaemonidae ,  del  quale  si 
conoscevano  solo  due  specie  :  T.  galilea  Calman,  trovata  in  Pa¬ 
lestina,  in  un  pozzo  nei  pressi  del  Lago  di  Tiberiade  ,  e  T.  le- 
thaea  Parisi  ,  rinvenuta  nella  Grotta  del  Lete,  in  Cirenaica.  In 
seguito  ho  potuto  stabilire  che  essi  rappresentano  una  terza  spe¬ 
cie,  alla  quale,  dal  luogo  di  rinvenimento,  ho  dato  il  nome  di 
T.  salentina. 

La  descrizione  particolareggiata  dei  caratteri  che  distin¬ 
guono  questa  specie  dalle  altre  due  forma  oggetto  di  un  la¬ 
voro  che  sarà  pubblicato  prossimamente  nelTAnnuario  del  Mu¬ 
seo  Zoologico  della  R.  Università  di  Napoli  ;  ma  uno  di  essi 
merita ,  per  la  sua  importanza  ,  d’esser  fatto  conoscere  subito. 
Mentre  nelle  altre  due  specie,  nonché  in  tutti  gli  altri  Decapodi 
cavernicoli  ciechi ,  finora  conosciuti ,  i  peduncoli  oculari  non 
presentano  traccia  di  organi  visivi,  in  T.  salentina ,  alla  parte  an¬ 
teriore  degli  oftalmopodi,  presso  il  margine  esterno,  vi  è  una 


266  — 


piccola  macchia  di  pigmento  scuro,  più  o  meno  distinta  nei  di¬ 
versi  esemplari  ,  (  in  qualcuno  cancellata  dall'  azione  dell'  al¬ 
cool);  inoltre,  in  tutti  gli  esemplari,  in  corrispondenza  di  questa 
macchia,  la  cuticola  è  alquanto  depressa,  più  sottile,  e  mostra 
una  struttura  differente  da  quella  che  ha  nel  resto  dell'oftalmo- 
podo.  Evidentemente  qui  si  tratta  di  un  residuo  di  occhio,  del 
quale,  come  ho  già  detto,  non  esiste  traccia  nelle  altre  Typhlo- 
caris  e  negli  altri  Decapodi  cavernicoli.  Lo  stato  di  conserva¬ 
zione  degli  animali  non  mi  ha  permesso  di  constatare  se  ad  esso 
corrisponda  internamente  qualche  resto  di  elementi  retinici. 

L'esame  degli  esemplari  della  nuova  specie,  nonché  di  quelli 
delle  altre  due,  che  ho  potuto  avere  a  mia  disposizione,  mi  ha 
dato  agio  di  notare  alcune  particolarità  di  struttura,  comuni  a 
tutto  il  genere,  ma  non  rilevate  dai  precedenti  osservatori,  delle 
quali  darò  breve  notizia. 

Le  setole  olfattive  non  sono,  come  negli  altri  Caridei,  di¬ 
vise  in  segmenti  e  gradatamente  più  sottili  dalla  base  alla  punta; 
ma  intere  e  composte  di  una  parte  basale,  ristretta  a  tuo’  di 
picciuolo,  e  di  una  distale,  più  lunga  e  più  grossa.  Il  loro  nu¬ 
mero  è  di  molto  inferiore  a  quello  di  Caridei  forniti  di  occhi 
bene  sviluppati,  p.  es.  di  Leander. 

Finora  non  erano  state  trovate  statocisti.  Queste  in  realtà 
vi  sono,  ma  hanno  struttura  affatto  speciale;  l'apertura  è  dispo¬ 
sta  in  modo  da  non  permettere  l'introduzione  di  statoliti  dall'e¬ 
sterno;  questi  invece  sono  prodotti  neH'interno  delle  setole  sta¬ 
tiche,  le  quali  hanno  subita  una  profonda  modificazione. 

Le  tre  ultime  paia  di  zampe  portano  lunghe  e  flessibili  se¬ 
tole  piumose,  disposte  in  doppia  serie,  lungo  il  margine  esterno 
del  propodite.  Sono  senza  dubbio  setole  di  senso,  e  probabil¬ 
mente  servono  alla  percezione  dei  movimenti  dell'acqua. 

In  due  maschi  di  T.  salentina  ed  in  uno  di  T.  lethaea , 
ho  trovato,  aderenti  alle  aperture  genitali,  due  spermatofore;  que¬ 
ste  sono  coniche,  alquanto  allungate,  e  constano  di  un  involu¬ 
cro  piuttosto  resistente  e  di  una  massa  spermatica  contenuta  in 
esso.  Si  tratta  dunque  di  vere  spermatofore  che  il  maschio  porta 
seco,  finché  non  gli  si  offra  l'opportunità  di  attaccarle  alla  fem¬ 
mina;  al  contrario  di  ciò  che  si  ritiene  avvenga  negli  altri  Ca¬ 
ridei,  nei  quali  lo  sperma  è  versato  direttamente  sul  ventre  della 


267  — 


femmina,  e  nei  quali,  in  ogni  caso,  non  sono  state  mai  osser¬ 
vate  spermatofore  aderenti  agli  orifizi  sessuali. 

Termino  con  un  accenno  allo  strano  modo  di  nutrirsi  della 
T.  salentina.  Nella  grotta  nella  quale  essa  fu  rinvenuta,  trovano 
ricovero  numerosissimi  Chirotteri,  i  cui  escrementi  formano  sul 
suolo  uno  spesso  strato  di  guano.  Gli  escrementi  cadono  anche 
nell'acqua  dove  vive  la  Typhlocaris ,  ed  è  proprio  di  questi  che 
essa  si  nutre,  come  ho  potuto  constatare  esaminando  lo  stomaco 
di  un  esemplare,  il  cui  contenuto  era  costituito  di  resti  e  fram¬ 
menti  di  scheletri  chitinosi  di  Insetti,  cioè  degli  stessi  elementi 
che  costantemente  si  rinvengono  nello  sterco  dei  pipistrelli.  Poi¬ 
ché  con  la  Typhlocaris  non  è  stato  mai  pescato  nessun  altro 
animale,  si  può  supporre  che  per  la  mancanza,  o  per  lo  meno 
la  scarsezza,  di  altro  cibo,  essa  si  sia  dovuta  adattare  a  questa 
sorta  di  nutrimento. 


Finito  di  stampare  il  15  dicembie  1923. 


Bollettino  della  Società  dei  Naturalisti  di  Napoli. 


COMUNICAZIONI  VERBALI 


Gli  autori  assumono  la  piena  responsabilità  dei  loro  scritti. 


Fecondazione  a  distanza  in  Ginkgo  biloba  Linn.  e 
in  Araucaria  Bidwilli  Hook. 

Comunicazione  verbale 
del  socio 

Fr*  Cavata 


(Tornata  del  31  dicembre  1922) 


La  Ginkgo  biloba  Linn.,  la  pianta  mistica  del  Giappone,  il  “  Mai'- 
denhair  „  albero  capelvenere  degli  Inglesi,  introdotto  in  Europa  tra  il 
1727  e  1737,  e  diffusosi  rapidamente  per  la  eleganza  del  suo  fogliame, 
è  pianta  dioica,  e  quasi  sempre  sono  individui  maschili  che  si  riscon¬ 
trano  nelle  collezioni  degli  Orti  botanici,  o  dei  parchi,  evidentemente 
ottenuti  per  via  agamica.  Nel  nostro  Orto'  botanico  sonvi  due  grandi 
esemplari,  entrambi  maschili,  e  parecchi  altri  giovani,  ottenuti  da  qual¬ 
che  anno  per  semi,  dai  quali  si  aspettano,  con  ansietà,  individui  fem¬ 
minili.  Alcuni  di  questi  esemplari  si  ebbero,  intanto,  da  semi  di  una  vigo¬ 
rosa  pianta  femminile  del  cortile  del  Politecnico,  la  quale  quasi  ogni  anno 
si  ricuopre  abbondantemente  di  fiori,  e  matura  pur  copiosi  frutti.  E  fu 
il  Chiare  Collega  ed  amico,  Prof.  Orazio  Rebuffat  che  me  li  favorì. 

Il  fatto  che  questa  pianta  di  Ginkgo  biloba ,  cresciuta  fra  quattro 
pareti  di  alto  fabbricato,  conduce  a  maturità  una  parte  soltanto  di  una 
congerie  di  ovuli  che  essa  produce,  sta  a  dire  che  non  si  tratta  di  una 
possibile  partenogenesi,  ma  di  una  parziale  fecondazione  dei  suoi  fiori 
dovuta  a  polline  portatovi  dal  vento,  e  senza  dubbio,  dalle  due  piante 
dell’  Orto  botanico,  per  quanto  distino  di  un  chilometro  e  forse  più. 
Vi  è  da  escludere,  intanto,  che  la  pianta  possa  essere  eventualmente 
monoica,  poiché  ciò  sarebbe  certo  stato  avvertito  dal  Professore  Rebuf¬ 
fat  il  quale  richiamava  la  mia  attenzione  sulla  enorme  quantità  di 
fiori  femminili,  che,  infecondati  cadevano  al  suolo,  ed  io  stesso  ebbi 
a  constatarlo  in  una  visita  che  feci  all'  uopo  al  Politecnico  :  nessuna 
traccia  di  amenti  maschili  sul  terreno. 

Sì  aveva,  perciò,  una  fecondazione  longinqua  operata  dai  venti  di 


—  4  — 


Nord-Ovest  che  attraversando  la  collina  di  Capodimonte  e  lambendo 
la  sottostante  valle,  ove  si  adagia  l’Orto  botanico,  trasportano  il  pol¬ 
line  verso  la  marina. 

Intorno  alla  fecondazione  della  Ginkgo  biloba  in  Europa  sonosi  rac¬ 
colti  dei  dati  assai  curiosi  ed  interessanti.  In  un  recente  articolo  apparso 
nel  Bulletin  of  Miscellaneous  information  del  Royal  Botanic  Gardens 
di  Kew,  il  Dallimore,  dopo  aver  riferito  che  un  vecchio  albero  di  Ginkgo 
del  Giardino  di  Kew  aveva  dato  alcuni  frutti  da  un  ramo  di  pianta 
femminea  innestato  nel  1911,  riporta  alcune  considerazioni  che,  a  tale 
riguardo,  ha  fatto  il  Prof.  Went,  direttore  del  Giardino  botanico  di 
Utrecht,  il  quale  richiama  l’attenzione  su  di  un  fatto  assai  singolare  e 
cioè  che  una  pianta  maschile,  forse  centenaria,  di  Ginkgo  aveva  emesso 
un  ramo  portante  frutti.  Siccome  da  qualche  anno  erano  stati  atterrati 
degli  Olmi,  pur  secolari,  la  cui  ombra  si  proiettava  sulla  Ginkgo,  il 
Went  si  domanda  se  il  cambiamento  di  condizioni  sopravvenuto  a  tal 
fatto  non  possa  essere  la  causa  del  fenomeno,  essendo  egli  certo  che 
dal  1896,  anno  in  cui  egli  assunse  la  Direzione  dell'Orto  botanico  di 
Utrecht,  la  pianta  mai  aveva  presentato  frutti  in  alcun  suo  ramo. 

Il  Dallimore  riferisce  anche  che  nel  1914,  il  nostro  Re  chiese  al 
Direttore  dei  Giardini  Reali  di  Kew  notizie  sul  modo  di  fruttificazione 
della  Ginkgo  biloba ,  dappoiché  due  esemplari  di  questa  pianta  esistenti 
nel  Giardino  del  Quirinale,  si  caricano  ogni  anno  di  frutti  per  quanto 
non  esistano  piante  maschili  in  Roma.  E'  da  ritenere,  peraltro,  che  nei 
dintorni  della  capitale  qualche  esemplare  di  pianta  maschile  ci  sia,  e 
si  avveri  là,  lo  stesso  fenomeno  che  ho  riferito  per  la  pianta  del  Poli¬ 
tecnico  di  Napoli. 

Relativamente  al  caso  citato  dal  Went,  non  è  improbabile  si  tratti 
di  una  subitanea  mutazione  conseguente  forse  alle  cambiate  condizioni 
di  illuminazione  e  di  aerazione.  Del  resto  è  noto  che  anche  in  alcune 
conifere  dioiche,  si  verifica  talora  la  produzione  di  amenti  maschili  in 
piante  femminili  e  vice-versa,  come  nel  Taxus  boccata  ad  es.  Così  pure 
a  Pisa,  secondo  riferisce  il  Longo,  una  pianta  maschile  di  Idesia  poly- 
carpa,  diede  un  anno  frutti  in  un  suo  ramo;  d'onde  poi  questo  botanico 
pretese  di  definire  tal  fenomeno  cambiamento  di  sesso. 

In  alcune  piante  questa  variabilità  è  suscettibile  di  una  certa  flut¬ 
tuazione.  Così  nell'  Amacaria  Bidwilli  Hook,  si  hanno  individui  mo¬ 
noici  e  piante  dioiche.  Così  alTOrto  botanico  di  Catania  vi  era,  quando 
vi  fui  alla  Direzione  (1901-1905),  un  magnifico  esemplare  monoico,  il 
quale  pur  essendo  isolato  e  producendo  amenti  maschili  nei  rami  in¬ 
feriori  e  strobili  in  alto,  maturava  normalmente  semi  perfetti.  All’Orto 
botanico  di  Napoli  invece,  vi  è  un  magnifico  esemplare  di  Araacaria 


-  5  - 


Bidwilli ,  portante  solo  fiori  femminili,  e  per  molti  anni  ha  lasciato  ca¬ 
dere  i  suoi  enormi  strobili  senza  alcun  seme  buono  :  si  aveva,  cioè1 
semplice  partenocarpia. 

Nel  passato  autunno,  per  altro,  si  sono  avuti  oltre  80  semi  perfetti 
da  due  strobili,  il  che  mi  ha  fatto  pensare  che  si  tratti  anche  qui  di 
fecondazione  longinqua,  cosa  che  ho  potuto  assodare  in  primavera  esa¬ 
minando  gli  esemplari  che  si  trovano  nelle  vicinanze;  e  così  ai  Giar¬ 
dini  di  Piazza  Cavour,  ove  esiste  uno  splendido  esemplare  che  si  mo¬ 
strava  carico  di  amenti  maschili,  e  così  pure  in  opposta  direzione  al¬ 
tro  cospicuo  esemplare  al  Cimitero  degli  Inglesi  all’Arenaccia.  Mi  si  as¬ 
sicura  inoltre  che  in  ville  private  nelle  adiacenze  della  Specola  di  Ca¬ 
podimonte  esistono  anche  piante  monoiche  che  maturano  pure  frutti  e 
semi  buoni. 

Resta,  intanto,  a  domandarsi  come  solo  quest’anno  la  pianta  dell'Orto 
botanico  che,  a  mio  giudizio,  è  pressoché  coeva  di  quella  dei  due  giar¬ 
dini  citati,  abbia  potuto  dare  frutti  fecondi,  mentre  ha  dato  per  anni  e 
anni  frutti  spuri  o  partenocarpici.  La  natura  ha  pur  tanti  ancora  segreti 
da  disvelare! 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


Il  bradisisma  in  relazione  colFattività  vulcanica  dei 
Campi  flegrei. 

Comunicazione  verbale 
del  socio 

Dr.  Francesco  Signore 


(Tornata  ordinaria  8  luglio  1923) 


11  1920  iniziai  lo  studio  fisico  dei  Campi  Flegrei,  il  lavoro  com¬ 
pleto  vedrà  tra  breve  la  luce,  intanto  mi  piace  annunciare  a  questo 
Consesso  che  ho  potuto  stabilire  una  relazione  tra  il  bradisisma  e  l'at¬ 
tività  vulcanica  dei  Campi  Flegrei.  Il  mio  lavoro  mostra  che  le  zone, 
ove  maggiormente  si  ha  l’abbassamento,  sono  quelle  in  cui  si  esplicano 
ancora  i  fenomeni  termici,  ed  inoltre  che  l'attuale  incremento  dell’atti¬ 
vità  vulcanica  dei  Campi  Flegrei  dipende  dal  rapido  abbassarsi  della 
zona. 


Finito  di  stampare  il  20  agosto  1923. 


Caso  di  atrofia  del  cieco  epatico  dorso-cefalico  in 

una  Phyllirhoe  bucephcila  Peron  et  Leseur. 


Comunicazione  verbale 

del  socio 

Prof*  Giuseppe  Zirpolo 


(Tornata  del  29  luglio  1923) 


È  noto  che  i  ciechi  epatici  della  Phyllirhoe  bucephala  Peron  et  Leseur 
sono  normalmente  quattro  ed  è  questo  uno  dei  caratteri  che  i  sistema¬ 
tici  adoperano  nella  determinazione  della  specie. 

Fra  numerosissimi  esemplari  da  me  esaminati,  per  ricerche  com¬ 
piute  sulla  simbiosi  fra  Zooxantelle  e  Phyllirhoe  l),  mi  è  occorso  trovare 
un  esemplare  i  cui  ciechi  epatici  erano  tre  invece  di  quattro.  Ho,  in  un 
primo  momento,  pensato  a  qualche  altra  specie  i  cui  ciechi  epatici  sono 
tre  come  la  Ctilopsis  picteti  E.  André,  ma  la  presenza  di  due  gonadi 
e  gli  altri  caratteri  non  appartenenti  affatto  a  quest'  ultima  mi  hanno 
convinto  trattarsi  di  una  forma  anormale  della  Phyllirhoe  bucephala 
Peron  et  Leseur. 

Nella  bibliografia,  per  quanto  vasta,  non  sono  registrati  che  sola¬ 
mente  dal  Vessichelli  2),  nella  sua  accurata  Memoria,  tre  esemplari  che 
presentavano  i  ciechi  epatici  con  piccoli  diverticoli  ed  una  sola  volta 
un  esemplare  che  aveva  la  completa  atrofia  del  cieco  epatico  dorso  ce¬ 
falico.  Nel  mio  esemplare  si  tratta  proprio  di  un  caso  simile.  Il  cieco 
epatico  dorsale  anteriore,  che  piglia  origine  direttamente  dalla  regione 
intermedia  fra  lo  stomaco  e  l’intestino,  manca  completamente  nel  punto 
dove  ora  è  residuata  una  zona  circolare  corrispondente  allo  sbocco  del 
cieco. 


£)  Zirpolo,  G.  —  Sulla  simbiosi  fra  Zooxantelle  e  Phyllirhoe  bucephala 
Peron  et  Leseur.  Boll.  Soc.  Nat.  Napoli,  Voi.  35,  p.  129,  1923. 

2)  Vessichelli,  N.  —  Contribuzioni  allo  studio  della  Phyllirhoe  bucephala 
Peron  et  Leseur.  Mitth.  Z.  Stat.  Neapel,  Bd.  18,  p.  105,  Taf.  5-6,  1906. 


-  8 


Precedentemente  in  un  altro  esemplare  io  avevo  notato  una  ridu¬ 
zione  notevole  proprio  di  questo  cieco  epatico  dorsale  anteriore,  previo 
uno  strozzamento  avvenuto  trasversalmente  nella  sua  lunghezza,  ma  poi 
non  potetti  seguire  l’ulteriore  destino  perchè  l’animale  visse  pochi  giorni 
appena.  Sono,  infatti,  le  Phyllirhoè  gasteropodi  così  delicati  che  rara¬ 
mente  vivono  qualche  settimana  nelle  nostre  vasche.  Ma  alla  forma  pre¬ 
sentemente  invenuta  riconnettendo  l’altra  in  precedenza  osservata  è  pos¬ 
sibile  dedurre  che  sia  avvenuta  un'  atrofia  di  uno  dei  ciechi  epatici, 
come  è  stato  già  per  due  volte  osservato. 

D'altra  parte  ho  potuto  ancora  osservare  ultimamente  che  una 
Phyllirhoè  ha  morsicato  un’altra  compagna,  asportando  buona  metà  del 
cieco  epatico  dorso  cefalico.  Nello  spazio  di  due  o  tre  giorni  il  mar¬ 
gine  del  corpo  si  è  rigenerato,  mentre  il  cieco  epatico  è  rimasto  cica¬ 
trizzato  in  quel  punto.  Se  lo  strappo  fosse  stato  più  profondo  l'avrebbe 
asportato  tutto,  onde  è  presumibile  che,  la  mancanza  del  cieco  epatico 
dorso  cefalico  può  essere  causato  oltre  che  da  atrofia,  anche  da  man¬ 
cata  rigenerazione  in  seguito  a  lesione  subita. 

Napoli,  Stazione  Zoologica ,  luglio  1923. 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


Su  di  un  caso  di  cleistogamia  deir  Orchis  macu¬ 
lata  L. 

Comunicazione  verbale 

del  socio 

Giuseppe  Colomba 


(Tornata  del  29  luglio  1923) 


Nel  riordinare,  quale  assistente  volontario,  alcuni  materiali  nel  Ga¬ 
binetto  di  Orticoltura  della  R.  Scuola  Superiore  di  Agricoltura  in  Por¬ 
tici,  trovai,  in  un  tubo  da  saggio,  conservato  in  alcool,  un  esemplare 
d'infiorescenza  di  un’orchidea. 

Il  Prof.  De  Rosa,  al  quale  ne  richiesi,  mi  disse  che  si  trattava  di 
un  caso  di  cleistogamia  àt\V  Orchis  maculata  L.  e,  aggiunse  pure,  che 
quella  infiorescenza  l’aveva  trovata  fra  molte  altre,  normalmente  fiorite, 
che  in  massa  erano  state  messe  in  mostra  nell’Esposizione  floreale-or¬ 
ticola  tenutasi  in  Napoli,  nella  Villa  Comunale,  dal  maggio  al  luglio  del 
1911  in  occasione  della  celebrazione  del  cinquantenario  del  regno  d’Italia. 

Il  Prof.  De  Rosa  ritiene  che  quelle  infiorescenze  di  Orchis  prove¬ 
nivano  dalla  raccolta  che,  sulla  collina  dei  Camaldoli  ed  adiacenze,  se 
ne  fa  dai  cosidetti  soccavesi  (abitanti  di  Soccavo,  piccolo  comune  a  NW 
di  Napoli)  che  esercitano,  fra  l'altro,  l’industria  di  raccogliere  fiori  e 
fogliami,  muschi  e  terriccio,  per  fornirne,  specialmente  in  certe  stagio¬ 
ni,  i  fiorai  ed  orticoltori. 

Egli  stesso  mi  incoraggiò  a  che  mi  fossi  occupato  di  studiare  quel 
caso  teratologico,  che  egli  riteneva  non  frequente.  Io  alle  prime  armi  in 
fatto  di  lavori  di  questo  genere  non  mi  sarei  accinto  a  provarmi  se  non 
fossi  stato  sicuro  di  trovare  guida  e  appoggio  in  lui,  che,  con  paterna 
cura  e  amorevole  sollecitudine,  mi  inizia  allo  studio  della  Botanica  e, 
specialmente,  all'osservazione  diretta  delle  forme  e  dei  fenomeni  na¬ 
turali. 

Per  poter  mettere  in  rilievo  il  caso,  da  me  studiato,  credo  oppor¬ 
tuno  ricordare  specialmente  la  struttura  fiorale  della  Orchis  maculata 
L.  nella  condizione  normale:  Infiorescenza  a  spiga,  cilindrica,  di  cm.  15 


—  10  — 


circa,  contenente  un  numero  di  fiori  variante  che  oscilla,  d'ordinario, 
fra  un  minimo  di  25  ed  un  massimo  di  30-35,  mentre  Finterò  asse  ar¬ 
riva  fino  a  cm.  50  circa.  Le  foglie  bratteali  sono  lanceolate,  acuminate, 
nella  maggior  parte  più  brevi  dei  fiori. 

Il  fiore  è  irregolare  col  perigonio  supero  formato  di  sei  tepali,  di 
forma  e  grandezza  diversa,  disposti  in  due  verticilli  nei  quali  i  tepali 
si  alternano.  Di  tali  tepali  tre  formano  il  verticello  interno.  Ma  di  essi 
due  sono  simili  fra  loro  ed  il  terzo  (labello)  è  diverso,  perchè  più  largo, 
diviso  in  tre  lobi,  dei  quali  il  mediano  è  ovato,  acuminato  e  i  due  la¬ 
terali  larghi  di  circa  il  doppio;  questo  labello  si  conforma  alla  base  a 
sperone  più  breve  dell’ovario.  Il  colore  del  perigonio  è  rosa  carminato 
con  tendenza  al  violaceo:  non  mancano  delle  variazioni  di  colore  più 
o  meno  carico  e  per  eccezione  se  ne  è  trovato  qualcuna  a  fiore  bianco, 
come  comunicò  a  questa  Società  il  prof.  De  Rosa  nella  nota  «  Su  di 
un  Muscari  ed  un  Orchis  a  fiore  bianco  »  (Boll.  Soc.  Nat.  Napoli,  anno 
XVII,  voi.  XVII,  1903)  e  come  lo  stesso  prof.  De  Rosa  mi  afferma  di 
aver  riconosciuto  in  un  ritratto  all'acquarello,  in  una  tavola  che  trovasi 
nei  cimelii  cavoliniani  donati  all'  Istituto  zoologico  della  R.  Università 
che,  però,  ebbe  agio  di  vedere  vari  anni  dopo  la  sua  nota. 


Fig.  1. 


Quando  il  fiore  è  ancora  chiuso  (fig.  1)  il  labello  è  posto  in  alto,  più 
vicino  all'asse  della  infiorescenza,  ma,  quando  il  fiore  si  apre,  Fovario, 
sul  quale  sono  inseriti  tutti  gli  organi  fiorali,  subisce  una  torsione  per 
la  quale  il  labello  resta  dalla  parte  inferiore  rovesciandosi  all’  esterno 
come  un  grembiule.  E'  questo  labello  che  porta  alla  base  lo  sprone  nel 
quale  si  raccoglie  il  nettare. 

Il  caso  di  cleistogamia  studiato  potrebbe  quindi  spiegarsi  nella  man¬ 
cata  torsione  dell’ovario  per  cui  il  labello  non  si  è  rovesciato  e  il  fiore 


—  11  — 


è  rimasto  chiuso.  Nel  centro  di  ogni  fiore  esiste  una  colonnetta,  il  gi- 
nostemio,  la  quale  non  è  altro  che  uno  stame  e  un  pistillo  che  sono 
cresciuti  saldandosi  insieme.  L'antera,  in  alto,  ha 
due  caselle  che  hanno  forma  di  piccole  borse, 
deiscenti,  per  mezzo  di  due  fenditure  e  dentro 
di  esse  il  polline,  invece  di  trovarsi  in  granuli 
separati,  si  trova  in  due  masse,  a  forma  di  clave, 
che  finiscono  dalla  parte  inferiore,  più  stretta, 
con  un  piccolo  rigonfiamento  attaccaticcio.  Nella 
parte  inferiore  del  ginostemio  vi  è  una  piccola 
superficie  vischiosa  rappresentante  lo  stimma  e, 
come  si  è  ricordato,  il  ginostemio  è  collocato 
sopì  a  un  ovario  triloculare  ed  infero. 

Trattandosi  di  Orchis  maculata ,  ricordo  che 
essa  differisce  dalle  altre  Orchis ,  oltre  che  per  i 
caratteri  del  fiore,  perchè  ha  le  radici  tuberiformi 


Fig.  3. 


che,  invece  di  esser  ovoidee,  sono  lobate,  con  dei  prolungamenti  somi¬ 
glianti  alle  dita  della  mano  e,  come  si  dice,  digitate.  Le  foglie  inferiori, 
lanceolate,  sono  macchiate  sulla  superficie  da  chiazze  di  colore  bruno 
rossastro. 


—  12  — 


Nella  infiorescenza  che  presento,  fig.  (2)  anche  ritratta  in  disegno,  si  os¬ 
servano  ovari  ingranditi  formando  le  caratteristiche  capsule  delle  quali  al¬ 
cune  portano  ancora  la  corolla  disseccata  fig.  (3)  ed  in  relazione  anche  l’in¬ 
grossamento  graduale  dell’ovario.  Se  intanto  non  si  dovesse  ammettere 
l’avvenuta  fecondazione,  malgrado  la  mancata  apertura  del  fiore,  non  sa¬ 
rebbe  facile  spiegarsi  l’accrescimento  normale  dell’ovario,  perchè  sta  in 
fatto  che  sono  assai  rari  i  casi  nell'O.  maculata  che  qualche  fiore  non 
resti  fecondato  e  di  conseguenza  non  si  riscontra  1'  accrescimento  del¬ 
l’ovario  e  della  conseguente  formazione  della  capsula.  Non  mancherò 
d'  altra  parte  di  procedere  ad  un  più  accurato  esame  sugli  ovuli  che 
vi  sono  contenuti  e  ciò  per  assicurarmi  della  loro  condizione  normale 
di  fecondazione  avvenuta. 

Intanto  data  la  specialità  del  caso  da  me  osservato,  che  non  è  in¬ 
frequente  in  altre  piante,  ma  abbastanza  raro  nelle  orchidee,  ho  cre¬ 
duto  di  prendere  data  con  questa  mia  comunicazione,  tanto  più  che  non 
ho  riscontrato  niente  di  simile  nella  letteratura  che  ho  avuto  agio  di 
scorrere  finora. 


Finito  di  stampare  il  20  agosto  1923 


Su  di  un  caso  teratologico  in  un  Citrus  limonum 
v .  digitata  Risso. 

Comunicazione  verbale 
del  socio 

Giuseppe  Colomba 


(Tornata  del  12  agosto  1923) 


Fra  il  materiale,  che  il  Prof.  De  Rosa  raccoglie  da  anni  per  la  col¬ 
lezione  del  suo  Museo,  ho  trovato  uno  strano  frutto  di  Citrus  limo¬ 
num  Risso,  finora  poco  conosciuto,  e  del  quale  credo  opportuno  farne 
una  comunicazione. 

Si  tratta  di  un  frutto  di  limone  che  si  presenta  in  una  forma  ec¬ 
cezionale,  cilindrica,  un  po'  curvata,  a  base  quasi  ottusa  e  leggermente 
acuminata  all'apice.  Ha  una  lunghezza  di  cm.  12,5,  per  un  diametro  di 
cm.  2,5  l’epicarpio  rugoso,  ricordante  quello  dei  comuni  limoni  della 
costiera  d'Amalfi.  Proviene  infatti  l'esemplare,  probabilmente,  proprio  da 
quelle  contrade.  La  parte  interna  dello  esperidio  consiste  nello  sviluppo 


di  un  solo  spicchio  aspermo,  sviluppato  nel  senso  della  curva  esterna, 
così  che  subito  si  dimostra  che  risulta  da  un  carpello  unico. 

Ho  creduto  consultare  un  po’  la  letteratura  avendo  avuto  il  dubbio 
che  la  forma  di  tale  frutto,  che  potrebbe  riportarsi  a  quella  netta  di  un 
dito,  possa  essere  una  delle  forme  rilevate  dal  Penzig  ( Studi  botanici 
sugli  agrumi,  Annali  di  Agricoltura,  anno  1887).  Questi  però  parla  di 
una  forma  digitata  dovuta  a  divisione  dei  carpidii,  cosa,  del  resto,  che 


—  14  — 


egli  stesso  ha  varie'  volte  riscontrata  nel  così  detto  “  arancio  stellato  „ 
dove  i  carpidii,  divisi,  irradiano  dalla  base  del  frutto,  come  centro,  in 
tutti  i  sensi.  Il  Penzig  però  riferisce  il  frutto  digitato,  non  a  questa  for¬ 
ma  stellata,  ma  bensì  ad  un’altra  detta  “  frutto  corniculato  „  dovuto  al 
fatto  che  solo  un  carpello  si  stacca  dal  cerchio  degli  altri  e  sporge 
fuori.  Aggiunge  pure,  egli,  che  i  frutti  a  forma  digitata,  coltivati  spesso 
nei  nostri  giardini,  non  lasciano  distinguere  bene  gli  stimmi  all’  apice 
di  quelle  prominenze  digitiformi,  e  non  vi  entrano  logge  ovariali,  mo¬ 
strando  essi  nel  loro  interno  solo  il  tessuto  bianco  spugnoso  del  me¬ 
socarpio.  Queste  forme  però,  cui  accenna  il  Penzig,  non  trovano  esatto 
riscontro  in  quella  da  me  esaminata. 

Il  Penzig  si  riferisce  sempre  all’arancio  ( Citras  aurantiam  L.)  e 
non  accenna  ai  casi  simili  ed  omologhi  del  limone  (C.  limonimi  R.).  E 
poi  le  prominenze,  che  il  frutto  ricordato  presenta,  sono,  come  si  è 
detto,  prominenze  nelle  quali,  però,  non  vi  entrano  logge  ovariali,  per¬ 
ciò  da  ritenersi  come  determinate  da  accrescimento  anormale  dell’epi¬ 
carpio  e  del  mesocarpio,  cioè  variazioni  normali  della  buccia.  Anche  il 
Savastano  (Le  forme  teratologiche  dei  fiori  e  del  fratto  degli  agrami , 
1884)  non  fa  cenno  ad  altro  che  a  questo  anormale  accrescimento  del¬ 
l'epicarpio  e  mesocarpio,  accrescimento  talora  localizzato  a  striscie  o  a 
punti  come  tante  creste.  Nel  caso  attuale,  invece,  l’intero  corpo  digitato 
costituisce  un  frutto  intero  che,  per  quanto  aspermo,  deve  ritenersi 
completo. 

Così  evidentemente  devesi  considerarlo  come  un  vero  e  proprio 
frutto  anormale,  prodotto  dall’accrescimento  del  solo  carpello  presente 
e  di  conseguenza,  probabilmente,  l'anomalia  di  questo  frutto  è  in  diretta 
funzione  dell'anomalia  del’  fiore  nel  quale,  effettivamente,  l'ovario  do¬ 
veva  essere  costituito  da  un  solo  carpello. 

Il  caso  è  tanto  più  notevole  che  nelle  forme  coltivate  di  limone  è 
anche  meno  frequente  quello  che  si  verifica  nell’arancio  e  cioè  una 
moltiplicità  di  carpelli  così  che  non  è  addirittura  raro  il  caso  di  avere 
frutta  con  un  numero  di  logge  maggiore  della  normale. 


Finito  di  stampare  il  30  agosto  1923. 


Bollettino  della  Società  dei  Naturalisti  in  Napoli. 


RENDICONTI  DELLE  TORNATE 

(PROCESSI  VERBALI) 


PROCESSI  VERBALI  DELLE  TORNATE 


Tornata  ordinaria  del  13  agosto  1922. 

Presidente :  E.  Cutolo  —  Segretario :  C.  Gargano 

Soci  presenti  :  Carrelli,  Zirpolo,  Giordani  M.,  Pierantoni,  Siniscal¬ 
chi,  Guadagno,  Giordani  F.,  Cavara,  Marcucci,  Quintieri,  Mazzarelli 
Giuseppe,  Mazzarelli  Gustavo,  D'Avino,  Bakunin. 

Si  apre  la  seduta  alle  ore  15.30  in  seconda  convocazione. 

Si  legge  e  si  approva  il  processo  verbale  della  tornata  precedente. 

Il  Segretario  presenta  i  nuovi  cambi  e  le  pubblicazioni  pervenute 
in  dono. 

Il  socio  Pierantoni  legge  un  lavoro  dal  titolo  :  L’organo  dorsale  del 
Pyrosoma  giganteum ,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Mazzarelli  legge  tre  comunicazioni:  Sulla  biologia  dell’o¬ 
strica.  1.  Note  sulla  biologia  dell'ostrica  (Ostrea  edulis  L.);  2.  La  sorte 
del  fregolo  bianco  nelle  ostriche  madri  tenute  in  piccoli  acquari;  3.  Se 
l’ostrica  del  Fusaro  possa  considerarsi  come  una  forma  locale ,  e  ne  chie¬ 
de  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Carrelli  legge  un  lavoro  dal  titolo:  La  decomposizione  elet¬ 
trica  delle  righe  spettrali ,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Gargano  legge  una  nota  su:  La  cultura  dei  tessuti  in  vi¬ 
tro,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Guadagno  legge  un  lavoro  dal  titolo:  La  vegetazione  del 
M.  Nuovo  e  le  sue  origini ,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Zirpolo  legge  una  nota  del  socio  Cotronei:  Ricerche  sul 
pancreas  dei  Petromizonti,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino 
a  nome  dell' A. 

Si  decide  di  prendere  le  vacanze  sociali  fino  al  novembre. 

Vengono  ammessi  soci  ordinarii  residenti:  il  prof.  Antonio  Gar- 
giulo  e  a  socio  ordinario  non  residente  il  sig.  Giuseppe  Colomba. 

Si  chiude  la  tornata  alle  ore  17,30. 


Assemblea  Generale  del  31  dicembre  1922. 

Presidente  :  E.  Cutolo  —  Segretario  :  C.  Gargano 

Soci  presenti:  De  Rosa,  Monticelli,  Cavara,  Quintieri,  Giordani  M., 
Zirpolo,  Pierantoni,  Guadagno,  Gargiulo,  Califano,  Mazzarelli  Giuseppe, 
Mazzarelli  Gustavo,  Chistoni,  Giordani  F.,  D’Evant,  Piccoli. 

Si  legge  e  si  approva  il  processo  verbale  della  tornata  prece¬ 
dente. 

Il  Segretario  presenta  i  nuovi  cambi  pervenuti  e  le  pubblicazioni 
donate. 

Il  Presidente  comunica  all'Assemblea  le  pratiche  svolte  per  la  si¬ 
stemazione  dei  locali. 

Il  socio  Gargano  propone  alFAssemblea  la  votazione  per  acclama¬ 
zione  a  socio  benemerito  del  Presidente  Prof.  Enrico  Cutolo  per  il  va¬ 
lido  interessamento  svolto  in  tutte  le  pratiche  riguardanti  la  sistema¬ 
zione  dei  locali  e  le  cospicua  concessione  di  sussidi  ottenuti  per  la  sua 
opera. 

La  proposta  è  accolta  ad  unanimità  dai  soci. 

Il  socio  Zirpolo  legge  un  lavoro  dal  titolo:  Osservazioni  sullo  svi¬ 
luppo  dei  rami  coloniali  del  Zoobotryon  pellucidum  Ehrbg.,  e  ne  chiede 
la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Gargano  fa  una  comunicazione:  SulVazione  del  radio  e 
delle  folgorazioni  sugli  epiteliomi. 

Il  socio  Mazzarelli  fa  una  comunicazione:  Sulle  ostriche  perlifere . 

Il  socio  Pierantoni  in  seguito  alla  comunicazione  del  socio  Maz¬ 
zarelli  propone  che  la  Società  faccia  un  voto  presso  il  competente  Mi¬ 
nistro  per  mettere  in  piena  efficienza  la  stazione  idrobiologica  del 
Lago  Fusaro. 

Il  socio  Gargano  propone  che  1'  Assemblea  faccia  un  voto  al  Mi¬ 
nistero  della  P.  I.  per  sospendere  il  provvedimento  di  soppressione  della 
cattedra  di  Embriologia  generale  nella  Facoltà  di  Medicina. 

Il  socio  Chistoni  propone  un  voto  perchè  si  faccia  subito  il  con¬ 
corso  per  Direttore  del  R.  Osservatorio  Vesuviano. 

Il  socio  Zirpolo  legge  una  comunicazione  a  nome  del  socio  Caroli  : 
Sulla  presenza  nel  Golfo  di  Napoli  della  Penilia  Schmackeri. 

Il  socio  Cavara  fa  una  comunicazione:  Casi  di  impollinazione  loti- 
ginqua  in  Araucaria  e  Gingko  biloba. 

Il  socio  De  Rosa  a  nome  del  socio  Siniscalchi  propone  che  la  So¬ 
cietà  faccia  un  voto  presso  il  Municipio  di  Napoli  per  sollecitare  i  la¬ 
vori  di  edificazione  della  nuova  sede  del  Museo  Trinchese. 


—  V  — 

Viene  approvato  il  seguente: 

Voto 

La  Società  dei  Naturalisti  in  Napoli,  nell’assemblea  generale  dei 
soci  del  31  dicembre  1922,  venuta  a  conoscenza  della  deliberazione  del 
Consiglio  Comunale  di  Napoli  circa  la  costruzione  di  un  padiglione 
pel  museo  civico  Trinchese; 

Considerato  il  numero  di  circa  3090  alunni  che  frequenta  per  anni 
detto  Museo; 

Considerato  il  grande  vantaggio  che  la  popolazione  scolastica  ope¬ 
raia  riceve  da  questa  istituzione; 

Considerato  che  l’Assessore  della  Pubblica  Istruzione  ha  elaborato 
un  progetto  di  riforma  per  l’insegnamento  di  scienze  naturali  con  corsi 
popolari,  il  quale  non  potrà  effettuarsi  se  il  Museo  non  è  costruito 

fa  voti 

perchè  al  più  presto  siano  iniziati  i  lavori  per  il  costruendo  padiglione 
onde  tutta  la  popolazione  scolastica  operaia  e  popolare  possa  durante 
l’anno  usufruirne. 

Il  socio  Anile  passa  dalla  categoria  dei  soci  ordinari  residenti  a 
quelli  di  non  residenti. 

Sono  ammessi  soci  ordinari  residenti  i  signor  Professori  Roncali, 
Fedele,  Parascandolo  ed  a  socio  ordinario  non  residente  il  Dott.  Palombi. 

Costituitosi  il  seggio  elettorale  nella  persona  dei  soci  Ugo  Milone, 
Califano,  Mazzarelli  Gustavo  risultano  eletti  : 

Vice  Presidente :  Chistoni  Ciro 

Segretario :  Monticelli  Fr.  Sav. 

Consiglieri  :  Quintieri  Luigi 

Guadagno  Michele 

ed  a  Revisori  dei  conti  i  socìi: 

Oreste  Forte 
Luigi  D’Emilio 

L’Assemblea  è  sciolta  alle  ore  19,30  dopo  aver  approvato  il  pro¬ 
cesso  verbale  della  seduta. 


—  VI 


Tornata  ordinaria  del  7  gennaio  1923. 

Presidente  :  E.  Cutolo  —  Segretario  :  Fr.  Sav.  Monticelli. 

La  tornata  si  apre  alle  ore  17. 

Soci  presenti  :  Chistoni,  Pierantoni,  Cavara,  Zirpolo,  Siniscalchi, 
D’ Emilio,  Marcello,  De  Rosa,  Mazzarelli  Giuseppe,  Mazzarelli  Gustavo, 
Geremicca  F.,  Guadagno,  Giordani  F. 

Si  legge  il  processo  verbale  dell’Assemblea  precedente  già  approvato. 

11  socio  Cavara  discute  sulle  varie  incongruenze  che  si  notano  nei 
pareri  formulati  dal  C.  S.  della  P.  I.  per  l' insegnamento  della  Bota¬ 
nica,  Zoologia  ed  Anatomia  Comparata.  Il  ridurre  l'insegnamento  di 
botanica  ad  un  corso  semestrale  significa  togliere  tutta  l’importanza  di 
questa  disciplina  ed  è  meglio  abolirla  anzicchè  permettere  la  impossi¬ 
bilità  di  fare  un  corso  che  possa  essere  utile  agli  studenti  di  Medicina 
e  di  Farmacia.  Parimenti  l'alternare  un  corso  di  Zoologia  con  quello  di 
Anatomia  comparata  è  una  incongruenza  che  non  si  può  spiegare  se  non 
ammettendo  che  nel  C.  S.  manchino  elementi  adatti  ad  intendere  il  va¬ 
lore  e  l’importanza  di  quelle  discipline  per  la  serietà  degli  studi. 

Propone  quindi  che  si  faccia  un  voto  in  cui  si  dichiari  che  è  ne¬ 
cessario  che  nel  C.  S.  vengano  chiamati  uomini  competenti  delle  varie 
Facoltà  e  di  gruppi  di  materie. 

I  soci  Pierantoni  e  Monticelli  credono  che  bisogna  fare  un  voto  per¬ 
chè  vengano  chiamati  a  far  parte  del  C.  S.  i  vari  competenti,  e  per 
ciò  che  riguarda  la  sistemazione  delle  varie  materie  si  deve  soprasse¬ 
dere  perchè  non  è  ancora  pervenuto  il  regolamento  del  Ministro  della  P.  I. 

Viene  proposto  dalla  Presidenza  e  si  approva  il  seguente: 

Voto 

La  Società  dei  Naturalisti  in  Napoli,  nella  tornata  del  7  gennaio  1923; 

Considerando  che  nei  pareri  formulati  dal  C.  S.  della  P.  I.  sui 
nuovi  ordinamenti  degli  insegnanti  delle  diverse  Facoltà  si  notano  delle 
incongruenze,  specialmente  per  ciò  che  riguarda  le  materie  delle  Fa¬ 
coltà  di  Scienze  Naturali  (vedi  pareri  dell’insegnamento  della  Zoologia, 
Anatomia  comparata  e  Botanica); 

Considerando  che  tali  incongruenze  sono  dovute  al  fatto  della  man¬ 
canza  nel  suddetto  consesso  dei  rappresentanti  pei  gruppo  di  materie 
biologiche  delle  Facoltà  di  Scienze  Naturali. 

fa  voti 

perchè  nel  C.  S.  della  P.  I.  vengano  chiamati  a  far  parte  i  rappresen¬ 
tanti  dei  singoli  gruppi  delle  materie  appartenenti  a  ciascuna  Facoltà, 


—  VII 


affinchè  il  Consiglio  Superiore  stesso  possa  essere  competente  nelle  que¬ 
stioni  riguardanti  ciascuno  di  questi  gruppi. 

Il  socio  Chistoni  propone  un  voto  per  gli  assistenti  ed  aiuti,  di¬ 
cendo  che  le  delimitazioni  degli  anni  a  6  ed  a  8  è  un  grave  inconve¬ 
niente  per  i  laboratori  di  scienze  pure. 

II  socio  Mazzarelli  Giuseppe  dice  di  accettare  il  voto  Chistoni  e 
propone  che  si  faccia  bene  intendere  la  differenza  fra  assistenti  di  cli¬ 
niche  e  quelli  di  scienze  pure. 

Che  se  per  i  primi  un  rinnovamento  può  giovare  di  molto,  per  i 
secondi  è  una  rovina. 

Propone  poi  che  data  la  scarsezza  di  cattedre  universitarie  i  gio¬ 
vani  assistenti  possano  entrare  nelle  scuole  medie. 

Il  socio  Pierantoni  si  associa  alla  divisione  del  voto  che  propone 
Mazzarelli  e  vorrebbe  che  fosse  motivato  col  far  intendere  che  andando 
via  gii  assistenti  non  c’è  chi  li  sostituisca. 

Il  socio  Monticelli  dice  che  bisogna  soprassedere  perchè  la  no¬ 
tizia  non  è  ancora  certa,  ma  che  nel  caso  si  faccia  tal  voto  si  debba 
insistere  sulla  differenza  fra  le  varie  specie  di  assistenti. 

Cutolo  riepiloga  la  discussione  e  propone  il  seguente  : 

Voto 

La  Società  dei  Naturalisti  in  Napoli  nella  tornata  del  7  gennaio 
1923  essendo  informata  di  possibili  proposte  per  limitazione  di  tempo 
che  si  vorrebbe  assegnare  alla  durata  in  carica  degli  aiuti  e  degli  assi¬ 
stenti; 

Considerando  che  bisogna  fare  una  distinzione  fra  assistenti  di  la¬ 
boratorio  di  scienze  pure  ed  assistenti  di  laboratorio  con  applicazioni 
pratiche  (clinici); 

Considerando  che  una  limitazione  di  sei  od  otto  anni  per  gli  as¬ 
sistenti  dei  laboratori  di  Scienze  pure  arrecherebbe  un  danno  incalco¬ 
labile  alLincremento  delle  produzioni  scientifiche  ed  alla  formazione  di 
un  seminario  di  aspiranti  alle  cattedre  universitarie; 

Considerando  che  per  il  tempo  occorrente  affinchè  un  laureato 
possa  divenire  un  provetto  assistente,  ogni  limitazione  di  tempo  co¬ 
stringerebbe  i  Direttori  di  laboratori  a  formare  sempre  nuovi  assi¬ 
stenti,  perdendoli  proprio  nel  momento  in  cui  la  loro  opera  diviene  piu 
proficua  ; 

Considerando  che  una  tal  legge  priverebbe  subito  un  gran  numero 
di  laboratori  di  assistenti  già  pratici  e  difficilmente  sostituibili  per  man¬ 
canza  di  personale;  come  dimostra  la  grande  difficoltà  già  esistente  nel 
sostituire  i  posti  vuoti  nelle  materie  puramente  scientifiche; 


perchè  il  Ministro  della  P.  I.  nel  caso  in  cui  voglia  addivenire  ad  una 
delimitazione  di  tempo,  questa  non  riguardi  gli  assistenti  ed  aiuti  dei 
laboratori  di  Scienze  pure. 

La  tornata  si  chiude  alle  ore  20  dopo  avere  approvato  il  suddetto 
Voto. 


Assemblea  generale  del  4  febbraio  1923. 

Presidente:  E.  Cutolo  —  Segretario  :  Fr.  Sav.  Monticelli 

Soci  presenti:  Chistoni,  Marcucci,  Fedele,  Capozzoli,  Roncali,  De 
Rosa,  Palombi,  Guadagno,  Giordani  F.,  Giordani  M.,  Bakunin,  Co¬ 
lomba,  Parascandola,  Mazzarelli  Gustavo,  Forte,  Geremicca  F.,  Zirpolo, 
Milone,  Quintieri,  D’Evant,  Piccolo. 

Si  legge  e  si  approva  il  processo  verbale  della  tornata  precedente. 

Il  Presidente  annunzia  la  morte  del  socio  Marzio  Cozzolino. 

Il  socio  De  Rosa  dice  inattesa  la  morte  del  socio  Cozzolino  e  parla 
del  valore  dello  studioso  che  nonostante  sia  morto  in  età  giovane,  ap¬ 
pena  trentaquattrenne,  pure  lascia  notevoli  lavori  degni  della  consi¬ 
derazione  degli  studiosi.  Manda  un  saluto  alla  memoria  del  socio  così 
presto  scomparso. 

Il  Presidente  si  associa  e  dice  di  inviare  le  condoglianze  della 
Società  alla  famiglia. 

Il  Presidente  comunica  le  risposte  del  M.  della  P.  I.  in  ordine  ai 
voti  emessi  dalla  Società  per  la  riforma  del  C.  S.  della  P.  I.  e  per  gli 
assistenti  universitari. 

Il  socio  Fedele  legge  un  lavoro  dal  titolo  :  Simmetria  ed  unità  di¬ 
namica  nelle  catene  di  Salpa ,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Palombi  legge  un  lavoro  dal  titolo:  Diagnosi  di  nuove 
specie  di  policladi  della  R .  Nave  Liguria ,  e  ne  chiede  la  pubblicazione. 

Il  socio  Chistoni  dice  che  il  voto  sulla  laurea  in  Geografia  emesso 
dalla  nostra  Società  sarà  un  fatto  compiuto  nel  prossimo  anno  scolastico. 

Il  socio  Chistoni  inoltre  comunica  che  nel  giornale  universitario  il 
Prof.  Monti  annuncia  che  il  Magistrato  delle  acque  di  Padova  ha  inca¬ 
ricato  tre  professori  viennesi  per  il  rilevamento  geologico  nella  Venosta, 
Pusteria,  Val  d’Isarco.  Ora  tutto  questo  va  a  disdoro  dell’Italia  e  degli 
scienziati  italiani.  Pare  impossibile  che  in  Italia  non  vi  sia  gente  che 
possa  -fare  di  questi  rilievi  e  che  si  debba  ricorrere  a  scienziati  stra¬ 
nieri  e  per  giunta  a  gente  che  partecipò  a  Caporetto  contro  l'Italia. 


Propone  che  la  Società  invii  direttamente  al  Presidente  del  Consi¬ 
glio  dei  Ministri  la  sua  protesta  vibrata  onde  il  grave  sconcio  sia  eli¬ 
minato. 

Riferisce  inoltre  sulle  sorti  dell’Osservatorio  geografico  di  Pola  e  fa 
voti  perchè  queirimportante  Osservatorio  geografico  sia  restituito  al  più 
presto  al  suo  decoro. 

Il  socio  Chistoni  inoltre  dice  che  si  è  ottenuto,  in  seguito  ai  nu¬ 
merosi  voti  formulati  dalla  Società  che  l'Istituto  geografico  militare  fac¬ 
cia  la  livellazione  dei  Campi  Flegrei  dal  Capo  Miseno  a  Fuorigrotta  con 
uno  sviluppo  di  70  Km.  e  che  ora  farà  la  livellazione  partendo  dal 
Mandracchio,  Istituti  Universitari!,  Orto  botanico  fino  a  S.  Maria  del 
Pianto. 

Guadagno  riferisce  sul  Tunnel  di  Posillipo  e  prega  il  Presidente  di 
interessare  direttamente  il  Sindaco,  perchè  si  occupi  della  cosa. 

Il  socio  Gargano  legge  la  relazione  sull'andamento  morale  e  finan¬ 
ziario  della  Società  per  l’anno  1922. 

Egregi  Consoci , 

Lo  Statuto  ed  il  regolamento  della  nostra  Società  concedono  al 
Segretario  uscente  l’onorifico  incarico  di  leggervi  a  nome  del  Consiglio 
direttivo  la  relazione  sull’andamento  morale  e  finanziario  per  l’anno  1922. 

Ed  è  con  orgoglio  e  con  dolore,  che  adempio  a  questo  incarico, 
con  orgoglio  perchè  ho  l’opportunità  di  potervi  mostrare  l’incremento 
sempre  crescente  della  nostra  società  ;  con  dolore,  perchè  dopo  un 
biennio  lascio  i  compagni  di  lavoro  del  Consiglio  direttivo,  con  i 
quali  da  molti  lustri  mi  legano  vincoli  di  affetto  e  d’amicizia  sincera. 

Soci.  —  Il  numero  dei  soci  al  31  dicembre  era  di  116  divisi  in 
soci  ordinari  residenti  66,  soci  ordinari  non  residenti  34  e  soci  ade¬ 
renti  16. 

Sono  stati  ammessi  come  soci  ordinari  residenti  i  signori  proff. 
Bakunin  Maria,  Pomilio  Umberto,  d'Emilio  Luigi,  Capozzoli  Rinaldo, 
Corradini  Flavio,  del  Regno  Washington,  Fiore  Guido,  Gargiulo  An¬ 
tonio,  Roncali  Demetrio  Bruto,  Fedele  Marco  e  Parascandola  Antonio. 

Sono  stati  ammessi  come  soci  ordinari  non  residenti  i  signori 
proff.  Valerio  Rosaria,  Fiore  Maria,  Dalla  Brida  Costantino,  Lo  Giudice 
Pietro,  Cotronei  Giulio,  Colomba  Giuseppe,  Palombi  Arturo. 

Il  Consiglio  direttivo  ha  trasferito  i  soci  Mauro  Anna  Maria  ed 
Anile  Antonino  dalla  categoria  di  soci  ordinari  residenti  a  quella  di 
soci  ordinari  non  residenti  ;  i  soci  Geremicca  Federico  e  Carrelli  An- 


X 


tonio  da  soci  ordinarli  non  residenti  a  soci  ordinarli  residenti  ed  il 
socio  aderente  Sbordone  Annibaie  a  socio  ordinario  non  residente. 

Ma  se  con  un  senso  di  vero  piacere  constatiamo  questo  sempre 
crescente  aumento  di  scienziati  e  di  cultori  di  scienze  naturali,  che  de¬ 
sidera  venire  ad  aumentare  la  falange  dei  nostri  soci,  non  possiamo 
nascondere  l’angoscia  per  la  perdita  di  un  nostro  carissimo  socio  or¬ 
dinario  residente  il  prof.  Francesco  Balsamo,  e  del  socio  ordinario  non 
residente  prof.  Marzio  Cozzolino. 

Il  prof.  Balsamo  era  uno  dei  primissimi  soci  della  Società  dei  Na¬ 
turalisti  ed  al  suo  grande  valore  di  Botanico  insegne  accoppiava  una 
rettitudine  di  animo  ed  una  bontà  di  cuore  infinito,  che  lo  rendevano 
l’esempio  vivente  del  professore  e  del  padre  di  famiglia. 

Non  vi  parlerò  io  della  sua  grande  attività  scientifica,  non  è  pari 
la  mia  mente;  in  una  tornata  straordinaria  il  chiarissimo  nostro  socio 
prof.  Fridiano  Cavara,  incaricato  dal  Consiglio  direttivo,  vi  parlerà  de¬ 
gnamente  di  lui 

Il  socio  Marzio  Cozzolino  anche  egli  Botanico  copriva  attualmente 
la  carica  di  direttore  della  Cattedra  Ambulante  di  Agricoltura,  posto 
ottenuto  per  concorso,  e  nel  quale  aveva  portato  tutto  l'entusiasmo  dei 
suoi  giovani  anni  e  della  sua  vasta  cultura. 

Alle  doloranti  famiglie,  alle  quali  il  Consiglio  direttivo  ha  inviato 
le  parole  di  condoglianze  sincere,  vada  il  solidale  saluto  dell’  Assem¬ 
blea  dei  soci. 

Il  Consiglio  direttivo  si  è  trovato,  per  ragioni  amministrative  e  per 
rispetto  alla  nostra  carta  statutaria  nella  penosa  condizione  di  dovere 
adattare  verso  alcuni  soci  alcune  misure  disciplinari,  e  cioè  radiare  per 
mora  alcuni  soci.  Ed  è  da  augurarsi  che  questi  soci,  che  pur  in  nu¬ 
merose  circostanze,  avevano  dimostrato  attaccamento  alla  società,  rien¬ 
trino  nel  seno  della  Società  dei  Naturalisti,  dove  ritroveranno  sempre 
quell’affetto  e  quella  liberalità  di  vedute  che  è  stata  da  circa  un  qua¬ 
rantennio  la  forza  sociale. 

Bollettino.  —  Per  ragioni  tipografiche  e  di  opportunità  ammini¬ 
strative  il  Consiglio  direttivo  ha  creduto  utile  riunire  in  un  unico  vo¬ 
lume  i  Bollettini  1921  e  1922,  e  questo  fra  giorni  sarà  distribuito  ai  soci 
ed  alle  società  scientifiche  con  le  quali  siamo  in  corrispondenza.  Esso  è 
stato  pubblicato  per  i  tipi  delPOfficina  Tipografica  Aldina  ed  è  il  Volume 
34  della  collezione  ed  è  un  libro  di  circa  400  pagine  corredato  da  nu¬ 
merose  tavole  e  figure  intercalate  nel  testo.  Come  i  volumi  precedenti  è 
diviso  in  tre  parti:  la  prima  Atti  comprende  i  lavori  originali  dei  soci  e 
così  le  Memorie  e  le  Note,  la  seconda  le  Comunicazioni  verbali  ed  infine 


XI 


i  Rendiconti  delle  tornate  con  1’  elenco  dei  soci  e  delle  pubblicazioni 
pervenute  in  dono  ed  in  cambio. 

E  dato  l’enorme  prezzo  della  carta,  della  composizione,  della 
stampa  e  delle  tavole  rappresenta  il  maggiore  sforzo  al  quale  si  è  po¬ 
tuto  andare  incontro. 

Tornate.  —  La  Società  si  è  riunita  sette  volte  in  tornata  ordinaria 
ed  assemblea  generale,  e  in  queste  sette  sedute  il  numero  delle  Me¬ 
morie  lette  è  cospicuo  e  così  anche  il  numero  dei  voti  e  deliberati  ap¬ 
provati  riguardanti  questioni  che  hanno  attinenza  con  la  Scienza  e  con 
la  Società  dei  Naturalisti. 

Voti  e  deliberati.  —  Anche  quest’anno  la  Società  si  è  occupata  del 
progetto  Corbino  sulle  lauree  miste  in  fisica  e  scienze  naturali,  ha  fatto 
voto  al  Ministro  perchè  detto  progetto  sia  sostanzialmente  modificato. 

Ha  anche  inviato  un  voto  perchè  nell’  Università  di  Napoli  siano 
conferite  lauree  in  Geografia  dato  che  esistono  tutti  gl’  insegnamenti 
speciali  atti  ad  integrare  una  cultura  severa  su  questo  importante  di¬ 
ploma,  che  ora  viene  insegnato  come  materia  collaterale  e  non  fonda- 
mentale  dai  laureati  in  lettere  e  filosofia. 

Si  è  fatto  anche  un  voto  per  il  livellamento  del  Serapeo  di  Poz¬ 
zuoli,  per  il  riordinamento  delle  nostre  biblioteche,  per  affrettare  i  la¬ 
vori  della  erigenda  nuova  sede  del  Museo  Trinchese,  per  l'italianità 
della  Stazione  zoologica  di  Napoli,  per  il  ripristino  della  cattedra  di 
Embriologia  nella  facoltà  di  medicina  di  Napoli,  per  la  sistemazione 
degli  assistenti  universitari  e  per  il  concorso  di  direttore  dell’Osserva¬ 
torio  vesuviano. 

Attività  scientifica.  —  I  lavori  pubblicati  nel  Bollettino  1922  sono 
23,  e  così  divisi  Zoologia  10,  Botanica  2,  Fisica  e  Metereologia  5,  Pa¬ 
tologia  generale  4. 

I  titoli  dei  lavori  sono  i  seguenti  : 

Zirpolo.  —  Sull' omeofagistno  della  Asterina  gibbosa  Penti. 

Mazzarelli.  —  Sulla  biologia  dellOstrea  edalis.  Nota  1. 

Marcello.  —  Breve  nota  sa  due  casi  teratologici  del  Rafanus 
sativas. 

Zirpolo.  —  Osservazioni  sulla  biofotogenesi. 

Gargano.  —  Inclusioni  di  cellule  negli  epiteliomi. 

Del  Giudice.  —  Le  acciughe  dei  mari  italiani. 

Gargano.  —  Le  alterazioni  prodotte  nel  fegato  della  Lacerta  mu- 
ralis  Laur.  dal  Cysticercus  dithyridium. 


XII 


Del  Regno.  —  Gli  elementi  diottrici  dell’occhio  afachico. 

Mazzarelli.  —  Note  sulla  biologia  dell’  ostrica  ( Ostrea  edulis.). 
2.  La  sorte  del  fregolo  bianco  nelle  ostriche  madri  tenuto  in  piccoli 
acquarii. 

Gargano.  —  Esperimenti  di  cultura  “  in  vitro  „  di  tessuti  di  Selaci. 

Malladra.  —  E  attività  del  Vesuvio  nell'anno  1918. 

Zirpolo.  —  Sulla  biologia  del  Zoobotryon  pellucidum  Ehrbg. 

Carrelli.  —  Sul  raggio  dell'atomo. 

Carrelli.  —  La  decomposizione  elettrica  delle  righe  spettrali. 

Guadagno.  —  La  vegetazione  del  monte  Nuovo  e  le  sue  origini. 

Cotronei.  —  Ricerche  sul  pancreas  dei  Petromizonti. 

Gargano.  —  Azione  del  radio  sugli  epiteliomi. 

Mazzarelli.  —  La  «secca»  del  Pampano. 

Pierantoni.  —  Sulla  biofotogenesi  simbiotica. 

Zirpolo.  —  Sulla  presenza  di  organi  simbiotici  nell'Hirudo  medi¬ 
cinali  L. 

Gargano.  —  Dei  tumori  spontanei  nei  Mammiferi. 

Bilancio  1922.  —  Come  rileverete  dalla  relazione  dei  revisori  dei 
conti  e  dalla  esposizione  del  Bilancio  consuntivo  1922  il  Bilancio  or¬ 
dinario  si  chiude  con  un  attivo  di  L.  711.75,  di  che  va  data  lode  al 
Consiglio  -direttivo,  e  al  Chiarissimo  Presidente  che  con  cura  paterna 
ha  vigilato  alle  funzioni  sociali.  Ho  parlato  del  bilancio  ordinario,  per¬ 
chè  si  sono  ottenute  o  si  ottengono  somme  cospicue  per  circa  lire  qua¬ 
rantamila  con  le  quali  il  Consiglio  direttivo  intende  provvedere  alla 
scaffalatura  ed  al  riordinamento  della  Biblioteca  che  rappresenta  uno 
dei  maggiori  patrimoni  sociali,  affinchè  questi  nuovi  locali  costruiti  sul¬ 
l’area  del  vecchio  palazzo  universitario,  possano  decorosamente  ospitare 
la  Società  onorevolmente,  che  segna  tanti  anni  di  vita  gloriosa  dedicata 
alla  Scienza  ed  all'  incremento  della  scuola. 

Egregi  Consoci } 

Nel  chiudere  la  mia  relazione  debbo  additare  alla  benemerenza 
deH'Assemblea  alcuni  soci  .che  in  un  momento  di  disagio  finanziario 
della  Società  vollero  anticipare  delle  somme,  e  che  ora,  che  la  Società 
era  in  condizioni  di  poterle  restituire,  hanno  desiderato  che  esse  fos¬ 
sero  devolute  aH’acquisto  di  eleganti  sedie. 

E  debbo  del  pari  additare  alla  riconoscenza  deH'Assemblea  quattro 
nostri  soci,  che  con  il  loro  benvolere  e  con  il  loro  zelo  hanno  reso  non 
pochi  servizi  al  funzionamento  della  Società  dei  Naturalisti,  e  cioè  al 
socio  Mario  Giordani,  vice  Segretario  attivo  ed  intelligente,  al  Cassiere 


—  XIII 


Ermete  Marciteci,  vigile  custode  delle  finanze  sociali,  al  Bibliotecario 
Mario  Salfi,  ed  al  socio  Giuseppe  Zirpolo,  Redattore  del  Bollettino. 

Infine  nutro  fiducia  che  nella  nuova  sede,  riordinatasi  la  Biblioteca, 
la  Società  possa  attendere,  senza  preoccupazioni,  alla  sua  alta  finalità 
di  incremento  delle  Scienze  naturali,  sorretta  dal  buon  volere  e  dalla 
operosità  di  tutti. 

Il  Presidente  ringrazia  il  socio  Gargano  per  l’opera  esplicata  du¬ 
rante  la  sua  carica  di  Segretario. 

Il  Presidente  invita  il  socio  Forte  a  leggere  la  relazione  sulla  revi¬ 
sione  dei  Conti  per  Fanno  1922. 

Il  socio  Forte  legge  la  relazione  anche  a  nome  del  socio  D’Emilio 
e  propone  un  voto  di  plauso  al  C.  D.  E’  approvato  ad  unanimità  il  bi¬ 
lancio  consuntivo  1922. 

Il  Segretario  legge  il  bilancio  preventivo  1923,  che  è  approvato. 

Si  discute  circa  il  pagamento  delle  quote  mensili  e  pigliano  la  pa¬ 
rola  i  soci  Gargano,  Giordani  F.,  Monticelli,  Cutolo,  Forte.  Si  addi¬ 
viene  nella  necessità  che  l’esattore  pigli  accordi  con  i  soci  circa  il  pa¬ 
gamento.  Il  Presidente  propone  la  radiazione  per  mora  dei  soci  Bellino 
R.,  Masi  A.,  Albore  I.,  Figliolia,  A. 

Sono  eletti  ad  unanimità  soci  ordinari  residenti  i  Dott.ri  Pozzi, 
Sbordone,  Signore,  Maio  e  socio  ordinario  non  residente  il  Dr.  Mingioli. 

L’Assemblea  si  scioglie  alle  ore  18. 


Tornata  ordinaria  del  18  marzo  1923. 

Presidente:  E.  Cutolo  —  Segretario:  Fr.  Sav.  Monticelli 

Si  apre  la  tornata  alle  ore  14.30  in  seconda  convocazione. 

Socii  presenti:  De  Rosa,  Siniscalchi,  Marcucci,  Zirpolo,  Gargano, 
Mingioli,  Milone,  Sbordone  D.,  Signore,  Chistoni,  Giordani  F.,  Car¬ 
relli,  Del  Regno,  Muratore,  Parascandola,  Serao,  Cavara,  Mazzarelli 
Gustavo,  Mazzarelli  Giuseppe,  Geremicca  F. 

Si  legge  e  si  approva  il  processo  verbale  dell’Assemblea  precedente. 

Il  Presidente  comunica  che  il  C.  D.  ha  stabilito  per  l’anno  1923 
di  concedere  16  pagine  di  stampa  e  un  contributo  non  superiore  a  lire 
cinquanta  per  clichè  o  tavole  fatte  a  spese  dell’Autore. 

Il  Presidente  comunica  che  il  voto  emesso  dalla  Società  per  il  Mu¬ 
seo  Trinchese  é  stato  accolto  in  quanto  sono  state  dall'Ente  municipale 
approvate  ancora  le  spese.  Il  socio  Siniscalchi  ringrazia  il  Presidente  e 
l’Assemblea. 


XIV 


Il  socio  Serao  legge  un  lavoro  dal  titolo:  Ricerche  sulla  reazione 
tra  cloruro  di  benzlle  e  fenolo,  e  ne  chiede  la  pubblicazione. 

Il  socio  Del  Regno  legge  un  lavoro  dal  titolo  :  L'effetto  fotoelet¬ 
trico  e  ne  chiede  la  pubblicazione. 

Il  socio  Zirpolo  legge  un  lavoro  dal  titolo:  Sulla  simbiosi  fra  Zoo- 
xantelle  e  Phylllroe  bucephala  Peron  et  Leseur,  e  ne  chiede  la  pubbli¬ 
cazione. 

Il  socio  Zirpolo  legge  a  nome  del  socio  Biondi  un  lavoro  dal  ti¬ 
tolo:  Osservazioni  sulle  bombe  vesuviane,  e  ne  chiede  la  pubblicazione 
a  nome  dell’Autore. 

Il  socio  Gargano  legge  una  nota  dal  titolo:  L'origine  nucleare  del 
centrosomi  negli  oociti  di  cagna,  e  ne  chiede  la  pubblicazione. 

Il  socio  Carrelli  legge  un  lavoro  dal  titolo:  Sull’assorbimento  di 
Fluorescenza,  e  ne  chiede  la  pubblicazione. 

Il  socio  Giordani  F.  fa  una  relazione  sulla  stampa  scientifica. 

Il  socio  Mazzarelli  comunica  che  il  Comm.  Giammarino  col  31 
marzo  lascia  la  sua  carica  di  Direttore  Generale  del  Demanio.  Si  pro¬ 
pone  in  vista  delle  benemerenze  del  Comm.  Giammarino  per  gli  studi 
idrobiologici,  di  inviargli  un  deferente  saluto  per  la  sua  opera  così  bene 
svolta  a  vantaggio  della  Scienza. 

La  tornata  si  chiude  alle  ore  16.20. 


Tornata  ordinaria  del  29  aprile  1923. 

Presidente :  E.  Cutolo  —  Segretario:  Fr.  Sav.  Monticelli 

Soci  presenti:  Marcucci,  Giordani  F.,  Siniscalchi,  De  Rosa,  Chistoni, 
Zirpolo,  Colomba,  Fedele,  Gargano,  Parascandola,  Del  Regno,  Serao. 

La  tornata  si  apre  in  seconda  convocazione  alle  ore  16. 

Si  legge  e  si  approva  il  processo  verbale  della  tornata  precedente. 

Il  Segretario  presenta  i  cambi  e  le  pubblicazioni  pervenute  in  dono. 

Il  Presidente  prega  i  socii  di  voler  concorrere  all'incremento  della 
Biblioteca  donando  libri  e  pubblicazioni  utili  al  sodalizio. 

Il  Segretario  legge  una  lettera  del  Comm.  Giammarino  che  rin¬ 
grazia  la  Presidenza  ed  i  soci  per  la  lettera  inviatagli  in  occasione  del 
suo  ritiro  dalla  Direzione  Generale  del  Demanio. 

Il  Presidente  presenta  il  Bollettino  1921-22.  Un  volume  di  oltre 
300  pagine  con  11  tavole  fuori  testo. 

Il  Presidente  comunica  che  i  soci  Giordani  F.  e  Zirpolo  hanno  vinto 
rispettivamente  i  premi  all'Istituto  d’incoraggiamento  ed  all’Accademia 
pontaniana  e  si  congratula  vivamente  con  loro. 


I  soci  Giordani  e  Zirpolo  ringraziano. 

II  socio  Gargano  dice  di  voler  fissare  le  tornate  in  precedenza  per 
poter  presentare  a  tempo  i  titoli  dei  lavori  che  si  vogliono  leggere,  e 
propone  che  il  Bollettino  esca  diviso  in  fascicoli. 

Il  Presidente  risponde  dicendo  che  in  un  prossimo  C.  D.  si  sta¬ 
bilirà  la  data  approssimativa  delle  tornate.  Circa  la  divisione  del  Bol¬ 
lettino  fa  notare  la  spesa  maggiore  cui  andrebbe  soggetta  la  Società, 
d’altra  parte  si  faranno  calcoli  approssimativi  per  vedere  se  la  propo¬ 
sta  convenga  nell’interesse  di  tutti. 

11  socio  Zirpolo  legge  un  lavoro  dal  titolo:  Studi  sulla  biolamine - 
scema  batterica.  -  7.  Azione  dei  sali  di  potassio  e  ne  chiede  la  pubblica¬ 
zione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Fedele  legge  una  nota  dal  titolo  :  Sulla  identità  di  Dolio- 
lum  Chuni  Neumann  con  Dolchinia  mirabilis ,  Korotneff,  e  ne  chiede  la 
pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Zirpolo  legge  una  Nota  del  socio  Caroli  :  Di  una  specie 
italiana  di  Typhlocaris  (T.  salentina  n.  sp.)  con  osservazioni  morfolo¬ 
giche  e  biologiche  sul  genere,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  a  nome 
dell'Autore. 

Il  socio  Giordani  fa  una  relazione  sul  celtio. 

Il  socio  De  Rosa  propone  di  fare  una  escursione.  Il  socio  Chistoni 
propone  di  fare  una  visita  alla  Solfatara  in  vista  della  sua  rinnovata 
attività  e  di  là  passare  al  Serapeo. 

Si  stabilisce  che  il  10  maggio  si  faccia  una  visita  alla  Solfatara  ed 
indi  al  Serapeo. 

La  Dott.  Bice  Torelli  è  ammessa  ad  unanimità  socio  ordinario 
residente.  Il  Sig.  Ugo  Trezza  è  ammesso  ad  unanimità  socio  ordinario 
non  residente. 

La  tornata  si  chiude  alle  ore  17.50. 


Tornata  ordinaria  del  giorno  8  luglio  1923. 

Presidente:  C.  Chistoni  —  Segretario  :  Fr.  Sav.  Monticelli 

Soci  presenti:  D’.Evant,  Mazzarelli  Gius.,  Marcucci,  Gargano,  Salfi, 
Zirpolo,  Biondi,  Guadagno,  Signore,  Colomba,  Capozzoli,  Mazzarelli  Gu¬ 
stavo,  De  Rosa,  Milone,  Monticelli  Giuseppina. 

Si  legge  e  si  approva  il  processo  verbale  della  tornata  precedente. 
Il  Vice  Presidente  legge  una  lettera  del  Presidente  che  si  scusa  di 
non  poter  partecipare  alla  tornata  per  gravi  ragioni  professionali. 


XVI 


Il  socio  Mazzarelli  dice  in  merito  al  processo  verbale  che  se  fosse 
stato  presente  alla  tornata  precedente  avrebbe  caldeggiata  la  proposta 
Gargano  circa  la  pubblicazione  del  Bollettino  in  fascicoli. 

Il  socio  Milone  prega  il  C.  D.  di  voler  stabilire  un’altra  seduta  per 
le  ricezione  dei  lavori  per  il  Bollettino  1923. 

Il  Presidente  comunica  che  domenica  15  luglio  si  farà  l’annuale 
escursione  al  Vesuvio. 

Poiché  sulla  quota  si  fanno  discussioni  in  base  al  prezzo  esagerato 
che  chiede  la  ditta  Gook  il  socio  Chistoni  dà  esaurienti  spiegazioni  ai 
soci  Milone,  Signore  e  Gargano  che  vorrebbero  una  riduzione  forte 
sulle  tramvie  e  funicolare  elettrica  trattandosi  di  una  Società  scientifica. 

Il  Segretario  comunica  che  la  direzione  delle  "'Rivista  di  Teosofia  „ 
chiede  il  cambio  col  nostro  Bollettino.  Poiché  la  rivista  si  occupa  di 
argomenti  completamente  estranei  alle  scienze  fisiche  e  naturali  si  re¬ 
spinge  il  cambio. 

Il  Segretario  legge  un  invito  della  società  di  Filadelfia  per  parte¬ 
cipare  alle  onoranze  del  Dott.  Ioseph  Leidy.  Si  stabilisce  di  aderire  e 
di  incaricare  un  socio  che  si  troverà  alla  cerimonia  di  rappresentare- 
la  Società. 

Il  socio  Marcucci  legge  un  lavoro  dal  titolo:  La  morfologia  del  baci¬ 
no  dei  Saaropsidi.  Il  pube  degli  Uccelli  e  ne  chiede  la  pubblicazione 
nel  Bollettino. 

Il  socio  Salfi  legge  un  lavoro  dal  titolo:  Ricerche  sali  epitelio  del 
mesointestino  di  Locusta  danica  (L.)  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel 
Bollettino. 

Il  socio  Gargano  legge  i  seguenti  lavori  :  1.  Alterazioni  indotte 
dal  radio  sulla  tiroide  normale.  -  2.  Considerazioni  sulla  morfologia 
delle  cellule  coltivate  in  vitro,  rispetto  a  quelle  di  elementi  liberi  in 
tessuti  patologici ,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  del  Bollettino. 

Il  socio  Mazzarelli  G.  legge  un  lavoro  del  socio  Lo  Giudice:  Osser¬ 
vazioni  preliminari  sulla  salinità  dello  stretto  di  Messina,  e  ne  chiede 
la  pubblicazione  a  nome  dell'Autore. 

Il  socio  Signore  fa  una  comunicazione  verbale  sul  Bradisisma 
di  Pozzuoli. 

Il  socio  Guadagno  in  merito  alla  comunicazione  del  socio  Signo¬ 
re  dice: 

Poiché  il  prof.  Signore  ha  accennato  alle  lesioni  che  si  verificano 
nelle  gallerie  della  Collina  di  Posillipo,  ritenendo  che  esse  possano  at¬ 
tribuirsi  al  fenomeno  bradisismico,  debbo  far  rilevare,  come  del  resto 
credo  di  aver  dimostrato  in  un  mio  lavoro  presentato  al  R.  Istituto  d’ In- 


XVII 


coraggiamento  di  Napoli  *),  che  le  lesioni  che  si  verificano  nelle  Gal¬ 
lerie  e  collettori  della  Collina  di  Posillipo  sono  dovute  allo  schiaccia¬ 
mento  del  tufo  alle  spalle  dei  rivestimenti  in  un  tratto  ove  la  collina 
è  per  giunta  martoriata  da  ben  otto  perforazioni  in  una  zona  ristretta. 
Il  detto  tufo  giallo,  che  verso  il  nucleo  della  Collina  si  schiaccia  tra  10  e 
16  kg.  per  cmq.,  non  è  adatto  a  sopportare  le  pressioni  che  per  i  carichi 
dovuti  alla  roccia  sovrastante  si  scaricano  su  di  esso.  Inoltre  i  caratteri¬ 
stici  sfaldamenti,  dei  quali  ho  dato  le  fotografie  nel  mio  lavoro,  si  ma¬ 
nifestano  nel  senso  longitudinale  alle  gallerie,  sia  nelle  gallerie  ad  orien¬ 
tamento  E.  O.  che  in  quelle  a  S.  N.  il  che  non  dovrebbe  accadere  se, 
come  si  è  affermato,  vi  fosse  stato  un  incurvamento  della  collina  (?),  ipo- 
tetizzato  in  base  all'abbassamento  di  alcuni  millimetri  del  Caposaldo  di 
S.  Vitale  a  Fuorigrotta. 

Inoltre  alla  ipotesi  dell’influenza  dei  bradisismi  nel  lesionamento 
delle  Gallerie  della  Collina  ostano  fatti  inoppugnabili  ;  che  mentre  si 
lesionano,  per  esempio,  i  manufatti  della  zona  tra  Piedigrotta  e  la  Di¬ 
rettissima,  resta  intatta  la  Galleria  di  Seiano  ;  che  non  si  lesionano  i 
collettori  delle  fognature  e  le  gallerie,  quando  essi  entrano  nel  tufo  duro, 
o  quando  i  rivestimenti  sono  sufficienti  ed  infine  osta  l’ incolumità  del 
tratto  di  Collettore  Cuma  dalla  metà  della  Collina  di  Posillipo  al  mare 
di  Cuma.  Anche  il  prof.  Dell'Erba  del  nostro  Politecnico  in  un  pre¬ 
gevolissimo  lavoro  monografico,  che  ha  visto  recentemente  la  luce  :  (// 
tufo  giallo  napoletano  pag.  276),  ha  espresso  idee  analoghe  alle  mie. 

Debbo  aggiungere  che  questo  Caposaldo  di  Fuorigrotta  fulcro  della 
suddetta  affermazione,  è  molto  sospetto.  Esso  non  è  un  Caposaldo  si¬ 
smico  ma  è  la  quota  targhetta  dell'  Istituto  Geografico  militare  posta 
sulla  parete  della  Chiesa  di  S.  Vitale,  e  che  mal  si  presta  ad  una  li¬ 
vellazione  di  precisione.  In  oltre  la  recente  trivellazione  del  pozzo  ar¬ 
tesiano  di  Piazza  S.  Vitale  a  Fuorigrotta  ha  mostrato  che  sotto  la 
piazza  non  vi  è  il  solito  tufo  della  Collina,  ma  vi  sono  ben  105  metri 
di  strati  di  lapillo  ,  sabbie  e  puzzolane  e  solo  alla  profondità  di  105 
metri  comparisce  il  tufo  giallo.  Su  questa  gran  coltre  di  materiale  sciolto 
posa  dunque  il  Caposaldo  di  S.  Vitale  ;  ed  allora  un  piccolo  tassa¬ 
melo  a  causa  di  acque  sotterranee,  per  naturale  agire  delle  pressioni 
della  massa  sovrastante  o  per  diversa  ragione,  può  produrre  un  abbas¬ 
samento  che  nulla  ha  da  vedere,  nè  coi  bradisismi  locali  (Pozzuoli  e 
Serapeo),  nè  con  quelli  più  lati  che  investono  la  platea  profonda  della 
penisola  italiana  da  Genova  all’ Aspromonte.  E  perciò  che  lo  abbassa- 


l)  Le  perturbazioni  statiche  dei  manufatti  che  attraversano  la  Collina  di 
Posillipo  e  le  loro  cause.  Att.  R.  Ist.  Incor.  Serie  VI,  voi.  LXXV,  fase.  1. 


XVIII 


mento  di  pochi  millimetri  del  Caposaldo  di  S.  Vitale  non  mi  pare  adatto 
a  tirar  fuori  deduzioni  che  potrebbero  dare  uno  speciale  indirizzo  alla 
soluzione  del  problema  delle  comunicazioni  fra  l’oriente  e  l’occidente 
della  Città,  (taglio  della  Collina)  con  immensa  erogazione  di  milioni 
da  parte  delle  amministrazioni  competenti. 

Il  socio  Mazzarelli  Gustavo  fa  una  comunicazione  verbale:  Su  di 
uno  statoscopio  per  la  registrazione  dei  temporali. 

Il  socio  Salfi  fa  una  comunicazione:  Sulla  Geonemia  delle  specie 
del  genere  Chrysochraon  Fischer. 

Il  socio  Zirpolo  fa  una  comunicazione:  SulV  azione  delle  basse  tem¬ 
perature  sulla  bioluminescenza  batterica  e  sullo  sviluppo  dei  rami  del 
Zoobotryon  pellucidum  Ehrbg. 

Si  stabilisce  di  tenere  tornata  il  29  luglio  per  discutere  la  riforma 
delle  scuole  medie  e  si  dà  l'incarico  al  socio  Mazzarelli  di  riferire. 

Si  stabilisce  di  inviare  una  lettera  di  congratulazione  al  socio 
Pierantoni  per  avere  vinto  il  premio  reale  dei  Lincei  per  i  lavori  che  fu¬ 
rono  in  gran  parte  pubblicati  nel  nostro  Bollettino. 

Si  stabilisce  di  inviare  una  lettera  di  condoglianze  alla  Signora 
Prof.  Bakunin  per  la  morte  del  marito  prof.  Oglialoro  nostro  socio. 

E’  ammesso  socio  ordinario  non  residente  il  Dott.  G.  Colosi. 

Si  toglie  la  tornata  alle  ore  18.30. 


Tornata  ordinaria  del  29  luglio  1923. 

Presidente :  Fr.  Sav.  Monticelli  —  Segretario :  G.  Zirpolo 

Soci  presenti:  Mazzarelli  Gius.,  D’Evant,  De  Rosa,  Muratore,  Ca- 
vara,  Milone,  Colomba,  Palombi,  Gargano,  Mazzarelli  Gustavo. 

Si  apre  la  tornata  in  seconda  convocazione  alle  ore  16.30. 

Si  legge  e  si  approva  il  processo  verbale  della  tornata  precedente. 

Il  socio  Siniscalchi  si  scusa  con  lettera  di  non  poter  intervenire  alla 
tornata  per  grave  motivo  familiare. 

Il  socio  Milone  prega  la  presidenza  di  voler  intavolare  trattative 
con  la  casa  centrale  Cook  per  ottenere  una  riduzione  tutte  le  volte  che 
la  Società  deve  fare  escursioni  al  Vesuvio. 

Il  socio  De  Rosa  desidera  che  la  Presidenza  si  occupi  presso  le 
Ferrovie  dello  Stato  per  far  ottenere  una  congrua  riduzione  ai  soci,  al¬ 
lorché  compiono  escursioni  o  viaggi  di  indole  scientifica. 

Il  Presidente  comunica  che  il  giorno  15  luglio  si  fece  l’annuale 
gita  al  Vesuvio  con  l’intervento  di  varii  socii  e  con  la  guida  dei  Prof. 
C.  Chistoni,  e  F.  Signore. 


XIX  — 


Il  sodo  Gargano  chiede  alla  Presidenza  perchè  interessi  il  Diret¬ 
tore  della  Tipografia  Aldina  di  voler  con  maggiore  sollecitudine  pub¬ 
blicare  il  Bollettino. 

Il  socio  Zirpolo  legge  due  lavori  del  socio  G.  Colosi:  1.  Alcune 
specie  discusse  di  Misidiacei;  2.  A  proposito  di  Heteroglyphaea  Paronae 
Colosi,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  a  nome  dell’Autore. 

Il  socio  Colomba  fa  una  comunicazione  verbale  :  Su  di  un  caso  di 
cleistogamia  dell’ Orchis  maculata  L. 

Il  socio  Zirpolo  fa  una  comunicazione  verbale:  Su  di  un  caso  di 
atrofia  del  cieco  epatico-dorso-cefalico  in  una  Phyllirhoè  bucephala  Peron 
et  Leseur. 

Il  socio  Mazzarelli  Gius,  riferisce  sulla  riforma  delle  Scienze  Na¬ 
turali  nelle  Scuole  Medie.  Si  stabilisce  di  pubblicare  una  relazione  da 
alligarsi  al  volume  e  si  approva  il  seguente  : 

Voto 

La  Società  dei  Naturalisti  di  Napoli  riunita  in  assemblea  nella  pro¬ 
pria  sede  il  giorno  29  luglio  1923  alle  ore  16; 

esaminato  il  decreto  legge  6  maggio  u.  s.  col  quale  si  provvede 
alla  riforma  dell’insegnarnento  secondario; 

presa  visione  degli  ordini  del  giorno  della  Società  Italiana  di  Scienze 
Naturali  di  Milano ,  della  Società  Botanica  Italiana  di  Firenze  ,  della 
Facoltà  di  Scienze  di  Pavia  e  di  Torino,  ecc.; 

dolente  che  in  tale  decreto  sia  stata  grandemente  menomata  l’im¬ 
portanza  delle  Scienze  fisiche  e  naturali  nell’  insegnamento  secondario, 
tendendosi,  in  tal  guisa,  a  diminuire  la  cultura  scientifica  della  Nazione, 
in  un  momento  in  cui  le  applicazioni  delle  Scienze  diventano  sempre 
più  importanti  e  le  cognizioni  scientifiche  sono  sempre  maggiormente 
necessarie  per  la  vita; 

meravigliata  della  soppressione  dell'  insegnamento  della  Storia  na¬ 
turale  nel  Ginnasio  e  degli  elementi  di  Scienze  Naturali  nei  corsi  in¬ 
feriori  (già  Scuola  Tecnica)  dell’Istituto  Tecnico,  nonché  della  riduzione 
inesplicabile  dell’insegnamento  della  Chimica  nel  Liceo  scientifico  e  di 
quello  delle  Scienze  Naturali  e  dell’Igiene  nel  Liceo  femminile; 

convinta  d’ altra  parte  che  i  decretati  abbinamenti  non  possano 
portare  che  a  conseguenze  disastrose  se  prima  gl’insegnanti  non  sa¬ 
ranno  convenientemente  preparati  nelle  Università  ai  corsi  che  do¬ 
vranno  dettare,  e  meravigliata  che  fra  i  vari  abbinamenti  sia  contem¬ 
plato  perfino  quello  (nei  corsi  inferiori  dell’Istituto  Tecnico)  della  Com¬ 
putisteria  con  le  Scienze  Naturali  ; 

dolente  che  lo  stato  giuridico  degli  insegnanti  secondari  sia  di 


XX 


fatto  abolito,  sì  che  questi,  come  già  un  tempo,  saranno  di  nuovo  senza 
garanzia  alcuna,  in  balia  dei  loro  capi  diretti  e  del  Ministero 

fa  voti 

a)  che,  pur  modificandone,  ove  occorra,  i  programmi,  sia  ripri¬ 
stinato  rinsegnamento  della  Storia  Naturale  nel  Ginnasio  e  quello  degli 
elementi  di  Scienze  Naturali  nei  corsi  inferiori  (già  Scuola  Tecnica) 
dell’Istituto  Tecnico; 

b)  che  sia  istituito  l'insegnamento  completo  della  Chimica  nel  Li¬ 
ceo  scientifico ,  ripristinandosi  ciò  che  era  insegnamento  di  Chimica 
nella  sezione  fisico-matematica  dell’Istituto  Tecnico,  cioè  con  un  inse¬ 
gnamento  a  sè ,  non  abbinato  con  altri ,  dettato  da  un  insegnante 
laureato  in  Chimica  ; 

c)  che  sia  istituito  l’insegnamento  delle  Scienze  Naturali  e  del¬ 
l’Igiene  nel  Liceo  femminile; 

d)  che  con  disposizione  transitoria  —  per  la  dignità  degl'insegna¬ 
menti  e  della  Scuola— si  soprassieda  ad  attuare  la  legge  per  quanto 
riguarda  lo  abbinamento  delle  varie  discipline  scientifiche,  sino  a 
quando  il  Ministero  potrà  disporre  di  personale  convenientemente  pre¬ 
parato  agl’insegnamenti  abbinati  da  dettare,  in  seguito  a  studi  all'uopo 
prescritti  nelle  Università  pel  conseguimento  di  speciali  diplomi;  e 
disponendosi  ad  ogni  modo  che  gli  attuali  insegnanti  di  Matematica 
siano  dispensati  dal  dovere  di  abbinare  il  loro  insegnamento  con  quello 
della  Fisica  o  delle  Scienze  Naturali,  salvo  beninteso  che  siano  prov¬ 
visti  di  speciale  diploma  di  laurea  in  tali  discipline; 

è)  che  in  ogni  caso  la  Computisteria  non  debba  mai  essere  ab¬ 
binata  con  le  Scienze  Naturali ,  ma  sia  affidata  a  speciale  insegnante 
anche  per  incarico  ; 

/)  che  lo  stato  giuridico  dei  professori  medi ,  destinato  sopra¬ 
tutto  a  dare  all’  insegnante  quella  tranquillità,  senza  la  quale  egli  non 
può  attendere,  con  la  necessaria  calma,  alle  sue  delicate  mansioni,  venga 
ripristinato  pieno  ed  intero; 

e  prega  S.  E.  il  Presidente  del  Consiglio  e  S.  E.  il  Ministro  per 
la  P.  I.  di  prendere  in  benevola  considerazione  questi  voti,  che  mirano 
unicamente  a  impedire  che  la  scemata  importanza  dell’  insegnamento 
scientifico  nella  Scuola  Media,  e  la  mancata  tranquillità  di  animo  del¬ 
l’insegnante,  abbiano  a  provocare  un  troppo  grande  abbassamento  del 
livello  scientifico  della  Nazione  —  livello  che,  in  verità,  si  aveva  invece 
vivo  bisogno  di  elevare — ;  pur  esprimendo  il  fondato  timore  che,  a 
causa  dei  voluti  abbinamenti  e  del  conseguente  diminuito  numero  de¬ 
gli  insegnanti,  nonché  della  dispersione  delle  energie  degl’insegnanti 


XXI 


stessi  per  la  necessaria  loro  preparazione  in  numerose  discipline,  anche 
con  gli  opportuni  ritocchi  proposti  nei  sopra  riportati  voti,  la  decretata 
riforma  condurrà,  per  complesse  ragioni,  ad  una  inevitabile  depressione 
degli  studi  scientifici  nel  nostro  Paese. 

Il  socio  Mazzarelli,  si  occupa  dell'Osservatorio  idrobiologico  del  Lago 
Fusaro.  Egli  fa  la  storia  dell’istituzione  di  questo  laboratorio  scientifico 
che  nella  mente  di  quelli  che  lo  crearono  aveva  un  significato  di  par¬ 
ticolare  importanza,  cioè  doveva  essere  la  fucina  in  cui  si  sarebbero 
potuti  compiere  studii  notevoli  sulla  fauna  e  flora  del  lago.  C’era  an¬ 
cora  la  speranza  che  in  seguito  tutto  il  rendimento  del  lago  venisse 
utilizzato  per  la  istituzione  di  tavoli  di  studii  per  ricerche  idrobiologi¬ 
che,  le  quali  si  potevano  eseguire  in  particolar  modo,  avendo  tutti  i 
mezzi  a  disposizione. 

In  seguito  agli  ultimi  avvenimenti  l’azienda  del  lago  Fusaro  è  pas¬ 
sata  ad  un  privato  ed  è  appena  rimasto  l'osservatorio  con  una  dota¬ 
zione  così  grama  da  poter  appena  sopperire  alle  piccole  spese  per  il 
funzionamento  degli  apparecchi. 

Il  socio  Mazzarelli  prega  la  Società  di  voler  esercitare  una  specie  di 
tutela  su  questo  istituto  nominando  una  commissione  la  quale  escogiti 
i  mezzi  per  poter  sopperire  alle  sue  necessità  di  laboratorio  scientifico. 

Il  Presidente  dice  che  già  la  Società  si  è  occupata  e  propone  un  voto. 

Gargano  dice  che  attualmente,  data  la  mentalità  che  esiste  nei  Mi¬ 
nisteri  per  una  falsa  economica  è  ben  inutile  attendersi  sussidii  dei 
Ministeri. 

Cavara  dice  che  se  è  vero  questo,  pure  basta  saper  trovare  la  via  per 
poter  avere  ogni  specie  di  sussidio.  Accenna  al  Parco  Nazionale  della 
Sila  per  il  quale  il  governo  è  propenso  a  spendere  una  somma  cospicua. 

Mazzarelli  ritiene  che  la  Società  nomini  una  commissione  per  poter 
far  proposte  concrete. 

De  Rosa  propone  varii  mezzi  per  poter  ottenere  dei  sussidii.  Il 
Presidente  dice  di  mettere  in  atto  le  proposte  del  socio  De  Rosa. 

In  seguito  a  richiesta  del  socio  Cavara  il  Presidente  comunica  che 
il  C.  D.  ha  già  stabilito  di  tenere  la  commemorazione  dei  soci  Balsamo 
e  Oglialoro. 

Il  Presidente  comunica  la  morte  del  socio  Gargiulo  e  propone  che 
siano  inviate  alla  famiglia  le  condoglianze.  E’  approvato. 

E’  ammesso  ad  unanimità  socio  ordinario  residente  il  sig.  Grandi 
Loreto. 

11  Presidente  ringrazia  il  socio  De  Rosa  per  un  cospicuo  dono  di 
libri  che  fa  alla  Società.  Si  toglie  la  seduta  alle  ore  19. 


XXII 


Tornata  ordinaria  del  12  agosto  1923. 

Presidente:  E.  Cutulo  —  Segretario:.  Fr.  Sav.  Monticelli 

Soci  presenti:  Chistoni,  Zirpolo,  Alfano,  Alfieri,  Perret,  Siniscalchi, 
Guadagno,  Pierantoni,  Colomba,  Marcucci,  Biondi,  Mazzarelli  Giuseppe, 
Mazzarelli  Gustavo,  Fiore,  Sbordone,  Capozzoli,  Cutolo  Costantino, 
Cavara,  Palombi,  Gargano,  Muratore,  Milone,  Geremicca  Federico. 

Si  apre  la  tornata  alle  ore  16  in  seconda  convocazione. 

Si  legge  e  si  approva  il  processo  verbale  della  tornata  precedente. 

11  Presidense  comunica  i  nomi  dei  soci  che  fanno  parte  della  com¬ 
missione  per  il  lago  Fusaro:  Chistoni,  Cavara,  Pierantoni,  Mazzarelli 
Giuseppe,  De  Rosa,  Zirpolo  e  Monticelli  quale  segretario  della  Società. 

Il  Segretario  comunica  i  nuovi  cambi  e  le  pubblicazioni  pervenute 
in  dono. 

Il  socio  Chistoni  richiama  l’attenzione  della  Società  circa  il  Con¬ 
gresso  che  si  terrà  ad  Utrecht  nel  quale  si  stabilirà  la  nomenclatura  per 
lo  studio  delle  radiazioni  solari.  Inoltre  egli  raccomanda  alla  Società  di 
interessarsi  perchè  Potenza  sia  scelta  per  stabilire  un  centro  di  studi  di 
eliofania. 

Il  socio  Mazzarelli  Giuseppe  fa  una  comunicazione  dal  titolo:  Note 
sulla  biologia  dell’ostrica.  -  IV.  La  durata  del  periodo  riproduttivo  delle 
ostriche  del  Lago  Fusaro,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Mazzarelli  Gustavo  fa  una  comunicazione  :  Su  di  un  nuovo 
tipo  di  evaporimetro  galleggiante ,  e  suo  funzionamento ,  e  ne  chiede  la 
pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Milone  fa  una  comunicazione  :  Sulla  determinazione  del¬ 
l’azoto  col  metodo  Kjeldhal ,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Zirpolo  legge  la  relazione  del  socio  Malladra  :  Sui  feno¬ 
meni  verificatisi  al  Vesuvio  negli  anni  1919-20,  e  ne  chiede  la  pubblica¬ 
zione  nel  Bollettino  a  nome  dell'Autore. 

Il  socio  Gargano  prega  la  Presidenza  di  voler  invitare  il  socio 
Malladra  di  accelerare  le  pubblicazioni  in  modo  da  potersi  leggere  la 
relazione  dell’anno  in  corso. 

Il  socio  Pierantoni  legge  una  nota  del  socio  Colosi  dal  titolo:  Su 
di  un  nuovo  Gerionide  fossile ,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  a  nome 
dell’Autore. 

Il  socio  Sbordone  legge  a  nome  del  socio  Perret  una  nota:  Su 
di  una  emanazione  forza  vitale  mai  dimostrata  f inoggi ,  e  ne  chiede 
la  pubblicazione. 


XXIII 


Il  socio  Colomba  fa  una  comunicazione  verbale:  Su  di  un  caso 
teratologico  di  Cytrus  limonum. 

Il  socio  Zirpolo  fa  una  comunicazione  del  socio  Caroli  :  2°  Sulla 
pertinenza  della  presunta  Larva  di  Nautilograptus  minibus. 

Il  socio  Sbordone  A.  comunica  che  durante  una  sua  escursione 
a  Montevergine  ha  visto  che  il  giardino  tenoreano,  ideato  e  fondatola 
Fridiano  Cavara  sotto  gli  auspici  della  Società  dei  Naturalisti,  è  diven¬ 
tato  attualmente  un  luogo  di  raccolta  di  detriti.  Prega  la  Presidenza  di 
volersi  interessare  alla  ricostruzione  di  detto  giardino  o  a  togliere  la 
lapide  che  è  oggi  un  non  senso. 

Il  socio  Cavara  dice  che  con  dolore  ascolta  quella  informazione.  La 
colpa,  a  parte  le  ragioni  del  periodo  bellico,  è  tutta  del  Ministro  che 
soppresse  il  fondo  di  700  lire  che  aveva  stabilito  e  l'Orto  Botanico  che 
inizialmente  dava  il  suo  contributo  non  ha  potuto  più  ulteriormente 
mantenere  l'impegno  per  deficienza  di  mezzi. 

Prega  la  Società  di  voler  assumere  l'incarico  di  iniziare  pratiche 
presso  la  locale  Abbadia  per  stabilire  in  seguito  il  da  farsi  per 
riattivare  una  località  molto  importante  per  lo  studio  della  piante  alpi¬ 
ne,  specialmente  ora  che  una  funicolare  permetterà  la  più  facile  ascesa. 

Il  Presidente  ringrazia  il  socio  Sbordone  della  notizia  e  promette 
al  socio  Cavara  di  fare  suo  il  voto  approvato  all'  unanimità  dai  soci  : 

Voto 

La  Società  dei  Naturalisti  di  Napoli  nella  tornata  del  12  agosto, 
venuta  a  conoscenza,  per  informazioni  data  dal  socio  Prof.  A.  Sbor¬ 
done,  del  deplorevole  stato  attuale  del  giardino  tenoreano  di  Monte¬ 
vergine; 

Considerando  che  esso  fu  fondato  ed  inaugurato  sotto  gli  auspici 
della  Società  dei  Naturalisti; 

Considerando  che  esso  costituisce  un  campo  di  studio  prezioso 
per  l'adattamento  delle  piante  alpine; 

Considerando  che  durante  gli  anni  di  guerra  e  postbellici  non  fu 
possibile,  per  i  mancati  sussidi,  curarne  la  piena  efficienza; 

Considerando  che  la  rinnovata  attività  scientifica  del  paese  richiede 
la  sistemazione  di  un  giardino  sperimentale  così  importante 

fa  voti 

perchè  la  Presidenza  si  cooperi  in  tutti  i  modi  e  con  ogni  mezzo  presso 
le  autorità  locali  e  superiori  come  l’Abbazia  di  Montevergine,  l'ufficio 
Demaniale,  il  Ministero  deH’Economia  Nazionale  e  quello  dell’Istruzione, 


XXIV 


perchè  venga  rimesso  nelle  sue  primitive  condizioni  ed  anzi  migliorato 
il  giardino  che  ideato  da  Fridiano  Cavara  e  dedicato  al  nome  di  Michele 
Tenore  fu  voluto  ed  inaugurato  sotto  gli  auspici  della  Società  dei  Na¬ 
turalisti. 

Il  socio  Perret  fa  alcune  esperienze  sulla  nota  presentata. 

11  Presidente  alle  ore  18.20  chiude  la  seduta  ringraziando  i  soci  del 
loro  intervento  e  dà  le  vacanze  sociali. 


Tornata  ordinaria  del  16  dicembre  1923. 

Presidente:  E.  Cutolo  —  Segretario:  Fr.  Sav.  Monticelli 

Soci  presenti:  Chistoni,  Zirpolo,  Colomba,  Palombi,  De  Rosa,  Ca¬ 
vara,  Pierantoni,  Guadagno,  Carrelli,  F.  Giordani,  Sbordone  A.,  Sbor¬ 
done  D.,  Mingioli,  Gargano,  Marcucci,  Parascatidola. 

Il  Presidente  apre  la  tornata  in  seconda  convocazione. 

Il  Presidente  nel  comunicare  il  lavoro  compiuto  dal  socio  Biblio¬ 
tecario  Parascandola  invita  i  soci  ad  un  voto  di  plauso  per  l’opera  as¬ 
sidua  e  faticosa  da  questi  compiuta.  I  soci  per  acclamazione  aderiscono 
a  tale  plauso  ed  incaricano  il  Presidente  di  volersi  rendere  interprete 
del  sentimento  di  tutti  verso  il  socio  Parascandola. 

II  socio  Colomba  legge  un  lavoro  dal  titolo:  Sai  valore  ereditario 
del  carattere  «  file  di  granelli  »  nella  spiga  di  granturco,  e  ne  chiede 
la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  socio  Palombi  legge  un  lavoro  dal  titolo  :  Di  un  nuovo  ospi- 
tatore  delle  cercarie  dell Echinostomum  secundum  Nicoli  1906  del  My- 
tilus  galloprovincialis  Lmk,  e  ne  chiede  la  pubblicazione  nel  Bollettino. 

Il  Presidente  dice  di  aver  inviata  una  lettera  all'Abate  e  ne  fa  leg¬ 
gere  la  risposta. 

Apre  quindi  la  discussione  sul  da  farsi. 

Cavara  dice  che  la  Società  deve  subito  interessarsi  per  iniziare  le 
pratiche  per  la  ricostruzione  del  giardino  tenoreano  molto  importante 
per  la  cultura  di  piante  alpine  che  costituiscono,  a  parte  una  località 
sperimentale  di  grande  utilità  scientifica,  anche  un  mezzo  di  educa¬ 
zione  per  chi  si  reca  lassù,  specialmente  in  alcuni  periodi  delFanno. 

Poiché  la  zona  finora  tenuta  è  priva  di  acqua  sarebbe  necessario 
scegliere  un'altra  zona  dove  è  possibile  innaffiare  le  aiuole.  Indica  per¬ 
ciò  una  nuova  località  non  molto  lontana  dalla  precedente.  Il  socio 
Sbordone  dà  particolari  ragguagli  su  questa  nuova  zona  indicata. 


XXV 


Pigliano  inoltre  la  parola  i  soci  Giordani  F.,  Guadagno,  De  Rosa 
circa  il  giardino  tenoreano. 

Il  Presidente  riassume  la  discussione  e  stabilisce  di  scrivere  all’  a- 
bate  di  Montevergine  pregandolo  di  voler  consentire  ad  una  permuta 
di  zona.  Prega  frattanto  il  socio  Cavara  di  preparare  il  fabbisogno  per 
il  novello  impianto  della  Tenorea. 

Il  socio  Gargano  fa  una  comunicazione  verbale  :  Sulla  presenza  di 
strutture  filamentose  in  alcuni  tessuti  patologici. 

Sono  ammessi  soci  ordinarii  residenti  ad  unanimità  Dott.  Gaetano 
Rodio,  Luigi  Pellegrini,  Raffaele  Riccio,  Luigi  D’ Aquino  e  socio  ordinario 
non  residente  il  Prof.  Luigi  Cognetti  De  Martiis. 

La  seduta  è  tolta  alle  ore  17.30. 


Assemblea  generale  del  30  dicembre  1923. 

Presidente :  E.  Cutolo — Segretario'.  Fr.  Sav.  Monticelli 

Soci  presenti:  De  Rosa,  Pierantoni,  Chistoni,  Biondi,  Signore,  Salfi, 
Trezza,  Palombi,  Colomba,  Zirpolo,  Riccio,  Mingioli,  Pellegrini,  Gior¬ 
dani  F.,  Giordani  Mv  Sbordone  D.,  Capobjanco,  Marcello,  Siniscalchi. 

Si  apre  l’Assemblea  in  seconda  convocazione  alle  ore  16. 

Il  Segretario  legge  il  processo  verbale  della  Tornata  precedente 
che  è  approvato. 

Il  Segretario  presenta  i  nuovi  cambi  e  le  pubblicazioni  pervenute 
in  dono. 

Viene  eletto  ad  unanimità  socio  ordinario  residente  il  Dott.  Vessi- 
chelli  Nicola. 

Si  procede  quindi  all’elezione  del  Presidente,  di  due  Consiglieri 
per  il  biennio  1924-25  e  di  due  revisori  di  conti  per  l'anno  1923. 

Il  Presidente  chiama  a  far  parte  del  seggio  per  l’elezione  il  socio 
Francesco  Giordani  quale  presidente  ed  i  soci  Geremicca  F.  e  Signore 
quali  assistenti  e  Sbordone  D.  scrutatore. 

Vengono  eletti  ad  unanimità: 

Presidente :  Capobianco 
Consiglieri :  De  Rosa 

Giordani  M. 

Revisori  dei  conti:  Milone 
D’ Emilio 

Il  Presidente  proclama  i  nuovi  eletti. 


XXVI 


Il  socio  Mingioli  chiede  la  parola  per  rivolgere  un  voto  di  plauso 
al  Presidente  uscente  che  nello  spazio -di  due  anni  ha  saputo  insieme 
col  Consiglio  direttivo  dare  tanta  attività  alla  Società  da  renderla  una 
delle  migliori  esistenti  in  Italia. 

Il  socio  Capobianco  e  Pierantoni  si  associano  al  voto  di  plauso  pro¬ 
posto  dal  Mingioli,  ma  avvertono  che  già  si  era  convenuto  di  rivolgere 
a  suo  tempo  il  plauso  unanime  dei  soci  tutti  per  le  grandi  benemerenze 
del  Presidente  E.  Cutolo. 

Il  Presidente  rievocando  brevemente  la  storia  della  Società  ringrazia 
i  soci  delle  parole  gentili  ed  affettuose  a  lui  rivolte  e  promette  di  con¬ 
tinuare  nella  sua  opera. 

Prega  inoltre  i  soci  di  voler  approvare  il  processo  verbale  della  se¬ 
duta,  dovendo  essere  inserito  nel  Bollettino  che  è  in  corso  di  stampa. 

Il  Segretario  legge  il  processo  verbale  che  è  approvato. 

L’Assemblea  è  sciolta  alle  ore  17.30. 


CONSIGLIO  DIRETTIVO 

per  l'anno  1924 


Capobianco  Francesco 
Chistoni  Ciro 
Monticelli  Francesco  Sav. 
De  Rosa  Francesco 
Giordani  Mario 
Quintieri  Luigi 
Guadagno  Michele 
Salti  Mario 
Parascandola  Antonio 
Zirpolo  Giuseppe 


Presidente 

Vice-Presidente 

Segretario 

Consiglieri 

Vice-Segretario 

Bibliotecario 

Redattore  del  Bollettino 


ELENCO  DEI  SOCI 


( 1 0  Gennaio  1924 ) 

4?  ’ 


BENEMERITI  DBLLA  SOCIETÀ 

Monticelli  Francesco  Saverio  —  Via  Ponte  di  Chiaia  27. 

Cutolo  Enrico  —  Via  Roma  404. 

SOCI  ORDINARII  RESIDENTI 

1.  Aguilar  Eugenio —  Vico  Neve  a  Materdei  27. 

2.  Arena  Ferdinando  —  Via  Roma  129. 

3.  Bakunin  Maria — R.  Politecnico  (Napoli). 

4.  Bruno  Alessandro  —  Via  Bari  30. 

5.  Capobianco  Francesco  —  Via  Sapienza  18. 

6.  Capozzoli  Rinaldi  —  Corso  Vittorio  Emanuele  475. 

1.  Caroli  Ernesto  —  Istituto  Zoologico  della  R.  Università.  Napoli. 

8.  Carrelli  Antonio  —  S.  Domenico  Soriano  44. 

9.  Cavara  Fridiano  —  R.  Orto  Botanico ,  Napoli. 

10.  Chistoni  Ciro  —  Istituto  di  Fisica  terrestre  R.  Univ.  Napoli. 

11.  Colomba  Giuseppe  —  Via  S.  Biagio  dei  Librai  39. 

12.  Cutolo  Enrico —  Via  Roma  404. 

13.  D’Aquino  Luigi —  Via  S.  Domenico  Soriano  22. 

14.  D’Emilio  Luigi  —  Via  Depretis  41. 

15.  Del  Regno  Washington  —  Ist.  Fisico  R.  Università  Napoli. 

16.  Della  Valle  Antonio —  Via  Salvator  Rosa  259. 

17.  De  Rosa  Francesco  —  Via  S.  Lucia  62. 

18.  De  Miranda  Domenico  —  Colleg.  Milit.  della  Nunziatella  -  Napoli 

19.  Fedele  Marco  —  Stazione  Zoologica  Napoli. 

20.  Forte  Oreste — Prolungamento  Amedeo,  Palazzo  Scarpa. 

21.  Gargano  Claudio —  Via  S.  Lucia  62. 

22.  Geremicca  Federico  —  S.  Teresa  agli  Scalzi  116. 

23.  Guadagno  Michele  —  Via  Foria  193. 

24.  Getzel  Demetrio  —  Via  dei  Mille  159. 

25.  Giordani  Francesco  —  Corso  Umberto  I  34. 

26.  Giordani  Mario  —  Corso  Umberto  I  34. 

21.  Grande  Loreto  —  R.  Orto  Botanico ,  Via  Foria. 


XXX 


28.  Maio  Ester  —  Istituto  di  Fisica  Terrestre  R.  Univers.  Napoli. 

29.  Marcello  Leopoldo  —  Piazza  Cavour  -  Farmacia  Marcelle. 

30.  Marcucci  Ermete  —  Calata  S.  Severo  alla  Pietrasanta  27. 

31.  Milone  Ugo —  Via  S.  Lucia  173. 

32.  Monticelli  Fr.  Saverio  — Ponte  di  Chiaia  27. 

33.  Mazzarelli  Giuseppe  —  Baia. 

34.  Mazzarelli  Gustavo  —  » 

35.  Parascandola  Antonio —  Via  Giudecca  a  Pietro  Colletta  12. 

36.  Pellegrino  Giuseppe  —  Via  Sapienza  19. 

37.  Pellegrino  Luigi  —  Via  S.  Paolo  5. 

38.  Perret  Frank  —  Villa  Luisa  Posillipo. 

39.  Pierantoni  Umberto  —  Galleria  Umberto  I,  27. 

40.  Police  Gesualdo —  Via  Bausan  IL 
4L  Pomilio  Umberto —  Via  S.  Lucia  15. 

42.  Pozzi  Olimpio  —  Soc.  Generale  Illumin.  via  Paolo  E.  Imbriani. 

43.  Quintieri  Luigi  —  Via  Amedeo  18. 

44.  Quintieri  Quinto  —  Via  Amedeo  18. 

45.  Riccio  Raffaele  —  Piazza  Carlo  III,  R.  Albergo  dei  Poveri. 

46.  Rodio  Gaetano  —  R.  Orto  Botanico. 

47.  Romano  Pasquale  —  Via  Porta  Medina  44. 

48.  Roncali  Demetrio  —  Istituto  di  Patol.  Chirurgica  R.  Univ.  Napoli. 

49.  Scacchi  Eugenio  —  Istituto  di  Mineralogia  della  R.  Università. 

50.  Salfi  Mario  —  Via  Montesilvano  30. 

51.  Sbordone  Domenico  —  5.  Domenico  Maggiore  3. 

52.  Signore  Francesco  —  Istituto  di  Fisica  Terrestre  R.  Univ.  Napoli. 

53.  Siniscalchi  Alfonso  —  Via  Salvator  Rosa  249. 

54.  Torelli  Beatrice. —  Parco  Margherita  33. 

55.  Trani  Emilio —  Via  Campanile  ai  Miracoli  47. 

56.  Vessichelli  Nicola  —  Vico  Cieco  Pietro  Colletta  9. 

57.  Viglino  Teresio  —  Piazza  Dante  4L 

58.  Zirpolo  Giuseppe  —  Via  Duomo  193. 

SOCI  ORDINARI  NON  RESIDENTI 

1.  Anile  Antonino —  Via  XX  Settembre  27,  Roma. 

2.  Alfano  Giov.  Batt. —  Osservatorio  Meteorico-Geodinamico  Valle  di 

Pompei. 

3.  Biondi  Gennaro  —  Resina. 

4.  Buffa  Edmondo  —  Via  Cavour  325,  Roma. 

5.  Califano  Luigi  —  Vico  Forino  a  Foria  7. 

6.  Celentano  Vincenzo  —  Vico  Minutoli  a  Foria  33,  Napoli. 


XXXI 


7.  Cerruti  Attilio  —  Piazza  Carbonella  2,  Taranto. 

8.  Cognetti  de  Marti is  Luigi  —  R.  Istit.  Anatomia  Comparatat  Torino. 

9.  Colosi  Giuseppe  —  istituto  Zool.  R.  Univ.  Torino  Pai.  Corignani. 

10.  Conti  Pasquale  —  Villa  Pane,  V omero. 

11.  Cotronei  Giulio  —  Agostino  Depretis  99  -  Roma. 

12.  D’Avino  Antonio  —  R.  Liceo  Nocera  Inferiore. 

13.  De  Cillis  Maria —  Via  Mizzan  51-  Tripoli. 

14.  Dalla  Brida  Costantino —  Via  Amedeo  9. 

15.  Fenizia  Gennaro  —  Via  Eoria  136. 

16.  Fiore  Maria — Corso  Vittorio  Emmanuele  466. 

17.  Foà  Jone —  Via  Cisterna  dell’Olio  18,  Napoli. 

18.  Gerèmicca  Alberto  —  Largo  Avellino  4. 

19.  Guarnieri  Francesco  —  Eslacion  Alien  Republ.  Argentina. 

20.  Lo  Giudice  Pietro  —  Ist.  zoologico  R.  Univ.  Messina. 

21.  Magliano  Rosario — Lagonegro. 

22.  Malladra  Alessandro  —  R.  Osservatorio  Vesuviano,  Resina. 

23.  Mauro  Anna  Maria  —  Massafra  {Lecce). 

24.  Mingioli  Paolo  —  Materdei  8. 

25.  Muratore  Giuseppe  —  R.  Liceo  Benevento. 

26.  Neppi  Valeria  —  Via  Milano  3,  Trieste. 

27.  Palombi  Arturo  —  Corso  Garibaldi  84.  Portici. 

* 

28.  Patroni  Carlo  —  R.  Istituto  Tecnico  Arezzo. 

29.  Piccoli  Raffaele  —  Via  Cisterna  dell' olio  18,  Napoli. 

30.  Sbordone  Annibaie  —  S.  Domenico  Maggiore  3. 

3 1 .  Serao  Carlo  —  Via  Eiorentini  60. 

32.  Trezza  Ugo —  Via  Cristallini  53. 

33.  Valerio  Rosaria —  Sala  di  Caserta. 

SOCI  ADERENTI 

1.  Alfieri  Giulio  —  Via  Posillipo  166. 

2.  Caruso  Antonio  —  Via  Pontenuovo  28. 

3.  Cutolo  Claudia  —  Villa  Claudia,  Vomero. 

4.  Cutolo  Costantino  —  Villa  Duretti,  Vomero. 

5.  Fidasi  Giuseppe  —  Riviera  di  Chiaia  263. 

6.  Monticelli  D’Afflitto  Giuseppina  —  Ponte  di  Chiaia  27. 


Bollettino  della  Società  dei  Naturalisti  in  Napoli* 


Elenco  delle  pubblicazioni  pervenute 


in  cambio  ed  in  dono 


(31  dicembre  1923) 


EUROPA 

Italia 


Acireale 


Bologna 

Brescia 

Cagliari 


Cassino 

Catania 

Ferrara 

Firenze 


—  R.  Accademia  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti  degli  Ze¬ 

lanti  (Memorie ,  Rendiconti ). 

—  Bollettino  della  R.  Stazione  sperimentale  di  agrumi- 

coltura  e  frutticoltura. 

—  Société  de  la  Flore  Valdòtaine  (Bollettino). 

—  R.  Accademia  delle  Scienze  dell’Istituto  (Rendiconti). 

—  Commentari  dell’Ateneo. 

—  Bollettino  della  Società  tra  i  Cultori  delle  Scienze 

mediche  e  naturali. 

Bollettino  della  Società  Regionale  contro  la  malaria. 

—  La  Meteorologia  pratica. 

—  R.  Accademia  Gioenia  (Bollettinot  Memorie). 

—  Acc.  di  Scienze  Mediche  e  Naturali. 

—  Archivio  per  l’Antropologia  e  l'Etnologia. 

Società  Botanica  Italiana  (Bollettino). 

Nuovo  Giornale  Botanico  italiano. 

Bollettino  bibliografico  della  Botanica  italiana. 
Monitore  Zoologico  Italiano. 

«  R  e  d  i  a  »  Giornale  di  Entomologia. 

R.  Società  toscana  di  Orticoltura  (Bollettino) . 

R.  Accademia  dei  Georgofili  (Atti). 

Società  entomologica  italiana  (Bollettino). 

L’Araldo  Medico  —  Periodico  bimestrale. 

Bollettino  meteorologico  dell'Osservatorio  Ximeniano 
dei  PP.  delle  Scuole  Pie. 


-  IV  - 


Genova 


Intra 

Lodi 

Lucca 

Milano 

Messina 

Modena 

Napoli 


Padova 


Palermo 


—  R.  Accademia  medica  ( Bollettino ,  Memorie) 

Museo  civico  di  Storia  Naturale  {Annali). 

Musei  di  Zoologia  ed  Anatomia  comparata  della 
R.  Università  {Bollettino). 

Società  ligustica  di  Scienze  Naturali  e  Geografiche 
{Atti). 

Rivista  ligure  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti. 

—  Scuola  Industriale. 

—  R.  Stazione  sperimentale  del  Caseificio  {Annuario). 

—  R.  Accademia  lucchese  {Atti). 

—  Società  Italiana  di  Scienze  Naturali  e  Museo  civico 
di  Storia  Naturale  {Atti). 

—  Rassegna  Tecnica.  Giornale  di  Ingegneri,  Architetti, 

Agronomi  ed  Arti  industriali. 

—  Atti  della  Società  dei  Naturalisti  e  Matematici. 
Bollettino  della  Società  Medico-Chirurgica  di  Modena. 

—  R.  Accademia  delle  Scienze  fisiche  e  matematiche 

(. Memorie ,  Rendiconti ,  Annuario) 

Accademia  Pontaniana  (Atti). 

Annuario  del  Museo  Zoologico  della  R.  Università. 

di  Napoli  (Nuova  Serie). 

Orto  Botanico  della  R.  Università  {Bollettino). 
Gl’Incurabili. 

Stazione  Zoologica  di  Napoli  {Pubblicazioni). 
Annali  di  Nevrologia. 

Rivista  Agraria. 

Società  Africana  d’Italia  {Bollettino). 

Appennino  meridionale.  Bollettino  trimestrale  del 
Club  Alpino  Italiano.  —  Sezione  di  Napoli. 

Atti  del  R.  Istituto  d’incoraggiamento. 
L’Agricoltura. 

La  Medicina  sociale. 

—  Accademia  scientifica  veneto-trentino-istriana  {Atti) 
R.  Stazione  bacologia  {Annuario). 

La  Nuova  Notarisia. 

La  Voce  dei  Campi  e  dei  Mercati.  Il  Raccoglitore 

—  Il  Naturalista  siciliano. 

Giornale  del  Collegio  degli  Ingegneri  agronomi, 

R.  Istituto  Botanico.  Contribuzioni  alla  Biologia 
vegetale. 

R.  Orto  Botanico  e  Giardino  coloniale  {Bollettino) 


—  V  - 


Palermo 

Perugia 

Pisa 

Portici 


Roma 


Rovereto 

Sassari 

Scafati 

Siena 

Torino 


Trieste 

Udine 

Venezia 


—  Annuario  biografico  del  Circolo  Matematico. 

—  Annali  della  Facoltà  di  Medicina  e  Memorie  della 

Accademia  Medico-chirurgica. 

—  Società  toscana  di  Scienze  Naturali  (Memorie,  Pro¬ 

cessi  verbali). 

—  R.  Scuola  Superiore  di  Agricoltura  (Annali). 
Annali  della  stazione  per  le  malattie  infettive  del 

bestiame. 

Laboratorio  di  Zoologia  generale  ed  Agraria  (Bol¬ 
lettino). 

—  R.  Accademia  dei  Lincei  (Rendiconti). 

R.  Accademia  Medica  (Bollettino,  Atti). 

R.  Comitato  Geologico  Italiano  (Bollettino). 
Ministero  di  Agricoltura  (Annali). 

Laboratorio  di  Anatomia  normale  della  R.  Università 
(Ricerche). 

Accademia  Pontificia  dei  Nuovi  Lincei  (Atti). 
Società  Zoologica  Italiana  (Bollettino). 

Società  Italiana  per  il  Progresso  delle  Scienze  (Atti). 
R.  Stazione  chimico-agraria  sperimentale  (Annali). 
Archivio  di  Farmacognosia  e  Scienze  affini. 
Gazzetta  Chimica. 

Annuario  bibliografico  italiano  delle  scienze  Medi¬ 
che  ed  affini. 

Rassegna  di  pesca. 

—  Accademia  degli  Agiati  (Atti). 

Museo  civico  (Pubblicazioni). 

—  Studi  sassaresi. 

—  Bollettino  tecnico  della  coltivazione  dei  Tabacchi. 

—  Rivista  italiana  di  Scienze  Naturali. 

—  R.  Accademia  delle  Scienze  (Atti). 

Club  Alpino  Italiano  (Rivista,  Bollettino). 

Musei  di  Zoologia  e  di  Anatomia  comparata  della 
R.  Università  (Bollettino). 

—  Scienza  ed  Arte. 

—  «  Mondo  Sotterraneo»  Rivista  di  Speleologia. 

—  L’Ateneo  veneto. 

Bollettino  bimestrale  del  R.  Comitato  Talassografico 
Italiano. 


-  vi  - 


Verona 

Valle  di  Pompei 

Helsingfors 

Bordeaux 

Cherbourg 

Langres 

Levallois-Perret 

Nancy 

Nantes 

Nice 

Paris 


Bruxelles 

Louvain 

Budapest 

Kolozsvar 


-Accademia  di  Agricoltura,  Scienze,  Lettere,  Arti  e 
Commercio  (Atti,  Memorie). 

■Bollettino  dell'Osservatorio  meteorico-geodinamico. 

Finlandia 

-  Societas  prò  Fauna  et  Flora  fennica  ( Acta ,  Medde- 

landetì). 

Francia 

■  Société  d' Océanographie  du  Golfe  de  Gascogne 

(Rapports). 

Société  nationale  des  Sciences  Naturelles  et  Mathé- 
matiques  (Me'moires). 

■  Société  de  Sciences  Naturelles  de  la  Haute  Marne 

(Balletin). 

Association  des  Naturalistes  (Bulletin). 

-  Société  des  Sciences  et  Réunion  biologique  de  Nancy 

(Balletin  des  séances). 

Bibliographie  Anatomique. 

Société  des  Sciences  Naturelles  de  1'  Ouest  de  la 
France  (Balletin). 

-  Riviera  scientifique. 

-Journal  de  l' Anatomie  et  de  la  Physiologie  de 
rhomme  et  des  animaux. 

Société  Zoologique  de  France  (Balletin  Mémoires). 
Musèum  d'Histoire  Naturelle  (Balletin). 

La  feuille  des  jeunes  naturalistes. 

La  Revue  de  Phytopathologie  et  des  maladies  des 
Plantes. 

L’Astronomie. 

Belgio 

Bulletin  sismique. 

Société  Royale  Zoologique. 

La  Cellule. 

Ungheria 

Aquila  -  Zeitschrift  des  K-  Ung.  Ornith.  Institutes. 
Muzeumi  Fiizetek  az  erdelynemzeti  Asvàni  tàrànak. 


VII  - 


Graz 

Iugoslavia 

— Mitteilungen  des  NaturwissenschaftlicHen  Vereins  fur 
Steiermak. 

Brunn 

Czeco  -  Slovacchia 

—  Verhandl.  des  Naturforsch.  Vereins. 

Wien 

Austria 

—  Verh  der  K-K.  Zoologisch.  -  botanisch.  Gesellschaft. 
Annalen  des  Naturhistorischen  Hof  Museum. 

Bonn 

Giistrow 

Berlin 

Germania 

—  Naturshistorische  Vereins  derpreussischen  Rheilande. 

—  Archiv  des  Vereins  der  Freunde  der  Naturgeschichte. 

—  Verhandlungen  des  BotanischesVereins  der  Provenz 

Brandeburg. 

Sitz.  der  Gesellsch.  Naturfosch.  Freunde. 

Leipzig 

Giessen 

—  Herbarium. 

—  Bericht  der  Oberhessischen  Gesellschaft  fùr  Natur 

und  Heilkunde. 

Cambridge 

London 

Inghilterra 

—  Philosophical  Society  (Proceedings,  Tmnsactions). 

—  Royal  Society  (Proceedings ,  Reports  of  thè  Sleeping 

sickness  Commission). 

Plymouth 

—  Marine  Biologica!  Association  of  thè  United  King- 
dom  (Journal). 

Tromsoe 

Norvegia 

—  Tromsoe  Museum. 

Olanda 

Amsterdam  —  Academie  Royale  (Memoires). 


-  Vili  - 


Coimbra 

Portogallo 

—  Annses  scientificos  da  Academia  Polytecnica  do 
Porto. 

Lisbona 

—  Bulletin  de  la  Société  Portugaise  de  Sciences  Na- 
turelles. 

Spagna 

Barcelona 

—  Institució  catalana  d’Historia  Naturai  (Butleti). 

La  Ciencia  Agricola. 

Butleti  del  Club  Montanyenc. 

Ayuntamento  de  Barcelona. 

Cartuja 

Madrid 

—  Boletin  mensuel  de  la  Estaciòn  Sismologica. 

—  Memorias  de  la  Reai  Sociedad  espanda  de  Histo- 

ria  Naturai. 

Zaragoza 

Sociedad  espanda  de  Historia  Naturai  ( Atiales ,  Bo- 
letìn). 

—  Sociedad  hiberica  de  Ciencias  Naturales  (Boletìn). 
Associación  de  Labradores  de  Zaragoza  y  su  pro¬ 
vincia, 

Anales  de  la  Facultad  de  Ciencias. 

Valencia 

—  Anales  de  l’Instituto  Tecnico. 

Svezia 

Upsala 

—  Geological  Institution  of  thè  University  of  Upsala 
(Bulletin). 

Stockholm 

—  K.  Vet.  Akadems-Bibliothek  (Arkiv  for  Botanik, 
Arkiv  for  Zoologi). 

Svizzera 

Chur 

—  Naturforschenden  Gesellschaft  Graubùnden’s(7aAras- 
bericht). 

Lugano 

Zurich 

—  Società  ticinese  di  Scienze  Naturali  (Bollettino). 

—  Societas  Entomologica. 

Tokyo 

ASIA 

Giappone 

—  Annotationes  Zoologicae  japonenses. 

-  IX  - 


AFRICA 

Egitto 

Cairo  —  Société  Entomologique  d’  Ègypte  (Bulletin ,  Me¬ 

mo  ir es). 

AMERICHE 

Argentina 

Buenos -Ayres  —  Museo  nacional  ( Anales ,  Comunicaciones). 


Brasile 

Rio  de  Janeiro  — Archivos  do  Museu  Nacional. 
Nicteroy  —  Escola  sup.  de  Agricultura. 


Halifax 

Santiago 


Bogotà 


Messico 


Canada 

—  Nova  Scotian  Institute  of  Scienze. 

—  Société  scientifique  du  Chili  (. Actes ). 

Colombia 

—  E1  Agricultor.  —  Organo  de  la  Sociedad  de  los 

Agricultores  colombianos. 

Revista  del  Ministerio  de  Obras  publicas. 

Messico 

—  Sociedad  Cientifica  Antonio  Alzate  (Memorias, 

Revista). 

Institùto  Geològico  ( Boletiti ,  Perargones ). 

Anales  del  Institùto  Medico  Nacional. 

La  Naturaleza. 

Boletin  de  la  dereccion  d’Estudios  Biologicos. 
Revista  Mesicana  de  Biologia. 


Paraguay 

Puerto  Bertoni  —  Estacion  Agronomica. 


-  X  - 


Lima 


Perù 

—  Boletin  de  la  Societad  geografica. 


San  Salvador 


San  Salvador  —  Museo  Nacional  (Anales). 


Stati  Uniti 


—  University  of  California  (Publications,  Balletin). 

—  Society  of  Naturai  History  ( Proceedings ). 

—  Cold  Spring  Harbor  Monographs. 

—  Elisha  Mitchell  scientific  Society  (Journal). 

—  Bull,  of  thè  Lloyd  Library  of  Botany  etc. 

—  The  University  of  Minnesota. 

—  Illinois  biological  monographs. 

Bull,  of  thè  state  Laboratory  of  Hist.  Nat. 

—  Academy  of  Sciences  (Bulletta,  Annual  Report). 
Field  Museum  of  Naturai  History  (Department  of 
Botany). 

—  Wisconsin  Academy  of  Sciences,  Arts  and  Lettres 
(Transactions). 

Wisconsin  Geological  and  Naturai  History  Survey 
(Balletin). 

—  Bulletin  of  thè  University  of  Montana  (Biologica 
Series). 

—  Botanical  Garden  (Bulletin). 

Notre  Dame  Indiana  —  The  American  Midland  Naturalist. 
Philadelphia  — Academy  of  Naturai  Sciences  (Proceedings). 

Saint  Louis  — Academy  of  Science  (Transactions). 

Missouri  Botanical  garden  (Annual  Report). 
Springfield  (Massachussets)  —  Museum  of  Naturai  History. 

Tufts  College  (Massachussets)  —  Studies. 

Washington  —  United  States  Geological  Survey  (Annual  Report ); 

U.  S.  Department  of  Agriculture.  —  Division  of 
Ornithology  and  Mammalogy  (Bulletin  North  Ame¬ 
rican  Fauna). 

Smithsonian  Insti tution  (Annual  Report). 


Berkeley 

Boston 

Brooklyn 

Chaphell  Hill 

Cincinnati 

Minneopolis 

Urbana 

Chicago 


Madison 


Missoula 


New  York 


-XI- 


Washington 


Montevideo 


—  U.  S.  National  Museum  (Bulletin). 

U.  S.  Department  of  Agriculture  (Jearbook). 

U.  S.  Department  of  Agriculture.  —  Bureau  of  Ani¬ 
mai  Industry  (Annual  Report). 

Carnegie  Institution  of  Washington  (Publications). 
The  Rockfeller  Sanitary  Commission  for  thè  Era- 
dication  of  Hookworm  Desease. 

Uruguay 

—  Museo  nacional.  Seccion  historico-filosofica  ( Anales , 
Comunicaciones). 


PUBBLICAZIONI  PERVENUTE  IN  DONO 


(31  dicembre  1923 ) 


Del  Grosso  L. 


Salmon. 


Guadagno  M. 


Bonelli  G.  —  Pro  selvaggina  e  caccia.  (Autore). 

Catalano  G.  — Principi  di  chimica  organica  fondati  sulle  teorie 
moderne.  Napoli,  1872,  (Dono  E.  Cutolo). 

—  Manuale  delle  più  usate  preparazioni  chimico  far¬ 
maceutiche  colle  rispettive  teoriche  redatto  a  for¬ 
ma  di  dizionario  dal  farmacista  Luigi  del  Grosso 
Napoli,  1846.  (Dono  E.  Cutolo). 

—  Lo  stato  presente  di  tutti  i  paesi  e  popoli  del  mondo, 
naturale,  politico,  e  morale  con  nuove  osserva¬ 
zioni  e  correzioni  degli  Antichi  e  moderni  viag¬ 
giatori.  Venezia  1740.  Dal  Voi,  I  al  XIX.  (Dono 
E.  Cutolo). 

—  Note  di  Erbario.  Napoli  1909.  (Autore). 

—  L’Epipogium  Aphyllum  (Schm.  Sw.  nell'Italia  me¬ 
ridionale  1910.  (Autore). 

—  Sulla  nomenclatura  di  alcune  Rubie  della  flora 
europea,  Napoli  1914.  (Autore). 

—  A  proposito  del  Thymus  striattfs  Vahl.  (Autore), 
Napoli,  1913. 

—  La  vegetazione  della  penisola  Sorrentina.  Parte  la 
2a  e  3a.  Napoli  1916.  (Autore). 

—  La  vegetazione  della  penisola  Sorrentina.  Parte  4a 
1922.  Napoli. 

—  Note  ed  aggiunte  alla  flora  dell'Isola  di  Capri. 
Napoli  1922,  (Autore). 

—  Le  resezioni  del  simpatico  nella  pratica  chirurgica. 
Napoli,  1923.  (Autore). 

Riccio  R.  F.  Buonanno  La  Rossa  —  Note  di  anestesia  regionale.  Na¬ 
poli,  1923.  (Autori). 

„  —  La  toracoplastica  extrapleurica  nel  trattamento  chi¬ 

rurgico  della  tubercolosi  polmonare.  Napoli,  1923. 
(Autore). 

„  —  I  punti  di  elezione  nelle  anestesie  traculari,  (peri- 

nervia  e  cutanervasa)  dello  sciatico.  (Autore).  Na¬ 
poli,  1922. 


Riccio  R. 


Gli  autori  assumono  la  piena  responsabilità  dei  loro  scritti . 


INDICE 


ATTI 

(MEMORIE  E  NOTE  ) 


Gargano  C.  —  Le  alterazioni  prodotte  nel  fegato  della  Lacerta 
muralis  Laur.  dal  Cysticercus  dithyricLium 
Fedele  M.  —  Simmetria  ed  unità  dinamica  nelle  catene  di  Salpa 
Palombi  A.  —  Diagnosi  di  nuove  specie  di  Policladi  della  R.  N. 

"  Liguria  . . 

Del  Regno  W.  —  L’effetto  fotoelettrico  . 

Serao  C.  —  Ricerche  su  la  reazione  tra  cloruro  di  benzile  e  fenolo. 
Biondi  G.  —  Osservazioni  su  alcune  bombe  vesuviane. 

Caroli  E.  —  Sulla  presenza  di  Penilia  schmackeri  Richard  nel 

golfo  di  Napoli . 

Carrelli  A.  —  Sull'assorbimento  di  fluorescenza  .... 
Gargano  C.  —  L'origine  nucleolare  dei  centrosomi  negli  oociti  di 

cagna  . 

Zirpolo  G.  —  Sulla  genesi  delle  colonie  primaverili  del  Zoobotryoti 

pellucidam  Ehrbg . 

Zirpolo  G.  —  Ricerche  sulla  simbiosi  fra  Zooxantelle  e  Phyllirhoè 

bucephala  Peron  et  Leseur . 

Lo  Giudice  P.  —  Sulla  salinità  delle  acque  di  superficie  dello 
stretto  di  Messina  durante  l' inverno  1921-22  . 

Colosi  G.  —  A  proposito  di  Heteroglyphaea  paronae  Colosi 
Salfi  M.  —  Ricerche  sull’epitelio  del  mesointestino  di  Locusta 

danica,  L . 

Fedele  M.  —  Identità  fra  Dolchitiia  mirabilis  Korotneff  e  Do - 

liolum  Chimi  Neumann . 

Marcucci  E.  —  La  morfologia  del  bacino  dei  Sauropsidi.  Il  pube 

degli  Uccelli . . 

Colosi  G.  —  Alcune  specie  discusse  di  Misidacei  .... 
Salfi  M.  —  Sulla  geonemia  delle  specie  del  genere  Chrysochraoti 

FlSCH.  ( Orthoptera-Locustidae ) . 

Gargano  C.  —  Documenti  istologici  per  una  ipotetica  terapia 

degli  epiteliomi  cutanei . 

Gargano  C.  —  Alterazioni  indotte  dal  radio  sulla  tiroide  normale 
Gargano  C.  —  Considerazioni  sulla  morfologia  delle  cellule  col¬ 
tivate  in  vitro  rispetto  a  quella  di  elementi  normalmente 

liberi  in  tessuti  patologici . 

Zirpolo  G.  —  Studi  sulla  bioluminescenza  batterica 


pag.  3 
„  20 

»  33 

a  38 
„  86 
a  92 

«  96 

„  100 

a  106 

„  H3 

„  129 

„  139 
„  141 

a  143 

„  152 

„  159 
„  191 

„  196 

„  199 
„  208 


221 

245 


Colosi  G.  —  Una  specie  fossile  di  Gerionide  (Decapodi  brachiuri) 
Perret  F.  —  Su  di  una  «  emanazione  »  «  forza  vitale  effluente  » 

finoggi  non  dimostrata . 

Zirpolo  G.  —  Situazione  delle  basse  temperature  sullo  sviluppo 
del  Zoobotryon  pellucidum  Ehrbg  . 

Caroli  E.  —  Di  una  specie  italiana  di  Typhlocaris  ( T .  salentina  n. 

sp.)  con  osservazioni  morfologiche  e  biologiche  sul  genere 


COMUNICAZIONI  VERBALI 

Cavara  F.  —  Fecondazione  a  distanza  in  Ginkgo  biloba  Linn.  e 

in  Araucaria  Bidwilli  Hook . 

Signore  F.  -  Il  bradisisma  in  relazione  coll'attività  vulcanica  dei 

Campi  flegrei . 

Zirpolo  G.  —  Caso  di  atrofia  del  cieco  epatico  dorso-cefalico  in 
una  Phyllirhoe  bucephala  Peron  et  Leseur 
Colomba  G. — Su  di  un  caso  di  cleistogamia  del YOrchis  macu¬ 
lata  L . 

Colomba  G.  —  Su  di  un  caso  teratologico  in  un  Citrus  limonum 
v.  digitata  Risso . 


RENDICONTI  DELLE  TORNATE 

(PROCESSI  VERBALI) 


Processi  verbali  delle  tornate  1923  . 

Consiglio  direttivo  per  l'anno  '924  . 

Elenco  dei  socii . 

Elenco  delle  pubblicazioni  pervenute  in  cambio  e  in  dono. 


■ 


TAVOLE 


Boll.  d.  Soc.  dei  Nat.  in  Napoli,  Voi.  XXXV. 


Tav.  1. 


LIBRARY, 

m.b.a. 

PLYMOUTH. 


Boll.  d.  Soc.  dei  Nat.  in  Napoli,  1 


Tav.  2 


Boll.  d.  Soc.  dei  Nat.  in  Napoli,  Voi.  XXXV. 


Tav.  2. 


Boll.  d.  Soc.  del  Nat .  in  Napoli ,  Voi.  XXXVI.  Tav.  3 


P.  CROMOTIP.  ALDINA  —  NAPOLI 


. 


i  b  n  arYi 
M.B.A. 

- 


LIBRARY» 

M.B.A. 

PLYMOUTH» 


ALLEGATI 


Allegato  N.  1. 


Per  la  Stazione  Zoologica  di  Napoli 


(Tornata  ordinaria  dell'  1 1  luglio  1920) 

Ancora  una  volta,  dopo  cinque  anni,  la  questione  della  Sta¬ 
zione  Zoologica  ritorna  innanzi  alla  nostra  Società,  che  verso 
questo  massimo  centro  degli  studi  di  biologia  marina  ha  sempre 
mostrato  il  suo  doveroso  interessamento.  Cinque  anni  or  sono 
si  trattava  di  rendere  la  Stazione  Zoologica  indipendente  dalla 
egemonia  tedesca,  e  nello  stesso  tempo  di  assicurarne  la  esi¬ 
stenza  nel  lungo  periodo  della  guerra:  (e  qui  non  possiamo  fare 
a  meno  di  rammentare  uno  dei  più  giovani  e  valorosi  nostri  soci, 
Paolo  Della  Valle,  che  la  Patria  volle  rapito  alla  vita  e  alla  scienza 
innanzi  tempo,  e  che  può  dirsi  l'iniziatore  del  nostro  movimento  i): 
oggi  occorre  proteggere  la  Stazione  contro  le  insidie  di  un  nuovo 
orientamento  che  ne  denaturerebbe  la  essenza,  certamente  con 
grave  suo  danno,  se  pur  non  avviandola  ad  inevitabile  rovina. 
I  fatti  sono  universalmente  noti;  ma  conviene  riassumerli,  per 
maggiore  intelligenza  di  tutti. 


q  Paolo  Della  Valle  anche  nelle  asprezze  della  guerra  scriveva  ad  uno 
di  noi  (prof.  Mazzarelli)  quanto  segue: 

Dal  fronte  di  combattimento  10  luglio  1915 

Egregio  Professore, 

Le  scrivo  dalle  trincee  di  combattimento  dei  nostri  contro  gli  Au¬ 
striaci,  mentre  shrapnel  e  granate  si  incrociano  per  aria  con  il  loro  caratteri¬ 
stico  fruscio,  e  a  decine  cadono  feriti  e  morti  i  nostri  oltre  che  i  loro.  In  tali 
condizioni  il  mio  pensiero  continuamente  ricorre  alla  questione  di  cui  tanto  mi 
interessai  prima  di  partire.  Mi  sembra  perfino  impossibile  che  non  si  debba 
riuscire  nello  scopo  che  la  nostra  dignità  nazionale  ci  impone  nel  presente 
momento  storico.  Come  Le  dissi  partendo  mi  fido  nell'opera  Sua. 


4 


Paolo  Della  Valle. 

Sottotenente  medico  16°  Reggimento  Fanteria 
4°  Battaglione 


—  2  — 


Bisogna  premettere  che  la  Stazione  Zoologica  di  Napoli  fin 
dalla  sua  fondazione  ha  avuto  sempre  delle  caratteristiche  so¬ 
stanziali:  quella  di  essere  un  Istituto  privato  ed  internazionale, 
e  quella  di  offrire  la  più  completa  libertà  di  azione,  nel  campo 
degli  argomenti  di  studio,  sia  del  materiale  di  ricerca,  sia  della 
metodica,  sia  delle  teorie  e  delle  scuole.  Aperta  agli  studiosi  di 
tutti  i  Paesi,  essa  non  era  adatta  per  gli  studenti  che  avessero 
ancora  avuto  bisogno  di  guida  nelle  loro  ricerche.  Gli  scienziati 
eminenti  che  ne  erano  a  capo,  quali  il  Direttore,  Antonio  Dohrn, 
e  poi  Ugo  Eisig,  Paolo  Mayer,  Paolo  Schiemenz,  I.  Giesbrecht,  che 
sopratutto  lo  coadiuvavano,  se  richiesti  non  lesinavano  i  loro  con¬ 
sigli,  ma  si  guardavano  bene  dall'esprimere  nemmeno  il  loro  parere 
sugli  argomenti  che  gli  studiosi  imprendevano  a  trattare.  Era  come 
un  albergo  gestito,  diremmo,  quasi,  per  una  convenzione  inter¬ 
nazionale.  Ogni  Stato  o  ente  aveva  diritto,  in  rapporto  con 
quello  che  annualmente  pagava  alla  Amministrazione  della  Sta¬ 
zione,  ad  un  certo  numero  di  tavoli  di  studio,  arredati  di  tutto 
il  necessario  per  le  ricerche.  Chi  voleva  recarvisi  doveva  otte¬ 
nere  dallo  Stato  o  dall'Ente  l'uso  di  un  tavolo  di  studio:  ottenu¬ 
tolo  la  Stazione  ne  riceveva  avviso  dallo  Stato  o  dall'Ente 
stesso.  Chi  giungeva  si  presentava  al  vice-Direttore:  questi  chia¬ 
mava  il  preparatore,  il  ben  noto  Peppino  Riegel,  ora  defunto, 
e  lo  faceva  accompagnare  al  posto  preventivamente  preparato 
ed  arredato  di  tutto  l'occorrente  (tranne  gli  istrumenti  che  oc¬ 
correva  portare  seco);  ivi  il  preparatore  indicava  le  vasche  spet- 
tantigli  per  tenervi  gli  animali  vivi  ed  eseguiva  tutte  le  modifica¬ 
zioni  che  gli  si  richiedevano.  Più  tardi  l’ospite  riceveva  la  vi¬ 
sita  del  Conservatore  (che  fu  per  tanti  anni  Salvatore  Lo  Bian¬ 
co),  il  quale  gli  chiedeva  quale  materiale,  e  cioè  quali  animali, 
occorresse  per  i  suoi  studi:  prendeva  nota  ed  andava  via.  Seguiva 
la  visita  del  Bibliotecario  che  lo  invitava  ad  accompagnarlo  nella 
ricca  Biblioteca  e  gli  indicava  il  modo  come  erano  distribuiti  i 
libri  e  i  periodici,  e  nello  stesso  tempo  il  meccanismo  del  pre¬ 
stito  dei  libri  e  periodici  medesimi.  Il  giorno  dopo  si  tornava 
e  si  trovavano  già  sul  tavolo  dei  bicchieri  di  acqua  di  mare  con 
entro,  viventi,  gli  animali  da  studiare. 

Dopo  ciò  si  restava  completamente  liberi,  senza  dar  conto 
a  nessuno  delle  proprie  indagini,  senza  essere  obbligati  a  subire 


—  3 


quella  direzione,  assurda,  per  gli  studiosi  maturi,  che  viene  impo¬ 
sta  negli  istituti  universitari.  Si  restava  liberi  di  studiare  di  giorno, 
e  se  occorreva,  anche  di  notte,  di  mattina  e  di  sera,  con  un  per¬ 
sonale  sempre  pronto  a  tutto  quello  che  abbisognava,  si  restava 
liberi  di  far  conoscenza  col  proprio  vicino,  ovvero  di  passargli 
accanto  senza  nemmeno  salutarlo;  di  entrare  in  relazione  col  per¬ 
sonale  scientifico  della  Stazione,  o  magari  di  mostrare  di  non 
accorgersi  nemmeno  della  sua  presenza.  Così  procedeva  la  Sta¬ 
zione,  mentre  il  personale  direttivo  di  essa  non  trascurava,  in 
continuazione,  di  occuparsi  di  quanto  alla  Stazione  andava  man 
mano  occorrendo,  affinchè  gli  ospiti  tutti  non  mancassero  di  nulla, 
nonché  delle  indagini  che  ciascuno  di  essi  imprendeva  per  proprio 
conto.  Unico  grave  difetto;  quella  specie  di  dinastia  ereditaria  della 
famiglia  Dohrn,  che  avrebbe  impedito  a  suo  tempo  la  libera  scelta 
di  un  Direttore  adatto  e  poteva  esporre  la  Stazione  ad  essere  un 
giorno  malamente,  diremo  così,  governata  da  un  Direttore  in¬ 
capace  o  troppo  avido  di  lucro,  e  peggio  ancora,  in  caso  di  estin¬ 
zione  della  famiglia,  l’alea  che  la  Stazione  andasse  in  mano  ad 
una  Università  tedesca;  (così  era  stabilito  nel  contratto  col  Co¬ 
mune  di  Napoli  !),  con  grave  offesa  alla  nostra  dignità  nazionale; 
unica  grave  minaccia,  la  sempre  crescente  egemonia  tedesca 
sulla  Stazione. 

Mentre  stavano  così  le  cose  l'improvviso  scoppio  della  guerra 
europea  fece  sì  che  il  personale  scientifico  della  Stazione,  al¬ 
lora  del  tutto  tedesco  od  austriaco,  lasciasse  precipitosamente 
l'Italia.  La  Stazione  si  resse  anco'ra  per  alcuni  mesi,  ma  era  evi¬ 
dente  che  i  fondi  venivano  meno,  ed  allora  si  rese  opportuno, 
e  forse  indispensabile,  l’intervento,  invocato  dal  Municipio  di 
Napoli  (proprietario  della  Stazione)  del  Governo  Italiano,  che 
aveva  così  anche  la  possibilità  di  eliminare  per  l’avvenire  il 
pericolo  della  menzionata  avanzante  egemonia  tedesca  e  di  tron¬ 
care  il  non  meno  pericoloso  andazzo  dell’eredità  forzata  della 
Stazione  nelle  mani  di  un  qualsiasi  membro  della  famiglia  Dohrn 
o  peggio  ancora,  come  si  è  detto,  in  qnelle  di  una  Università 
tedesca. 

Il  Ministro  della  P.  1.  nominò  dapprima  una  Commissione 
straordinaria  per  l’amministrazione  della  Stazione  e  più  tardi,  in 
seguito  alla  proposta  contenuta  nella  relazione  della  Commissione 


—  4  — 


medesima,  eresse  la  Stazione  stessa  in  Ente  morale  con  decreto 
luogotenenziale  del  26  Maggio  1918,  approvandone  successiva¬ 
mente  lo  Statuto  con  altro  D.  L.  del  9  Giugno.  Valendosi  della 
disposizione  transitoria  contenuta  neirart.  9  dello  Statuto  stesso, 
e  tenendo  presente  l'art.  5  del  medesimo,  il  Ministro  del  tempo, 
bon.  Berinini,  dette  al  Prof.  Monticelli,  ordinario  di  Zoologia 
nella  Università  di  Napoli,  l'incarico  temporaneo  della  dire¬ 
zione  della  Stazione. 

Ma  dopo  alquanto  tempo,  e  proprio  mentre  il  Consiglio  di 
Amministrazione  si  accingeva  a  compilare  il  Regolamento,  ai 
membri  del  cennato  Consiglio  non  solo,  ma  anche  al  Ministro 
pervenne  un  memoriale  anonimo,  diffuso  inoltre  largamente  nel 
pubblico,  inteso  a  dimostrare  la  necessità  di  modificare  lo  Statuto, 
specialmente  perchè  in  esso  è  consacrato  che  a  Direttore  della 
Stazione  Zoologica  deve  essere  chiamato  uno  zoologo,  mentre 
secondo  l'Autore  del  memoriale  stesso  più  opportuno  sarebbe 
chiamarvi  un  fisiologo,  o  quanto  meno  che  i  direttori  delle 
due  Sezioni  di  Zoologia  e  di  Fisiologia,  si  alternassero  nella  Di¬ 
rezione  dell'Istituto.  Questo  in  breve  il  punto  fondamentale  della 
questione:  accessori  gli  altri. 

Per  sostenere  la  sua  tesi  l'Autore  del  citato  memoriale  scrive 
testualmente:  “  Ciò  che  sopratutto  importa  per  l'avanzamento 
(sic)  degli  studi  di  biologia  marina  in  generale  e  per  il  progresso 
di  questa  Stazione  Zoologica  in  particolare  è  di  sradicare  il  pre¬ 
giudizio  che,  dato  l'appellativo  di  "  Zoologica  „  che  la  Stazione  reca 
sin  dall'origine,  ad  essa  debba  necessariamente  presiedere  uno 
zoologo.  Non  bisogna  dare  alle  parole  una  importanza  maggiore 
di  quella  convenzionale  che  esse  hanno.  Il  Kofoid,  che  ha  fatto 
recentemente  uno  studio  comparativo  sulle  stazioni  affini  a  que¬ 
sta  di  Napoli,  sparse  per  V  “  Europa,,,  ha  già  cessato  di  chia¬ 
marle  zoologiche  e  la  chiama  biologiche;  e  tali  sono,  o 
debbono  essere  in  realtà.  La  Stazione  Zoologica  di  Napoli  è 
stata  ed  è  essenzialmente  un  Istituto  di  biologia  marina,  dove  si 
sono  fatte  e  si  fanno  non  solo  osservazioni  e  descrizioni  di  animali, 
di  tessuti  ed  organi  morti  e  fissati  —  che  a  questo  è  ormai  ridotta  la 
vecchia  zoologia  meramente  morfologica  —  ma  anche  ricerche  spe¬ 
rimentali  su  animali,  tessuti,  ed  organi  viventi  ;  ricerche  di  fisio¬ 
logia,  di  chimica  fisiologica  e  di  chimica  fisica  applicata  alla  fi- 


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siologia.  Ora  è  universalmente  riconosciuto  che  queste  ultime 
ricerche  non  solo  non  sono  meno  importanti  delle  prime  ma  anzi 
sono  a  questi  superiori,  di  quanto  lo  studio  e  la  conoscenza  dei 
fenomeni  della  vita  sovrastano  allo  studio  e  alla  conoscenza  delle 
mere  forme  irrigidite  dalla  morte  ;  di  quanto  la  fisiologia,  che  è 
il  centro  verso  cui  convergono  tutte  le  discipline  biologiche,  so¬ 
vrasta  alla  morfologia  descrittiva  ;  di  quanto  una  scienza  dina¬ 
mica  ed  in  continuo  e  rigoglioso  progresso,  qual’è  la  prima,  so¬ 
vrasta  ad  una  scienza  statica,  e  ormai  quasi  cristallizzata  quale  è 
la  Zoologia  classica 

Ci  rincresce  di  doverlo  dire,  ma  l'Autore  del  memoriale 
scrivendo  queste  parole  non  si  è  reso  conto  che  egli  lasciava 
nel  lettore  nettamente  l' impressione  che  egli  non  conoscesse  che 
cosa  sia  la  Zoologia! 

E  dicendo  la  “Zoologia,,  intendiamo  la  “  scienza  zoologica,, 
—  senza  equivocare  tra  Zoologia  vecchia  e  Zoologia  nuova,  e 
senza  confonderla  col  dilettantismo  zoologico  —  quale  è  stata  da 
secoli  sanamente  intesa  da  noi  ogni  qual  volta  ha  saputo  resi¬ 
stere  alle  influenze  esotiche,  non  diciamo  da  Lazzaro  Spallanzani 
ma  addirittura  da  Francesco  Redi  in  poi  ! 

Lasceremo  da  parte  quanto  il  citato  Autore  del  memoriale 
scrive  sul  voluto  predominio  della  Fisiologia  sulle  altre  scienze 
biologiche;  il  suo  linguaggio  è  altamente  deplorevole:  ogni 
scienza  è  degna  del  massimo  rispetto,  nessuna  scienza,  da  scien¬ 
ziati  degni  di  tal  nome,  deve  essere  considerata  superiore  o  in¬ 
feriore  ad  un'altra.  E  quanto  al  Kofoid,  libro  di  mera  compila¬ 
zione  (per  istruzione  del  pubblico  americano)  sulle  Stazioni  bio¬ 
logiche  del  mondo,  ci  limiteremo  a  dire  che  non  vi  era  proprio 
bisogno  di  chiamarlo  in  causa,  perchè  se  l'Autore  del  memo¬ 
riale  fosse  al  corrente  di  quello  che  è  avvenuto  in  Italia  da  un 
ventennio  a  questa  parte,  invece  di  seguire  il  vieto  andazzo  di 
portare  alle  stelle  solo  quanto  si  dice  o  si  fa  dagli  stranieri,  sa¬ 
prebbe  che  proprio  venti  anni  or  sono  presso  il  Museo  Civico 
di  Storia  naturale  di  Milano  veniva  istituito  un  “laboratorio 
biologico,,,  che  si  occupava  specialmente  della  biologia  delle 
acque;  che  più  tardi,  nel  1907,  a  Milano  stesso  questo  labora¬ 
torio  si  trasformava  in  una  grande  stazione  di  Idrobiologia; 
che  nel  1914  si  istituiva  in  Taranto  una  Stazione  di  Biologia 


—  6  — 


marina;  che  nel  1916  si  inaugurava  a  Messina  l'Istituto  cen¬ 
trale  di  Biologia  marina  del  R.  Gomitato  Talassografico,  e 
che  finalmente  nel  1919  si  è  istituito  sul  lago  Fusaro  un  osser¬ 
vatorio  di  B  i  o  1  o  g  i  a  marina;  ed  avrebbe  anche  saputo,  nel 
tempo  stesso,  che  a  dirigere  siffatte  stazioni  biologiche  sono 
sempre  stati  chiamati  degli  zoologi,  e  affatto  recentemente  a 
dirigere  la  Stazione  Zoologica,  di  Rovigno  è  stato  chiamato  uno 
zoologo,  e  che  inoltre  nel  capitolato  che  fa  parte  della  legge 
speciale  per  il  Mar  Piccolo  di  Taranto,  è  espressamente  dichia¬ 
rato  che  il  Direttore  di  quel  laboratorio  di  Biologia  marina 
deve  essere  uno  zoologo.  D'altra  parte  l'Autore  del  memo¬ 
riale  avrebbe  dovuto  anche  sapere  che  lo  stesso  Kofoid,  autore 
del  libro  da  lui  invocato,  è  uno  zoologo,  e  che  tutte  le  Sta¬ 
zioni  di  Biologia  marina  straniere  sono  dirette  da  z  o  o- 
logi,  e  che  all’estero  si  può  ben  trovare  uno  zoologo  che  di¬ 
riga  un  Laboratorio  di  Fisiologia  generale,  ma  non  già  un 
Fisiologo  che  diriga  un  laboratorio  di  Biologia  marina. 

E  la  cosa  del  resto  è  perfettamente  logica.  Dandosi  il  nome  di 
biologiche  alle  Stazioni  che  prima  si  chiamavano  solo  zoolo¬ 
giche  si  è  solo  voluto  indicare  che  esse  non  dovessero  ser¬ 
vire  soltanto  alla  Zoologia  sistematica  ed  agli  studi  di  Embrio¬ 
logia  e  dì  Morfologia,  dando  a  quest'ultima  parola  il  suo  rigido 
significato  “  gegenbauriano  e  non  quello  solo  etimologico,  che 
non  è  poi  quello  scientifico,  ma  sopratutto  alla  conoscenza  della 
vita  degli  esseri  in  rapporto  all'ambiente  in  cui  questi  vivono  : 
studio  della  vita  dunque  e  non  della  morte,  come  crede  o  vuol 
far  credere  l'Autore  del  memoriale,  scienza  dinamica  quindi 
è  non  statica>  e  niente  affatto  cristallizzata. 

In  un'assemblea  come  questa  ci  corre  appena  l'obbligo  di 
rammentare,  che  l'essere  vivente,  animale  o  vegetale  che  sia,  si 
riannoda  mediante  infiniti  legami  all'ambiente  in  cui  vive.  L'es¬ 
sere  implica  l'ambiente,  e  reciprocamente  un  ambiente  determi¬ 
nato  implica  1'esistenza  di  esseri  che  presentino  un  insieme  di 
caratteri  determinati.  Questa  dipendenza  reciproca  è  quella  che 
collega  il  fenomeno  da  misurare  con  quello  che  serve  di 
misura,  e  realmente  l'essere  vivente,  secondo  l'ingegnosa  im¬ 
magine  del  Thoulet,  è  bene  un  istrumento  di  misura  dell'am¬ 
biente,  come,  il  termometro  e  un  istrumento  che  misura  la  tem- 


-  7  — 


peratura,  il  barometro  la  pressione  atmosferica.  Ogni  cangia¬ 
mento  di  condizioni  dell’uno  corrisponde  ad  un  cangiamento  di 
condizioni  delle  altre.  Una  data  pianta,  un  dato  animale  implicano 
la  coesistenza  di  una  data  temperatura,  di  una  data  pressione,  e 
possono,  per  conseguenza,  servire  a  misurare  queste  ultime.  La 
esistenza  di  un  essere  vivente  nelle  acque  implica  quindi  tutto 
un  insieme  di  condizioni  :  di  luce,  di  temperatura,  di  pressione, 
di  salinità,  di  contenuto  di  ossigeno,  di  trasparenza,  di  evapo¬ 
razione,  di  correnti,  di  movimento  delle  onde  (in  rapporto  alla 
loro  volta  con  lo  stato  meteorologico,  in  determinate  condizioni 
di  tempo  e  di  spazio,  che  si  riannoda  poi  alle  peculiari  condi¬ 
zioni  astron  omiche  dell'annata),  ed  inoltre  di  profondità  di 
natura  del  suolo,  di  conformazione  delle  coste,  ed  infine,  ciò  che 
ha  la  maggiore  importanza  di  tutto  il  resto,  di  nutrimento  :  nu¬ 
trimento  che  è  rappresentato  alla  sua  volta  da  un  altro  essere 
vivente,  animale  o  vegetale,  che  esso  stesso  implica  una  serie  di 
particolari  condizioni  di  ambiente;  senza  contare  le  condizioni 
inerenti  ai  rapporti  che  tale  essere  vivente  ha  coi  suoi  simili, 
come  quelli  sociali  o  coloniali  e  quelli  di  simbiosi,  di  commen¬ 
salismo  e  di  parassitismo  e  oltrecchè  quelli  di  funzionare  da  pre¬ 
datore  o  da  preda,  senza  contare  le  migrazioni,  gli  spostamenti 
batometrici  degli  esseri  stessi  in  relazione  col  periodico  od  oc¬ 
casionale  variare  di  tali  condizioni.  E  siffatte  molteplici  condi¬ 
zioni  è  necessario  studiare,  e  con  esse  lo  svolgersi  della  vita 
degli  esseri  in  mezzo  ad  esse.  Per  gli  zoologi,  cultori  di  biolo¬ 
gia  marina,  il  laboratorio  è  dunque  molto  più  vasto  di  quello 
che  possa  immaginarsi  ;  tale  laboratorio  è  il  mare,  nella  sua  va¬ 
stità  sconfinata,  nei  suoi  abissi,  con  le  sue  calme  e  le  sue  ire  ;  ed 
essi  sono  ben  paghi  quando,  dopo  non  lieve  lavoro,  riescono 
appena  ad  intravedere  una  legge  che  stabilisca  p.  es.  un  rapporto 
tra  un  determinato  grado  di  salinità  e  di  temperatura  e  la  presenza 
o  il  rigoglioso  apparire  di  una  data  specie,  ovvero  tra  remi¬ 
grazione  di  un'altra  e  l'andamento  di  una  data  corrente,  o  la 
maggiore  o  minore  ricchezza  di  ossigeno  in  una  data  plaga 
acquea.  Scienza  della  vita  e  non  della  morte  una 
tale  scienza,  scienza  dinamica  e  non  statica. 

Ma  per  cosi  procedere  noi  dobbiamo  innanzi  tutto  cono¬ 
scere  le  forme  animali,  avere  con  esse  sufficiente  dimestichezza 


—  8  — 


per  poterle  seguire  in  tutte  le  vicende  della  loro  vita:  dopo, 
soltanto  dopo,  saremo  in  grado  di  eseguire  su  di  esse  tutti  i 
possibili  studi  nel  vasto  campo  della  biologia  intesa  nel  senso 
più  lato. 

Ed  è  ovvio  pertanto  che  solo  uno  zoologo  possa  dirigere 
una  stazione  di  biologia  marina,  poiché  essendo  indispensabile 
innanzi  tutto  la  conoscenza  delle  forme  viventi  (di  quelle  ani¬ 
mali  specialmente,  per  il  loro  maggior  numero)  —  una  conoscenza 
tale  da  sapersi  per  lo  meno  orientare  tra  esse  —  il  punto  di  par¬ 
tenza  non  già  il  punto  di  arrivo,  è  sempre,  indiscutibilmente,  la 
Zoologia  descrittiva,  che  è  come  l'alfabeto,  senza  la  conoscenza 
esatta  del  quale  non  è  possibile  leggere  alcun  libro.  Ed  è  sem¬ 
pre  uno  zoologo,  con  tale  sano  indirizzo,  che  in  una  qualsiasi 
Stazione  Biologica  deve  avere  la  parte  direttiva;  perchè  egli  sol¬ 
tanto,  e  non  altri,  avendo  la  completa  visione  dei  rapporti  che 
possono  intercedere  tra  esseri  viventi  ed  esseri  viventi,  fra  que¬ 
sti  e  l'ambiente,  è  in  grado  di  segnare  l'indirizzo  generale  della 
Stazione  ;  e  di  mettere  in  valore,  coordinandoli,  i  risultati  degli 
specialisti  delle  singole  branche  della  Biologia,  che  dei  dati  e 
del  materiale  raccolto  dalla  Stazione  stessa  si  avvalgono  per  i 
loro  studi.  E  ciò  anche  se  una  Stazione  dovesse  limitarsi  a  prov¬ 
vedere  gli  animali  che  occorrono  per  gli  acquari  esposti  al  pub¬ 
blico  !  Perchè  anche  per  tenere  un  acquario  bisogna  essere  uno 
zoologo,  (l'Acquaria  di  Berlino  informi  !)  con  quel  particolare  in¬ 
dirizzo  biologico  sopra  cennato,  e  sarebbe  poi  veramente  ameno, 
a  dir  poco,  che  a  dirigere  una  stazione  zoologica  o  di  biologia 
marina  col  relativo  Acquario  fosse  preposto  un  Fisiologo,  abi¬ 
tuato  a  conoscere  gli  animali  soltanto  affidandosi  al  cartellino 
su  cui  il  cortese  conservatore  dell'Istituto  ne  scrive  il  nome 
scientifico,  pronto  a  sbagliarsi  non  dico  di  specie  o  genere, 
(per  certi  fisiologi  genere  e  specie  sono  la  stessa  cosa  !  gli 
esempi  non  mancano  !)  ma  di  ordine,  di  classe  e  perfino  di  tipo 
qualora  per  avventura,  per  un  causale  errore  si  scambiassero  da 
un  bicchiere  all'altro  i  cartellini  stessi!  e  non  é  il  primo  caso 
che  ricerche  fisiologiche  (e  anche  istologiche  o  embriologiche), 
eseguite  da  non  zoologi,  abbiano  perduto  qualsiasi  importanza 
per  inesatta  od  errata  determinazione  delle  specie,  determina¬ 
zione  che  soltanto  chi  possiede  una  fondamentale  cultura  natu- 


—  9  — 


ralistica  è  in  grado  di  apprezzare  al  suo  giusto  valore.  Non  si 
tratta  dunque  di  un  pregiudizio  che  fa,  in  tutto  il  mondo,  chiamare 
gli  zoologi  a  capo  delle  stazioni  di  biologia  marina,  ma  di  una 
vera  necessità,  non  solo  scientifica,  sibbene  anche  tecnica,  per  il 
funzionamento  delle  Stazioni  stesse. 

Tuttavia  proprio  il  sopra  citato  memoriale  pare  abbia  de¬ 
terminato  il  Ministero,  al  quale  è  da  lamentare  non  sia  stato 
ben  prospettato  quanto  sopra  è  stato  esposto,  a  nominare  una 
Commissione  per  la  riforma  dell’ordinamento  della  Stazione 
Zoologica  ! 

Questa  Commissione,  in  cui  i  veri  conoscitori  del  funzio¬ 
namento  della  Stazione  e  dei  suoi  scopi  scientifici  non  erano 
davvero  in  numero  eccessivo,  pur  non  essendo  in  numero  le¬ 
gale  (il  verbale  venne  firmato  da  cinque  membri  soltanto  su  un¬ 
dici,  un  sesto  membro  espresse  un  voto  separato)  presentò  le 
sue  proposte  in  un  apposito  schema  di  Statuto.  Fra  queste  sono 
degne  di  nota  quelle  relative  agli  articoli  3,  8  e  10. 

L'art.  3  parla  di  contributi,  e  parrebbe  non  sostanzialmente 
differente  dall'art.  2  del  vigente  statuto,  se  la  locuzione  usata 
alla  lettera  g  di  "  assegni  italiani  e  stranieri  per  tavolini  di  stu¬ 
dio  „  in  luogo  di  "  locazione  di  tavoli  di  studio  „  non  facesse 
nascere  il  sospetto  di  qualche  mutamento  essenziale.  Ed  infatti 
"l'assegno,,  non  è  la  "locazione  „,  e  non  ha  la  portata  finan¬ 
ziaria  della  locazione,  nè  impersona  l'essenza  dell'art.  1°  dello 
statuto  ora  vigente.  Ma  vi  è  di  più.  L'articolo  parla  di  contri¬ 
buto  a)  del  Ministero  dell'  Istruzione  ;  b)  del  Comitato  Talas¬ 
sografico  ;  c)  del  Ministero  dell'Agricoltura  ;  ma  stranamente 
nella  relazione  non  ne  stabilisce  l'entità.  Viceversa  poi  si  è  sa¬ 
puto  che  in  Commissione  si  è  parlato  della  necessità  un  sussidio 
annuo  di  L.  200.000  da  parte  del  Ministero  dell'Istruzione,  di 
150.000  da  parte  del  Comitato  Talassografico  e  di  50.000  da 
parte  del  Ministero  di  Agricoltura:  400.000  lire  in  tutto,  che  il  Go¬ 
verno  italiano  avrebbe  dovuto  elargire  alla  Stazione,  senza  della 
quale  elargizione  parrebbe  che  la  Stazione  non  potesse  funzionare! 

Noi  non  sappiamo  se  queste  cifre  siano  l'espressione  di  una 
speranza  ovvero  risultino  da  affidamenti  avuti  dai  singoli  mini¬ 
steri.  Se  ciò  fosse  risulterebbe  che  il  governo  si  accingerebbe 
a  sussidiare  la  Stazione  con  tale  cospicua  somma  di  400.000 


—  10  — 

lire  annue,  stabilendo  la  sua  effettiva  preponderanza  sulla  Sta¬ 
zione  Zoologica,  e  togliendole  definitivamente  il  suo  carattere 
privato  e  internazionale,  al  quale  la  Stazione  deve  la  sua  fama 
e  il  suo  passato  benessere.  Noi  non  crediamo  che  un  sì  cospi¬ 
cuo  sussidio  abbia  ad  essere  effettivamente  erogato,  ma  ove  lo 
fosse  noi,  cittadini  italiani  e  cultori  di  scienze,  dovremmo  asso¬ 
lutamente  opporci. 

Non  infatti  nel  momento  in  cui  i  gabinetti  universitari  vol¬ 
gono  in  condizioni  finanziarie  tristissime,  massime,  e  sono  molti, 
quelli  a  scarsa  dotazione,  il  Ministero  deir  Istruzione  deve  im¬ 
pegnarsi  a  un  così  cospicuo  sussidio  in  favore  di  un  Ente  che 
ha  proprie  risorse;  alle  quali  non  si  tratta  che  dare  un  mag¬ 
gior  sviluppo  coadiuvando,  con  una  opportuna  azione  diplo¬ 
matica,  i  lodevoli  sforzi  della  direzione  della  Stazione,  che 
cominciano  già  ad  essere  coronati  da  successo,  intesi  a  ripri¬ 
stinare,  per  quanto  è  possibile,  le  antiche  locazioni  dei  tavoli  di 
studio,  da  parte  dei  varii  Stati  Esteri.  Ed  è  bene  si  sappia  che 
quest'anno  sia  per  tali  locazioni,  sia  per  i  sussidi,  sia  per  i  bi¬ 
glietti  di  ingresso  dei  visitatori  dell'Acquario,  la  Stazione  ha 
introitate  oltre  200.000  lire! 

E  nemmeno  nel  momento  in  cui  l'Istituto  Centrale  di  Bio¬ 
logia  marina  di  Messina  manca  ancora  di  tutto,  per  difetto  di 
personale,  di  suppellettile  scientifica,  di  libri,  e  in  cui  occorre 
provvedere  degnamente  alle  sue  nuove  stazioni  di  biologia  ma¬ 
rina,  il  Comitato  Talassografico  deve  impegnarsi  a  un  sussidio 
di  ben  150.000  lire  a  favore  di  un  Ente  che  ha  proprie  risorse, 
e  che  una  tale  somma  non  si  è  mai  sognato  di  chiedergli. 

Ed  infine  nemmeno  nel  momento  in  cui  le  Regie  Stazioni 
di  Piscicoltura  mancano  ancora  di  tutto,  e  sono  ben  lontane  dal 
funzionare  degnamente,  e  in  cui  non  è  possibile  ancora  istituire, 
per  mancanza  di  fondi,  quegli  osservatori  di  pesca  di  cui  si 
sente  così  vivo  bisogno,  e  dei  quali  si  è  recentemente  occupata 
la  Giunta  esecutiva  per  il  coordinamento  degli  studi  di  Biolo¬ 
gia  applicata  alla  pesca,  il  Ministero  di  Agricoltura  (che  ha  si¬ 
nora  nella  parte  ordinaria  del  suo  bilancio  stanziate  solo  non 
più  di  80.000  lire)  deve  impegnarsi  a  un  sussidio  annuo  di 
50.000  lire  a  favore  di  un  Ente,  che  non  può  dare  alla  pesca 
che  una  piccola  parte  della  sua  attività,  e  che  non  ha  chiesto 


—  11 


un  simile  sussidio,  contentandosene  di  uno  assai  più  modesto. 

Quanto  poi  all'art.  8°  dello  schema  dello  Statuto  proposto 
dalla  Commissione,  esso  contempla,  nella  Stazione  tre  sezioni, 
diremo  equipollenti:  runa  di  Zoologia,  la  2a  di  Fisiologia,  e  la 
3a  di  Chimica  Fisiologica.  Questo  ordinamento  così  limitato  non 
è  assolutamente  ammissibile  : 

1°  perchè  viene  a  sopprimere  la  sezione  di  Botanica,  già 
esistente,  che  non  può  non  essere  autonoma  e  che  ha  nobilis¬ 
sime  tradizioni.  Essa  fu  la  prima  sezione  istituita  nella  Stazione 
stessa,  la  quale,  è  bene  notarlo,  aveva  intrapresa  la  maggiore 
pubblicazione  col  titolo  di  “  Fauna  und  Flora  des  Golfes  von 
Neapel  „. 

2°  perchè  non  è  ammissibile  una  sezione  dì  sola  chimica 
fisiologica  in  una  Stazione  di  Biologia  marina:  essa  deve  essere, 
come  era  prima,  una  sezione  di  Chimica  generale,  da  servire 
alla  chimica  del  mare  e  alla  chimica  fisiologica  ed  è  assai  strano 
che  la  Commissione  abbia  dimenticato  nientemeno  la  Chimica 
del  mare  I  !  ! 

Quanto  infine  all'  art.  10  esso  disporrebbe  che  la  direzione 
della  Stazione  fosse  affidata  indifferentemente  ad  uno  dei  tre 
direttori  di  sezioni  (cosicché  la  direzione  potrebbe  anche  essere 
affidata  ad  un  fisiologo  o...  ad  un  chimico!);  ma  di  ciò  abbiamo 
già  a  lungo  precedentemente  parlato,  e  non  è  d'uopo  più  ripe¬ 
terci  per  dimostrare  ancora  una  volta  la  assurdità  di  una  sif¬ 
fatta  proposta. 

Ma  vogliamo  fermarci  un  momento  sulla  sezione  botanica 
che  la  Commissione  ritiene  opportuno  abolire,  mentre  essa  è 
stata  fin  qui  parte  integrante  della  Stazione. 

È  veramente  strano  che  nel  concetto  di  questa  riforma  si 
faccia  astrazione  dalla  vita  degli  innumerevoli  esseri  appartenenti 
alla  flora  marina,  dai  quali  dipende  direttamente  o  indiretta¬ 
mente  la  vila  degli  animali  del  mare. 

Tale  connessione  non  era  certo  sfuggita  all'  illustre  fonda¬ 
tore  della  Stazione  Zoologica,  il  quale  istituì  in  questa  la  Sezione 
botanica,  promosse  la  raccolta  e  lo  studio  delle  piante  del  mare 
come  ne  fanno  attestazione  le  eccellenti  monografie  sia  di  stra¬ 
nieri  che  di  italiani  consegnate  nelle  pubblicazioni  della  Stazione. 
11  titolo  stesso,  come  si  è  avvertito,  nella  più  importante  di  esse: 


Fauna  und  Flora  des  Golfes  voti  Neapel ,  sta  a  dire  della  im¬ 
portanza  assegnata  fin  dalle  origini  della  Stazione  allo  studio 
delle  piante  marine. 

Nè  potrebbe  essere  diversamente,  dato  che  la  vita  nelle 
acque  del  mare,  come  in  terra  ferma,  si  esplica  sotto  la  duplice 
manifestazione  di  vita  vegetale  e  animale.  E  senza  troppo  insi¬ 
stere  sugli  intimi  rapporti  che  si  stabiliscono  fra  gli  esseri  che 
convivono  nelle  acque  del  mare,  e  senza  invocare  pur  le  odier¬ 
ne  dottrine  che  mettono  in  rilievo  la  importanza  del  metaboli¬ 
smo  delle  piante  marine  per  la  vita  degli  animali,  si  comprende 
troppo  facilmente  la  necessità  dello  studio  della  flora  marina  in 
una  Stazione  di  biologia  qual'è  la  Stazione  Zoologica  di  Napoli 
che  per  tale  studio  offre  tutta  la  opportunità  e  tutti  i  mezzi. 
Basti  il  ricordare,  se  ce  ne  fosse  bisogno,  che  proprio  negli  anni 
che  precedettero  la  conflagrazione  europea,  ad  integrazione  della 
Sezione  di  botanica,  fu  nominato  un  assistente  nella  persona  del 
Dr.  Funk. 

La  vegetazione  marina  che  ha  avuto  nella  Stazione  valorosi 
cultori  quali  il  Bertold,  Y  Oltmann,  il  Valiante,  il  Nicolosi- 
Roncati,  il  Pantanelli  ed  altri  ancora,  offre  un  campo  stermi¬ 
nato  alle  indagini  biologiche,  basta  pensare  che  ancora  non  è 
stato  fatto  uno  studio  completo  sulla  distribuzione  nel  Golfo 
delle  alghe  e  delle  monocotiledoni  marine  in  relazione  con  le 
profondità  del  mare,  con  la  natura  litologica  del  fondo  e  delle 
coste,  e  con  tanti  fattori  che  concorrono  a  modificare  nei  vari 
settori  le  condizioni  di  vita  delle  piante  stesse. 

Il  problema  tanto  discusso  delle  variazioni  floristiche  bati— 
metriche  aspetta  ancora  una  soluzione,  come  i  molteplici  pro¬ 
blemi  riguardanti  la  trasparenza  del  mare,  la  penetrazione  e  l'as- 
sorbimento  delle  radiazioni  luminose,  e  l'assimilazione  clorofil¬ 
liana  in  relazione  con  i  fattori  suddetti,  con  la  pressione,  e  la 
presenza  dell'anidride  carbonica  alle  varie  profondità.  Ancora 
insoluto  é  il  problema  della  origine  e  la  fisiologica  importanza 
dei  pigmenti  che  mascherano  e  modificano  la  clorofilla.  Come 
innumeri  quistioni  di  chimica  -  fisica,  e  di  chimica  biologica  si 
affacciano  circa  i  processi  di  assorbimento,  di  elettività  dei  joni 
a  i  comportamenti  specifici  delle  alghe  del  mare,  come  emerge 
da  studi  già  iniziati  nella  stessa  Stazione  in  questi  ultimi  anni  e 


—  13  — 


resi  di  pubblica  ragione  in  pubblicazioni  scientifiche  quali  i 
"Rendiconti  deirAccademia  delle  Scienze,,  di  Napoli,  il  "Bollettino 
dell'Orto  botanico  di  Napoli,,.  Nè  di  minore  interesse  sarebbero 
gli  studi  sulle  biomorfosi  e  chemomorfosi  sperimentali,  quando 
su  larga  scala  venissero  intraprese  ricerche  sperimentali  di  col¬ 
tura  delle  alghe  del  mare  nelle  vasche  della  Stazione,  facendo 
variare  i  costituenti  chimici  e  le  concentrazioni  delle  soluzioni; 
esperienze  che  furono  anzi  iniziate  poco  prima  dello  scoppio 
della  guerra  nella  stessa  Stazione  Zoologica.  Per  tutte  queste 
considerazioni,  il  mantenimento,  ed  una  più  larga  funzione  di 
una  Sezione  botanica,  s'impone  ed  è  a  deplorare  che  così  leg¬ 
germente  si  sia  pensato  di  sopprimerla. 

Riassumendo  la  Commissione  ministeriale,  o  meglio  la  mi¬ 
noranza  di  essa  intervenuta,  che  ha  coscienziosamente  terminato 
i  suoi  lavori  e  formulate  le  sue  proposte,  ha  evidentemente  fatto 
del  suo  meglio  per  assolvere  il  suo  compito;  ma  essa  non  vi 
è  riuscita,  ed  ha  presentato  proposte  tali  che,  ove  fossero  ac¬ 
colte,  riuscirebbero  di  grave  nocumento,  alla  Stazione  Zoologica 
e  agli  Istituti  scientifici  italiani:  alla  prima  perchè  togliendole 
la  caratteristica  veste  internazionale,  alla  quale  essa  deve  il  suo 
rigoglioso  sviluppo  e  affidandone  eventualmente  le  sorti  a  mani 
scientificamente  e  tecnicamente  inesperte,  ne  promuoverebbero 
la  rapida  decadenza;  agli  altri  perchè  resterebbero  privi,  di  un 
aumento  alle  scarse  loro  dotazioni  per  quelle  somme,  che  inop¬ 
portunamente  verrebbero  somministrate  alla  Stazione  stessa. 

Ma  v'ha  un'altra  questione  fondamentale  sulla  quale  cre¬ 
diamo  intrattenerci.  E'  per  noi  ovvio  che  l'unico  modo  per  man¬ 
tenere  in  vita  la  stazione  e  per  darle  anzi  uno  sviluppo  anche 
maggiore  di  quello  che  aveva  una  volta,  è  di  non  mutare  punto 
la  sua  primitiva  fisonomia  di  istituto  scientifico  privato  ed  in¬ 
ternazionale:  la  soppressione  della  dinastia  Dohrn  e  la  possibi¬ 
lità  della  libera  scelta  di  un  Direttore  adatto  non  poteva  che 
giovarle,  come  egualmente  avrebbe  dovuto  giovare  al  suo  ca¬ 
rattere  di  libero  Istituto  internazionale  la  cessazione  di  qualsiasi 
preponderanza  del  governo  tedesco,  al  pari  di  quello  di  qual¬ 
siasi  altro  stato.  Lodevole  fu  certamente  l'atto  col  quale  il  go- 
verso  italiano  intervenne  in  tempo  di  guerra,  in  aiuto  di  una 
istituzione  che  poteva  correre  il  pericolo  di  interrompere  la  sua 


—  14  — 


proficua  esistenza  e  nello  stesso  tempo  colse  1'  occasione  pro¬ 
pizia  per  distruggere  quella  egemonia  tedesca,  che  nella  Stazione 
andava  sempre  maggiormente  affermandosi,  togliendo,  nel  tempo 
stesso,  di  mezzo  la  strana  eredità  scientifica  dei  Dohrn  e  la  mi¬ 
nacciante  umiliazione  del  probabile  passaggio  dell'Istituto  in  mano 
a  una  Facoltà  tedesca. 

Il  governo  italiano  sorresse  la  Stazione,  ne  curò  la  erezione 
in  Ente  morale,  previo  il  non  lieve  lavoro  della  Commissione 
straordinaria,  approvandone  il  relativo  statuto,  proposto  dalla  detta 
Commissione  straordinaria  e,  con  disposizione  transitoria,  ne  no¬ 
minava  il  Direttore  incaricato  per  avviare,  diremo  così,  il  com¬ 
pleto  riordinamento  della  Stazione.  Ma,  secondo  noi,  qui  doveva 
arrestarsi  l'opera  del  Governo,  qui  doveva  cessare  l'intervento  di¬ 
retto  dello  Stato,  il  quale  doveva  limitarsi  a  quell'alta  azione  di 
tutela  e  di  sorveglianza,  che  esso  ha  il  diritto  e  dovere  di  eser¬ 
citare  su  tutti  gli  enti  morali. 

Invece  nello  statuto  della  Stazione  venne  scambiato  un  libero 
Ente  norale,  che  si  propone  un  fine  puramente  scientifico  di  fuori 
di  qualsiasi  insegnamento,  con  un  consorzio  avente  il  fine  di 
mantenere  in  vita  l'Istituto  superiore,  quale  un  Politecnico  per 
es.  o  una  Scuola  Superiore  di  Commercio.  Errore  questo,  se¬ 
condo  noi,  gravissimo,  che  ha  alterato  la  tipica  fisonomia  della 
Stazione,  con  una  ingerenza  governativa  che  è  fuori  posto  e 
dannosa. 

Lo  statuto  del  1918  contiene  infatti  clausole  che  mal  si  ad¬ 
dicano  ad  un  Ente  che  nel  1°  articolo  dello  statuto  stesso  vien 
proclamato  un  libero  Istituto-,  e  che  poi  non  vanno  applicate  ad 
un  Ente  morale,  il  cui  consiglio  di  amministrazione  deve  essere 
arbitro  di  tutto  il  funzionamento  dell'Ente  stesso. 

Il  Direttore  della  Stazione  Zoologica,  dice  l'art.  58,  deve  es¬ 
sere  nominato  dal  Ministro  della  P.  I.:  errore. 

Il  Direttore  della  Stazione  Zoologica  deve  essere  invece 
nominato  dal  Consiglio  di  Amministrazione:  se  per  libera  scelta 
o  per  concorso  deve  essere  il  Consiglio  di  Amministrazione  a  sta¬ 
bilirlo.  Non  certo  nella  nostra  Società,  che  è  pure  Ente  morale, 
il  Presidente  sarà  nominato  dal  Ministro  della  P.  I.,  e  se  la  no¬ 
stra  Società  avesse  i  fondi  necessari  nulla  le  impedirebbe  di 
creare  degli  Istituti  scientifici  privati  e  di  affidarne  la  direzione 


15  — 


a  persone  da  essa  stessa  scelta,  senza  intervento  del  Governo. 

Ma  vi  ha  di  più:  abbiamo  inteso  una  cosa  stranissima.  L'art. 
2°  stabilisce  come  debba  essere  composto  il  Consiglio  di  Am¬ 
ministrazione.  Va  da  se  che  i  singoli  enti,  ivi  designati,  prov¬ 
vedono  alla  nomina  dei  propri  delegati.  Il  Ministero  della  Pub¬ 
blica  Istruzione  invece  nomina,  con  proprio  decreto,  questi  de¬ 
legati  che  gli  vengono  proposti  dai  detti  enti  ! 

Col  nuovo  statuto  poi  1'  ingerenza  del  governo  crescerebbe 
a  dismisura,  sino  al  punto  di  applicare  al  personale,  costituente 
il  corpo  scientifico  della  Stazione,  le  norme  del  testo  unico  delle 
leggi  sullo  stato  giuridico  degli  impiegati  dello  Stato  ! 

Invece  secondo  noi  bisogna  battere  risolutamente  altra  via, 
e  questa  via  deve  essere  quella  che  riconduca  la  Stazione  alla  sua 
antica  grandezza,  ridando  completamente  al  nuovo  Ente  morale 
il  suo  carattere  di  libero  Istituto  privato,  internazionale,  sosti¬ 
tuendo  un  Consiglio  di  Amministrazione,  fatto  dai  rappresentanti 
degli  Enti  interessati,  al  governo  della  famiglia  Dohrn,  ma  elimi¬ 
nando  qualsiasi  ingerenza  di  qualsiasi  Stato  cominciando  dall'Italia. 

Così,  e  non  altrimenti,  la  Stazione  Zoologica  di  Napoli,  gui¬ 
data  da  un  Direttore  Zoologo,  di  speciale  competenza,  nominato 
dal  Consiglio  di  Amministrazione,  potrà  riprendere  il  suo  cam¬ 
mino  glorioso  nella  veste  di  un  pretto  Istituto  internazionale 
privato,  adatto  soltanto  per  coloro  che  vogliono  studiare,  e  se¬ 
riamente  studiare,  e  non  servirsene  per  un  comodo  impiego  o 
per  un  luogo  di  riposo  da  circondarsi  di  facile  rèclame. 

Qualsiasi  intervento  diretto  statale  non  potrà  che  uccidere 
questo  grandioso  e  glorioso  Istituto,  pur  considerato  come  mo¬ 
numento  imperituro  di  Antonio  Dohrn  e  dove  più  generazioni, 
a  dirla  con  Carlo  Emery,  hanno  imparato  a  conoscere  che  cosa 
sia  la  Zoologia. 

Ma  che  ciò  non  avvenga  ne  affida  l'alto  senno  dell'on.  Mi¬ 
nistro  della  P.  J. 

F.to:  Prof*  Fridiano  Cavata  (ordinario  di  Bo¬ 
tanica  nella  R.  Università  di  Napoli). 

„  Prof.  Ugo  Milone. 

„  Prof*  Giuseppe  Magateli!  {or din.  di  Zoo¬ 
logia  nella  R.  Univ.  di  Messina ),  relatore. 


Allegato  N.  2. 


La  riforma  del  Ministro  Gentile  e  Tinsegnamento 
delle  Scienze  Naturali  nelle  Scuole  Medie. 


(Tornata  del  29  luglio  1923) 


La  nostra  Società,  vigile  sempre  nella  sacra  tutela  del  pro¬ 
gresso  scientifico  della  Nazione ,  massime  per  quanto  concerne 
Tincremento  delle  Scienze  Naturali,  sempre  pur  troppo  neglette 
da  noi,  e  non  prese  mai  nella  dovuta  considerazione,  non  può 
rimanere  indifferente  dinanzi  alla  testé  decretata  riforma  della  Scuola 
Media,  che,  pur  fermandosi  soltanto  a  quanto  concerne  le  Scienze 
Fisiche  e  Naturali,  può  considerarsi  una  vera  reformatio  in  pejus. 

In  questa  riforma  occorre  distinguere  due  provvedimenti 
diversi,  entrambi  pur  troppo  esiziali.  Il  primo  consiste  nella  ridu¬ 
zione  deirinsegnamento  delle  Scienze  naturali,  il  secondo  nell'ab¬ 
binamento  di  questo  con  altri  insegnamenti.  Esaminiamoli  l'uno 
dopo  l'altro. 

L  —  Riduzione  dell'insegnamento  delle  Scienze  naturali* 

Una  prima  novità  dobbiamo  constatare  nel  Liceo  Ginnasio 
classico  :  la  soppressione  dell'insegnamento  della  Storia  Naturale 
nel  Ginnasio  superiore.  Quando  nel  1881  Guido  Baccelli  intro¬ 
dusse  1'  insegnamento  della  Storia  Naturale  nel  Ginnasio,  nes¬ 
suno  di  quanti  in  Italia  amano  la  cultura  e  il  progresso  scien¬ 
tifico  della  Nazione  avrebbe  mai  potuto  supporre  che  dopo  oltre  40 
anni  un  tale  insegnamento  sarebbe  stato  soppresso.  E  perchè  poi  ? 
Ci  sono  perfettamente  ignote  le  ragioni  di  una  tale  soppressione. 
Se  sono  solo  ragioni  di  economia,  costituirebbero  queste  un  ben 
meschino  criterio  informativo  di  disposizioni  che  concernono 
nientemeno  la  cultura  scientifica  del  Paese.  Se  sono  invece  di- 


—  2  — 


dattiche  vorremmo  proprio  conoscerle  !  Non  dubitiamo  che  fra  gli 
stessi  cultori  di  Biologia  non  vi  siano  dei  critici  per  mestiere,  dei, 
come  dire  ?  iconoclasti  della  scienza,  per  i  quali  tutto  va  male  e 
nello  stesso  tempo  tutto  è  inutile,  e  che  per  aver  sentito  da  qual¬ 
che  scolaro  degli  spropositi,  e  magari  per  averne  uditi  altri  da 
qualche  insegnante,  non  si  sono  peritati  di  dichiarare  inutile,  se 
non  dannoso,  l'insegnamento  della  Storia  Naturale  nel  Ginnasio. 
Ma  se  un  Ministro  segue  alla  lettera  i  consigli  di  tali  mestie¬ 
ranti  di  critica,  allora  si  può  star  freschi  davvero  !  La  verità 
invece  è  ben  altra.  L' insegnamento  della  Storia  Naturale  nel 
Ginnasio,  più  ancora  di  quello  di  altre  discipline,  lascia  tracce 
più  o  meno  profonde,  più  o  meno  precise  ed  esatte,  sino  ad 
appassionare  addirittura  l'allievo,  e  spingerlo  talora  a  darsi  a  sif¬ 
fatti  studi,  secondo  il  valore  dell'insegnante,  secondo  l'abilità  e 
l'attitudine  di  questo  a  incatenare  1'  attenzione  dell'  allievo  e  ad 
interessarlo  a  quanto  espone.  E  a  ciò  pensando  non  possiamo 
fare  a  meno  d'inviare  un  saluto  alla  memoria  di  Michele  Ge- 
remicca,  insegnante  sommo  per  efficacia  e  dottrina,  che  seppe 
con  la  sua  parola  non  solo  appassionare  l'uditorio,  ma  spingere 
un  numero  relativamente  grande  di  suoi  allievi  a  dedicarsi  alle 
Scienze  Naturali. 

Si  sono  attaccati  i  programmi,  che  a  dire  di  molti  obbliga¬ 
vano  gli  alunni  ad  imparare  soltanto,  a  memoria,  una  filza  di 
nomi  e  di  caratteri  di  piante  e  di  animali,  si  è  creduto  di  ob¬ 
bligare  l'insegnante  a  fare  a  preferenza  della  biologia;  ma  non 
si  è  capito,  o  non  si  è  voluto  capire,  che  il  difetto,  come  di¬ 
cono  i  Veneziani,  era  nel  manico,  e  che  cioè  era  nell'insegnante. 

L'insegnante  di  Scienze  Naturali  che  sa  il  fatto  suo  non  ab¬ 
bisogna  nemmeno  di  programmi;  basta  indicargli  l'argomento  del 
suo  corso:  al  resto  penserà  da  sè.  Si  è  pertanto  fatta  una  que¬ 
stione  di  cose,  di  programmi  cioè  e  di  materiale  didattico,  men¬ 
tre  doveva  farsi  una  questione  di  persone ,  doveva  cioè  mirarsi 
ad  avere  degli  insegnanti  ottimi,  che  davvero  raggiungessero  lo 
scopo  di  aprire  le  giovani  menti,  con  l'osservazione  e  l'esperienza, 
alla  conoscenza  del  vastissimo  campo  dei  fatti  e  dei  fenomeni 
naturali,  da  equilibrare  almeno  le  pur  troppo  copiose  imbibi¬ 
zioni  di  materiale  fantastico  e  inverosimile,  che  dalle  fiabe  delle 
scuole  primarie  accompagna  l'allievo  su  su  sino  ai  racconti  leg- 


—  3  - 


gendari  dell'antichità,  ai  canti  dei  rapsodi  e  dei  trovatori,  ai  poemi 
eroici  e  cavallereschi,  creandogli  d'intorno  un  mondo  fantastico, 
ben  lontano  dalla  realtà  della  vita  e  dalla  poderosa  verità  dei 
fatti  e  dei  fenomeni  naturali,  ai  quali  è  pur  legata  la  nostra  esi¬ 
stenza,  fuori  del  mondo  dei  poeti  e  dei  filosofi. 

Pur  troppo  poi  alla  storia  Naturale  non  è  stata  data  Y  im  - 
portanza  che  essa  meritava;  pur  troppo,  dove  l'insegnante  non 
sa  convenientemente  far  rispettare  la  propria  disciplina  dal  Pre¬ 
side  e  dai  Colleghi,  questa  finisce  col  non  contar  più  nulla,  come 
“  materia  secondaria  E  precisamente  a  questo  sciocco  andazzo 
devesi,  anche  se  l'insegnante  sia,  come  suol  dirsi,  in  gamba,  se  ge¬ 
neralmente  nei  Ginnasi  non  si  dà  dagli  allievi  alla  Storia  Natu¬ 
rale  quell'importanza  che  essa  deve  avere.  La  quale  importanza 
poi  si  limita  ad  un  po'  di  attenzione  che  gli  scolari  dovrebbero 
prestare  alle  spiegazioni  e  alle  dimostrazioni  del  professore,  e  a 
non  altro*  dovendosi  escludere  gli  sforzi  di  memoria  e  simili  ar¬ 
tifici. 

Ma  invece  di  rinforzare  sotto  tutti  gli  aspetti  l'insegnamento 
delle  Scienze  Naturali  nelle  Scuole  si  è  pensato  ad  abolirlo  o  al¬ 
meno  a  ridurlo  :  cosi  in  Italia  si  finirà  con  1'  avere  non  solo  il 
non  invidiabile  primato  dell'  analfabetismo  ,  che  pur  troppo  già 
abbiamo,  almeno  di  fronte  alle  più  civili  nazioni  di  Europa,  ma 
quello  altresì  dell'assoluta  ignoranza  dei  fatti  e  dei  fenomeni  na¬ 
turali.  In  un  Paese  dove  pochi  sanno  p.  es.  che  le  balene  non 
sono  pesci,  e  che  non  sono  pesci  nemmeno  i  polpi  ,  o  le  arago¬ 
ste;  dove  molti  credono  che  gli  scarafaggi  e  i  tarli  nascano  per 
generazione  spontanea;  dove  sono  p.  es.  professori  di  lettere  che 
spiegano  ai  loro  alunni  che  la  malaria  si  sviluppa  per  la  pene- 
trazione  degli  anofeli  nelle  vie  sanguigne  (autentica  !);  dove  in  certi 
giornali  si  legge  per  es.  che  viene  consultato  il  “  barometro  „ 
per  rendersi  conto  della  temperatura  della  giornata  ;  dove  lo 
sproposito  scientifico  è  assunto  a  dignità  di  istituzione  nazionale, 
e  lo  si  trova  consacrato  perfino  nelle  ordinanze  dei  Comuni,  delle 
Prefetture,  delle  Capitanerie  di  Porto,  non  erano  troppe  davve¬ 
ro,  lo  creda  1'  Oli.  Ministro,  quelle  povere  due  ore  d'insegna¬ 
mento  di  Storia  Naturale  nella  4a  e  nella  5a  classe  del  Ginnasio, 
attraverso  il  quale  devono  passare  per  la  maggior  parte  le  ge¬ 
nerazioni  di  professionisti  e  di  impiegati  del  Regno  d'Italia! 


—  4  — 

Non  vi  sarebbe  stata  che  una  sola  questione  da  studiare,  quella 
cioè,  acuì  abbiamo  sopra  accennato,  della  conveniente  preparazione 
degrinsegnanti  a  un  siffatto  insegnamento.  Ma  ciò  doveva  otte¬ 
nersi  nelle  Università,  adeguatamente  trasformando,  e  non  abo¬ 
lendo,  le  Scuole  di  Magistero,  nelle  quali  i  giovani  avrebbero 
dovuto  ricevere  la  necessaria  istruzione  da  provetti  insegnanti  che 
avessero  i  requisiti  sufficienti,  sia  titolari  delle  Università  stesse, 
sia  incaricati  o  liberi  docenti,  sia  anche  solo  insegnanti  secon¬ 
dari,  seguendo  criteri  d'indole  generale  fissati  dallo  stesso  Mini¬ 
stero.  Così  si  sarebbe  potuto  fare  qualche  cosa  di  buono  e  di 
realmente  proficuo  per  la  cultura  scientifica  della  nazione.  Ma 
le  disposizioni  dell'On.  Gentile  invece  di  risolvere  una  siffatta 
questione  tendono  a  distruggere  quel  poco  che  si  era  potuto 
finora  faticosamente  guadagnare. 

Quanto  all'  insegnamento  delle  Scienze  Naturali  nel  Liceo 
classico  nulla  possiamo  dire,  non  conoscendosene  i  programmi  nè 
l'orario;  solo  l’unione  con  la  Chimica  e  la  Geografia,  se  il  nu¬ 
mero  delle  ore  settimanali  non  è  aumentato,  deve  naturalmente 
portare  ad  una  riduzione  dei  programmi,  il  che  certo  non  pos¬ 
siamo  che  deplorare. 

Dell'  abbinamento  con  la  Chimica  e  la  Geografia  parleremo 
in  seguito. 

Egualmente  1'  abbinamento  della  Fisica  con  la  Matematica 
lascia  supporre  che  l'insegnante  riunisca  anche  i  due  orari  sinora 
in  vigore  rispettivamente  per  la  Fisica  e  la  Matematica;  altrimenti 
anche  qui  si  avrebbe  una  deplorevole  riduzione. 

E  veniamo  ora  al  così  detto  “  Liceo  scientifico  „.  E  diciamo  * 
“  così  detto  „,  perchè  confessiamo  di  non  esser  riusciti  a  capire  in 
che  cosa  questo  "  Liceo  scientifico  „  si  differenzi  dal  Liceo  clas¬ 
sico  se  non  per  qualità  negative;  la  mancanza  cioè  dell’insegna¬ 
mento  del  greco  e  quello  ridotto  della  chimica,  ben  piccola  impor¬ 
tanza  avendo  i  due  prescritti  insegnamenti  di  Economia  politica 
e  quello  di  disegno.  Cosicché  resta  assodato  che  nel  Liceo 
classico  si  studia  una  scienza  in  più  che  in  quell' altro  speciale 
Liceo,  che,  come  Incus  a  non  lucendo ,  viene  chiamato  11  Liceo 
scientifico  „!  Ma  allora  perchè  tanto  rumore  per  nulla?  A  quale 
scopo  creare  uno  speciale  Istituto,  con  preside,  e,  occorrendo, 
segretario,  e  con  appositi  locali,  quando  sarebbe  bastato  conce- 


—  5  — 


dere  agli  allievi  del  1°  anno  di  liceo,  vincolandoli  a  non  potere 
aspirare  che  alla  iscrizione  alle  facoltà  di  Scienze  e  di  Medicina 
delle  Università,  di  poter  rinunziare  airinsegnamento  del  Greco, 
e,  poniamo  anche  della  Chimica  (!);  aggiungendo  poi  due  inca¬ 
richi  per  l'economia  politica  e  di  disegno. 

Ma,  entrando  poi  nel  merito,  se  questo  Liceo  scientifico  deve 
sostituire  le  soppresse  sezioni  fisico-matematiche  degli  Istituti 
tecnici  il  difetto  di  tale  istituto  si  rivela  grandissimo.  Noi  non  sap¬ 
piamo  intanto  che  cosa  ci  guadagneranno  gl'ingegneri  ad  essere 
obbligati  a  studiare  il  latino  e  la  filosofia,  e  cosa  ci  guadagneranno 
per  contro  i  medici  a  non  studiare  il  greco  :  quello  che  è  certo 
è  che  è  un  errore  gravissimo  quello  di  aver  ridotto  l’ inse¬ 
gnamento  della  Chimica,  che  come  tutti  sanno  non  era  come 
nel  Liceo  classico  abbinato  a  quello  della  Fisica,  ma  veniva  det¬ 
tato  da  uno  speciale  insegnante  laureato  in  Chimica,  ed  era  ac¬ 
compagnato  da  esercitazioni.  E  sarebbe  stato  proprio  provvido, 
ora  che  anche  coloro  che  aspirano  ad  iscriversi  alle  Facoltà  di 
Medicina  possono  provenire  da  queste  antiche  sezioni  di  fisico¬ 
matematica  degl'  Istituti  fossero  passati  all'  Università  con  un 
discreto  corredo  di  cognizioni  di  chimica.  Ma  invece  ciò  che 
proprio  era  la  parte  migliore  della  preparazione  scientifica  di 
tali  sezioni  è  stata  nei  Licei  scientifici,  che  ne  dovrebbero  essere 
una  trasformazione  perfezionata,  completamente  soppressa  ! 

Quanto  poi  all'insegnamento  della  Fisica  e  della  Matematica 
valga  anche  qui  l'osservazione  generica  fatta  per  il  Liceo  clas¬ 
sico  circa  l'abbinamento  delle  due  materie,  con  raggravante  che, 
come  meglio  diremo  poi,  se  in  un  Istituto  era  proprio  neces¬ 
sario,  e  per  ampiezza  di  svolgimento,  e  per  una  maggiore  sin¬ 
gola  competenza  dei  rispettivi  insegnanti,  scindere  i  due  inse¬ 
gnamenti,  questo  Istituto  doveva  essere  proprio  il  Liceo  scien¬ 
tifico. 

Per  l'insegnamento  delle  Scienze  Naturali  e  della  Geografia, 
valgano  qui  le  medesime  osservazioni  fatte  per  il  Liceo  classico 
circa  i  programmi  e  gli  orari,  che  non  sono  per  anco  conosciuti. 

Dal  Liceo  scientifico  per  modo  di  dire  passiamo  al  Liceo 
addirittura,  diremo,  "  ascientifico  „,  cioè  al  Liceo  femminile.  In 
questo  Liceo  s'insegnerà  bensì  la  filosofia  e  l'immancabile  latino, 
nonché  il  diritto,  1'  economia  politica  e  persino  1'  economia  do- 


6  — 


mestica  (scienza  quanto  altra  mai  di  difficile  applicazione  nei  ca¬ 
lamitosi  tempi  attuali!);  ma  nulla,  assolutamente  nulla,  s'insegnerà 
di  Scienze  Naturali  e  d'igiene,  bagaglio  ritenuto  affatto  inutile 
per  signorine  di  buona  famiglia,  alle  quali,  invece,  certo  con 
maggior  successo,  l' indulgente  legislatore,  ha  reso  obbligatorio 
l'insegnamento  della  danza!  Ora  può  esser  mai  concepibile  una 
scuola  di  cultura  dove  non  si  impartisca  nemmeno  la  piu  ele¬ 
mentare  nozione  di  scienze  fisiche,  chimiche  e  naturali  ?  Queste 
future  madri  di  famiglia,  che,  come  ben  notava  il  prof.  Mon- 
dolfo  di  Bologna,  con  la  danza  diventeranno  bensì  delle  mon¬ 
dane  non  delle  vere  madri,  non  saranno  dunque  in  grado 
nemmeno  di  comprendere  cosa  sia  il  sapone  e  come  debba  esser 
fatto  per  non  danneggiare  la  biancheria  domestica,  e  ignore¬ 
ranno  del  tutto  i  pericoli  per  es.  delle  insalate  crude,  della  frutta 
cruda  ecc.  e  d'altro  ancora  che  esse  continueranno  a  sommini¬ 
strare  incoscientemente  anche  ai  loro  bambini  ! 

Infine  perchè  togliere  l'insegnamento  degli  elementi  di  Scienze 
Naturali  nei  corsi  inferiori  degl'istituti  tecnici,  invece  di  coordi¬ 
narlo  con  quello  che  dovrà  impartirsi  nei  corsi  superiori  ?  An¬ 
che  qui  la  soppressione  di  un  tale  insegnamento,  che  doveva 
conservarsi  sia  pure  con  mutati  programmi,  è  grandemente  de¬ 
plorevole. 

In  conclusione  la  riforma  dell'on.  Gentile: 

a)  sopprime  l'insegnamento  della  Storia  Naturale  nel 
Ginnasio  ; 

b )  sopprime  l'insegnamento  delle  nozioni  di  Scienze 
Naturali  nei  corsi  inferiori  dell’Istituto  Tecnico  (l'antica  Scuola 
Tecnica); 

c)  riduce  l'insegnamento  della  Chimica  dal  Liceo 
scientifico  ; 

d)  esclude  l'insegnamento  delle  Scienze  Naturali  dal 
Liceo  femminile; 

e)  probabilmente  riduce  i  programmi  di  Scienze  Natu¬ 
rali  nel  Liceo  Classico  e  nel  Liceo  scientìfico. 

Vi  è,  come  si  vede  in  questa  riforma  tanto  quanto  basta  ad 
abbassare,  e  considerevolmente,  il  livello  scientifico  della  Nazione, 
già  pur  troppo  sufficientemente  basso  ! 

Sarebbe  pertanto  necessario  ripristinare  gl'insegnamenti  sop- 


—  7  — 


pressi,  istituire  l'insegnamento  della  Chimica  nel  Liceo  scienti¬ 
fico,  con  uno  speciale  insegnante  laureato  in  chimica,  come  già  ne- 
glistituti  Tecnici,  sezione  fisico-matematica,  e  introdurre  rinsegna¬ 
mento  delle  Scienze  naturali  e  dell'  Igiene  nel  Liceo  femminile. 

2.  —  L'abbinamento  degl'  insegnamenti* 

Ma  v'ha  dell'altro,  e  quest'altro  ci  è  dato  daH'abbinamento 
degli  insegnamenti,  che  porterà  a  risultati  anche  più  disastrosi, 
in  quanto  che  affiderà  importanti  discipline  sperimentali  ad  in¬ 
competenti,  rendendo  affatto  nullo,  se  non  addirittura  risibile, 
l'insegnamento  stesso. 

Ricordiamo  sempre  un  povero  insegnante,  che  dalle  vicende 
della  sua  carriera,  e  per  il  supremo  disprezzo  in  cui  il  direttore 
generale  del  tempo  (illustre  letterato)  doveva  avere  per  le  scienze 
fisiche  e  naturali,  era  stato  costretto,  pur  essendo  abilitato  in  mate¬ 
matica,  a  dettar  fisica  in  un  Liceo  di  provincia.  Il  poveretto  non 
riusciva  ad  eseguire  il  più  semplice  esperimento.  Perfino  il  campa¬ 
nello  gli  suonava  entro  la  campana  della  macchina  pneumatica,  fra 
le  grasse  risate  degli  alunni,...  e  dei  colleghi!  Ed  egli  finì  con 
l'accontentarsi  di  una  residenza  peggiore,  pur  d' insegnare  ma¬ 
tematica  e  non  più  fisica.  Non  teme  l'on.  Ministro  di  generaliz¬ 
zare  ora  per  tutta  Italia  un  così  poco  edificante  spettacolo? 

Bisogna  ben  guardarsi  dagli  abbinamenti,  che  se  possono 
sedurre  il  Ministro  del  Tesoro  per  le  economie  che  essi  per¬ 
mettono  nel  bilancio,  devono  lasciare  molto  perplesso  il  Mini¬ 
stro  dell'Istruzione.  Economie  che  si  realizzano  col  costringere 
un  professore  ad  insegnare  quello  che  non  sa,  o  che  sa  male, 
non  sono  economie,  perchè  si  risolvono  in  danno  dell'insegna¬ 
mento  per  se  stesso,  e  in  danno  di  terzi,  che  sarebbero  poi  i 
padri  di  famiglia,  obbligati  a  pagare  tasse  non  lievi,  senza  avere 
la  garanzia  che  ai  propri  figliuoli  siano  impartiti  a  dovere  gl'in¬ 
segnamenti  di  cui  abbisognano. 

Non  é  che  in  teoria  i  decretati  abbinamenti  non  siano  pos¬ 
sibili  :  tutti  gli  abbinamenti  sono  possibili,  anche  quello,  poniamo, 
dal  latino  con  la  matematica.  Ma  occorre  che  l'insegnante  sia  in 
precedenza  convenientemente  preparato  a  siffatto  insegnamento 
abbinato,  e  cioè  che  egli,  nei  corsi  universitarii,  abbia  potuto 


—  8  — 


studiare  e  latino  e  matematiche.  Altrimenti  gli  abbinamenti  sono 
inamissibili.  Epperò,  pur  ammettendo  il  principio  che  si  possa 
addivenire  a  certi  abbinamenti,  è  fuor  di  dubbio  che  ad  essi  non 
si  debba  addivenire  se  non  quando  vi  saranno  insegnanti  capaci 
di  assumere  tali  insegnamenti  abbinati.  Sino  a  quel  momento 
dovranno  essere,  logicamente,  sospesi  gli  abbinamenti  decretati, 
che  potranno  poi  attuarsi  gradatamente,  man  mano  che  si  potrà 
disporre  d'insegnanti  adatti.  Giacché  è  vano  dare  importanza  ai 
concorsi  testé  banditi  per  materie  abbinate.  Il  matematico  potrà 
pur  vincere  il  concorso  per  le  cattedre  di  Matematica  e  Fisica, 
ma  resterà  pur  sempre  matematico;  solo  potranno  utilizzarsi  i 
pochi  provveduti  di  laurea  mista  in  Fisica  e  Matematica.  E  d'altra 
parte  le  falangi  di  professori  di  matematica  di  Liceo  e  di  Istituto 
Tecnico,  ora  in  servizio,  come  s'improvviseranno  mai  professori 
di  Fisica  ? 

Ma  anche  negli  abbinamenti  occorre  seguire  un  criterio  lo¬ 
gico,  criterio  logico  che  non  ci  par  di  trovare  nella  decretata 
riforma  in  quanto  p.  es.  concerne  l'insegnamento  della  Geografia. 
Infatti  nella  scuola  complementare,  nel  Ginnasio  inferiore,  nei 
corsi  inferiori  dell'Istituto  Tecnico,  nei  corsi  inferiori  dell'Istituto 
Magistrale,  troviamo  la  geografia  abbinata  con  l'italiano  e  la  sto¬ 
ria,  e  con  l’italiano,  il  latino  e  la  storia;  nel  Liceo  femminile 
con  la  storia,  la  filosofia  e  l'economia  politica;  nel  Liceo  clas¬ 
sico,  con  le  Scienze  Naturali  e  la  Chimica;  nei  corsi  superiori 
dell'Istituto  Tecnico  con  le  Scienze  Naturali;  nei  corsi  superiori 
dell’Istituto  Magistrale  con  le  Scienze  Naturali  e  l'igiene,  sotto  il 
nome  di  "  Scienze  geografiche  „,  e  con  le  Scienze  Naturali,  anche 
col  nome  di  “  Scienze  geografiche  „,  nel  Liceo  scientifico.  Ma  si 
tratta  di  una  sola  geografia,  della  comune  geografia  insegnata 
sinora  nei  Ginnasi  e  negl’istituti  Tecnici  e  Scuole  Tecniche,  o  si 
tratta  di  varie  geografie  ?  Quella  dei  corsi  inferiori,  e  anche  delle 
scuole  complementari  e  del  Liceo  femminile,  è  per  avventura 
soltanto  geografia  antropica,  politica  e  storica,  e  invece  quella 
dei  corsi  superiori  è  geografia  fisica  e  biologica,  e  magari  anche 
astronomica?  Se  così  fosse  l'abbinamento  con  le  Scienze  Natu¬ 
rali  sarebbe  possibile;  ma  in  caso  contrario,  e  cioè  se  fosse  sem¬ 
pre  la  stessa  rifrittura  sul  modello  dell'insegnamento  della  geo¬ 
grafia  che  sino  ad  ora  si  è  impartito  nei  Ginnasi,  sarebbe  un 


surménage  per  l'insegnante  di  Scienze,  che  si  troverebbe  anche 
fuori  posto.  Occorrerebbe  che  la  questione  fosse  chiarita,  e  ad 
ogni  modo  restiamo  con  la  speranza  che  i  prossimi  programmi 
mettano  le  cose  a  posto. 

E  che  dire  poi  dello  stranissimo  abbinamento  inventato  per 
le  scuole  complementari  ?  Nientemeno  matematica,  scienze  na¬ 
turali  e...  computisteria!  Passi  pure  per  la  matematica,  quando 
si  avranno  professori  capaci  d'insegnare,  con  precisione  di  con¬ 
cetti,  sia  pure  elementari,  e  matematica  e  Scienze  Naturali;  ma 
la  computisteria  non  ha  proprio  nulla  che  vedere  nè  con  la 
Matematica  nè  con  le  Scienze  Naturali,  e  non  è  nemmeno  di¬ 
gnitoso  che  un  tale  insegnamento  sia  assunto  da  un  laureato. 

Occorre  che  la  computisteria,  costituisca  un  insegnamento  a 
sè,  dato,  sia  pure,  per  incarico. 

In  conclusione  l'abbinamento  con  le  scienze  fisiche  e  natu¬ 
rali  di  altre  discipline,  se  applicato  subito,  non  potrà  dare  che 
risultati  disastrosi  per  1'  insegnamento,  abbassando  anche  mag¬ 
giormente  il  livello  scientifico  della  Nazione.  Chiarita  la  questione 
della  geografia,  ed  eliminata  la  computisteria,  esso  potrà  anche 
essere  col  tempo,  e  gradatamente,  attuato;  ma  non  prima  che  si 
siano  formati,  non  con  improvvisati  concorsi,  ma  con  adeguati 
studi,  che  essi  dovranno  seguire  nelle  Università,  gl'insegnanti 
adatti. 


*  * 

Tuttavia,  in  ultimo,  non  nascondiamo  la  grande  perplessità 
in  cui  ci  lascia  tutta  intera  la  riforma  dell'on.  Gentile,  anche  se  le 
proposte  dei  ritocchi  sopra  accennati  venissero  accolte.  Già  scar¬ 
sissima  era  la  cultura  fisico-naturalistica  della  Nazione  con  mag¬ 
gior  numero  di  scuole,  con  maggior  numero  di  adatti  insegnanti, 
con  una  maggiore  estensione,  nelle  scuole  di  tutti  i  gradi,  di  un 
tale  insegnamento  scientifico.  Che  cosa  avverrà  ora,  con  le  scuole 
molto  diminuite  di  numero,  gli  insegnanti  in  buona  parte  non 
adatti,  e  lo  stesso  insegnamento  ridotto  come  estensione  e  come 
intensità?  E  se  pochi  erano  coloro  che  si  davano  agli  studi  di 
Scienze  Naturali,  pur  essendo  maggiore  la  possibilità  di  trovare 
occupazione,  non  diventeranno,  ora,  pochissimi,  o  addirittura  rari? 


10  - 


Non  solo,  ma  coloro  che  si  recheranno  a  studiare  Scienze  nelle 
Università,  preoccupati  di  mettersi  in  grado  di  poter  ottenere 
un  posto  con  insegnamenti  abbinati,  preferiranno  certo  le  lauree 
miste,  di  cui  si  dovrà,  per  forza  dì  cose,  avere  una  estesa  fiori¬ 
tura,  e  diserteranno  i  Laboratori,  o  per  lo  meno  saranno  co¬ 
stretti  a  rinunziare  a  qualsiasi  indagine  scientifica. 

Così  rabbassamelo  del  livello  scientifico  della  nostra  Na¬ 
zione  si  andrà  rapidamente  accentuando,  e  non  sarà  lontano  il 
tempo  in  cui,  come  già  una  volta,  sarà  necessario  ricorrere  nuo¬ 
vamente  agli  stranieri  per  affidar  loro,  nelle  nostre  Facoltà  di 
Scienze,  cattedre  e  posti  di  aiuto.  Non  teme  Ton.  Gentile  che  la 
sua  riforma  ci  porterà  a  questo  risultato?  Noi  sì,  lo  temiamo 
ortemente. 


Finito  di  stampare  il  10  dicembre  1923. 


Colosi  G.  —  Una  specie  fossile  di  Gerionide  (Decapodi  brachiuri)  pag.  248 
Perret  F.  —  Su  di  una  «  emanazione  »  «  forza  vitale  effluente  » 

finoggi  non  dimostrata  .......  „  256 

ZiRPOLO  G.  —  Sull'azione  delle  basse  temperature  sullo  sviluppo 

del  Zoobotryon  pellucidum  Ehrbg  ....  „  263 

Caroli  E.  —  Di  una  specie  italiana  di  Typhlocarìs  (T.  salentina  n. 

sp.)  con  osservazioni  morfologiche  e  biologiche  sul  genere  „  265 

COMUNICAZIONI  VERBALI 

Cavara  F.  —  Fecondazione  a  distanza  in  Ginkgo  biloba  Linn.  e 

in  Araucaria  Bidw illi  Hook.  .....  pag.  3 

Signore  F.  -  Il  bradisismi  in  relazione  coll'attività  vulcanica  dei 

Campi  flegrei .  „  6 

Zirpolo  G.  — •  Caso  di  atrofia  del  cieco  epatico  dorso- cefalico  in 

una  Phyllirhoe  bucephala  Peron  et  Leseur  .  .  ff  7 

Colomba  G.  —  Su  di  un  caso  di  cleistogamia  d eWOrchis  macu¬ 
lata  L . „  9 

Colomba  G.  —  Su  di  un  caso  teratologico  in  un  Citrus  linwnum 

v.  digitata  Risso  .  .  „  13 

RENDICONTI  DELLE  TORNATE 

(PROCESSI  VERBALI) 


Processi  verbali  delle  tornate  1923  . pag.  ili 

Consiglio  direttivo  per  l’anno  '924  ...  .  ,  .  „  xxvil 

Elenco  dei  socii . .  xxix 

Elenco  delle  pubblicazioni  pervenute  in  cambio  e  in  dono.  .  „  iìl-xm 


Gli  autori  assumono  la  piena  responsabilità  dei  loro  scritti. 


.i 


Per  quanto  concerne  la  parte  scientifica  ed  amministrativa  dirigersi  al 

SEGRETARIO  DELLA  SOCIETÀ’ 

Dr.  Prof.  Fr.  Sav.  Monticelli  presso  la  Sede 

R.  Università  —  Via  Federico  II  di  Svezia 


Prezzo  del  presente  volume  L.  100 


LIBRARI  ES^SMITHSONIAN  INSTITUTION^NOIiniliSNI  NVINOSÉuiNS^Sa  I  U  VB  a  II 
\  co  _  z  \  co  x  _  co 

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